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Terra Rossa
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E-book223 pagine2 ore

Terra Rossa

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Info su questo ebook

India, 2001. Manish ha dieci anni e vive tra le baracche. Quando il suo amico Nihal trova un bottoncino che sembra una moneta d'oro e gli racconta di un sogno fatto la sera prima, i due iniziano a fantasticare promettendosi di partire insieme alla ricerca di un tesoro. Costretto a separarsi da Nihal quando viene venduto da sua madre ad uno sfruttatore, dopo una rocambolesca fuga Manish arriva a New Delhi. Lì incontra Soraya, una ragazzina con un passato doloroso alle spalle. Una mattina Manish si sveglia e lei è scomparsa. Accasciatosi all'ingresso della stazione dopo averla a lungo cercata, Manish incontra Henry per la prima volta. Henry è un giovane scrittore londinese, arrivato in India per mantenere un legame lontano con Evie, una misteriosa ragazza conosciuta a Londra in una notte piovosa e poi sparita senza lasciare tracce.

Dieci anni più tardi, Manish ed Henry sono alla ricerca di Soraya. Manish è anche intenzionato a mantenere la promessa fatta a Nihal durante la loro infanzia.
LinguaItaliano
Data di uscita3 gen 2022
ISBN9791220379489
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    Anteprima del libro

    Terra Rossa - Marina Guglielmi

    PRIMA PARTE

    1

    Le sagome nere degli edifici fatiscenti di Gwalior si stagliavano contro il rosso del cielo. Un cane dormiva all’ombra di un albero di mango e, poco più in là, i bambini erano accovacciati ai lati di un rigagnolo d’acqua putrida che faceva da pista per le loro gare di navi di carta.

    «Manish, ho vinto! Ho vinto, Manish!» ripeteva Nihal con le braccia spiegate in aria. Le lunghe dita dei suoi piedi spuntavano dal fango e ricordarono a Manish i bambini delle baracche, che chiamavano Nihal bandar, scimmia, per quei piedi lunghi e prensili, la mandibola sporgente e le mani molto grandi per un bambino di nove anni.

    La voce di Nihal lo scosse: «Un tesoro!» allungò il braccio esile per indicare qualcosa che luccicava invitante sul fondo del rigagnolo, semisepolto dal fango. Nihal si sporse in avanti, immerse la mano nella poltiglia e scavò sul fondale. Toccò qualcosa di molliccio con le dita prima di tirare fuori dalla melma un bottoncino giallo. Dopo averlo mostrato a Manish iniziò a giocarci passandoselo tra le dita: «Un giorno troveremo un grande tesoro» sospirò a un tratto, quasi a continuare il filo di un pensiero. Posò il bottoncino a poppa della sua barchetta azzurra costringendola ad affondare leggermente nell’acqua: «Sei pronto?» domandò dopo averla posizionata sulla linea di partenza. Manish ciondolò il capo sorridendogli per dire di sì e preparò la sua barchetta rossa. Contarono in coro fino a tre: «Ek, do, tiin!» e le spinsero soffiando, chini a quattro zampe ai lati del rigagnolo per seguire gattoni le prue di carta che fendevano la corrente. La barchetta di Nihal avanzava lentamente, appesantita dal tesoro giallo che portava con sé, mentre Manish soffiava forte e correva con la sua.

    Nihal si arrampicava con i piedi prensili sul tronco dell’albero di mango. Pezzi di corteccia rotolavano giù mentre saliva. Quando fu abbastanza in alto allungò un braccio per afferrare un frutto. Lo strinse in un pugno e lo staccò piegando il ramo, poi scivolò giù graffiandosi i palmi delle mani contro la corteccia ruvida, lo avvicinò alla bocca e lo addentò mentre il succo gli schizzava sulle guance. Manish ne raccolse uno caduto accanto al cucciolo, si chiamava Kiuni e aveva due immensi occhi neri. Manish tastò il frutto fra le dita per cercare la parte più morbida, ci affondò il pollice e succhiò la polpa dolce.

    «Un giorno costruirai una nave vera?» chiese Nihal mentre guardava Kiuni leccare il succo che colava sul terreno.

    «Una nave vera?»

    «Tu sei bravo, Manish, sai costruire navi di carta» sorrise. «Troveremo il tesoro, me lo ha detto un vecchio.»

    «Chi è?»

    «Uno che ho sognato» Nihal esitò prima di rispondere, «aveva una lunga barba arancione e tante collane sul petto.»

    «Che ti ha detto?» Manish si raddrizzò sulle ginocchia, curioso.

