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Terra alta
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E-book113 pagine1 ora

Terra alta

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Info su questo ebook

A causa del carattere schivo e delle strane visioni che lo assalgono, Safìr è emarginato da tutti. Un giorno di primavera, disperato per le insostenibili ingiustizie subite, decide di farla finita. Si dirige allora verso il picco della Terra Alta, un misterioso altipiano le cui macabre leggende si evocano con timore. Sulla via per lo strapiombo un improvviso terremoto sconvolge i suoi piani, ma Safìr decide di non tornare più in paese. Si rifugia allora in Terra Alta, dove incontra Baqà, un uomo folle e carismatico, che lo introduce ai segreti di questo luogo leggendario. Qui scoprirà che il suo oscuro passato è unito non solo ai fatti paranormali della Terra Alta, ma anche alle sue visioni interiori.
LinguaItaliano
Data di uscita11 mag 2020
ISBN9788835825821
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    Anteprima del libro

    Terra alta - Daniele Brancati

    MAGNOLIA

    Narrativa

    Daniele Brancati

    TERRA ALTA

    Terra Alta

    Daniele Brancati

    © 2019 – Il Seme Bianco

    ISBN 9788833611068

    Senza regolare autorizzazione è vietata la riproduzione anche parziale o a uso interno didattico, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia.

    I edizione febbraio 2019

    info@ilsemebianco.it

    www.ilsemebianco.it

    Il Seme Bianco è un marchio distribuito da Lit Edizioni Srl

    Sede operativa: via Isonzo 34, 00198 Roma

    O fratello,

    non hai altro che il tuo pensiero.

    Per il resto, non sei che ossa e vene.

    Se i tuoi pensieri sono fiori,

    essi formeranno un giardino.

    Se i tuoi pensieri sono rovi,

    serviranno solo per bruciare.

    RUMI, Masnavi, Secondo libro, 277

    Sommario

    I

    Via di qui

    Un salto nel vuoto

    Il varco

    In trappola

    Complicità

    Confidenze

    Il patto

    In aiuto

    L’albero che guarda

    Cambio di tempo

    II

    Una voce tra i faggi

    Restare solo

    I grandi coriandoli bianchi

    Senza speranza

    In solitaria

    L’altro Safìr

    Una sorpresa invisibile

    La fune magica

    Senza corpo

    La nuova memoria

    III

    In viaggio

    Una strana domanda

    Il fuoco nell’abisso

    Le viscere del vulcano

    L’acqua e il sale

    In mare

    Verità in cerchio

    Il fiume per il mare

    Il grano e la farina

    Si torna

    Confessione

    L’invito

    Il sole in cuore

    I

    Riaprì gli occhi e si sporse dalla finestra. Il falco ruotava all’orizzonte con i suoi cerchi abituali.

    Safir tornò a sedersi e dopo le prime righe gli successe di nuovo. La vista si annebbiò e quello strano spazio all’interno si aprì. Tra la caligine dei pensieri apparve un altro scenario: un roseto tra giacinti nel cortile di un casolare.

    Un giardiniere vestito completamente di nero potava con cura le rose e fischiettava una canzone allegra. D’un tratto quell’uomo si punse con una spina, si succhiò il dito e si voltò a salutarlo con la mano sanguinante.

    Col fiato grosso Safìr spalancò gli occhi. Poi tornò a osservare il volo del falco: era quasi sera. La pregò ancora una volta di lasciarlo salire sulle colline vicino alla Terra Alta. Farah scosse seccamente la testa.

    Via di qui

    Quando l’indomani il professor Shizin gli chiese di ripetere la lezione, tacque imbarazzato. Dalle retrovie arrivarono i soliti ghigni. Safìr arrossì, chinò il capo e mise le mani in tasca. Il professor Shizin si avvicinò, gli sollevò il mento e fece un sorriso sardonico: un brusio concitato risuonò tra i banchi.

    Safìr alzò lentamente lo sguardo e dopo un istante di esitazione decise di raccontarlo: quando aveva gli occhi chiusi aveva visto un bellissimo roseto in un cortile fiorito e un giardiniere che lo potava fischiettando.

    I compagni gli lanciarono le solite cartacce e Namìs lo punse alle spalle, il professore sbatté il registro sulla lavagna poi fece tacere tutti. Si riavvicinò a Safìr e si chinò: «Anche oggi ti aspetta», sibilò e alzò lo sguardo di sbieco sulla classe.

