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Quella parte di te
Quella parte di te
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E-book222 pagine2 ore

Quella parte di te

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Info su questo ebook

Ogni donna ha il suo mare. Un mare burrascoso dove Silvana tocca il fondo della sofferenza e dell’oscurità, un mare dove imparerà a nuotare sconfiggendo quei cavalloni che diventeranno melodia.

Silvana e la sua vita, il suo viaggio in compagnia di Astrée, Margherita, Cosima, Lilletta, Luisella, donne a cui la vita riserva destini burrascosi.

Silvana e le sue donne non si sono fatte intimidire da mostri, lupi mannari o fate travestite.

Donne che nella loro semplicità, nella loro quotidianità hanno lottato con un destino avverso a volte pagando un caro prezzo ma alla fine vincendo e meravigliandosi della loro forza.

Donne che da eventi terribili hanno saputo cogliere il lato positivo, stupendosi loro stesse di come riuscissero ad andare avanti malgrado le avversità e l’accanimento della vita.

Astrée che col suo mare di pennelli ha valorizzato la tela della sua vita.

Lilletta col suo mare di note ne canta la maestosità.

Margherita e il suo mare pieno di idee progressiste lotta contro i soprusi dei prepotenti

Luisella col suo mare pieno di sogni non rinuncia a una vita diversa.

Cosima col suo mare d’amore non permette a nulla di spaventarla

In ognuna di loro un mare di fiori per calmare il corso delle onde, in ogni donna c’è il loro coraggio, in ogni donna l’obbiettivo di un sogno che porterà alla felicità.

E poi lei, Silvana col suo mare di forza e determinazione per conquistare la libertà.

Quella libertà che permette a ogni donna di nuotare dentro quel mare
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2020
ISBN9791220308779
Quella parte di te

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    Quella parte di te - Lia Mendola

    Benvenuti

    Quella parte di me

    Silvana, ancora una spinta ed è fatta.

    C’eravamo, stavo per conoscerti, stavi per nascere, ti avevo portata per nove mesi dentro di me, ti avevo sentita crescere, scalciare e ti avevo amata incondizionatamente da subito, da quando quello spermatozoo toccò il mio ovulo:

    Ci siamo, spingi Silvana, spingi forte e urla pure se vuoi.

    Ero stremata. Spinsi forte ma non urlai, non volevo che la prima cosa che sentissi affacciandoti al mondo fosse un urlo. Spinsi forte, l’ultima spinta e pian piano ti sentii uscire dal mio corpo, pian piano ti stavi staccando da me per cominciare a vivere.

    Ma è bellissima! E sentila come urla. Come la chiamiamo questa meraviglia?.

    Gioia, lei è Gioia.

    Adesso eri lì, ti prendevo in braccio per la prima volta; ero sfinita, piangevo dall’emozione e ti baciavo, ti guardavo cercando in te qualcosa di me, ma eri tu stessa quella parte di me che amavo, eri tu stessa quella parte più bella della mia vita, la parte più vera e pura che ci potesse essere: tu eri tu, con una piccola parte di me. Quel giorno qualcos’altro emerse in me, quella piccola parte di lei, di mia madre, una madre che non ricordavo più. Nonna Betta morì che avevo appena due anni; un senso di gratitudine provai quel giorno per la mia mamma e avrei voluto averla lì vicina quel giorno. Una piccola parte di lei entrò nel mio cuore di madre e, per la prima volta, mi sembrò di averla conosciuta e, da quel preciso momento, cominciò a mancarmi.

    Ci mandarono a casa qualche giorno dopo e io avevo paura, paura di non saperti accudire, di non farti crescere bene, di non trasmetterti quei valori in cui credevamo io e papà Lorenzo, che mi sosteneva in quel percorso con il suo amore, il suo aiuto e la sua comprensione.

    Pian piano cominciai a conoscere e riconoscere i tuoi pianti, fame, coliche e sete.

    Riempisti la nostra casa e soprattutto le nostre vite, da subito.

    Ti sembra che non respiri?.

    Che dici Silvana? Non farti prendere dall’ansia, non vedi che dorme tranquilla!.

    Le notti sveglia a guardarti piena d’amore e preoccupazione per ogni tuo pianto.

    Avrà fame? Avrà male?.

    Imparai a conoscerti pian piano, crescevi e io crescevo con te; avevo appena vent’anni e papà ventiquattro, eravamo giovani e innamorati, ci eravamo sposati l’anno prima e tu non eri capitata per caso ma eri stata cercata e voluta. Eravamo giovani ma volevamo avere un futuro da condividere con dei figli, ma eravamo anche spaventati e inesperti.

