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Sulle ali del destino: La storia d’amore da cui è nata la tecnica di guarigione ThetaHealing
Sulle ali del destino: La storia d’amore da cui è nata la tecnica di guarigione ThetaHealing
Sulle ali del destino: La storia d’amore da cui è nata la tecnica di guarigione ThetaHealing
E-book317 pagine4 ore

Sulle ali del destino: La storia d’amore da cui è nata la tecnica di guarigione ThetaHealing

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Info su questo ebook

Il metodo di guarigione ThetaHealing è diventato famoso in tutto il mondo per la sua incredibile efficacia nell’aiutare e nel guarire le persone lungo il loro percorso di vita. Il ThetaHealing ha toccato la vita di molti, ma pochi conoscono la splendida storia d’amore che ha portato alla sua creazione. Ora, per la prima volta, ecco svelate le sue origini in questo bellissimo libro che parla d’amore e dedizione. Sulle ali del destino è una storia di vita vera che racconta di una sacra unione di anime. La creazione di un metodo di guarigione presenta sfide considerevoli, molte delle quali trascendono lo spettro dell’esperienza comune. Questo libro è un viaggio attraverso le gioie e i dolori che Vianna e Guy hanno incontrato e che li hanno portati a creare una modalità di guarigione per la propria crescita personale a molti livelli di esistenza. È una storia dedicata a tutti gli spiriti romantici che credono che l’amore possa vincere il tempo. Vianna e Guy Stibal si impegnano a diffondere nel mondo il loro modello di guarigione e Vianna ha formato insegnanti e praticanti che lavorano in più di venticinque paesi.
LinguaItaliano
Editoremylife
Data di uscita2 dic 2014
ISBN9788863868814
Sulle ali del destino: La storia d’amore da cui è nata la tecnica di guarigione ThetaHealing
Autore

Vianna Stibal

È la fondatrice del Theta Healing. Vianna ha allenato la sua mente ad andare allo stato mentale Theta, rallentandola fino a 4-7 cicli al secondo in meno di 30 secondi. Sostiene di avere usato questa tecnica per guarire se stessa. Vianna ha fatto più di 40.000 letture. Condivide la sua semplice ma potente tecnica per aiutare ad attivare il processo evolutivo dell’uomo attraverso la consapevolezza della guarigione e dell’Amore Incondizionato. Vianna Stibal dice di avere sviluppato l’abilità di vedere con chiarezza nel corpo umano e apportare dei cambiamenti nel DNA, a livello del subconscio, storico-vite passate e a livello dell’anima. Ha imparato e adesso insegna come connettersi con il Creatore, come cocreare e facilitare il processo di guarigione. La sua esperienza di naturopata le dà una conoscenza del corpo umano e dei suoi sistemi. L'avere sperimentato il Thetahealing per tanti anni in tutto il mondo e nelle varie culture, le ha permesso di acquisire anche una conoscenza profonda della psiche umana. Ha istruito insegnanti e praticanti che lavorano in 14 nazioni. Il libro Theta Healing sarà distribuito in tutto il mondo in lingua inglese da Hay House, la prestigiosa casa editrice internazionale.

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    Anteprima del libro

    Sulle ali del destino - Vianna Stibal

    Prefazione

    Questo libro racconta la storia vera di una sacra unione di anime. Quando io e Vianna ci siamo incontrati, era come se stessimo volando sulle ali del destino, guidati e incoraggiati da forze esterne ad andare avanti nonostante tutte le riserve. Con la devozione e l’impegno che emergono da un’unione di questo tipo, siamo riusciti a creare qualcosa di molto speciale: il metodo di guarigione che ora porta il nome di ThetaHealing.

