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Trasporti, energia e ambiente: Riduzione del trasporto inquinante
Trasporti, energia e ambiente: Riduzione del trasporto inquinante
Trasporti, energia e ambiente: Riduzione del trasporto inquinante
E-book329 pagine3 ore

Trasporti, energia e ambiente: Riduzione del trasporto inquinante

Di AAVV

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Info su questo ebook

In riferimento al tema principale di questa ricerca, non è possibile addentrarsi nella disamina delle strategie messe in campo a livello internazionale per conseguire l'abbattimento delle emissioni nocive derivanti dal sistema dei trasporti senza prima aver dedicato un sia pur contenuto spazio di analisi e di approfondimento agli aspetti scientifici del cambiamento climatico, sulla scorta delle indicazioni fornite da alcuni autorevoli studi pubblicati negli ultimi anni.

LinguaItaliano
Data di uscita15 nov 2017
ISBN9788894373394
Trasporti, energia e ambiente: Riduzione del trasporto inquinante

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    Trasporti, energia e ambiente - AAVV

    Trasporti, energia e ambiente:

    riduzione del trasporto inquinante

    © Arcadia edizioni

    I edizione, novembre 2017

    Isbn 978-88-943733-9-4

    È vietata la copia e la pubblicazione,

    totale o parziale, del materiale

    se non a fronte di esplicita

    autorizzazione scritta dell’editore

    e con citazione esplicita della fonte.

    Tutti i diritti riservati.

    cambiamento climatico e prospettive di riduzione delle emissioni inquinanti

    Una base di discussione scientifica

    Il 12 dicembre 2015, a Parigi, 195 Paesi hanno sottoscritto un accordo per prevenire i cambiamenti climatici legati al riscaldamento dell’atmosfera terrestre, dovuto alle emissioni di gas serra prodotte dalle attività umane, ivi incluse quelle derivanti dai trasporti di persone e merci. L’obiettivo condiviso dalle nazioni firmatarie è quello di limitare i danni del cambiamento climatico in atto sul nostro pianeta, mantenendo l’incremento del riscaldamento globale entro i 2°C rispetto ai livelli pre-industriali (o, se possibile, entro 1,5°C) attraverso la progressiva riduzione dell’immissione in atmosfera di anidride carbonica, metano e refrigeranti(1). Negoziato per anni, l’accordo di Parigi implica l’introduzione di profonde trasformazioni nei sistemi di produzione dei paesi industrializzati, a cominciare dalla diffusione su vasta scala di fonti energetiche diverse da quelle fossili, che devono essere promosse e sostenute attraverso adeguate politiche fiscali, nonché massicci investimenti in termini di ricerca e sviluppo(2).

    La Conferenza di Parigi (COP21) ha segnato, per molti aspetti, una svolta storica nell’approccio ai problemi del cambiamento climatico. Il testo adottato, pur nella disorganicità di molti passaggi (che risentono degli estenuanti compromessi politici a cui è stato sottoposto nel corso della sua elaborazione), rappresenta un’accelerazione rispetto ai ritmi e all’intensità degli interventi scaturiti dalle Conferenze annuali tenutesi nei venti anni precedenti, dal 1995 in poi(3), particolarmente per quanto riguarda le indicazioni sulla necessità di nuovi modelli di sviluppo basati sul principio di equità e sull’utilizzo di fonti energetiche e tecnologie de-carbonizzate. Un obiettivo di lungo termine ambizioso, se si tiene conto che senza nessun intervento di riduzione di gas serra a oggi, in uno scenario tendenziale, l’aumento di temperatura valutato sarebbe intorno ai 4-5 gradi. L’accordo va considerato, non come un punto di arrivo, ma come un buon inizio del processo di contrasto del cambiamento climatico.(4) Peraltro, l’Accordo non fissa con precisione un obiettivo quantitativo e temporale di riduzione dei gas serra da raggiungere, ma si limita a fare riferimento alla necessità di conseguire l’ obiettivo di lungo termine di limitazione della temperatura, in funzione del quale le Parti mirano a raggiungere il picco globale di emissioni di gas serra il più presto possibile, riconoscendo un intervallo di tempo maggiore ai Paesi in Via di Sviluppo(5).

