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La brigata della speranza
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La brigata della speranza
E-book695 pagine10 ore

La brigata della speranza

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Info su questo ebook

Un romanzo che scava, che cerca la verità oltre la facciata di menzogna eretta dalla chiesa del Grande Serpente, in un mondo fantasy in cui sta per abbattersi un nuovo Cataclisma: è una lotta contro il tempo e contro la rassegnazione, affinché torni a splendere la luce della speranza.

“Marla emise un lungo sospiro e scosse la testa «Che ne sai tu del mondo che c’è la fuori?»”
Una giovane ragazza lascia la propria casa per scoprire il mondo di Sphaera: è un viaggio per ritrovare il fratello, ma che la porterà ad affrontare ben più della distanza dal suo villaggio natìo alla città di Dratas:
  • scoprirà di tradimenti di menzogne e di paura
  • verrà a conoscenza dell’atavica lotta fra il dominio di chi detiene il potere e il desiderio di chi cerca la libertà, contro forze magiche soprannaturali che agiscono nell’ombra e nell’inganno, celato da una facciata di ipocrisia.

Riuscirà la giovane Siina a resistere alla malvagità e alla corruzione di chi cerca solo di corrompere e prevaricare gli altri?
Riuscirà a sfuggire al giogo di chi la vuole rendere schiava della falsità?
Un romanzo di formazione ambientato nel mondo di Sphaera, creato con sapienza fin nei minimi dettagli dalla penna dell’autore, con l’intento di far immedesimare il lettore, mostrandogli quanto avviene senza distrarlo con la sua voce.
LinguaItaliano
Data di uscita3 dic 2018
ISBN9788868673505
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    Anteprima del libro

    La brigata della speranza - Alessandro Gianesini

    Alessandro Gianesini

    La brigata della speranza

    © 2020 - Gilgamesh Edizioni

    Via Giosuè Carducci, 37 - 46041 Asola (MN)

    gilgameshedizioni@gmail.com - www.gilgameshedizioni.com

    Tel. 0376/1586414

    ISBN 978-88-6867-350-5

    È vietata la riproduzione non autorizzata.

    In copertina: progetto grafico di Stefano D’Auria.

    © Tutti i diritti riservati.

    ISBN: 978-88-6867-350-5

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Prologo

    Capitolo I

    Capitolo II

    Capitolo III

    Capitolo IV

    Capitolo V

    Capitolo VI

    Capitolo VII

    Capitolo VIII

    Capitolo IX

    Capitolo X

    Capitolo XI

    Capitolo XII

    Capitolo XIII

    Capitolo XIV

    Capitolo XV

    Capitolo XVI

    Capitolo XVII

    Capitolo XVIII

    Capitolo XIX

    Capitolo XX

    Capitolo XXI

    Capitolo XXII

    Capitolo XXIII

    Capitolo XXIV

    Capitolo XXV

    Capitolo XXVI

    Capitolo XXVII

    Capitolo XXVIII

    Capitolo XXIX

    Capitolo XXX

    Capitolo XXXI

    Capitolo XXXII

    Capitolo XXXIII

    Capitolo XXXIV

    Capitolo XXXV

    Capitolo XXXVI

    Capitolo XXXVII

    Capitolo XXXVIII

    Capitolo XXXIX

    Epilogo

    Scrivi una recensione al mio romanzo. Grazie mille!

    Un REGALO finale per te dalla nostra Casa Editrice

    ANUNNAKI

    Narrativa

    97

    A Giovanni, che ha sempre creduto in me;

    a Marco, che mi ha aperto gli occhi coi suoi consigli;

    a Giulia, che sul manoscritto ci ha quasi rimesso i suoi.

    Prologo

    «[…] E voi, che ancora credete alle parole menzognere dei sacerdoti di un falso dio, sappiate che presto Ellerin dalle ampie ali, colei che spezza le catene e ravviva la fiamma della Speranza, si librerà ancora fulgida su Sphaera e schiaccerà col calcagno la testa del Grande Serpente così che smetta di strisciare nelle nostre città, nelle nostre case, nelle nostre stesse anime per farci compiere quello che vogliono i suoi sacerdoti: farci chinare il capo senza ribellarci alla tirannia che si espande subdola e insidiosa come il serpente che essi fingono di venerare. […]»

    Estratto dal Discorso del Profeta,

    deserto dello Zohorion, 990 III.C. .

    Capitolo I

    Il crepuscolo stava cedendo il passo all’alba e il profilo di Diesef fece capolino all’orizzonte, oltre le creste innevate dei monti Queqittigas in parte celate dalle nubi bianche e soffici che ne coronavano i picchi; la foschia e la penombra occultavano ancora la valle di Dratas, a Nord-Est.

    Siina osservava quel panorama trattenendo il respiro e gli occhi arrossati guizzavano da un punto all’altro di quel paesaggio: i colori caldi delle foglie che punteggiavano rami e prati ancora verdi; il bianco screziato di grigio delle rocce dei monti Queqinavera; il fumo che saliva dai comignoli delle case di Trarcis. Le lacrime avevano lasciato sulle sue guance delle scie che andavano a congiungersi sul mento, dove l’ultima era rimasta aggrappata alla pelle abbronzata; alle spalle della ragazza erano ben visibili le impronte sull’erba che andavano dalla casa alla staccionata; i piedi nudi erano ancora imperlati della rugiada mattutina.

    Le labbra di Siina si schiusero «È ora» le sue dita strinsero il legno fino a far sbiancare le nocche. Una folata di vento fece svolazzare la lunga sottoveste di cotone ingiallito che le aderì al corpo, risaltando i contorni sinuosi delle cosce e dei fianchi. Un brivido la scosse e con le mani iniziò a sfregarsi braccia e spalle. Siina si voltò a oriente. Dell’azzurro dei suoi occhi rimase solo una sottile linea: socchiuse le palpebre e si schermò la fronte con la mano quando i raggi che si riflettevano sui ghiacciai la colpirono dritta in faccia.

    Il cigolio della porta dietro di lei la fece sussultare; si irrigidì e si sfregò di nuovo le braccia. Si voltò reggendosi con i palmi al legno umido che odorava di resina.

    Marla era fuori dalla casa e le due si guardarono negli occhi; un sussulto agitò il petto della donna: teneva per mano il piccolo Julor, che si strofinò gli occhi con la manina libera prima di sbadigliare.

    «Madre, lo sapete che non mi farete cambiare idea.» Siina sbuffò e si girò, a sbirciare la valle alle sue spalle «Come ve lo devo dire?» serrò la mascella e tornò ad affrontare lo sguardo della donna.

    Marla emise un lungo sospiro e scosse la testa «Che ne sai tu del mondo che c’è là fuori?»

    Siina si staccò dalla staccionata «E Ran? Lui cosa ne sapeva?» serrò i pugni e digrignò i denti.

    Julor si era divincolato dalla presa e corse verso il faggio, cercando di acchiappare al volo una delle foglie che volteggiava nell’aria; le due osservarono quel suo gioco.

    «Lo so che non vuoi ascoltarmi, figlia mia, ma tuo fratello…» si schiarì la voce, lanciando un altro sguardo al figlio più piccolo «Sai come vanno queste cose: per te è diverso.»

    «Perché sono una femmina?» Siina si portò le mani ai seni agitandoli «Oggi però...» si morse il labbro inferiore.

    La madre estrasse dalle pieghe del vestito un sacchettino di stoffa bianca «Sto sprecando il fiato, lo so.» fece un passo in direzione di Siina «Sono qui per salutarti e per augurarti…» Marla si mise a singhiozzare e distolse lo sguardo dalla figlia: le lacrime presero a scorrere, le rughe della fronte e intorno alla bocca sottile si fecero più profonde. Fece un altro passo verso Siina e il piccolo involto che la donna teneva tra le dita oscillò. La ragazza abbozzò un sorriso e avanzò sulle punte dei piedi nell’erba ancora umida del mattino: quando furono vicine si abbracciarono. Julor corse da Marla, si aggrappò alla sua mano e alzò trionfante la foglia del faggio che aveva acchiappato.