    La creazione di un metodo di guarigione presenta sfide molto particolari, alcune delle quali sono considerevoli e molte altre trascendono l’esperienza comune. Nella nostra vita personale e professionale, io e Vianna abbiamo incontrato gioie, dolori e difficoltà che ci hanno portato a creare una modalità di guarigione per la nostra crescita personale su più livelli: spirituale, mentale, fisico ed emotivo. Questa è la nostra storia, un’antologia divertente, bizzarra, malinconica e sincera, dedicata a tutte le persone romantiche che hanno ancora il coraggio di credere che l’amore possa durare in eterno. Ci auguriamo che ti ispiri a non rinunciare mai al vero amore.

    Guy Stibal

    Capitolo Uno

    La storia di Vianna

    Credo che tutti noi abbiamo un destino. Lo credo con tutto il cuore, e credo che tutti gli eventi che ho vissuto mi abbiano condotto verso il mio destino. Ho avvertito questa sensazione fin dall’inizio della mia esistenza. Per raccontare questa storia dobbiamo viaggiare a ritroso fino a prima che nascessi, quando mia madre era gravemente ammalata e lottava per la sopravvivenza.

    Quando mia madre era incinta di mia sorella Elaine, stava molto male e vomitava di continuo. I medici pensavano che soffrisse di una carenza di vitamine e le prescrissero delle iniezioni, ma dopo la nascita di mia sorella le sue condizioni non migliorarono. Andò in ospedale e i medici consigliarono un intervento esplorativo. Durante l’intervento emerse che la cistifellea si era perforata causando una grave infezione. Fu necessario asportarla.

    Il mio primo ricordo in questa vita risale a quell’intervento chirurgico. Quando ho potuto accedere ai miei ricordi attraverso l’ipnosi, mi sono ritrovata a fluttuare sopra mia madre e a guardarla dall’alto mentre era distesa sul tavolo operatorio. Riuscivo a sentire il chirurgo che scherzava con un’infermiera e le chiedeva un appuntamento. Poi venne scoperto un piccolo feto: ero io. Il chirurgo disse all’infermiera: Puoi dire addio a questo bambino.

    Anche se ero solo un feto, a questa affermazione mi sentii sfidata. Pensai: Scommettiamo? Io vivrò!. Ma in effetti fui sul punto di morire durante l’intervento. Credo sia stato attraverso questo incontro ravvicinato con la morte che ho portato in questa vita le mie abilità psichiche. Questa esperienza ha posto le basi anche per il mio rapporto con la professione medica.

    Quando mia madre riprese conoscenza dopo l’intervento, le dissero che non avrebbe portato a termine la gravidanza. Avevo una probabilità di sopravvivenza su un milione. Ma mia madre, che sia benedetta, rifiutò ostinatamente di rinunciare a me e in qualche modo la vita trovò il modo di farsi strada. Venni alla luce il 12 gennaio 1963 a Provo, nello Utah, determinata a sopravvivere su questo Pianeta.

    Poco tempo fa mia madre mi ha detto: Vianna, bambina mia, sei ‘una su un milione’. Guardami negli occhi e legati a me. Non abbiamo creato un legame quando sei nata perché non pensavo che sarei riuscita a darti alla luce.

    Non avevo mai avvertito la mancanza di un legame tra noi, ma questo sembrò farla sentire meglio.

    Mia madre

    L’influenza che mia madre ha esercitato sulla mia vita è inequivocabile. Ha avuto un’esistenza molto difficile. Era figlia di un agricoltore dell’Iowa, originario del Kentucky, che aveva perso la sua fattoria durante la Grande depressione. Dopo aver lavorato in altre proprietà, si impiegò nella costruzione della rete ferroviaria e mia madre fu mandata a servizio come domestica. Si sposò a diciassette anni.

    Mia madre non ha mai bevuto né fumato, anche se la maggior parte dei suoi familiari lo faceva e a quell’epoca era inconsueto che qualcuno non lo facesse, a meno che non fosse profondamente religioso. Imparò da autodidatta a suonare la chitarra ed era una musicista meravigliosa. Componeva da sé le sue canzoni e, come gran parte della sua famiglia, era in grado di suonare quasi tutto a orecchio. Suo fratello suonava la chitarra e il banjo. Immagino che questa inclinazione derivasse dalle loro radici e dalla musica popolare del Kentucky. Un tempo mia madre suonava nei locali per guadagnare qualche soldo in più.