    In riferimento al tema principale di questa ricerca, non è possibile addentrarsi nella disamina delle strategie messe in campo a livello internazionale (e, segnatamente, comunitario) per conseguire l’abbattimento delle emissioni nocive derivanti dal sistema dei trasporti senza prima aver dedicato un sia pur contenuto spazio di analisi e di approfondimento agli aspetti scientifici del cambiamento climatico, sulla scorta delle indicazioni fornite da alcuni autorevoli studi pubblicati negli ultimi anni. Ad esempio, il più recente rapporto elaborato dall’Intergovernmental Panel on Climatic Change (IPCC), il gruppo intergovernativo formatosi nel 1988 in seno all’ONU per studiare gli effetti del cambiamento climatico(6), ha confermato la forte influenza antropica sul sistema climatico globale, evidenziando come la crescita dei consumi legati alla crescita economica sia all’origine dell’aumento delle emissioni di gas serra per la produzione di energia da fonti fossili(7). Nel rapporto si stima che le emissioni di anidride carbonica correlate alla produzione di energia da combustibili fossili hanno contribuito all’incremento delle emissioni totali di gas serra registrate tra il 1970 e il 2010 in misura superiore ai due terzi e che più della metà dell’aumento osservato nella temperatura superficiale media globale, dal 1951 al 2010, è stato causato prevalentemente dalla crescita di origine antropica delle concentrazioni di gas serra (vedi figura 1 in appendice al capitolo). Circa la metà dell’aumento di 1°C della temperatura globale rispetto ai livelli pre-industriali va addebitato agli ultimi tre decenni(8). La concentrazione di anidride carbonica, metano e protossido di azoto nell’atmosfera ha raggiunto livelli mai toccati negli ultimi 800.000 anni. "In particolare, le concentrazioni di anidride carbonica sono aumentate ad oggi del 40% rispetto ai livelli pre-industriali, principalmente a causa dalle emissioni legate all’impiego dei combustibili fossili e, secondariamente, per le emissioni legate al cambiamento d’uso del suolo. Nel 2011, le concentrazioni di anidride carbonica, metano e protossido di azoto sono state rispettivamente pari a 391 ppm [parts per million – ndr], 1803 ppb [parts per billion – ndr], e 324 ppb, eccedendo del 40%, 150%, e 20% i livelli pre-industriali. Continuando ad emettere ai trend attuali, gli scenari indicano un aumento della temperatura media terrestre con valori che possono raggiungere a fine secolo anche 4 e 5 °C rispetto ai valori attuali".(9)

    Le evidenze scientifiche sembrano suggerire la necessità che la concentrazione di gas serra nell’atmosfera terrestre resti contenuta entro la soglia di un valore doppio rispetto ai livelli pre-industriali, al fine di non superare un aumento della temperatura del pianeta pari, appunto, a 2°C; il che implica la necessità di attuare una drastica riduzione delle emissioni nel breve-medio periodo, sino ad annullarle del tutto entro la fine del XXI secolo. In altre parole, affinché l’aumento della temperatura globale resti al di sotto dei 2°C, la quantità di CO2 da immettere nell’atmosfera non potrà superare una determinata soglia, oltre la quale il cambiamento climatico rischierebbe di sfuggire al nostro controllo. Al riguardo, il citato rapporto IPCC 2014 quantifica, per la prima volta, l’ammontare massimo delle emissioni di anidride carbonica (carbon budget) che possono essere immesse nell’atmosfera mantenendo l’incremento della temperatura globale a 2°C rispetto ai livelli pre-industriali, osservando che, al ritmo attuale, tale soglia critica verrà superata in meno di 30 anni(10).