    «Vado a meno di una decade di cammino, madre.» Siina si mise a spettinare il fratellino «Con tutto il daffare che vi darà questo piccolo furfante non vi accorgerete nemmeno della mia partenza.»

    Julor la guardò dal basso sporgendo il labbro inferiore e aggrottando le sopracciglia; Siina gli fece l’occhiolino e lui si lasciò andare a una risata, mostrando i pochi dentini intervallati dalle molte fessure.

    Marla annuì contro la spalla della ragazza e le lacrime della donna bagnarono la sottoveste dove aveva nascosto il volto.

    Siina carezzò i lunghi capelli castani della madre in cui numerosi fili grigi si intrecciavano nella chioma e si liberò dall’abbraccio: tenne per le spalle la donna, fissandola negli occhi.

    Marla sospirò e diede il dono alla figlia, che sciolse il nodo della rafia che lo teneva chiuso. Siina aprì la bocca e sgranò gli occhi, alternando lo sguardo tra l’oggetto e la madre «Ma… Madre! Questo è il liquore che vendete all’emporio.» rigirò con le punte delle dita la boccetta di terracotta.

    «È il tuo genetliaco, Siina: da oggi sei una donna anche per la legge.» riacciuffò Julor e lo tenne fermo per le spalle, mentre lui si agitava cercando di liberarsi dalla presa.

    «Grazie per il dono.» rimirò la bottiglietta «Ne berrò una goccia tutte le volte che vorrò sentirmi ancora a casa.» si sporse in avanti e la baciò sulla fronte, alzandosi in punta di piedi «Ora però devo andare, altrimenti non farò in tempo ad arrivare ad Arielnor prima di sera.»

    Lasciando impronte umide sulle assi del pavimento, Siina si portò verso il proprio giaciglio, dove raccolse e infilò la gamurra sulla sottoveste ingiallita: di un verde ormai sbiadito, era consumata lungo gli orli e ricucita in vari punti. Afferrò la sacca e ci rovistò: estrasse un abito in pelle di foggia maschile, annuì e lo ricacciò dentro, prima di infilarvi anche un otre pieno e un canovaccio in cui avvolse una pagnotta e una fetta di formaggio stagionato; anche il dono appena ricevuto dalla madre fu sistemato con cura sul fondo del bagaglio. Il sacchetto delle monete finì nella parte interna dell’abito, in una tasca nascosta. Dopo essersi asciugata i piedi nel lembo della sottoveste, si mise un paio di calze grigie che tirò su fino a metà coscia e le fermò con una stringa di stoffa di colore appena più scuro. Prese tra le mani gli stivali di pelle e cuoio passando le dita sulle cuciture che tenevano unite le suole alle tomaie. «Dovrebbero tenere.» se li infilò, con un sorrisetto sulle labbra. Si alzò, si lisciò l’abito con le mani e si cacciò a tracolla la sacca; raccolse il mantello di lana grigioverde e ne annodò i lacci all’altezza della gola, sistemando il cappuccio in modo che penzolasse sulla schiena.

    Marla cingeva Julor in vita e con l’altra mano puntava verso il lago Bereyis, che riluceva con sfumature dorate e turchine «Là c’è Dratas». Il bambino, in piedi sulla staccionata, era a bocca aperta e faceva guizzare gli occhi a ogni movimento dell’indice.

    Siina sollevò l’angolo della bocca, sospirò e si diresse verso il faggio: prese tra le mani il bastone di legno chiaro, lo soppesò e ne accarezzò la superficie levigata. Sollevò lo sguardo e incontrò il punto in cui c’era il moncherino di un ramo: si passò la mano sinistra a intercettare una lacrima che aveva raggiunto l’angolo della bocca, col suo sapore salmastro.

    Il sospiro della ragazza fece voltare Marla «Tornerai, vero?» il labbro della madre prese a tremare e gli occhi si fecero di nuovo lucidi.

    «Un giorno, madre, un giorno…» la voce era ferma e l’espressione del volto decisa «Quando mio padre tornerà dai pascoli ditegli che…» deglutì e abbassò il capo «Non fa niente.» fissò la donna e Marla annuì.

    A ogni passo fatto lungo il sentiero che la conduceva dal pianoro dove sorgeva la sua casupola fino all’altopiano sottostante verso il villaggio di Trarcis, il volto della ragazza si rilassava e cresceva il sorriso sul suo volto. Si mise a fischiettare e a danzare per la stradina ghiaiosa.

    Siina superò di slancio una dozzina di abitazioni, l’emporio di Lerak e la locanda del Fischio della Marmotta, seguita dagli sguardi dei suoi compaesani, che mormoravano tra di loro al suo passaggio: alcuni scuotevano il capo, con aria accigliata; altri alzavano una mano abbozzando un saluto: la ragazza serrò la mascella e aumentò l’andatura.

    Arrivata alle ultime case di Trarcis, Edin Nerold, il fabbro, le stava sbarrando la strada a le braccia conserte «Dove sta andando di bello la piccola Siina?» tirò su col naso e sputò «Non starai scappando di casa, vero? Lo sai che fine fanno i randagi nel mio villaggio.» guardò verso la piccola costruzione di legno con le sbarre di metallo alle finestre.

    Siina si arrestò a una decina di passi dall’uomo «Certo che lo so, grosso idiota dalla testa pelata.» fu solo un filo di voce quello che le uscì dalle labbra; fece qualche altro passo «Sapete, messer Nerold, oggi è il mio sedicesimo genetliaco e per la legge sono libera di uscire dal villaggio anche senza il permesso di mia madre.» c’era spavalderia nelle sue parole e questo acuì l’espressione accigliata dell’uomo «Non volevo essere maleducata, messer Nerold.» Siina abbassò il capo, guardandolo di sottecchi, «Un paio di giorni fa abbiamo avuto un messaggio di mio fratello Ran, che ci invitava al villaggio di Anidd, dove dice che ha trovato un lavoro e che vuole mettere su famiglia.» Edin Nerold sgranò gli occhi e rimase a bocca aperta «Avete la stessa faccia che ha fatto mia madre: non potrei mai perdermi per nulla al mondo le sue nozze. Riuscite a immaginarlo, voi, quel mascalzone di Ran che si sposa? Ma se proprio ci tenete, potete accompagnarmi, messer Nerold: sono sicura che anche lui sarà felice di rivedervi.» si morse il labbro, smorzando il sorrisetto che le era spuntato sulle labbra.

    Il fabbro si lisciò i baffi scuri che gli coprivano buona parte della bocca e scendevano fino al mento «Quel buono a nulla di tuo fratello.» aggrottò la fronte e sputò «Verrò con te da quel piantagrane.»

    Siina sbiancò «Non… non c’è bisogno… posso cavarmela da sola.» fece un passo indietro «Sono decadi che non si sentono vo… voci sui pelleverde… o sui briganti.»

    «Ho deciso.» l’uomo mosse il braccio davanti a sé, interrompendo la discussione «Stasera alla riunione sceglierò una mezza dozzina di uomini di Trarcis, così domattina potremo partire.» si voltò, avviandosi verso la fucina «Quando rivedrò tuo fratello, gli dirò chiaro e tondo che non dovrà mai più rimettere piede da queste parti, oppure…»

    Il fabbro stava ancora gesticolando con veemenza con i pugni che fendevano l’aria «Oppure cosa? Gli darete una lezione come l’ultima volta? Forse la memoria inizia a farvi difetto, messer Nerold.» la voce canzonatoria giunse dalle spalle di Siina e alle parole seguì una grassa risata.