    Alla fine della giornata di scuola era ancora lì, a scrostare latrine, e non lo avevano neanche fatto mangiare. Ormai lo schema si ripeteva ogni giorno. All’inizio lo avevano messo in prima fila, poi in un banco isolato di fronte alla cattedra. Non aveva neanche il tempo di voltarsi e le rare volte che ci riusciva i suoi compagni si giravano dall’altra parte. Poi arrivarono a poco a poco le punizioni: pulire le lavagne, lucidare i corridoi, oppure lavare i bagni.

    Quando ebbe finito si tolse i guanti e si chinò sullo zaino, ma d’improvviso un calcio lo fece schizzare via.

    Scattò in piedi, ma Namìs gli strinse con forza la nuca e lo fece inginocchiare, poi gli piegò la testa sulla latrina. Safìr si divincolò e il compagno di classe lo spinse con più violenza, poi gli assestò una ginocchiata sui reni.

    «Siccome sei in anticipo», ghignò Namìs e gli affondò ancora di più le unghia nel collo, «ora scrosti quelle che restano da fare a me», gli sputò addosso e corse via.

    A volte erano i grappoli candidi delle acacie, altre volte le prime ciliegie scarlatte. Quel giorno, però, i primi pensieri dopo la campanella delle punizioni furono l’aria frizzante delle alture e il sole di aprile che faceva maturare i frutti selvatici.

    Arrivato a casa, Safìr rispose a Farah come sempre, che andava tutto benissimo, ma questa volta non le chiese il permesso di andare su in collina.

    Divorò un biscotto poi buttò il manuale sullo scrittoio e l’aprì: c’era ancora parecchio da recuperare.

    All’inizio della seconda pagina successe ancora: dalla foschia dei pensieri emerse una distesa d’acqua. Un marinaio da una barca a vela gli gridò «Per il mare!», ma lui il mare non lo aveva mai visto. In quella regione interna il mare era solo un miraggio, un racconto di viaggiatori di passaggio da una costa all’altra dell’Iran.

    Riaprì gli occhi ma di colpo ebbe le vertigini, poi, tenendosi al muro, andò a stendersi sul letto.

    Chiuse di nuovo le palpebre: la distesa d’acqua e quell’uomo in barca si stavano lentamente dissolvendo in una bruma luminosa.

    La testa non gli girava più. Si alzò appoggiandosi alla parete e si affacciò alla finestra: l’aria era tiepida e il falco faceva i suoi soliti cerchi al tramonto.

    Socchiuse le persiane, accese la lampada e poi sfogliò di nuovo il manuale: restavano troppe pagine da leggere. Lo richiuse di botto, lo infilò nello zaino, poi tornò a stendersi e mise la testa sotto il cuscino.

    Questa volta erano dei campi minuscoli, come ricamati sulla terra. All’altezza di una vasta prateria si tuffò da quella piccola nuvola facendo una piroetta e sprofondò in un campo. Sotto l’erba era nascosto un lago attraversato da lunghe radici che s’irrobustivano in superficie. Da lì un enorme tronco d’albero si slanciava verso il sole: Safìr allargò le braccia e nuotò verso i riverberi che lo abbagliavano.

    Preoccupata dai rumori Farah entrò in camera: quando gli vide allargare le braccia in alto, nel vuoto, trasalì. Si portò una mano al petto e si accostò a passi svelti al letto: negli occhi semi aperti del nipote scoprì una tenera beatitudine. Gli stese una coperta addosso, gli diede una carezza sui ricci scarmigliati e uscì in punta di piedi dalla stanza.

    Quando si svegliò, Safìr corse a spalancare le persiane e si affacciò alla finestra: il fruscio dell’albero nel lago pareva venire da laggiù, proprio dal campo sotto casa.

    Rientrò scuotendo la testa, era già ora di andare a scuola. Bevve di corsa il tè, si lavò e si preparò all’azione. Era ormai deciso: bisognava farla finita.

    Un salto nel vuoto

    Indossò il lungo maglione bianco e mise il manuale nello zaino. Salutò sottovoce Farah e tremando le diede un’ultima carezza sulla spalla ancora avvolta dalle coperte.

    Sentì un formicolio alla schiena: d’istinto gonfiò i polmoni e trattenne il fiato poi una gioia indefinibile tra

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