    Peraltro, la Conferenza COP 21 ha messo drasticamente in luce il serio rischio di non poter comunque evitare il verificarsi di eventi meteorologici estremi, caratterizzati da un elevato impatto in termini economici, sociali ed antropici, anche nel caso che si riuscisse ad arrestare l’aumento della temperatura globale sulla soglia dei 2°C. Per tale ragione, l’Accordo di Parigi ha preso in considerazione la possibilità/necessità di implementare gli sforzi affinché l’aumento della temperatura media sia contenuto entro il limite massimo di 1,5°C rispetto ai livelli pre-industriali, ancorché i piani di riduzione INDC (Intended Nationally Determined Contributions) presentati dai Paesi partecipanti alla Conferenza non consentirebbero, pur se attuati nella loro interezza, di restare al di sotto di una soglia di incremento della temperatura globale compreso tra 2,7 e 3,7°C: poco meno del doppio del benchmark fissato dall’Accordo. Fra i Paesi maggiormente responsabili di emissioni inquinanti, USA, Cina, Russia e India hanno assunto impegni rilevanti, la cui attuazione è tuttavia soggetta a molteplici variabili, principalmente di natura politica (come sembra dimostrare la recente inversione di rotta annunciata dalla nuova amministrazione americana). Gli Stati Uniti si sono impegnati a raggiungere nel 2025 un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra pari al 26-28% rispetto ai livelli del 2005, nonché un target ‘intermedio’ di riduzione del 17% al 2020, sempre rispetto al 2005, che richiederebbe un tasso di riduzione nel periodo 2005-2020 pari al 2,3-2,8%/anno e porterebbe a una riduzione dell’80% ed oltre delle emissioni nel 2050. La Cina, divenuta ormai il primo Paese al mondo per quantità di gas serra immessi nell’atmosfera (con un valore pro-capite superiore alla media europea, ma inferiore a quella USA), si è impegnata a raggiungere il picco delle emissioni di CO2 entro il 2030, nonché ad abbassare le emissioni di CO2/PIL del 60-65% rispetto ai livelli 2005, aumentando il ricorso alle fonti di energia di origine non fossile per una quota pari al 20% del consumo energetico primario e il volume forestale di circa 4,5 miliardi di m3 rispetto ai livelli 2005. La Russia, a sua volta, ha assunto l’impegno di limitare, entro il 2030, le proprie emissioni di gas serra del 25-30% rispetto ai livelli del 1990. L’India, infine, si è impegnata a ridurre del 20–25% la sua intensità emissiva rispetto al PIL rispetto al 2005 nel 2020, nonché a raggiungere nel 2030 una riduzione delle emissioni pari al 33-35%, dotandosi, in cambio, di capacità tecnologiche in grado di assicurare un apporto del 40% proveniente da fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica, nonché di provvedere al ripristino di coperture forestali in misura tale da realizzare un serbatoio addizionale di carbonio di 2,5-3 miliardi di tonnellate di CO2.

    Tali sforzi dei Paesi, finalizzati al contenimento entro 2°C dell’innalzamento della temperatura globale e di cui, pur nella necessaria sommarietà dell’esposizione in questa sede, appare evidente la difficoltà di realizzazione, dovrebbero essere ulteriormente implementati per conseguire una riduzione aggiuntiva di almeno 1,2°C dell’incremento massimo ammesso per la temperatura mondiale: obiettivo, invero, realisticamente arduo anche per chi, come l’UE, ha da tempo avviato strategie finalizzate alla riduzione dell’uso di energia derivante da combustibili fossili(11).

    Nel frattempo, però, la situazione complessiva del clima mondiale continua a segnare un’evoluzione preoccupante. Il National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), l’agenzia federale statunitense che si occupa dello studio del clima negli Stati Uniti e a livello planetario, basandosi sull’analisi dei dati trasmessi dalla rete meteorologica satellitare americana, afferma che il 2015 é stato l’anno più caldo del precedente periodo a causa degli elevati valori registrati in ben 10 mesi dell’anno(12), mentre la temperatura media globale, tra superficie terrestre e marina, ha superato di 0,9 °C la media del XX se-colo, pari a 13,9 °C (il precedente record si era registrato appena l’anno prima, con +0,16 °C). Sempre nel 2015, inoltre, la temperatura media annuale della superficie terrestre ha superato la media del XX secolo per il 39esimo anno consecutivo, a cominciare dal 1977(13). La stessa fonte ci informa altresì che la temperatura globale della superficie terrestre nel 2016 é stata la più elevata da quando sono iniziate le rilevazioni ufficiali (1880) e che nello stesso anno 2016 si é registrato per il terzo anno consecutivo un nuovo record di calore, mentre dall’inizio del XXI secolo tale record è stato battuto per ben cinque volte: tutti fenomeni che l’Agenzia, piuttosto esplicitamente, pone in diretta correlazione con l’incremento delle emissioni si gas serra nell’atmosfera(14).