    Il suo primo marito si chiama Harold ed è il padre dei miei tre fratellastri maggiori, Mark, Mike e Monica.

    Dopo aver divorziato da lui, mia madre incontrò due missionari mormoni e ne rimase talmente colpita che decise di convertirsi alla loro religione e di trasferirsi nello Utah. Qui conobbe Lavar Wilkinson, l’uomo che sarebbe diventato mio padre. Si sposarono, dopodiché diedero alla luce mia sorella Elaine e me. A causa di divergenze inconciliabili, divorziarono quando avevo tre anni.

    In seguito mia madre sposò un uomo di nome Richard, da cui ebbe un figlio, chiamato anche lui Richard e soprannomi-nato Little Richard. Dai cinque agli otto anni ebbi Richard come patrigno. Era una brava persona e ci trattava bene, ma mia madre divorziò di nuovo e sposò un uomo molto più giovane di nome Danny.

    Inizialmente Danny trattava bene mia madre, ma con l’andare del tempo divenne violento e la picchiava molto spesso, le ruppe il naso in diverse occasioni. Inoltre frustava me e mia sorella con la cinghia e aveva l’abitudine di rinchiudermi in un ripostiglio per punizione.

    I miei due fratellastri maggiori erano già stati spediti a vivere con il padre e, durante questo periodo caotico, Monica fu mandata a stare con un’altra famiglia, lasciando me, Elaine e Richard in una situazione piuttosto difficile. Io ero l’unica che correva a chiamare aiuto quando una lite tra mia madre e Danny degenerava nella violenza. Penso che gli altri temessero la collera di mia madre, più che l’idea di essere picchiati; ogni volta che correvamo a chiamare aiuto, infatti, ci mettevamo nei guai per aver informato gli estranei degli abusi in famiglia.

    Mia madre impiegò tantissimo tempo per trovare la forza di rompere questo rapporto disfunzionale. Per anni non ho avuto idea del perché fosse rimasta con quell’uomo così a lungo, ma ora, riflettendo su quel periodo della sua vita, penso che fosse intrappolata in una spirale di codipendenza.

    Tuttavia, mia madre non si lasciò piegare dalle sue relazioni fallimentari. Provvide sempre a noi e tenne duro di fronte a una società che disapprovava le donne divorziate. Spesso lavorava come stiratrice e donna delle pulizie, mentre la sera studiava dattilografia. Alla fine tornò a scuola e diventò tutor di inglese e assistente legale. Dopo Danny, non fece più affidamento su un uomo. Penso che fosse alla ricerca del vero amore e che fosse una donna forte, che meritava di stare con un uomo forte, ma non lo trovò mai. L’ammiro per il suo coraggio.

    Per quanto riguarda la religione, fu educata come battista e, quando si convertì alla fede mormona, mantenne il sistema di credenze di entrambe le religioni. Ciò significa che fummo educati a credere che se anche non fossimo andati all’inferno per i nostri peccati, di certo tutti gli altri l’avrebbero fatto.

    La mamma leggeva le Scritture ogni giorno e quando eravamo più piccoli le leggeva anche a noi, perciò oggi le conosco abbastanza bene. Voleva che ascoltassimo attentamente e penso che ce la mettesse tutta per farci diventare bravi. Ora che sono adulta le sono grata per questo. Mi ha insegnato a pregare e a cantare. Lei suonava la chitarra e tutti insieme cantavamo le canzoni, come una vera famiglia. Inoltre faceva in modo che ci esibissimo in ogni possibile evento della chiesa. Quando eravamo piccole, vestiva noi bambine con abiti vaporosi e ci faceva sedere alla sua destra e alla sua sinistra in chiesa. Se cominciavamo a dimenarci, ci dava dei pizzicotti per farci stare ferme.