    «Era seduto su uno strano tappeto luccicante e mi ha dato qualcosa.»

    «Cosa?» continuava a domandare.

    «Una mappa» rispose Nihal dopo averci riflettuto un momento, grattandosi la nuca.

    «Come sai che portava a un tesoro?»

    «Lo so e basta» si strinse nelle spalle senza aggiungere altro.

    Discesero a grandi falcate la montagna di immondizie facendo scrocchiare la plastica sotto i piedi nudi, poi si separarono. Dove il puzzo di urina si attutiva, l’odore delle capre che vagavano tra le baracche prendeva il suo posto. La baracca di Manish era a poca distanza da quella di Nihal, incastonata tra un mucchio di bidoni blu. Sulle tre scalette traballanti dell’ingresso erano state abbandonate le ciabattine rosa di Aniu, la bimba che viveva con la sua famiglia.

    «Man¹, sono tornato» entrò cercando sua madre. L’odore delle papad² fritte si mischiò a quello del suo sudore. Neha stava sistemando una stuoia a terra quando vide il figlioletto sulla soglia. Lo portò fuori e gli sfilò la magliettina unta. Posò un secchio d’acqua torbida ai piedi di Manish, si chinò e con le mani unite a coppa raccolse l’acqua che versò sul corpicino impolverato. Gli sciacquò prima il petto, poi la pancia e infine le gambe. Lui la guardava sorridendo. Neha alzò gli occhi verso i suoi e se ne accorse, allora gli bagnò la faccia con una mano e gli strinse il nasino tra indice e medio. Gli stampò un bacio sulla guancia prima di asciugarlo con un lembo della sua veste. Rientrarono nella baracca e Neha si sedette sulla stuoia accanto a lui, portò una papad alle labbra. Manish guardò suo padre, le sopracciglia invecchiate sugli occhi stanchi. Sajiv, suo fratello maggiore, gli sedeva davanti e masticava rumorosamente un grosso boccone. La piccola Aniu dava piccoli morsetti alle papad. Manish si voltò verso la porticina cadente dell’ingresso, lasciata spalancata. La sera era calata in fretta e l’alito pesante dell’India correva tra i tetti ondulati e tra i cadaveri di animali sotto cumuli di rifiuti.

    ___________________

    ¹ Mamma.

    ² Una sorta di focaccia o cialda croccante, usata come contorno nella cucina indiana.

    2

    Quando Soraya dischiuse gli occhi la prima cosa che vide furono grandi orme sulla sabbia e la brezza che le spazzava via. Sotto la sua pancia un cuscino purpureo la separava dalla groppa di un dromedario, guidato a piedi da un uomo con un turbante bianco, in una fila di altri dromedari. Solitari alberi di khejri³ nascevano dal deserto insieme alla sterpaglia rada. Silhouette danzanti dei saree⁴ stesi ad asciugare e legati a spine di arbusti per non essere trascinati via dall’alito del Thar, poi un muricciolo in pietra secca che divideva il deserto dal villaggio dei Bishnoi. La carovana lenta entrò nel villaggio.

    L’uomo col turbante bianco accarezzò il collo dell’animale facendolo inchinare sulle zampe anteriori, aiutò Soraya a scendere dalla groppa dicendole qualcosa in una lingua che lei non capiva. Lo seguì guardandosi i piedi impolverati e sanguinanti, senza più riconoscerli. Davanti a una capanna una donna allattava contemporaneamente un neonato e un cucciolo di chinkara⁵ tenendoli stretti ai suoi seni pendenti. Il bambino stringeva il pollice della madre con la minuscola manina e le labbra del cucciolo tiravano il capezzolo turgido per succhiare il latte. Accanto a quella capanna ce n’era un’altra e lì si fermarono, l’uomo spinse delicatamente Soraya verso l’ingresso, chiamò qualcuno e si allontanò lasciandola lì. La bambina rimase in attesa, si sporse sull’uscio, fece qualche passetto in avanti. Una voce gentile si presentò, una donna che portava un anello al naso entrò nella striscia di luce dell’ingresso per venire ad accoglierla.