    L’impiego di combustibili fossili ha determinato, nel 2014, l’immissione in atmosfera di una quantità totale di anidride carbonica superiore del 60% circa rispetto al 1990, anno nel quale Europa e USA emettevano il 42,5% del totale, mentre Cina e India contribuivano per il 14%. Tali percentuali nel 2014 risultavano, rispettivamente, del 25% e del 34% circa(15). Per contro, elaborazioni recenti (2016 su dati relativi al 2013) rivelano che il 27,7% delle emissioni di CO2 da combustione di carburanti a livello mondiale va attribuito al settore dei trasporti, con una crescita di oltre 4 punti rispetto all’anno prima e con la seguente ripartizione: 74,9% attribuibile al trasporto stradale (rispetto al 73,2% della rilevazione precedente), 9,4% al trasporto navale (– 1%), 10,3% al trasporto aereo (– 0,2%) e 2,1% al trasporto ferroviario (– 1,5%)(16). A livello europeo, il dato delle emissioni di gas serra ascrivibile al sistema dei trasporti viene quantificato complessivamente al 31,6% (contro un 23,6% assegnato al sistema manifatturiero) ed appare in crescita dell’1,2% rispetto all’anno prima, di cui il 72% riguardante il trasporto su strada (+0,9%), il 13,3% la navigazione (+ 0,6%), il 12,8% il trasporto aereo (+0,1%) e l’1,5% il trasporto ferroviario (stessa percentuale dell’anno prima)(17). Allargando lo sguardo agli altri grandi emissori considerati nel rapporto IEA-UIC 2016, si osserva che negli USA la percentuale del settore trasporti al contributo complessivo di anidride carbonica immessa nell’atmosfera ammonta al 34,8% (circa il doppio di quella del settore manifatturiero), di cui il 79,4% a carico del trasporto stradale, l’11,7% a carico del trasporto aereo, il 4,1% a carico della navigazione e il 2,2% a carico del trasporto ferroviario(18). Il Giappone presenta una percentuale relativamente bassa di emissioni di anidride carbonica derivanti dal sistema dei trasporti (20,3% del totale 2013), nell’ambito del quale si replica però la gerarchia di modalità già esaminata nei casi precedenti: 74,5% per il trasporto stradale, 11,7% per il trasporto aereo, 9,2% per la navigazione e 4,6% per il trasporto ferroviario(19). Anche per la Federazione Russa emerge un dato percentuale complessivo relativamente contenuto per il settore trasporti (19,7%), ma all’interno di questo dato la gerarchia delle modalità appare atipica rispetto agli altri emissori, segnando un primato più contenuto del trasporto su strada (46,5%) e lasciando emergere una significativa presenza inquinante del trasporto per conduttura (20,1% del totale) collegato all’estrazione e alla distribuzione delle immense riserve di gas naturali e combustibili fossili presenti in varie regioni del territorio russo, a cui fa seguito un ‘sorprendente’ 19,1% causato dal trasporto ferroviario (da mettere in relazione alla preferenza accordata a tale tipologia per il trasferimento di merci sulle enormi distanze che caratterizzano il territorio, oltre che da una ancora largamente incompleta elettrificazione della rete ferroviaria)(20) che sopravanza – caso unico fra i Paesi grandi inquinatori – il trasporto aereo (11,7%) e la navigazione (6,1%). In India l’emissione di anidride carbonica proveniente dal settore del trasporti appare ancora nettamente inferiore a quella del settore manifatturiero (13,5% v/s 47,1% del totale di emissioni), ma il trasporto stradale ne causa, da solo, l’80,9% dell’ammontare, sopravanzando nettamente la ferrovia (9,7%, anche qui con rete ferroviaria ancora largamente non elettrificata), l’aviazione (6,9%) e la navigazione (2,5%)(21). Per la Cina, infine, il fenomeno appare ancora più marcato, dal momento che i trasporti risultano responsabili ‘solo’ del 9,3% delle emissioni totali (contro il 62% dell’industria manifatturiera) e, all’interno di questo ammontare, il trasporto stradale polverizza tutte le altre tipologie con il 72,5% di incidenza, contro l’11,2% della navigazione, l’8,2% della ferrovia (altro esempio di elettrificazione incompleta) e il 7,4% dell’aviazione(22).

