Economia ecologica: La transizione ambientale verso uno sviluppo sostenibile
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Mercedes Bresso
Ha insegnato Economia dell’ambiente al Politecnico di Torino e in altre Università. È stata presidente della Provincia di Torino e della Regione Piemonte, parlamentare europea e presidente del Comitato delle Regioni dell’ue. È autrice di numerosi testi scientifici, tra cui Pensiero economico e ambiente e Per un’economia ecologica. Ha anche pubblicato romanzi di fanta-ecologia con la sorella Paola: Missione last flower, Anno luce zero e, con Claude Raffestin, I duecentocinquantamila stadi di Eratostene al tempo del virus.
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Anteprima del libro
Economia ecologica - Mercedes Bresso
Prefazione
UN LIBRO «SEMPREVERDE»
Questo libro è stato stampato per la prima volta nel 1997 e scritto l’anno precedente. Ha quindi esattamente venticinque anni. Quando, con l’editore, abbiamo pensato di ripubblicarlo per la sua evidente attualità, pensavo di dover fare molti aggiornamenti. Ho iniziato quindi ad analizzare gli scritti più recenti sul tema e mi sono presto resa conto che la sua impostazione, allora molto innovativa, era ancora perfettamente attuale.
Di economia dell’ambiente si cominciò a scrivere negli Stati Uniti negli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso, in Italia negli anni Settanta-Ottanta. Si trattava di una branca disciplinare della teoria economica neoclassica, di cui condivideva i limiti, avendo tuttavia il privilegio del riconoscimento da parte della disciplina «madre».
Io avevo iniziato molto presto a lavorare su questi temi. Nel 1975 pubblicai, con Claude Raffestin, un articolo sul tema L’économie de l’environnement: idéologie ou utopie? e nel 1982 scrissi per Loescher Pensiero economico e ambiente, il mio primo testo sistematico. Già in quel libro avevo tentato di andare oltre l’economia neoclassica, sviluppando il concetto di bio-economia, per la quale facevo riferimento ai lavori di François Quesnay, il fisiocratico che nel XVIII secolo aveva osservato come l’agricoltura fosse il solo settore a dare un prodotto netto, perché sfruttando il sole e l’acqua (noi oggi sappiamo grazie alla fotosintesi) forniva alla fine del ciclo produttivo un prodotto nettamente maggiore delle sementi utilizzate, mentre ad esempio l’industria aumentava l’utilità delle materie prime usate ma non le quantità. Nelle conclusioni sottolineavo che l’economia avrebbe dovuto considerare il lavoro gratuito della natura e preservare questa sua specificità, da cui il nome che mi pareva appropriato di «bio-economia».
In quegli stessi anni si iniziava a usare il termine «economia ecologica», che scelsi quando pubblicai, nel 1993 per la NIS, un voluminoso libro dal titolo Per un’economia ecologica, nel quale facevo il punto su tutte le problematiche legate all’intersezione fra economia e ambiente e indicavo la necessità di un paradigma scientifico transdisciplinare per affrontarle in modo adeguato. Per me si trattava della logica evoluzione del mio pensiero legata anche al lavoro pioniere di Nicolas Georgescu-Roegen, con il quale avevo instaurato un dialogo scientifico per me molto importante. Nel 1989 uscì un articolo di Robert Costanza, What is Ecological Economics?, che pose le basi per la nuova disciplina a cui seguì, nel 1991, un volume di articoli da lui curato, Ecological Economics, e fu fondata la rivista dall’analogo nome, che esce tuttora.
E nel 1997 Jaca Book pubblicò per la prima volta questa mia Economia ecologica, nella quale in estrema sintesi riassumevo tutto il mio lavoro scientifico sul rapporto fra le tematiche ambientali e quelle economiche.
Da allora le due discipline si confrontano e si affrontano, anche se molti autori hanno tentato degli avvicinamenti. Nel piccolo libro che vi ripresento, aggiornato e con l’aggiunta di una postfazione, io stessa utilizzo concetti che sono stati sviluppati dall’una come dall’altra, anche se la mia convinzione è, da sempre, che serva un approccio transciplinare alle questioni ambientali.
In questi anni le preoccupazioni della politica e del mondo scientifico si sono molto concentrate sui problemi legati al cambiamento climatico prodotto dalle emissioni di gas a effetto serra, in particolare dalla CO2, superiori a quelle assorbibili dai processi naturali. E i governi hanno preso impegni a contenere le emissioni entro il 2030, riducendole del 55% rispetto a quelle del 1990, per arrivare alla de-carbonizzazione, cioè all’equilibrio fra emissioni e assorbimenti, nel 2050.
Si tratta di impegni molto complessi, per rispettare i quali occorrono enormi investimenti che, se non assunti dalla maggior parte dei Paesi, potrebbero modificare fortemente la concorrenza internazionale. Investimenti altrettanto imponenti saranno tuttavia necessari anche per gli altri gravi problemi ambientali: gestione corretta delle acque, dei rifiuti, del suolo, dei mari e degli oceani, preservazione della biodiversità animale e vegetale. E si potrebbe continuare.
Molti autori hanno parlato di necessità di una de-crescita dell’economia, tuttavia, come ho sottolineato, servono enormi investimenti per cambiare in profondità il nostro modo di vivere, di produrre, di trasportare. E questi saranno possibili solo per le economie solide e innovative. Non pare quindi utile tanto pensare a una diminuzione del PIL (Prodotto interno lordo), quanto piuttosto prendere atto che una parte crescente della ricchezza dei nostri Paesi dovrà essere destinata agli interventi per rendere compatibile il nostro modo di vivere con il funzionamento dell’ecosistema terrestre e per garantirci la fruizione degli incomparabili servizi che la natura ci fornisce. Il che comporterà anche certamente livelli di consumi e di vita più sobri, in modo da poter aumentare gli investimenti.
È ormai patrimonio comune il concetto di economia sostenibile, introdotto dalle Nazioni Unite alla Conferenza mondiale sull’Ambiente di Rio de Janeiro del 1992, per indicare la necessità di assicurare dei livelli di benessere comparabili alle attuali come alle future generazioni, in particolare di garantire un pari accesso all’uso delle risorse naturali, equilibrando prelievi e restituzioni. Troverete nel testo una serie di precisazioni su questo concetto chiave per una corretta politica ambientale.
Nella postfazione, che come ho detto è del tutto nuova, cercherò di fare il punto sugli sviluppi più recenti dell’economia ecologica e delle problematiche ambientali e di proporre alcune piste per fare avanzare la riflessione su questi temi.
Siamo probabilmente a un punto cruciale, nel