    La donna recuperò resti di sangri⁶ dalla brace che si stava spegnendo e li diede da mangiare a Soraya. La vide divorare il cibo con foga, prenderlo con entrambe le mani per ficcarselo in bocca come temendo che qualcuno potesse portarglielo via. Uscì dalla capanna tornando poco dopo con un secchio riempito d’acqua, lo posò e si allontanò di nuovo per prendere uno straccio. Quando si voltò, Soraya aveva la testa immersa nel secchio e mordeva l’acqua come un lupo assetato. La lasciò fare, impietosita. Aspettò che si accasciasse, poi imbevette lo straccio, lo strizzò e lo avvicinò ai piedi di Soraya, ma lei li ritrasse dolorante. Ci volle un po’ prima di riuscire a pulirli del tutto. Sistemò delle foglie di nīm⁷ sulle bruciature e le legò avvolgendole con strisce di stoffa. Con un gesto lento, come a chiedere il permesso, le sfilò la magliettina scoprendo il corpicino scheletrico. Soraya aveva piaghe sul petto e lungo la schiena, il sole cocente del Thar l’aveva mangiata a poco a poco. La donna le versava con le mani l’acqua sulle spalle, sulla schiena e sulla pancia. Le sistemò una stuoia per la notte, si assicurò che si fosse sdraiata per riposare e poi raggiunse gli altri già radunati intorno a un fuoco per la preghiera della sera.

    Il sonno non durò a lungo, tormentato dagli incubi. Soraya si svegliò in un pianto silenzioso e sommesso. Trovata un po’ di forza per alzarsi, si mise a osservare sull’uscio gli abitanti del villaggio. I bambini cantavano in girotondo attorno a una statuetta del dio Vishnu che reggeva con quattro mani un fiore di loto, una conchiglia, un disco e una mazza. Tutti erano chini in avanti, le ginocchia sulla polvere, le mani unite davanti alla fronte premuta a terra. Oltre il villaggio solo deserto, silenzio e vuoto.

    Due giorni dopo, alle prime luci dell’alba, Soraya fu svegliata dalle voci degli uomini pronti a partire verso Pushkar per la fiera dei cammelli, otto giorni prima del plenilunio di Kartik⁸. Sacchi di provviste e recipienti d’acqua erano pronti su un carro per il viaggio, che sarebbe durato circa tre giorni. I dromedari erano adorni di treccine e nastri colorati. Soraya raggiunse il muricciolo dove l’uomo che due giorni prima l’aveva accompagnata al villaggio ora aiutava una donna a salire sul carro. Indossava un turbante rosso per la festa. Si voltò e la vide. Le sorrise porgendole la mano per portarla con sé, subito dopo il carretto dalle grandi ruote di legno iniziò a muoversi con un cigolio, affondando nelle dune e traballando al ritmo cadente del passo di due dromedari. Il vento gonfiava le vesti bianche del giovane che teneva in un pugno morbido le redini e ondeggiava insieme al carro, in partenza verso l’immensa distesa del Thar.

    ___________________

    ³ Prosopis cineraria, albero simbolo del Rajasthan.

    ⁴ Tradizionale indumento femminile.

    ⁵ Gazzella indiana.

    ⁶ Baccelli che crescono sull’albero khejri, conosciuti come fagioli del deserto.

    ⁷ Azadirachta indica, albero con proprietà medicamentose chiamato anche la farmacia del villaggio.

    ⁸ Un mese nel calendario indù che in genere cade tra ottobre e novembre. Purnima è la notte di plenilunio in novembre.

    3

    A Manish sarebbe piaciuto andare a scuola. Ci pensava mentre stava seduto sulla panchina di pietra ad aspettare che il pulmino a strisce gialle di Ravi passasse di lì, dondolando le gambe nell’attesa. Sul marciapiede di fronte un pulitore d’orecchie era già al lavoro. Ai suoi piedi una borsetta di stoffa sfilacciata conteneva stecchi d’osso ricurvi, forbicine e barattolini di liquidi pulitori. Era intento a liberare dal cerume l’orecchio di un turista mentre gli raccontava di come il suo mestiere si fosse tramandato di generazione in generazione, poi la sua voce fu coperta dallo strombazzare di un clacson e Manish scorse il pulmino arrivare dall’angolo della strada.

    «Namasté, thoda dhaavak!⁹» lo salutò Ravi superandolo in corsa. Manish schizzò dietro al pulmino in quel gomitolo di strade che si snodava fino alla scuola. Correva quel chilometro ogni giorno, affiancando il pulmino che faceva a gara con lui in uno strombazzare allegro. Tutti i bambini ai finestrini si sporgevano e gridavano: «Corri Manish, corri!» e lui giocava a fingere la sconfitta rallentando per vederli gridare il suo nome, poi schizzava in avanti con una smorfia e superava il pulmino tra i cori felici e le risate scomposte di Ravi: «Corri ragazzo!» gridava premendo il piede sull’acceleratore. Quando la strada si interrompeva, alla fine di una discesa polverosa, Manish si fermava davanti al cancelletto della scuola e, sempre un attimo dopo di lui, anche il pulmino. Osservava i bambini entrare: magari un giorno sarebbe stato uno di loro, pensava. C’era un punto dell’edificio in cui il muro era costruito in sezioni che formavano gradini a ogni livello e forniva un buon punto d’appoggio per riuscire a vedere dalla finestra all’interno. Così Manish qualche volta aveva ripetuto con i bambini e aveva imparato a contare fino a dieci e a recitare a memoria la filastrocca dell’alfabeto, scrivendolo sulla polvere con le dita.