    Per questo, per un po' di mesi, si trasferì da noi nonna Ignazia: il tuo papà era il suo unico figlio e io la consideravo una mamma tanto era buona e rispettosa.

    Lasciò la sua isola, Vulcano, nelle Eolie, chiuse casa e per qualche mese si spostò da noi; avremmo voluto trattenerla tuo padre e io, ma lei diceva che non riusciva a stare lontana dalla sua terra e dal suo mare. Come darle torto? Ricordi quando andavamo in estate a trovarla? Ricordi che meraviglia che era?

    Ti adorava nonna, eri la sua prima nipotina e ti amava anche lei.

    Eri una bambina fortunata, eri piena d’amore.

    Ha detto PAPÀ, lo ha detto! Hai sentito?.

    Ti ha anche chiesto l’orario del rientro?.

    Spiritosa, intanto ha chiamato me.

    Lorenzo, ha tre mesi.

    E intanto crescevi… Sei mesi, un anno e la mia vita, giorno dopo giorno, si riempiva di te e ancor di più pensavo che tu fossi quella parte di me più bella e unica. Le prime paroline, poi i primi passettini e quella posizione strana che assumevi mentre dormivi; ti guardavo orgogliosa e sicura che avresti fatto grandi cose da adulta.

    Crescevi.

    Il tuo primo giorno, all’asilo, hai pianto così come per i tre mesi successivi perché non volevi andare e io stavo male vedendoti triste finché un giorno Mara, la tua maestra, mi chiese di nascondermi dietro una porta e tu che piangevi disperata ti guardasti attorno e, non vedendomi più, asciugasti le lacrime con le manine esclamando:

    Maestra, che gioco facciamo oggi?.

    Birbantella.

    Crescevi

    E dopo cinque anni arrivarono anche loro a rallegrarci la vita, i gemelli, i tuoi fratellini Elia e Matilde. Il giorno della loro nascita venisti in ospedale con nonna Ignazia e, dopo averli conosciuti, mettesti le mani ai fianchi e con un gran sorriso esordisti dicendo:

    Ridi, sì ridi che quando li porti a casa te li butto dalla finestra!.

    Eri gelosa, ma tanto! Andavamo al parco e proponevi sempre uno scambio quando incontravamo qualcuno che portava a spasso il cane:

    Signora, se mi dai il tuo cane, ti do i miei fratelli, e loro sono due.

    Eri gelosa ma durò poco, si perché poi cominciasti ad aiutarmi a cambiarli, a dargli il biberon e a vegliare su di loro.

    Con la loro nascita pensavo di essere diventata una madre esperta, ma c’erano le stesse paure di quando sei nata tu, poi ti guardavo, vedevo com’eri cresciuta bene e sana e tutto passava.

    E le estati da nonna Ignazia a Vulcano, un vero paradiso; partivamo io te e i gemellini in giugno, poi papà ci raggiungeva alla fine di luglio. Andavamo prima un po' per farvi cambiare aria ma il vero motivo era per far felice tua nonna: era felice di avervi lì e coccolarvi. Le nonne sono fondamentali, sai?

    L’estate del tuo decimo compleanno fu importante per te, imparasti a nuotare e nonna ti insegnò a lavorare all’uncinetto, o almeno ci provò; facesti circa duemila catenelle che ti portavi in giro per tutta la casa mentre noi stavamo attentissimi a non pestarle: che buffa che eri! Mentre i gemelli, quell’anno, impararono ad andare in bici. Passò tranquilla, quell’estate. Che potevo chiedere di più alla vita? Un marito meraviglioso che amavo e mi amava e tre figli sani e belli, di cui eravamo sempre più innamorati.

    Cosa potevo chiedere di più? Vivevo con il sole nel cuore.

    Ma alla fine di ogni giorno, anche il sole si spegne.

    Finì quell’estate e ritornammo a casa, il viaggio scorreva tranquillo e Battisti ci faceva compagnia con la sua:

    "Sì, viaggiare.

    Evitando le buche più dure,

    senza per questo cadere nelle tue paure.

    Gentilmente senza fumo con amore,

    dolcemente viaggiare

    rallentare per poi accelerare".

    Tuo padre ha sempre avuto una bella guida; voi piccoli dietro sonnecchiavate, la strada scorreva tranquilla, eravamo quasi arrivati. Ci fermammo in un autogrill, noi a bere un caffè e voi bimbi a mangiare il gelato. Lo prendesti al pistacchio, il tuo preferito.

    Riprendemmo il viaggio. Mancava poco, eravamo quasi arrivati:

    Mamma, quando arrivo posso chiamare Valeria?.