    Il colorito e il sorriso tornarono sul viso di Siina «Nahua.»

    «Co… cosa… che ci fai tu qui?» il fabbro si era voltato, vide il volto del nuovo arrivato arretrò di un passo «Non… non creare guai o stavolta finisce male anche per te, vagabondo!» la voce tentennò.

    Nahua si portò a fianco di Siina e lasciò cadere la sua sacca «Accompagnerò io la ragazza a destinazione: voi non dovrete scomodarvi o farle perdere altro tempo.» ammiccò alla volta della giovane

    Edin Nerold avanzò verso i due, livido in volto «Chi ti credi di essere, ragazzo? Questo è il mio villaggio!» sputacchiò saliva insieme alle parole, torreggiando su di lui.

    Nahua torse il busto, portò all’indietro il mancino e assestò un pugno alla bocca dello stomaco dell’uomo, che si piegò in due e boccheggiò. Il gancio destro alla mandibola fece stramazzare Edin Nerold al suolo e Nahua gli puntò l’indice dritto in fronte «Tieniti il tuo sudicio villaggio: Siina verrà via con me.»

    Un rivoletto di sangue sgorgava dal labbro rotto: il fabbro annuì.

    Tra la gente che aveva assistito alla scena alcuni si avvicinarono al fabbro «Andate via, razza di buoni a nulla!» Edin Nerold si rialzò e traballò sulle gambe; si prese il mento tra le dita, saggiando la mandibola «Non ci siete mai quando c’è bisogno di voi.»

    Nahua recuperò il suo bagaglio «Andiamocene.»

    Le ultime casupole di Trarcis erano diventate puntini all’orizzonte e la strada che dal villaggio portava a Arielnor spianava.

    Nahua fermò Siina, trattenendola per la spalla e puntò i suoi occhi marroni in quelli azzurri della ragazza «Ora mi dici dove hai intenzione di andare, ragazzina? E poi chi sarebbe questo Ran che si sposa? Non parlavi certo di tuo fratello, vero?» le prese il naso tra le dita tappandole le narici.

    «Viscido escremento di goblin che non sei altro!» la voce nasale di Siina li fece scoppiare a ridere entrambi «Ti credevo a Dratas, insieme a quel selvaggio del tuo amico.»

    «Sono stato in ricognizione per la Brigata sul monte Pelcal fino a un paio di giorni fa, ma la mia ricerca non ha dato frutti e ho deciso di passare da… casa.» Siina sbirciò verso il compagno di viaggio e vide il suo volto farsi serio «Sono passato di qui anche perché oggi è il tuo sedicesimo genetliaco e volevo farti una sorpresa.» intercettò lo sguardo della ragazza «Quando sono arrivato a casa tua, però, la sorpresa l’ho avuta io, dato che c’erano solo tua madre e il tuo fratellino.» ridacchiò «Marla mi ha spiegato cos’avevi in mente e così ti ho seguita. E mi pare di essere arrivato giusto in tempo. Questo è quanto, ragazzina.» dandole un buffetto sulla guancia, mentre camminavano fianco a fianco.

    «Non sei più tornato e ho…» Siina si morse il labbro «Sei una testa di orco, ecco cosa sei! E devi smetterla di chiamarmi ragazzina: da oggi sono una donna. Anche per la legge.» alzò il mento e si portò le mani sui fianchi.

    «Va bene, d’ora in poi ti chiamerò piccola donna cocciuta come un mulo!» Nahua saltò di lato evitando la bastonata che Siina aveva diretto al suo ginocchio «E comunque vedo che non sei affatto migliorata a maneggiare quell’arnese, piccola donna sciocca e testarda!»

    Siina divenne paonazza e digrignò i denti: tentò di colpirlo una, due, tre volte; Nahua saltellò come un grillo per schivare, irridendola dopo ogni tentativo vano; così, dopo l’ennesimo colpo mancato, la ragazza prese ad avanzare con un’espressione torva e le sopracciglia aggrottate, picchiettando col bastone a ogni passo. Nahua la seguiva a un paio di passi, stuzzicandola, lanciandole sassolini e trovando nuovi epiteti per apostrofarla, finché Siina esplose in una risata quando si sentì chiamare «vecchia oca impettita con un cervello di gallina».

    «Che fine hanno fatto gli altri?» Nahua affiancò la ragazza «Non ho più saputo nulla.»

    Siina si passò una mano tra i capelli «Qualche mese fa Nall Koslan ha sposato Holljus Nerold, il fratello del fabbro: ora hanno un figlio.» un sorrisetto triste comparve sul volto della ragazza «Mio padre l’ha saputo quando ormai era troppo tardi, altrimenti avrei fatto io quella fine.» dalle labbra di Nahua uscì una sorta di grugnito «Quando quell’uomo è rimasto vedovo, Pernjus era ancora nei pascoli e quindi non ha potuto offrirmi: sarei stata io sua moglie a quest’ora.»

    Il giovane piegò la testa «E di Ecris che mi dici? Sono passato davanti alla sua casa, ma sembra che non ci viva nessuno da parecchio tempo.»

    «Infatti è così: non si sa più niente di lui da quando è partito, ma c’è chi dice che è stato ucciso dai pelleverde.» Siina scrollò le spalle «Non so cosa gli sia capitato, ma spero che sia vivo e in buona salute.»

    «Viaggiare da soli è un rischio di questi tempi: tra orchi e briganti non si sa più chi temere di più.» Nahua guardò di sottecchi la ragazza «Ma non credo di dirti niente di nuovo.»

    «Già: avevo una gran paura di lasciare casa mia, ma come potevo restare?» Siina gli si parò davanti e strinse il bastone con entrambe le mani «Sai cosa sono per Pernjus? Una capra. Un animale da vendere al mercato.»

    Nahua si schiarì la voce «Tuo padre ti vuol bene, in fondo…»

    «Te lo ricordi com’era quando si ubriacava?» la voce della giovane fremeva, Nahua annuì «Non sai quante botte si è presa mia madre solo per difendermi…»

    Le lacrime presero a rigare il viso di Siina: Nahua le si accostò e le intercettò con le dita, mentre scivolavano e lasciavano una traccia pulita sul volto impolverato della giovane di Trarcis «Ora basta piangere, ragaz… Siina: proseguiamo.»

    A metà giornata i raggi di Diesef avevano reso l’aria tiepida e i due ragazzi si fermarono in un campo, a poca distanza dal ciglio della strada che conduceva ad Arielnor; sedettero sui mantelli e mangiarono, all’ombra di una quercia: erano quasi alla fine della via che dal colle di Trarcis giungeva alla valle di Dratas.

    Nahua diede le spalle a Siina ed estrasse un piccolo oggetto dal sacchetto di cuoio che aveva alla cintura. Lo rimirò, annuì e lo porse alla ragazza: era un ciondolo e una catenina d’argento, un tribulus per la precisione, una serie di tre spine intrecciate. «Felice genetliaco, Siina!» si sporse in avanti e la baciò sulla guancia, all’angolo della bocca.

    Lei lo spinse via con entrambe le mani e si girò dall’altra parte, rossa in viso; raccolse l’oggetto dalle pieghe del mantello «È bellissimo.» lo rigirò tra le dita e lo mise al collo «A chi l’hai rubato?» un sorrisetto le increspò le labbra.