    «Ho trovato la nostra barca» disse Nihal quel pomeriggio, «è in una vecchia casa abbandonata, ci sono passato davanti oggi e l’ho vista» aveva gli occhi luminosi e parlava a Manish con un sorriso largo che lasciava intravedere la dentatura sporgente. «Troveremo il tesoro, me lo prometti?»

    Manish gli sorrise: «Prometto.»

    «Sono sempre con te, fratello» disse Nihal, un palmo di mano premuto sul cuore.

    Mentre erano sdraiati l’uno accanto all’altro sulla terra rossa, Nihal tirò fuori da una tasca il bottoncino giallo. Luccicava ai bagliori del tramonto e ai suoi occhi sembrava davvero una piccola moneta d’oro. Kiuni era accoccolato accanto a loro e dormiva russando. Nihal iniziò a intonare una melodia a bassa voce interrotta solo, di tanto in tanto, da sorrisi rivolti al piccolo tesoro luccicante che rigirava tra le dita. Manish, assorto in quel lamento, se ne stava zitto in ascolto, sdraiato accanto a lui con le braccia incrociate dietro la testa.

    «Cos’è?» chiese quando l’amico smise di cantare.

    «Man la canta quando…» ma prima che potesse finire la frase, una voce rauca li fece sollevare.

    «Ehi, bandar» la luce fu oscurata dalle sagome di un gruppo di ragazzi e il bottoncino smise di brillare.

    «Che cos’hai lì?» chiese il più alto, una bandana maltrattata legata intorno alla fronte.

    «Nulla» Nihal nascose il bottone in tasca con un movimento rapido, si levò da terra e con lui anche Manish.

    «Avanti, facci vedere cosa nascondi» il ragazzo con la bandana allargò un ghigno malizioso mentre si avvicinava a Nihal. Lo spintonò, Manish si fece avanti e rispose allo stesso modo per difendere l’amico. L’altro rivolse uno sguardo ai suoi compagni e ridendo strinse gli occhi in tono di sfida, afferrò Manish per lo scollo della canottiera e lo trascinò a terra: «Levati dai piedi» poi si rivolse di nuovo a Nihal: «Ehi bandar, vuoi una nocciolina?». Il coro alle sue spalle imitò il verso di una scimmia. Iniziarono a stuzzicarlo frugandogli nelle tasche, uno di loro estrasse il bottone.

    «E questo?»

    «Ridammelo subito.»

    «Altrimenti, bandar?» ricominciarono a scimmiottare e a curvare le labbra in smorfie animalesche. Dopo che si furono divertiti così, il ragazzo con la bandana incitò con un cenno del capo i compagni contro Nihal. Un pugno dritto allo stomaco gli fece perdere il fiato, un altro in pieno volto gli fece sanguinare il naso. Manish si dimenava, trattenuto da un grassone, mentre gli altri calciavano il corpo di Nihal steso a terra. Uno di loro gli posò un piede sulla schiena e alzò un pugno al cielo: «Ho catturato la scimmia!» provocò le risate degli altri.

    Nihal non reagiva, neppure si muoveva. Dal naso colava un rivolo di sangue. Kiuni abbaiava, tenuto stretto tra le gambe di un altro. Manish gridava aiuto, piangendo. Nessuna lacrima invece sul volto di Nihal. Qualche altro colpo lo fece torcere su un fianco. Il ragazzetto con la bandana gli schiacciò la testa sul terreno premendogli la suola della scarpa sulla guancia. Nihal non lottava, incassava i colpi e lasciava andare solo qualche verso sommesso.

    Se ne andarono richiamati da una voce. Nihal si sollevò lentamente per mettersi a sedere. La maglietta strappata su un fianco lasciava intravedere una costola dolorante. Manish andò a sedersi accanto a lui e per un po' tacquero, poi Nihal dischiuse un pugno sotto gli occhi di Manish e mostrò il bottoncino giallo: «L’ho ripreso mentre erano distratti» sembrava non accorgersi nemmeno del sangue che gli scorreva dalle narici fino al mento.

    «Perché

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