    Abbiamo trascorso gran parte delle nostre giovani vite pulendo e riordinando la casa. Mia madre aveva un’ossessione compulsiva per la pulizia, al punto da ripulire ogni settimana tutti gli armadi, i quadri e i telai delle finestre. Non credeva negli spazzoloni: diceva che l’unico modo per pulire davvero i pavimenti era mettersi in ginocchio e sfregarli a mano. Monica è ancora così: toglie addirittura le mascherine degli interruttori per pulire anche dietro, e si alza nel cuore della notte per rimuovere la polvere dalle stoviglie riposte nei mobili della cucina.

    La mamma credeva nella disciplina e non ci risparmiava le bacchettate. Usava qualunque cosa avesse a portata di mano per mantenere la pace e l’armonia: righelli, manici di scopa, persino scarpe. Però, se riuscivi a schivarla per i primi minuti, si calmava. Fui la prima a capirlo. Gli altri bambini restavano lì e le prendevano, ma io no: correvo e mi nascondevo dove potevo, di solito sotto il letto, in modo che non riuscisse a prendermi. La mamma pesava solo cinquantadue chili, ma sapeva colpire più duramente di una donna grossa il doppio.

    Durante la mia infanzia abbiamo attraversato momenti difficili in cui il denaro scarseggiava. Quando avevo tredici anni non ricevemmo nulla per Natale e ricordo che mia madre ne soffrì. Anni dopo vissi la stessa esperienza e decisi che non sarebbe mai più accaduto.

    Avevo sempre la sensazione che ci fosse qualcosa di terribilmente sbagliato nella situazione in cui mi trovavo. Quando avevo tredici o quattordici anni, mentre spolveravo i mobili già puliti, mi guardai allo specchio e mi chiesi: Perché queste persone non sanno chi sono? Perché la mia vera famiglia non viene a salvarmi?. Sentivo di appartenere a una famiglia dell’antico Egitto che in qualche modo mi avrebbe trovato.

    Ricordo che desideravo essere amata, ma gli altri sembravano troppo occupati o troppo presi dal loro mondo. Capii che non potevano amarmi perché non sapevano come farlo, o non amavano se stessi, o non sapevano ricevere amore. Anche a quella giovane età capivo di doverle amare io per prima, affinché imparassero ad amare gli altri. E quando guardavo mia madre e le sue relazioni fallimentari, sapevo che non mi sarei accontentata di nient’altro che del vero amore.

    Il mio Padre Celeste

    Come ho accennato, i miei genitori divorziarono quando avevo tre anni e da bambina vedevo di rado mio padre, quindi non avevo propriamente una figura paterna con cui parlare, ma mia madre mi insegnò che avevo un Padre Celeste sempre pronto ad ascoltarmi. Mi disse anche che lui vedeva tutto ciò che accadeva nella mia vita. Così, fin da molto piccola, avviai un rapporto con il mio Padre Celeste. Con l’andare del tempo, cominciai a credere talmente tanto in questo rapporto speciale da riuscire a prevedere le informazioni che avrei ricevuto da Lui.

    Mia madre parlava sempre di Gesù, ma all’inizio non riuscivo a capire quale collegamento potesse esserci tra Gesù e il mio Padre Celeste. Pensavo: Perché pregare Gesù quando posso parlare al Creatore? Non è con Lui che dovremmo confidarci?. Queste domande infantili mi fecero passare qualche brutto guaio, così imparai a tenere la bocca chiusa. Con l’andare del tempo, però, cominciai a capire perché la gente parlava di Cristo e di altri profeti.