    Nahua abbassò lo sguardo e sospirò, scuotendo il capo. Siina sbirciò il giovane di sottecchi e lui risollevò la testa «Apparteneva a una mia compagna della Brigata, Lilia. Tre mesi fa doveva diventare mia moglie, una volta terminata la missione e ricacciate le tribù di orchi verso i Queqinavera.» Siina fissava il profilo del giovane che invece guardava la strada da cui erano giunti «Lei è morta: una ferita infettata.» estrasse un ciondolo identico da sotto il proprio corpetto di cuoio, lasciando intravedere la cicatrice sul petto «Il tribulus è il simbolo della Speranza: molti soldati lo portano.» Siina tenne sul palmo il monile e ne seguì con le dita la forma intrecciata delle tre spine ricurve «So perché vuoi andare a Dratas, ma ti prego: pensa bene a quello che vuoi dalla vita, perché non so cosa farei se ti perdo di nuovo.» le parole di Nahua furono un sussurro.

    Conclusero il pasto frugale accompagnati dal cinguettio degli uccelli appollaiati sui rami della quercia e ripresero il cammino.

    Siina si girò verso Nahua «Te ne sei andato più di un anno fa: perché hai deciso di tornare?»

    Nahua esibì un mezzo sorriso «Volevo vederti e sapere se avessi cambiato idea…» piegò la testa di lato.

    «Andiamo, svelto: c’è ancora molta strada da fare prima di sera.» superò il giovane: lui la rincorse, le afferrò la mano e la fece fermare: i suoi capelli castani, lunghi fino alle spalle, la barba un po’ incolta, lo sguardo serio sui lineamenti marcati, una piccola cicatrice vicino all’occhio sinistro e quella che si intravedeva sul petto, asciutto e muscoloso… Siina avvampò e distolse lo sguardo.

    «Allora?» la scosse Nahua.

    Siina deglutì «Non…» il suo corpo tremava «No, non ho ancora cambiato idea.» e liberò la mano con uno strattone «Ora andiamo!»

    Nahua la seguì e sollevò l’angolo della bocca in un sorriso sghembo.

    A un giro di clessidra dal tramonto i due erano in vista di Arielnor, grande due volte Trarcis: giunti tra le prime abitazioni del paese, Siina si diresse verso il centro, dove l’insegna di un boccale indicava la locanda. Nahua si schiarì la voce e le fece cenno con la testa di seguirlo: arrivò davanti a una casupola; bussò. Siina rimase qualche passo indietro.

    Una voce stridula urlò «Arrivo» dalla porta emerse era una figura ingobbita e dal volto rugoso «Nahua: che Clilor ti benedica!» si fece da parte.

    «Non voglio disturbare, signora Mery… e stavolta non sono da solo.» si girò a indicare Siina col mento «Penso che la rimessa degli attrezzi andrà più che bene per stanotte.» Siina annuì e fece un passo avanti.

    «Nessuno può dire in giro che la vecchia Mery non ha accolto in casa sua un soldato della Brigata.» la donna si portò le mani nodose sui fianchi «E ora entrate e fate come vi dico, senza farvi pregare.» la voce si era fatta di nuovo stridula e imperiosa «La zuppa è quasi pronta e ce n’è abbastanza per tutti e tre.» i due giovani entrarono e l’anziana lanciò un’occhiata circospetta tutt’intorno. Una volta dentro, richiuse l’uscio e tirò il catenaccio.

    Capitolo II

    Un caldo tepore accolse Siina e Nahua all’interno della casa: Mery Brufor indicò col dito adunco una panca. Lei andò a ingobbirsi al focolare, sul paiolo da cui si esalava un denso vapore che sapeva di verze, cipolle e altre verdure bollite: la stanza ne era pregna e l’aroma si mescolava all’odore acre della torba che alimentava il fuoco.

    I due giovani si sedettero fianco a fianco e il legno della panca emise numerosi scricchiolii. Entrambi misero a terra il proprio bagaglio sotto al tavolo tarlato e Siina appoggiò il bastone alla parete della facciata, accanto a sé.

    «Allora, ti hanno fatto sergente, ragazzo?» le dita nodose di Mery ghermivano il legno del grosso mestolo; la donna sbirciò verso Nahua.

    «Già.» annuì lui e le dita andarono a sfiorare la mostrina sul mantello grigio: un rettangolino di tessuto biancastro circondato da uno spesso bordo verde era cucito all’altezza della spalla, in parte occultato dal cappuccio «Vostro marito?» Nahua osservò il giaciglio intonso all’altro lato della stanza.

    Mery si voltò verso il soldato e seguì il suo sguardo: lasciò andare il mestolo e si mise a sghignazzare, con la dentatura incompleta e irregolare, piegandosi in due e tenendosi le mani sull’addome «Non è ancora crepato quel vecchio caprone, se è questo che intendi.» si rimise a girare la zuppa «È partito tre giorni fa per Dratas con una mezza dozzina di uomini del villaggio. Affari. Me lo sono levato dai piedi per una decade, a Clilor piacendo.» sospirò «Sono convinta che venderà cara quella sua vecchia pellaccia. Anche quando giungerà il Cataclisma.»

    Siina si lisciò la gamurra, provocando altri scricchiolii «Non me l’avevi detto.» Nahua si girò a guardarla; la ragazza allungò il collo e la mano sfiorò la mostrina.

    Il sergente scrollò le spalle «Beh, tu non me l’avevi chiesto…» il rossore gli aveva imporporato il volto; fece una risatina, e sollevò gli occhi verso il tetto, che mostrava toppe di paglia fresca e fango ancora scuro.

    Siina si morse il labbro inferiore e tornò a guardarsi attorno alla tremolante luce del camino e della lanterna a olio, sul tavolo davanti a loro: dagli scuri alle finestre filtravano le sottili lame del chiarore di Diesef, ormai prossimo a tramontare. Gli occhi della ragazza si soffermarono sul focolare, l’unica parte in pietra della costruzione: la stanza era lunga non più di sei passi e il camino era a metà, tra il tavolo e i giacigli, di fianco all’altra porta. Siina si alzò e si avvicinò a Mery «Posso aiutarvi?»

    La donna alzò lo sguardo cisposo e la tenne lontana con la mano «Torna a sederti: è quasi pronta.»

    L’anziana donna servì quella fumante brodaglia in scodelle di legno e oltre alla zuppa mise in tavola pane scuro stantio, una caraffa d’acqua e una più piccola di birra attinta dal barilotto che faceva bella mostra di sé su un ceppo vicino alla madia.

    Mery sorbì rumorosamente dalla scodella e i due giovani la osservarono, soffiando sulla propria zuppa. Tra una sorsata e l’altra l’anziana donna si mise a parlare del tempo, del freddo e dei reumatismi, che l’avrebbero tormentata per tutto l’inverno: «Per non parlare dei Vati che sono passati qualche giorno fa e che sono anche peggio dei dolori alle ossa…» i due annuirono, continuando a sorseggiare la cena. Mery si schiarì la voce e puntò gli occhi su Siina «Ragazza, hai una faccia che non mi è nuova.»

    La giovane appoggiò la scodella sul tavolo, ma Nahua le mise una mano sul braccio «Siina viene da Trarcis, come me. È diretta a Dratas per avere notizie di suo fratello, Ran Dalàvia.»

    La vecchia aggrottò la fronte rugosa, mordicchiò una crosta di pane e annuì.

    Siina scrutò il volto di Mery, storse la bocca e si girò verso Nahua; lui scrollò le spalle. La ragazza piegò il busto in avanti e appoggiò i gomiti sul tavolo, col mento sulle dita intrecciate «Conoscete mio fratello, signora?».

    Mery masticava tenendo gli occhi scuri piantati in quelli azzurri di Siina. Inghiottì il boccone: «In molti da queste parti conoscono il capitano Dalàvia, ragazza. È passato da Arielnor due mesi fa e da allora non l’ho più visto. Doveva andare sul monte Kehill a caccia di orchi.» si volse verso Nahua «Non gliel’avevi detto?» di nuovo a Siina «Mi aveva promesso che sarebbe passato finita la missione.» la ragazza si lasciò andare contro la parete e le sue mani ora artigliavano il tavolo.