    Gioia, ma non sei stanca? La chiamerai domattina.

    Mamma è la mia migliore amica, voglio raccontarle le mie vacanze.

    Vedremo, dipende da che ora arriviamo.

    Mancava poco, eravamo quasi arrivati; mancava poco, una briciola di strada.

    Poi, quella macchina in contromano e papà che sterza e che cerca di mantenere il controllo dell’auto. Poi, improvvisamente…BUIO.

    Mancava poco eravamo quasi arrivati, mancava poco un frammento di strada, un minuscolo brandello di strada.

    Mi svegliai in un letto d’ospedale e a vegliarmi nonna Ignazia. Ma quanto tempo era passato se tua nonna aveva avuto il tempo di raggiungerci? Mi sentivo stordita. Da quanto tempo ero lì, in quel letto d’ospedale? E voi? Ma se eravamo quasi arrivati!?

    Mamma Ignazia, i bambini? Lorenzo?

    I gemelli sono a casa con mia nipote Lorella che mi ha accompagnato e Lorenzo dovrebbe arrivare, è andato a bere un caffè.

    Gioia, dov’è? Come sta, Gioia?.

    Abbassò lo sguardo e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Non volevo capire ma era palese. Capii…

    Capii e svenni un’altra volta. Mi risvegliai pensando in un brutto sogno, ma nonna era ancora lì, non l’avevo sognata e con lei c’era anche papà che mi sembrò invecchiato di anni. No, non avevo sognato: in quell’incidente ci avevi lasciato. Piansi, piansi e piansi ancora, mi disperai tutta la notte. Tuo padre mi teneva le mani e piangeva con me ma neanche una parola tra noi, non fu necessario.

    Avevo perso la parte di me più bella e pura che avevo e non l’avrei più ritrovata.

    Il giorno dopo mi raccontarono dell’incidente, del mio trauma cranico: i medici avevano dovuto sedarmi ma non mi interessava, io volevo sapere di te. Volevo te!

    Mi dissero che avevi riportato un importante trauma cranico con emorragia cerebrale e che, per due giorni, eri stata in terapia intensiva. I medici fecero di tutto ma alla fine dichiararono la morte cerebrale. Non ce l’hai fatta piccolina. Chiesero a tuo padre il permesso per espiantare e donare gli organi e acconsentì. Papà Lorenzo e io ne avevamo sempre parlato ed eravamo d’accordo, avevamo la stessa idea su quell’argomento ma per me fu pesante, non riuscivo a capacitarmi.

    Avevo sempre sostenuto di essere favorevole alla donazione degli organi pensando che potesse capitare a noi, a me o a tuo padre di morire, ma non a uno dei miei figli: non era naturale, non avevo mai pensato di sopravvivere a un figlio, era contro natura.

    Fui dimessa qualche giorno dopo e poi celebrammo il funerale… non riuscii a vederti neanche per l’ultima volta:

    Chiudi gli occhi e ricordala, ricordala com’era bella e radiosa come il sole, tranquilla e calma come il mare in una giornata estiva, luminosa e trasparente come la luce.

    Così mi diceva tua nonna anche se sapeva che nulla avrebbe potuto consolarmi.

    Al funerale, il prete parlò di misericordia, resurrezione e paradiso. Parlò di Dio, un Dio buono e io mi chiedevo quale Dio avrebbe mai potuto togliere una figlia dalle braccia della madre, mi chiedevo chi ti avrebbe seguita, consolato e gioito con te adesso. Continuavo a tormentarmi. Perché era stato possibile tutto ciò? Perché non ero morta io?

    Arrivò per me l’oblio. Cominciai a trascurare tutto e tutti, annullai persino me stessa, dormivo e piangevo, non so quanto tempo passai così, mesi… Papà fu meraviglioso malgrado il suo dolore; cercava di starmi vicino, voleva portarmi da un terapeuta ma io oramai vivevo nel mio buco nero: i miei ricordi con te, le tue foto, i tuoi disegni… fu Elia, il tuo fratellino che una sera mi scosse, venne nel mio letto e abbracciandomi mi disse:

    Mamma, Gioia non c’è più, ma io ci sono ancora.

    Sì, lui, Matilde e papà c’erano ancora e da quella sera, pian piano cominciai, a sopravvivere.

    Ma quei pensieri, quei ricordi erano e sono sempre e costantemente dentro di me. Scorrono, galoppano attimo per attimo, continuamente, vanno e poi ritornano…

    Fluiscono i ricordi… io e te, il tempo passato assieme, i sorrisi le gioie i capricci, i tuoi giochi da piccola di quando ti piaceva trasformarti in ballerina, maestra, principessa e poi, in quelle sere d'inverno, sedute sul divano, quando mi dicevi:

    Facciamo un discorso da tonna a tonna.