    Un giorno, alla congregazione, l’oratore sollevò l’argomento delle anime gemelle. Disse che non esisteva nulla del genere e che non avremmo dovuto aspettare l’arrivo di qualcuno che forse avevamo già incontrato nel regno dei cieli. Avremmo fatto bene ad accontentarci di chi era disponibile in quel momento e ricavarne il meglio. Anche se ero molto giovane, capii istintivamente che era un’idea sbagliata e ebbi la certezza che la mia anima gemella fosse là fuori, da qualche parte. Questa certezza mi accompagnò per i molti anni di tribolazioni che seguirono, e non mi abbandonò neanche quando tentai di cacciarla e di accontentarmi di qualcosa di meno del vero amore. Ero convinta che il vero amore esistesse davvero, come nei libri di fiabe. Mia sorella voleva diventare insegnante; io volevo solo innamorarmi.

    Quand’ero bambina ci trasferivamo continuamente. Cominciavo a frequentare una scuola ma qualche mese dopo la lasciavo per iscrivermi a un’altra, e questo non facilitava l’apprendimento.

    Mia madre non aveva idea di come trattare gli adolescenti, così quando arrivammo a quell’età fummo spediti a vivere con i nostri rispettivi padri, tranne Richard e Monica, che furono mandati a stare con altre famiglie.

    A quell’epoca ero un po’ irrequieta. Avevo subito un trauma sessuale ed ero troppo terrorizzata per confidarmi con mia madre. Questo mi portò ad allontanarmi emotivamente da lei. Scappai di casa, e quando tornai la convinsi che potevo andare a stare per conto mio alla tenera età di quindici anni, ma fallii miseramente. Fu in quel periodo che i miei amici mi dedicarono una canzone, secondo un’usanza comune in Colorado a quell’epoca. La canzone era Tiny Dancer [Piccola ballerina] di Elton John.

    Dopo aver fallito nel tentativo di vivere da sola, fui mandata a vivere con mio padre nello Utah. Elaine era già lì da un anno, ma io ero andata a trovarlo solo quattro volte in tutta la mia vita, quindi in realtà non conoscevo né lui, né sua moglie, né sapevo che tipo di accoglienza avrei ricevuto.

    Scoprii che mio padre era una persona particolare. Da giovane aveva avuto il vizio del gioco, beveva e civettava con le altre donne, ma conosceva il valore del lavoro e, quando ci trasferimmo da lui, convinse me ed Elaine a trovare un impiego. Una delle sue regole era che potevamo fumare, ma le sigarette dovevamo comprarcele da sole. Faceva del suo meglio per mantenere la pace in casa, ma si faceva comandare dalla moglie, e lei abusava emotivamente di lui. Era una delle donne più crudeli che io abbia mai conosciuto in tutta la mia vita. Toglieva la manopola per regolare il termostato e ci faceva dormire senza coperte, chiudeva con un lucchetto il cibo nel freezer e lasciava sul ripiano della cucina solo pane e burro. Era così meschina che persino il suo barboncino nascondeva la pappa per paura che gliela portasse via. Non so che cosa gli avesse fatto per indurlo a nascondere il cibo, ma conoscevo quella sensazione. Ogni sera lei metteva la cena in tavola alle cinque in punto e se non eri a casa, non mangiavi, ma dovevi comunque lavare i piatti. La cosa non era certo il massimo per me e mia sorella dal momento che lavoravamo entrambe. Come in tutte le favole che si rispettino, la mia matrigna mi rendeva la vita un inferno.

    Capitolo Due

    La mia prima lezione

    Vivevo con mio padre da circa sei mesi quando incontrai Harry, un bel ragazzo biondo con gli occhi azzurri che sarebbe diventato il mio primo marito. La sua famiglia era molto diversa dalla mia: se capitavamo a casa loro, i suoi ci offrivano qualcosa da mangiare. Dopo due settimane dal nostro primo incontro, Harry mi chiese di sposarlo trascrivendo in una lettera le parole di una canzone dei Bread, un gruppo rock, Baby, I’m-a Want You [Piccola, ti voglio]. I suoi genitori erano preoccupati per il fatto che volesse sposare una ragazza di sedici anni, dato che lui ne aveva ventuno, e mio padre disse che avremmo dovuto aspettare finché non ne avessi compiuti diciassette, mentre mia madre diede subito il suo consenso, quindi stabilimmo di sposarci dopo sette mesi.