    Il sergente abbassò lo sguardo, grattandosi l’ispida barbetta castana «Non potevo parlarne con nessuno. Avevo degli ordini.» si schiarì la voce «Non sappiamo ancora cos’è successo.» Siina si spostò scivolando sulla panca e si alzò, ma lui le afferrò il polso, stringendo fino a farla sussultare «Mi hanno mandato sul monte Pelcal, dove è stato visto tuo fratello l’ultima volta, ma non ho trovato che i segni di uno scontro e cadaveri dei pelleverde, null’altro.» Nahua lasciò la presa.

    Siina lo fissò dall’alto, fremente e col volto contratto dall’ira «Perché me lo racconti solo adesso? Non sta bene disubbidire agli ordini, sergente Krast. Io non…» si afflosciò sulla panca, paonazza, con i lineamenti stravolti dalla rabbia e lo sguardo fisso sul tavolo, a pugni stretti.

    Le parole di Mery furono pacate «Ragazza, i soldati fanno quello che gli viene ordinato e rendono conto solo ai superiori.» l’espressione della donna si addolcì «Senza gente come tuo fratello adesso saremmo cibo per i vermi per colpa di quei pelleverde: devi essere fiera di Ran, di Nahua e di tutti gli altri che combattono nella Brigata.»

    Siina annuì, gli occhi azzurri erano velati di lacrime; si sfregò il polso arrossato dai segni delle dita di Nahua. Si schiarì la voce «Ho… ho bisogno della latrina.» si alzò e tenne lo sguardo su Mery.

    L’anziana le indicò la porta accanto ai giacigli «È di fianco al capanno.» puntò l’indice sulla mensola accanto all’uscio «Meglio che ti porti la candela, o rischi di cadere e farti male.»

    Siina respirò a pieni polmoni: la brezza le fece svolazzare i capelli e l’orlo del vestito «Sei vivo, lo sento.» gettò la testa all’indietro e chiuse le palpebre, passando il dorso della mano sulle guance a tergersi le lacrime. Riaprì gli occhi e osservò le stelle: con l’indice iniziò a tracciare un arco unendo sette puntini del firmamento «Manne, Cacciatrice Infallibile, è stato Ran che mi ha insegnato a pregarti: fa’ che possa rivederlo ancora, ti supplico.»

    L’anello luminoso di Ouroboros attraversava il cielo di Sphaera da una parte all’altra dell’orizzonte.

    Alla tremula luce della candela, Siina si diresse verso l’angusto spazio racchiuso dalle assi malferme; la porta poggiava su cardini arrugginiti che produssero uno stridulo cigolio: pendeva vistosamente e c’erano ampi spiragli tra i legni della fatiscente struttura.

    Siina entrò, accostò l’uscio e scivolò: rimase in piedi puntellandosi alle pareti, con un piede per metà oltre il bordo della buca delle deiezioni. Il cuore batteva all’impazzata e il respiro si fece affannoso. Il miasma di quel malsano bugigattolo le invase le narici e si portò una mano sulla bocca e sul naso, ricacciando in gola un conato: la candela cadde e si smorzò con uno sfrigolio sul pavimento viscido, lasciando Siina nell’oscurità. Trattenendo il fiato, sistemò i piedi e sollevò gamurra e sottoveste, accucciata sulla latrina.

    «Capitano Dalàvia» ridacchiò e scosse la testa «Voglio vedere la faccia di Edin Nerold quando lo saprà.» si rialzò e si sistemò il vestito. Uscì e lasciò la porta spalancata, chinandosi a tastare il terreno all’interno del gabinetto. Le dita della ragazza agguantarono la candela umida: Siina arricciò il naso e sfregò la mano sull’erba, scossa da un brivido: si rialzò e fece in fretta i pochi passi che la separavano dalla casa e tornò dentro.

    Nahua e Siina si fissarono e un lieve rossore imporporò il viso di entrambi: lui abbassò lo sguardo e sul viso della giovane comparve un sorrisetto. La ragazza posò la candela sulla mensola e andò sedersi sull’assito del pavimento, davanti al focolare, col sergente che seguiva di sottecchi ogni suo movimento «Ditemi di mio fratello, Mery» Siina fissava il fuoco, con le braccia cingeva le ginocchia al petto.

    «Ran è sempre stato un caro ragazzo, anche se spesso un po’ troppo impetuoso e con il brutto vizio di fare quello gli passa per la testa.» l’espressione di Siina si ammorbidì, annuendo col capo «Quando passava mi parlava anche di te, sai?» l’anziana donna sospirò «Diceva che voleva tornare a trovarti, ma non aveva cuore di farlo, perché chi torna a casa poi diventa triste e finisce per farsi ammazzare dai pelleverde. Era sicuro che tu un giorno saresti partita per Dratas, ragazza.» si alzò dallo sgabello, puntellandosi al tavolo «E a quanto pare quel mascalzone aveva ragione.» Siina socchiuse gli occhi, col fuoco della torba che andava smorzandosi, producendo più fumo «Come ti ha detto Nahua,» Mery le passò accanto e gettò un pezzo di combustibile tra le braci «non si sa nulla di preciso su quello che è successo e c’è ancora speranza: la neve non è ancora caduta sui monti.»

    Nahua si era alzato e si era portato al fianco della ragazza, sedendosi accanto a lei «Non potevo dirtelo, Siina…» le labbra della giovane ripeterono le sillabe del proprio nome e sorrise compiaciuta «… a ogni modo,» la voce di Nahua la fece sussultare e si voltò a sbirciare verso di lui «ti farò incontrare il maggiore Dreate, così lui ti spiegherà meglio la missione di tuo fratello.» Le fiamme proiettavano ombre in continuo movimento alle spalle dei due giovani.

    «Avete più sentito parlare dei traditori?» Nahua guardò il volto di Mery, in piedi dietro di loro.

    La donna scosse il capo «So solo che le strade sono pericolose e i pelleverde sono più vicini che mai. Il raccolto quest’estate è stato magro e sono aumentati anche i briganti: è un bel problema viaggiare di questi tempi.» si udiva solo il crepitio del fuoco e qualche voce ovattata provenire dall’esterno. La vecchia aprì la cassapanca e si ingobbì a rovistare: tirò fuori una coperta di lana, sfilacciata ma pulita, e la buttò a Nahua «Potete dormire anche lì, se volete» gettò un altro pezzo di torba nel focolare e si avviò al proprio giaciglio, infilandosi sotto le coperte dopo aver spento la lanterna che si era portata appresso.

    Nahua sistemò la coltre sulle spalle della ragazza «Posso dormire anche senza coperta, se preferisci…»

    «Sei una stupida testa di orco, ecco cosa sei.» Siina si girò verso di lui, scosse il capo e si sdraiò, tenendo sollevato un lembo. Nahua si coricò: la ragazza lasciò ricadere la coperta e si rigirò, dandogli le spalle.

    Nahua le carezzò i lunghi capelli castani «Buonanotte» baciò la testa di Siina e le mise la mano sul fianco.

    Dalla penombra del suo giaciglio, la vecchia Mery Brufor sogghignò, chiuse gli occhi e iniziò a russare sommessamente.

    L’alba giunse accompagnata dal vociare e dal rumore di carri sulla strada. Nahua si alzò e andò a rimuovere gli scuri dalle finestre: una densa nebbia permetteva di vedere fino a una decina di passi. Sbuffò. Si avviò alla porta sul retro e sparì. Anche Siina e Mery si erano alzate e stavano preparando la colazione: presa una forma di pane dalla madia, la ragazza la tagliò a fette, mentre la vecchia si occupava della birra, annacquandola; Nahua rientrò, si sedette accanto a Siina e iniziarono a mangiare. Una volta terminata la colazione, i due giovani raccolsero i mantelli e le sacche.

