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E-book83 pagine1 ora

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Weird - racconto lungo (53 pagine) - Una soffitta che nasconde cimeli e un torbido mistero...


Alberto è uno studente di Ingegneria elettronica con la passione per l’informatica, in cerca di materiale per la tesi sulla radio. Per questo, si reca in soffitta in cerca dei cimeli appartenuti al nonno, anche lui ingegnere nonché radioamatore appassionato di musica. Oltre ad alcuni modelli di Marelli c’è però qualcosa che attira la sua attenzione con grande forza: un vecchio album di fotografie con gli scatti di una ragazza bellissima, ritratta davanti a un microfono…


Roberta De Tomi è nata in provincia di Modena, "damsiana" con la passione dei libri, dell'arte e dello spettacolo, ha all'attivo alcune pubblicazioni tra cui: Come sedurre le donne (HOW 2 Edizioni, 2014), Magnitudo apparente (Lettere Animate, 2014) e Il maledetto residuo nel cuore (Rupe Mutevole Edizioni, 2015). Gestisce un paio di blog, è ideatrice dell'evento Words! e lavora in ambito culturale.

LinguaItaliano
Data di uscita5 ott 2021
ISBN9788825417630
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    Anteprima del libro

    Listen to - Roberta De Tomi

    Prologo

    Dora scostò il mangianastri per fare posto alla scatola, sul centrino che copriva il tavolino di cristallo. La aprì lentamente, con le mani tremanti e le labbra socchiuse sul momento in cui le emozioni si accavallarono nel cuore creando un senso di attesa crepitante.

    Il cigolio dei cardini la spinsero a rivolgersi alla porta, lasciata semi-socchiusa. Lo spiraglio di luce si allargò in una lama dorata che accese i motivi a losanghe del tappeto a pelo corto.

    Si portò le mani al petto, in cui il battito del cuore aumentò il battito al punto da essere sul punto di scoppiare.

    Il battente si spalancò insieme alla bocca arricciata da un grido.

    – Tu?

    Il secondo pulsante della tastiera del riproduttore di cassette si abbassò, una serie di crepitii furono seguiti da una voce in crescendo. Una voce di donna che sembrava raccogliere tutte le emozioni che aveva dentro.

    Strinse i pugni al seno, occhi chiusi, le labbra arricciate in una smorfia in cui sentiva il ripiegarsi del tempo.

    Un soffio la spinse a riaprire gli occhi e poi a scattare in avanti, verso la porta.

    Due occhi nei suoi, un brivido, due mani sollevate.

    – Aspetta!

    Si sporse in avanti, il piede destro si incastrò in qualcosa che le fece perdere l’equilibrio. Qualcosa la spinse indietro.

    La voce vibrò, quindi si sciolse in un acuto che segnava la fine dei vocalizzi.

    Dora si portò una mano sull’occhio: l’arco cigliare posticcio si era in parte staccato. Non lo sistemò: per una volta il trucco fu l’ultimo dei suoi pensieri.

    Due occhi si fissarono nei suoi, una mano si tese, due labbra accese da un tocco rosato, si schiusero nei vocalizzi che colmarono le distanze.

    I sensi ottusi le trasmisero immagini confuse: quattro ragazze in posa per una foto, i capelli cotonati, i microfoni cardiaci, le risate.

    Guardò la foto appesa alla parete, accanto alla porta. Un primo piano in bianco e nero che racchiudeva il senso di una giornata. Lei, giovanissima, appena diciottenne, con la testa in parte coperta da un velo, baciata dal marito sulla guancia. Francesco: stempiato, profilo greco, dritto. La mano sulla spalla, la stringe con i riguardi dell’amore.

    I vocalizzi si ridussero a sussurri.

    Posò la mano su quella spalla, ripensando a lui, una croce nel cuore ormai assottigliata dallo scorrere del tempo.

    Francesco era morto tre anni prima. Le aveva lasciato in custodia la scatola con le sue preziosa cassette, che aveva aperto solo in quel pomeriggio di lockdown. Maggio sembrava portare gli auspici del ritorno a una vita normale, le notizie sui contagi sembravano confortanti, anche se c’era qualcosa nell’aria. Un senso di cambiamento, come se il mondo in quei mesi fosse entrato in un Senso Unico privo di sbocchi. Le aveva aperto la scatola, forse per la noia, forse per il bisogno di affrontare finalmente un capitolo della sua vita lasciato in sospeso.

    Con un sospiro si rivolse alla porta.

    Mormorò: – Ascolta…

    Qualcosa passò nel corridoio, come un lenzuolo evanescente. Cercò di muoversi ma si sentì respingere contro il tavolino, riportandola al mangianastri. Da lì, la voce spezzò il silenzio. Scorse sulla sua pelle, sul tappeto, sulla foto, come qualcosa di viscido capace di lasciare una scia indelebile.

    La voce seguì il suo corso, poi si spense nei fruscii del nastro.

    Dora si avvicinò al mangianastri, premette lo Stop. Quindi si spostò verso la parete, si chinò sulla presa e raccolse la spina da terra. Era staccata ma era evidente che lo spettacolo doveva andare avanti. Anche senza elettricità.

    Giorno 1

    La soffitta non gli era mai sembrata così piccola, come in quel momento. Alberto estrasse la foto dalla tasca ricavata nella terza di copertina dell’album. Passò le dita sui lembi realizzati con l’uncinetto che avvolgeva la copertina di cartoncino. Il tempo aveva impresso il suo sigillo nelle macchie che ingiallivano il candore della trama. Anche nello scatto scorse le impronte del tempo divoratore. Non aveva però intaccato il volto della ragazza. Grandi occhi incorniciati da lunghe ciglia nere e dalla virgola dell’eye liner che la facevano sembrare il personaggio di un cartone animato giapponese; il naso con le graziose alette dilatate dal sorriso che mostrava perle candide, sporgeva inarcandosi verso l’alto. Al centro delle guance, due fossette erano l’affondo di una gioia intinta in un tocco di malinconia.

    I capelli bruni, gonfi sulla testa, ricadevano sul vestitino a tunica adornato da enormi bottoni di plastica, inanellati sull’allacciatura asimmetrica.

    Alberto si scostò dalla foto, si abbassò verso il tavolo da cui soffiò un velo di polvere. Alcuni corpuscoli veleggiarono nel suo apparato respiratorio, da cui eruppero una serie di poderosi starnuti. Non fece in tempo a coprirsi il volto, ma per fortuna era da solo, in quello spazio che sapeva di quei tempi in cui la mascherina non era un obbligo e lavarsi le mani era il rito che precedeva solo ogni pasto e l’uscita dal bagno.

    Tutto il resto avrebbe rasentato la nevrosi in tempi normali. Ora, invece, la nevrosi era dettata dal vicino di autobus troppo appiccicoso o da uno starnuto scoperto. Presto la nevrosi avrebbe potuto essere determinata dalla ricerca di un bacio o da un abbraccio di troppo. Un brivido gli attraversò la schiena. Il pensiero di non poter abbracciare la Marghe lo intimorì, anche perché non erano

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