    Non avevamo niente di niente. Non avevamo mobili: come tavolo usavamo delle scatole di cartone e dormivamo su materassi recuperati dai cassonetti. Il primo appartamento in cui abitammo era un posto orribile. Dopo circa due mesi ci trasferimmo in un monolocale. Harry lavorava come cuoco e portava a casa il cibo dalla cucina. Era così che tiravamo avanti. I suoi genitori ci rifornivano di patate.

    Eravamo sposati da nove mesi circa e io ero alla mia prima gravidanza quando Harry si accorse che avevo difficoltà a leggere. Il motivo era che tutti quegli spostamenti da bambina avevano compromesso il mio apprendimento. Così escogitò un metodo intelligente per stimolare le mie capacità di lettura: portava a casa dei libri e me li leggeva, poi, quando aveva catturato il mio interesse, si fermava in un punto particolarmente avvincente e mi diceva: Ora tocca a te leggere il resto. Per me era un vero stress! Ma siccome ero intrigata dalla storia, iniziavo a leggere e a comprendere meglio. Il libro con cui Harry cominciò fu Lo Hobbit di J.R.R. Tolkien, e il libro seguente che stimolò il mio interesse fu Il Signore degli Anelli. Quest’ultima impresa fu ancora più difficile per me, perché il libro era talmente bello che volli leggerlo per intero. Fu così che iniziai ad appassionarmi ai libri.

    Nella mia giovane mente le cose erano cambiate. Ero sposata e sarei diventata madre. Mio suocero mi regalò una vecchia copia di Gesù, il Cristo di James E. Talmage. Il libro mi affascinò con la sua penetrante analisi di aspetti di Gesù che non conoscevo. Una sera, mentre lo leggevo, iniziai a porre al Creatore le domande che il libro aveva suscitato in me. Scivolai nel sonno con in mente queste pressanti domande e fu allora che feci un sogno talmente vivido da essere come una visione.

    Fui portata in una magnifica spiaggia lontana. A livello intuitivo, sapevo che la spiaggia simboleggiava la sabbia del tempo mentre l’acqua il mare della conoscenza. Le onde si infrangevano su uno scoglio nero, su cui era seduto un uomo. Sapevo che quello era Gesù, il Cristo.

    Disse: "Ciao Vianna. Noi ci conosciamo. Poi, dopo una breve pausa, aggiunse: Hai qualche domanda su di me e sulla mia vita?".

    Dissi: Sì, Signore, ne ho.

    Gesù alzò la mano e disse: Guarda!.

    In una visione nella visione, mi mostrò tutte le esperienze che aveva vissuto prima della crocifissione. Vidi i sadducei e i farisei, i romani e gli apostoli. Mi dimostrò di comprenderli e di non serbare rancore contro nessuno. Era la persona più gentile che avessi mai incontrato. Irradiava un’incredibile sensazione di compassione.

    Gli chiesi della fine del mondo e di quando sarebbe arrivata. Quel che vidi fu del tutto diverso da ciò che ci si potrebbe aspettare: fui testimone della nascita di bambini speciali. Non sarebbe stata la fine del mondo come la intendiamo abitualmente, e questi bambini avrebbero rappresentato un nuovo inizio.

    La compassione che sentivo provenire da Gesù mi colpì a tal punto e mi rese così umile che decisi di diventare gentile e compassionevole come lui, o almeno cercai di esserlo.

    Sentivo che dovevo donare qualcosa a quello spirito incredibile per la sua compassione e per la sua misericordia, nonché per il testamento che la sua vita aveva lasciato. Gli chiesi cosa potessi donargli.