    «Aspettate…» Mery avvolse pane e formaggio in larghe foglie di vite «Mi raccomando: state attenti.» li diede a Nahua «E tu abbi cura di lei.»

    «Grazie di tutto signora Brufor…» Nahua si schiarì la voce all’occhiataccia della donna «Mery, intendevo dire Mery… Dirò al comandante della vostra ospitalità e verrete di certo ricompensata.»

    L’anziana fece cenno a Siina di avvicinarsi «Ragazza, ci tiene davvero a te. Non lasciartelo scappare: di questi tempi uomini onesti e innamorati si trovano raramente!» le disse all’orecchio «Ora andate, la strada per Oltaun è lunga e non è il caso di viaggiare col buio.»

    I due ragazzi lasciarono Arielnor a bordo di un carro, dopo aver barattato il passaggio per un pezzo di pane e formaggio; il carrettiere, un garzone di nome Riss Carter, era diretto al mulino di quel borgo.

    «È il più grande nel raggio di due giorni di cammino» Nahua spostò un paio di sacchi di granaglie e prese Siina per i fianchi, issandola sul convoglio.

    Riss canticchiava allegramente seduto a cassetta e la sua voce era accompagnata dal rumore degli zoccoli e delle ruote sulla strada ghiaiosa.

    «Dimmi dei traditori.» Siina appoggiò la schiena alla sponda e incrociò le gambe, col mantello a farle da coperta.

    Nahua stava con le gambe ciondoloni fuori dal carro e fissava la strada che si lasciavano alle spalle «Non so di preciso come spiegare, ragaz…» si girò verso di lei e si schiarì la voce «Volevo dire… Siina» lei gli sorrise e gli fece cenno con la mano di continuare «Negli ultimi mesi le incursioni degli orchi sono state quasi sempre in zone prive di truppe. È stato impossibile fermare gli attacchi dei pelleverde: tanti villaggi sono stati bruciati e gli abitanti uccisi.» sospirò, riportando lo sguardo alla strada «Una volta fatta la razzia, fuggono sui monti e fanno perdere le tracce, con bottini magri. È strano: una volta erano le cittadine e i borghi i loro bersagli preferiti, dove c’è più ricchezza.» si passò le dita tra i capelli «Come ti avrà raccontato tuo fratello, la Brigata della Speranza è fatta di volontari: qualcuno più sveglio di me mi ha spiegato che questo non piace a una parte degli abitanti del Keldetuir, sarebbe meglio dire a qualcuno dei Saggi. Gira voce che una parte di loro vuole dichiarare la Brigata fuorilegge e farci sparire da Dratas e dalle altre città per mettere al nostro posto un esercito confederale agli ordini del Senato. Altri mi hanno spiegato che il clero di Ouroboros ha problemi con i nostri comandanti.» il carro sobbalzò prendendo una buca e Nahua restò aggrappato grazie alla prontezza di Siina che lo afferrò per la spalla «Grazie.» sospirò e si passò una mano sulla fronte «Ebbene, da quel che ho capito io, per ora nessuno riuscirà a toglierci di mezzo: la gente delle nostre città si fida di noi e non vuole qualcuno che arriva da fuori. Ma se le cose peggiorano, allora sì che sono guai.» Nahua arricciò le labbra e abbassò la testa.

    «Non capiterà, ne sono certa» Siina carezzò il braccio del sergente «Quindi se tu dici che ci sono dei traditori, allora complottano coi pelleverde, giusto?» Nahua annuì «Qualche comandante della Brigata?»

    Il sergente assentì di nuovo «Sono loro a sapere dove si trovano le truppe: questa è l’unica spiegazione.»

    L’andatura del carro si era fatta sostenuta e anche il rumore divenne più forte: Nahua spostò un altro sacco e si accomodò vicino a Siina «Di una cosa sono sicuro: il nostro colonnello non c’entra. Lo vedrai coi tuoi occhi.»

    «Che cosa pensano di fare i tuoi superiori?» la voce era titubante «Come pensando di risolvere…»

    «Sono solo un sergente degli esploratori: non chiedono la mia opinione su questioni del genere.» Nahua strinse i pugni e digrignò i denti.

    Siina gli prese la mano e la strinse tra le sue «Ci sono io a darti una mano.» dalle labbra si intravidero i denti ben allineati della ragazza.

    Lui guardò il suo viso, poi la mano, poi di nuovo i suoi occhi azzurri «Sono contento di averti qui con me.»

    avvicinò il volto a quello di Siina, che si ritrasse. Nahua si accostò ancor di più e la ragazza chiuse gli occhi.

    Le labbra si sfiorarono con tenerezza, poi con impeto via via crescente, una volta, un’altra e un’altra ancora.

    I due si sdraiarono tra i sacchi, coprendo i loro corpi con i mantelli; le loro mani si muovevano sui volti e tra i capelli l’uno dell’altra.

    «Ehi, voi, piccioncini: se avete finito di tubare, io avrei un certo languorino…» Riss era girato verso di loro, con la faccia tutta impiastricciata di polvere e con un sorrisetto. Si passò la lingua sulle labbra.

    Siina e Nahua si stavano ancora scambiando effusioni quando il carro si era fermato: rossi in viso, i due si rassettarono e saltarono giù, distogliendo lo sguardo dal garzone. Fecero qualche passo per sgranchirsi le gambe e andarono ad appoggiarsi alla sponda, accanto a Riss.

    «Questo è per te» Nahua gli diede una parte del pane e del formaggio.

    Mangiarono osservando il paesaggio: solo qualche albero spuntava dalla foschia, con i suoi colori accesi dell’autunno, uniche note vivaci in quell’umida distesa nebbiosa. La luce di Diesef giungeva malaticcia e fredda oltre il velo della bruma.

    Nahua sbirciò verso Riss «Non vado a Oltaun da un po’: sai se c’è qualche novità?»

    «A dirla tutta non arrivo mai fin là: non mi danno abbastanza per permettermi le locande del borgo. E poi il mugnaio mi lascia dormire nel granaio in cambio di un po’ d’aiuto con i sacchi di farina…» si accostò a Nahua, facendo schermo alla bocca con la mano «Dovresti vedere sua figlia: è proprio un bel bocconcino.» sghignazzò, sputacchiando pezzetti di pane e formaggio.

    Siina aggrottò la fronte, continuando a masticare e osservare altrove.

    Nahua, accennò un sorrisetto complice «E i pelleverde? Se ne sono visti di recente?»

    «Bah… la gente ha una fifa matta, ma qui gli orchi non si fanno vedere da un pezzo, ormai.» si grattò il mento squadrato «È strano: di solito prima dell’inverno si gettavano in qualche attacco a Oltaun.» scrollò le spalle «A dirla tutta ho più paura dei briganti che di quelle bestiacce.»

    Siina si schiarì la voce, scrutando la strada fin dove l’occhio le permetteva «Non è meglio ripartire? Così saremo a Oltaun prima del tramonto…»

    Riss si infilò in bocca l’ultimo boccone e, ancor prima di averlo deglutito, annuì «Certo che sì: e poi c’è Nell che mi aspetta…» si stiracchiò «La figlia del mugnaio.» diede di gomito a Nahua.

    Proseguirono il viaggio per tutto il pomeriggio, tutti e tre seduti a cassetta, con Nahua e Siina ai fianchi di Riss: scambiarono solo poche parole, mentre il carrettiere si esibiva in canzoncine allegre, senza tuttavia lesinare occhiate verso Siina, passandosi la lingua sulle labbra ogni volta; lei guardava avanti, ma provava un brivido lungo la schiena e si stringeva nel mantello.

    Nahua aveva tenuto nascosta la mostrina della Brigata sotto la piega del cappuccio e discorreva col garzone dei luoghi e le stradine che vedevano; gli domandò del mulino, del mugnaio e persino della figlia, Nell.