    Secondo i dati presentati a Genova in occasione del convegno SIPOTRA su Trasporti e cambiamenti climatici del 6 maggio 2016, il compendio statistico sui Trasporti pubblicato annualmente dalla Commissione Europea quantifica in complessive 4544 Mt di CO2 eq. le emissioni di gas climalteranti (Greenhouse Gas, GHG) rilasciate dai 28 stati membri nel 2012, di cui 1173 Mt attribuibili al settore dei trasporti (26% circa). (…) Per quanto riguarda in particolare la tendenza delle emissioni (figura 2 in appendice al capitolo), si osserva innanzitutto che, mentre il dato nazionale relativo alle emissioni complessive presenta un andamento decisamente divergente da quello medio europeo fino al 2004-2005, il dato relativo alle emissioni dei trasporti presenta una tendenza sostanzialmente omogenea a quella della media europea, per poi caratterizzarsi per una contrazione più marcata a partire dal 2008. La percentuale di emissioni da trasporti sul totale vede un dato medio europeo inizialmente più contenuto rispetto a quello nazionale e un progressivo allineamento dei due dati.(23)

    Il rapporto TERM (Transport and Environment Reporting Mechanism) 2015 dell’Agenzia Europea per l’Ambiente(24), riferito a dati del 2013, ha evidenziato che il trasporto passeggeri su strada assorbe il 44% delle emissioni totali a livello UE, il trasporto merci su strada il 28%, mentre trasporto aereo e navale si intestano rispettivamente il 13,0 e il 13,4% delle emissioni del settore(25). Per quanto riguarda più specificamente la situazione italiana, i dati registrati (relativi all’anno 2012) sulle percentuali di emissioni di gas serra ascrivibili alle varie tipologie di trasporto evidenziano la netta preponderanza del trasporto su strada con l’81% del totale, seguita dall’aviazione civile (9,6%), dalla navigazione (8,8%) e dal trasporto ferroviario (0,04%) (figura 6 in appendice al capitolo). Anche l’edizione 2016 del rapporto EEA offre, come tutti gli anni, una valutazione dell’andamento del percorso di riduzione delle emissioni di gas serra da parte del sistema dei trasporti europeo, in relazione all’obiettivo, fissato dall’Unione Europea, di abbattere del 60% entro il 2050 le emissioni del settore rispetto a quelle registrate nel 1990, passando attraverso uno step intermedio, fissato al 2030, entro il quale le emissioni del settore trasporti dovranno essere del 20% inferiori a quelle del 2008(26). Dal 1990 al 2013, secondo i citati rapporti, "le emissioni di gas serra si sono ridotte in tutti i principali settori economici della UE, determinando una discesa complessiva delle emissioni inquinanti(27). L’eccezione è rappresentata proprio dal settore dei trasporti, le cui emissioni nel periodo sono aumentate del 19,4% (13% se si escludono le emissioni derivanti dalla navigazione aerea internazionale). A partire dal 2007 si registra una costante riduzione delle emissioni anche nel settore dei trasporti sebbene le prime stime elaborate dall’Agenzia relativamente al 2014 evidenzino un leggero incremento (il primo dopo 7 anni). Nonostante il trend decrescente (non casualmente avviato nel 2008, contestualmente alla crisi economica globale), le emissioni del settore dei trasporti sono tuttora superiori ai livelli 1990; per raggiungere l’obiettivo indicato dal Libro Bianco 2011 [al quale si dedicherà un’ampia digressione nel capitolo successivo – ndr] le emissioni del settore dovrebbero dunque ridursi del 67% entro il 2050(28). Ai fini del conseguimento di tale risultato, il rapporto 2016 dell’Agenzia