    Mi disse: Vianna, il dono più grande che puoi farmi è di creare qualcosa di bello.

    Così promisi a Dio e a Cristo che avrei dipinto due opere: La fine del mondo e Il nuovo inizio. Poi mi apparve la visione dei tre murales che avrei dipinto in futuro. La visione mi diede una prospettiva più ampia su Gesù Cristo, così compresi che Gesù e Dio non sono entità separate ma appartengono entrambi a un’incredibile totalità che va ben oltre la mia immaginazione.

    Fu dopo questa visione che mio suocero mi permise di accedere alla tappa successiva della mia evoluzione spirituale: mi regalò la registrazione di un discorso che Matthew Cowley aveva tenuto nel 1953, alla fine della sua attività. Matthew Cowley operò come missionario mormone durante le due guerre mondiali. Per molti anni aveva servito come presidente della missione in Nuova Zelanda e nel 1945, dopo il ritorno a Salt Lake City, fu ordinato membro del Quorum dei Dodici Apostoli.

    Negli anni trascorsi in Nuova Zelanda, Cowley dimostrò di avere straordinarie capacità curative. Posava le sue mani sulle persone e queste guarivano all’istante. Si dice addirittura che abbia riportato in vita un uomo morto.

    Nel nastro che ricevetti in dono, Cowley parlava del potere della fede e del potere di Dio. Raccontava storie di persone guarite da Dio attraverso la fede. Ascoltando, sapevo che le sue parole erano vere: la fede in Dio può guarire qualunque cosa. Da quel momento, ho fatto entrare la fede nel profondo del mio cuore e l’ho sempre portata con me, in particolare quando mi sono trovata in difficoltà. La registrazione mi ispira ancora oggi. Anni dopo ho scoperto che, secondo il racconto del padre di mia madre, Cowley aveva guarito suo fratello e l’aveva salvato dall’amputazione di una gamba.

    Harry era un uomo molto intelligente. Qualunque corso facesse, riusciva ad andare bene studiando il minimo indispensabile. Tuttavia, questo gli complicava la vita perché di solito era più brillante delle persone per cui lavorava. Trovò lavoro presso una ditta che si occupava di manutenzione di impianti e finalmente potemmo comprare un divano da venticinque dollari; ma quando nostro figlio Joshua aveva otto mesi, Harry perse il lavoro.

    Usavo pannicelli di stoffa e ne avevo esattamente diciassette. Bisognava usarne due alla volta, uno come bavaglino e l’altro come pannolino, e bisognava sperare che il bambino non facesse i bisogni prima che potessi lavarli nella vasca la sera.

    Diventai molto brava a fare il pane ogni giorno. Uno dei miei ricordi più teneri è Joshua che gioca con la farina tanto da ricoprirsene per intero.

    Ma fu proprio dopo la nascita di Joshua che cominciai ad avere problemi di salute, il primo dei quali fu un’infezione all’utero.

    Come in molti matrimoni, le cose non andavano sempre come avrei voluto. Trascorso un anno dalle nozze, io e Harry ci unimmo in matrimonio celeste al tempio mormone, così saremmo rimasti sposati per sempre. Fu importante per me e da quel momento diventai molto religiosa. Invece Harry tornò immediatamente alla sua condotta smodata. Capitava infatti che andasse a bere e a far baldoria spendendo i soldi dell’affitto. Per due volte tolsi la mia famiglia dai guai vendendo tutto ciò che possedevo; dovetti vendere persino la mia fede nuziale per pagare le rate del furgone. La sua condotta lo mise in situazioni anche più compromettenti, e guardandomi indietro mi rendo conto di non averlo mai perdonato.

    A diciannove anni diedi alla luce la mia secondogenita, Bobbi Jean. Non fu una gravidanza facile. Trascorrevo la maggior parte del tempo

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