    «Dovresti vederla: ha due tette così» fece il gesto con tutte e due le mani «e quando la porto nel fienile…» guardò verso l’alto, fischiando a più riprese e muovendo il bacino «Peccato che ho già una moglie, altrimenti...» sghignazzò, dando di gomito a Nahua.

    Siina chiuse gli occhi e strinse il bastone con tale forza che le nocche divennero bianche.

    Riss aveva fatto trottare di buona lena il cavallo e ora la cittadina di Oltaun si intravedeva oltre la struttura in pietra del mulino, che sorgeva di fianco al ruscello.

    Nahua e Siina avevano il volto coperto di polvere che si era incollata alla pelle per via della nebbia, che non si era levata per tutto il giorno.

    «Grazie per il passaggio, Riss» Nahua offrì l’avambraccio, che il carrettiere strinse con decisione.

    «A presto.» ripartì per una stradina secondaria, lasciandoli sulla via principale.

    Nahua e Siina si incamminarono di buon passo verso Oltaun e man mano che avanzavano il profilo del borgo si faceva sempre più netto. Diesef, pur pallido e sbiadito, era ancora lungi dal tramontare «A quanto pare arriveremo prima del previsto, ma sono contenta di essermi levata di torno quel… quel viscido di Riss.» la ragazza fu scossa da un brivido.

    «Non vorrai entrare in città conciata così, vero?» Nahua le passò un dito sulla fronte e le mostrò la polvere raccolta sul polpastrello.

    La ragazza frugò nella sacca e cominciò a strofinarsi il volto con una pezzuola, lasciando strisciate ancora ben visibili. Nahua si mise a ridere e schivò di un soffio la bastonata.

    Fece un passo verso di lei «Sta’ ferma, ci penso io…» strappato il panno dalle mani di Siina, le tenne il mento mentre le tergeva il viso «Ora va meglio.»

    «Adesso tocca a me…» Siina si riprese la pezzuola, la scosse, la ripiegò e ci sputò sopra: in punta di piedi, reggendosi col bastone e col seno premuto contro il corpo di Nahua gli ripulì il volto e gli stampò un bacio «Nemmeno dopo un bagno nel torrente ti ho visto così pulito.»

    Capitolo III

    Siina e Nahua giunsero alla periferia di Oltaun: solo poche casupole erano state erette al di fuori della cinta di terrapieni e palizzate, da cui si ergevano a intervalli regolari delle torrette, anch’esse di legno.

    «È un po’ diversa da Trarcis.» gli occhi di Nahua avevano iniziato a guizzare da un punto all’altro man mano che si avvicinavano all’abitato; Siina aveva visto anche la mano del ragazzo stingersi attorno al pugnale in più occasioni.

    Il viavai di gente teneva impegnate le due guardie della porta meridionale che, armate di picche, fermavano tutti coloro che transitavano da quel varco.

    «Non ero mai stata così lontana da casa.» la ragazza spostò lo sguardo dalle case ai soldati «Non vedevo l’ora di arrivare in una delle grandi città del Keldetuir.»

    «Questo è solo un borgo…» Nahua aumentò il passo «Sbrighiamoci: al tramonto sbarrano le porte.»

    I due furono fermati prima di entrare nell’abitato «Chi siete e cosa siete venuti a fare a Oltaun?» entrambe le guardie si misero a girare loro intorno, osservandoli con attenzione.

    «Stiamo andando a Dratas: siamo qui solo di passaggio.» seguì con lo sguardo quello che l’aveva interrogato «Io sono Nahua Krast e lei è Siina Dalàvia.»

    I picchieri fecero cenno di proseguire e rivolsero l’attenzione a un carrettiere, che aveva già pronta in mano una moneta «Quando la finirete di spennarci con tutte queste gabelle?» lasciò cadere l’argento nella mano di uno dei due «Un giorno mi leverete anche il pane dalla bocca.»

    «Sempre a lamentarvi, messer Sarlon.» il soldato infilò il soldo nel sacchetto appeso alla cintura «Forza, andatevene.»

    L’altro diede di gomito al commilitone «E saremmo noi a togliergli il pane di bocca?» ridacchiò guardandolo allontanarsi «Quella scrofa di sua moglie gli costa ben più di una moneta con tutto quel che mangia.» entrambi si misero a ridere mentre l’uomo si allontanava.

    Siina si era attardata ad ascoltare la conversazione, così Nahua era tornato suoi passi e l’aveva afferrata per il braccio «Andiamo…» fece un cenno del capo verso la città «Meglio sbrigarci.»

    La ragazza indugiò presso le bancarelle fuori dalle botteghe e si perse con lo sguardo tra vicoli ed edifici, alcuni completamente in muratura, e senza lesinare espressioni di stupore tra gli «Oh» e i «Guarda». Domandò spiegazioni ora su una sartoria, ora su una costruzione più imponente, che le fu detto essere un tempio.

    «E no, non so di quale divinità» Nahua si avvicinò alla ragazza «Mi spiace rovinare la tua bella gita, ma non voglio perdere altro tempo: cerchiamo un alloggio e domani andiamocene in fretta.» gli occhi del giovane si muovevano in continuazione a scrutare ogni sagoma che si profilava; con fermezza, sospinse Siina.

    «Non hai contatti a Oltaun?» Siina lo guardò in tralice e lo vide scuotere il capo «Si può sapere che cosa ti prende?» gli si parò davanti con una mano sul fianco e l’altra a reggere il bastone puntato sul suo petto.

    Lui abbozzò un sorrisetto, distogliendo lo sguardo «Oltaun è dove è nata e cresciuta Lilia, la donna che dovevo sposare.» la mano sfiorò la catenina a cui era appeso il ciondolo del tribulus «I suoi due fratelli vivono qui e non hanno mai avuto simpatia per me.» deglutì e guardò il volto di Siina «Ora che lei è morta, credo che vogliano vendicarsi. Capisci?» serrò la mascella.

    La ragazza annuì «Il borgo è grande, non credo che li incontrerai se non vai a cercar…»

    Lui le pose l’indice sulle labbra «Sei sempre stata troppo ottimista, proprio come Ran.» lo sguardo di Nahua era puntato su due uomini «Non credo ci sarà bisogno di cercarli.» col mento li indicò a Siina «Koan, Ruscos…» un lieve cenno del capo.

    I due si fermarono fianco a fianco e sputarono a terra «Chi è questa? Un’altra di quelle che vuoi portare al macello?» il primo guardò Siina dall’alto al basso.

    «Hai fatto alla svelta a dimenticare nostra sorella… e per di più con una ragazzina raccattata in chissà quale bettola.» Ruscos fece un passo e afferrò Nahua per i capelli «Di’ le tue ultime preghiere.»

    Siina sbirciò il volto di Nahua e lo vide socchiudere gli occhi «So che date a me la colpa di quello che è successo a Lilia. Anch’io continuo a farmi la stessa domanda, se avessi potuto fare di più per convincerla a fermarsi.» deglutì «Ma sapete anche voi che non era possibile fermarla quando si metteva in testa qualcosa.» Una lacrima scivolò sul volto di Nahua e riaprì gli occhi «Avrei dato la mia vita per lei: era una guerriera ed era consapevole di cosa avrebbe potuto succedere quando si è arruolata nella Brigata.» alzò la testa e guadò in faccia Ruscos «Se prendermi a pugni ti farà stare meglio, fallo: non mi difenderò.» spostò lo sguardo sulla ragazza «Lei però non c’entra nulla: lasciatela in pace.»