    Così dicevi e avevi solo cinque anni.

    I tuoi disegni riempivano le pareti della nostra casa, disegni che raffiguravano noi, mamma, papà, Gioia e quel cagnolino che disegnavi tutte le volte, quel cagnolino che tanto volevi ma che non ti abbiamo mai preso. Li guardo ancora quei disegni, e mi chiedo tutte le volte:

    Perché la vita non può essere semplice come nei disegni che realizzavi? Perché la vita non può essere unica e lineare come nei disegni dei bambini?.

    E poi, quando diventasti un po' più grande, giocare insieme a nome, cose e città.

    E dopo qualche anno, già perdevo. Ridendo pensavo:

    Ho perso la partita, ma la madre ha vinto.

    Trasparenti scorrevano le immagini, pensavo di vederti grande e realizzare i tuoi sogni, i tuoi progetti, pensavo di vederti crescere, le tue vittorie sarebbero state le mie: quelle di madre.

    Pensavo con orgoglio di seguire il tuo cammino,il tuo volo e le tue vittorie da lontano e di invecchiare felice come tutte le mamme.

    Ai tuoi compleanni, affiorava triste e tormentato il tuo ricordo.

    Ricordo ancora il rumore che facevi per casa, quando mettevi le mie scarpe coi tacchi, quando di nascosto prendevi la mia collana preferita; ti faceva sentire grande, ma grande non lo sei mai diventata. Sei rimasta pura e tenera com’eri. Ricordo quando rubavi il pullover di papà per coprire Dario, il tuo orsacchiotto.

    Forse sognavi di diventare una ballerina, una poliziotta o una maestra, o forse nei tuoi sogni c’erano un principe azzurro e una grande storia d'amore.

    Ricordi che mi toglievano il fiato e appesantivano quell’enorme macigno sul mio petto. È stato difficile trovare equilibrio tra il passato e il presente e non credevo di potercela fare, uscire da quell’oblio non mi sembrava possibile.

    Ma era così, il tempo non si può fermare e rammaricarsi mi donava ben poche soddisfazioni.

    Ogni tanto, la mia mente si svagava ricreando dal nulla quell’odore particolare che emanavano i tuoi capelli, quegli occhi verdi che sbarravi quando avevi combinato una marachella, quell’aria gioiosa di cui era intrisa la casa, quando arrivavi nel lettone facendo finta di avere la febbre. Ma quello che non ricordo è la tua voce, per quanti sforzi io possa fare non riesco a ricordare quella voce di bimba che chiamava mamma riempiendo l’ambiente di un amore infinito… quanto avrei voluto risentirla almeno una volta, una sola volta.

    E ancora cerco quella parte di me che ho perso con te, quella parte di me, per sempre andata via con te.

    Gli anni che seguirono furono movimentati; ci spostammo molto per il lavoro di tuo padre: un anno a Milano, sei mesi a Modena. Lui viaggiava molto, lo sai, e il venerdì sera tornava a casa, ma dopo la tua scomparsa avevamo deciso di stare tutti assieme. Era così breve la vita a volte, e lo avevamo capito e sperimentato da quando ci avevi lasciato.

    Quando potevamo, ritornavamo a casa, a Padova, dove c’era una parte di te che viveva ancora là e dalla quale noi mai avremmo potuto staccarci.

    Non c’è stato neanche un secondo nella mia vita che io non abbia pensato a te, ogni festa, ogni compleanno, ogni fine anno scolastico mi facevo sempre le stesse identiche domande:

    Sarebbe stata sicuramente promossa anche quest’anno? Avremmo battibeccato per l’orario di rientro? Le sarebbe piaciuto il mio regalo?.

    E quei regali che per anni compravo e nascondevo per non farli vedere a tuo padre, come le lettere che scrivevo, per il tuo compleanno, Natale…e aspettare invano qualche strano miracolo e che, prima o poi, saresti venuta a prenderli.

    Ma non avevo mai visto nessuno ritornare dal posto dove eri andata: eri dentro di me, dentro il mio cuore straziato di madre, quel cuore che pesava più di un macigno e quel cuore in cui tu eri quella parte di me e io quella parte di te.

    I tuoi fratelli crescevano tranquilli, facevo di tutto per nascondere il dolore e il peso che mi portavo come una zavorra in ogni istante della vita. Capivano la mia malinconia, il mio tormento e mai fecero qualcosa per farlo pesare

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