Europea dell’Ambiente ha posto l’accento sull’importanza del ruolo dei biocarburanti, sottolineando come le politiche degli Stati membri dell’UE in materia debbano puntare a privilegiare esclusivamente i biocarburanti che soddisfano i criteri di sostenibilità previsti dalla direttiva sull’energia rinnovabile e dalla direttiva sulla qualità del combustibile(29). Peraltro, l’Agenzia dà conto del fatto che la quota UE-28 delle energie rinnovabili impiegate nei trasporti è aumentata, tra il 2013 e il 2014, dal 5,4% al 5,9% e che il biodiesel è il tipo di energia rinnovabile più utilizzata. In otto Stati membri, addirittura, si registra una quota di energie rinnovabili superiore al 6%, con punte di eccellenza rappresentate da Finlandia e Svezia, che si attestano rispettivamente al 21,6% e al 19,2%.(30) Ciò nonostante, osserva il rapporto TERM 2016, il trasporto resta estremamente dipendente dal petrolio. I carburanti derivanti dal petrolio rappresentano circa il 95% della domanda di energia finale per mezzo di trasporti (compresi i combustibili marini). Secondo le stime dell’Agenzia, il consumo di petrolio per il trasporto è aumentato dello 0,7% nel 2014 ed è diminuito dello 0,9% nel 2015 (cfr. figura 7 in appendice al capitolo), ma gli ulteriori sforzi necessari per soddisfare l’obiettivo fissato per il 2050 sono molto impegnativi, in quanto corrispondono ad una riduzione di circa due terzi rispetto al livello 2014.(31). All’interno di questo scenario, un ruolo essenziale ai fini della programmazione delle azioni per la riduzione delle emissioni inquinanti spetta, in termini di volumi di traffico, al trasporto passeggeri in tutte le diverse modalità. Il rapporto TERM 2016 indica che, sulla base delle stime contenute nello Scenario di riferimento – REF 2016 elaborato dalla Commissione Europea(32), nei prossimi anni il tasso di crescita del trasporto passeggeri in Europa sarà più contenuto che nel passato, ma il numero di chilometri di passeggeri aumenterà comunque tra il 2010 e il 2050 di circa il 40% (1% all’anno fino al 2030 e lo 0,9% all’anno fino al 2050)"(33). Fra le diverse modalità di trasporto passeggeri, quello per via aerea appare destinato a far registrare la crescita più alta, più che raddoppiando nel 2050 il rapporto passeggeri/km registrato nel 2010, grazie al forte incremento dei viaggi internazionali (ad esempio, da e verso le aree delle economie emergenti in Asia), alla crescita del PIL e al miglioramento delle capacità delle strutture aeroportuali. Nel complesso, il trasporto aereo intracomunitario dovrebbe aumentare la sua quota modale di circa 5 punti percentuali, passando dall’8% del 2010 al 13% nel 2050(34).

    Per quanto riguarda invece il trasporto ferroviario, il rapporto EEA rileva come l’attività dei treni passeggeri sia in rapida crescita (aumento previsto: 76% nel 2050 rispetto al 2010) per effetto del progressivo completamento della rete transeuropea di trasporto (TEN-T)(35): circa il 32% del traffico ferroviario di passeggeri, espresso in passeggeri/km, verrebbe trasportato dalla ferrovia ad alta velocità entro il 2050, contro il 21% del 2010. Per contro, lo scenario ipotizzato dalla Commissione Europea prevede per il 2050 una crescita più contenuta (30% rispetto al 2010) del trasporto privato su strada (automobili private e motociclette), in parte anche a causa della saturazione del mercato. Tale modalità di trasporto resterà comunque dominante, pur se il volume complessivo

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