    Koan appoggiò una mano alla spalla di Ruscos e i due si guardarono in faccia: Ruscos digrignò i denti e prese a lanciare improperi verso Nahua, i suoi parenti più prossimi e persino diverse divinità. Una piccola folla di curiosi iniziò a formare un capannello, ma la gente venne dispersa quando i due allargarono la cerchia delle minacce anche a quelli che si erano avvicinati.

    «Koan, Ruscos…» Siina si mise tra Nahua e i due uomini, stringendo con forza il bastone al punto da far sbiancare le nocche «Io non so molto di quel che avvenne quel giorno, ma conosco Nahua da un bel po’ e posso giurare su Manne, e che una delle sue frecce mi passi da parte a parte se dico il falso, che se lui avesse potuto fare qualcosa, oggi Lilia sarebbe viva: amava vostra sorella, non ho dubbi.» i due si scambiarono un’occhiata «Penso che vostra sorella non avrebbe voluto vedere i suoi fratelli trattare in questo modo l’uomo che voleva sposare. Pensate a Lilia e all’affetto che vi legava e che vi lega ancora.»

    I due uomini borbottavano tra loro, corrucciando la fronte: Koan, il più giovane dei due, annuì «Ragazza, le tue parole sono giuste: Lilia si rivolterebbe nella tomba se rovinassi quel bel faccino, anche se avrei una gran voglia di farlo. Sono sicuro che poi nostra sorella ci farebbe avere gli incubi finché campiamo.» un ghigno apparve sulle sue labbra «Sì, sono sicuro che ci farebbe patire le pene degli Inferi dei Tormenti qui su Sphaera se facciamo una cosa del genere…» Ruscos annuì e diede di gomito al fratello.

    Koan fissò Nahua «Anche se non ti abbiamo fatto a pezzi non significa che ti abbiamo perdonato e nemmeno ci piace vedere il tuo muso da queste parti.» allungò la mano sporca di terra e sollevò il mento di Siina «Ragazza, hai lo stesso spirito di Lilia e forse le assomigli anche un po’, per quel poco che ne capisco.»

    Ruscos annuì «Ti do un consiglio: lascialo perdere» un cenno verso Nahua «e cercati un uomo: camperai meglio e magari ti salverai quando arriva il Cataclisma.» le si accostò «Non buttare la tua vita per lui.»

    I due fratelli sputarono a terra e si allontanarono. Siina guardò verso il suo compagno di viaggio: era sbiancato e le gambe gli cedevano, così lo sostenne per la vita, infilando la testa sotto alla sua spalla. Lo fece appoggiare al muro di una casa e lasciò che scivolasse fino a sedersi per terra; tirò fuori l’otre dalla sacca e lo fece bere.

    Nahua riprese colorito e Siina sedette al suo fianco, gli prese la mano.

    «Grazie!» Nahua sollevò il braccio e baciò la mano che teneva la sua.

    «Ora sarà meglio trovare un posto dove passare la notte e dove mangiare qualcosa» Siina aiutò Nahua a tirarsi su «Sono certa che un modo per sdebitarti lo troverai.» e ammiccò al sergente.

    I due giovani arrivarono nel centro della cittadina e, tra le varie locande che si affacciavano sulla piazza, Nahua si diresse verso quella con un Airone Rosso dipinto sull’insegna che pendeva poco sopra l’ingresso «Ci sono già stato: costa poco e il cibo è buono.» Siina lo seguiva rimirando le varie costruzioni che si affacciavano su quello slargo.

    Al bancone fu Nahua a condurre la trattativa e con il locandiere per avere un letto nella stanza comune con altri ospiti, la cena e la colazione del mattino successivo per una moneta d’argento a testa «… e a quello ci aggiungerete anche pane e formaggio per viaggio.»

    L’oste accigliandosi sbuffò «Tu mi vuoi rovinare, ragazzo!» emise un grugnito, ma assentì «La cena è al tramonto e la serviamo per un giro di clessidra.»

    Nahua e Siina tornarono nella piazza, dove alcuni commercianti stavano ancora esponendo le mercanzie su delle bancarelle: la ragazza ebbe modo di constatare, avvicinandosi, che erano montate su ruote per facilitarne gli spostamenti. Dopo averne osservate alcune, i due imboccarono la via verso Est.

    Siina si lisciò il vestito «Lo sai perché ho deciso di lasciare la mia casa?»

    «Per cercare Ran. E per arruolarti nella Brigata.» il sergente si grattò il mento ispido, spiandola di sottecchi.

    Gli occhi di Siina erano puntati sulla strada davanti «Non solo: Ran è mio fratello e mi ha insegnato quello che so sulla vita nei boschi, sul combattimento col bastone e su molto altro ancora.» si voltò verso Nahua «Anche tu fai parte della mia vita: sai quanto ci tengo a te…» la voce le tremò «Però c’è dell’altro.»

    Camminavano fianco a fianco e le persone che passavano loro accanto chiacchieravano, ridevano e talvolta urlavano; si udivano i martelli battere sulle incudini, il raspare di una pialla, il cigolio di una carrucola o una porta che sbatteva; l’aria era satura dell’odore di torba bruciata e di erba umida. «Io non so niente del mondo, non so leggere o scrivere.» Siina guardò verso Nahua «Non so praticamente niente del Cataclisma, degli dei o di Ouroboros, ma non voglio passare la vita senza avere delle risposte.» sospirò e tirò su col naso «A Trarcis non le potevo trovare…» Nahua le passò una mano sulla spalla e la tirò a sé «Non voglio fare la fine di mia madre, che si è sposata con un pastore che non ha conosciuto fino al giorno delle nozze, solo perché suo padre l’ha venduta per qualche moneta. E ho paura di fare la fine di quella là,» puntò il dito su una donna dall’altro lato della strada che camminava a capo chino: era assieme a una signora con abiti sfarzosi che le comandava cosa fare e dove andare «una schiava al servizio della moglie di giorno e del marito di notte, come ci raccontavano al villaggio: è la paura più grande che ho.» la voce le tremava.

    Nahua le baciò la fronte e i capelli castani, ancora screziati dalla polvere «Sei stata coraggiosa ad andartene, ma questo non basta.» la voce era calma e gentile «Da ora in poi dovrai contare solo sulle tue forze e su poche persone fidate: non tutti saranno pronti a darti una mano per trovare il tuo posto nel mondo. E ricordati che sarà difficile scegliere la tua strada.» sospirò «E ti serviranno soldi e pazienza in abbondanza, perché è questo che ti aspetta. Dovrai anche adattarti: una vita intera può non bastare per avere ciò che vuoi.» si fermò e prese Siina per le spalle «Però sono sicuro che ci riuscirai. E io sarò con te.» lei gli sorrise. Ripresero a passeggiare per le vie di Oltaun, osservando ora una famiglia che rientrava in casa, ora un gruppo di bambini intenti a giocare con delle spade di legno, ora un edificio più imponente con un gonfalone appeso e una guardia alla porta, ora un paio di picchieri che facevano la ronda. I loro passi li avevano condotti infine alla porta orientale «Domani lasceremo la città per questa strada» Nahua osservò la via che si addentrava nella foschia «Per andare a Dratas, passeremo da Delbaht e Urnisa.»

    La pianura si stendeva davanti a loro e all’orizzonte si stagliava la catena dei Queqittigas, emergendo dalla nebbia che si stava di nuovo levando dal terreno.

    «Sono le stesse montagne che vedevo da casa mia,» Siina si umettò le labbra «Sembrano più grandi ma allo stesso tempo lontane.» Diesef proiettava le loro ombre per un paio di passi ed era prossimo a scomparire alle loro spalle «Davvero assomiglio a Lilia?» gli occhi andarono al volto di Nahua.

    «Forse un po’. Lei era più alta e aveva le tette più grosse.» Nahua ridacchiò nel vedere il volto della ragazza contrarsi in una smorfia «Però era lei che mi ricordava te, non il contrario. E

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