Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Cento passi oltre la luna
Cento passi oltre la luna
Cento passi oltre la luna
E-book156 pagine2 ore

Cento passi oltre la luna

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

“Cento passi oltre la luna” è una storia di amicizia e di speranza, piena di bellezza e ricca di sentimenti autentici. La storia di un bambino speciale, la cui capacità di amare può superare ogni limite.
di Mirko Genovese
Cento passi oltre la luna narra le vicende di Lorenzo, un bambino timido e riservato che si ritrova a scrivere la storia della sua vita. Una vita fatta di gesti semplici e autentici, di figure e luoghi del cuore.
Lorenzo vive in un mondo tutto suo, un luogo che va oltre i confini dello spazio e del tempo, perché lì ci sono posti magici, in cui ognuno di noi può andare, basta volerlo.
L’universo di Lorenzo è un’oasi che puoi scorgere dall’orto del vicino o che puoi raggiungere fissando un punto nel vuoto. È il luogo in cui il protagonista cerca riparo quando ha bisogno di fare i conti con la realtà, che a volte è davvero troppo grande per un bimbo di otto anni.
È in questo mondo che Lorenzo è circondato dai suoi affetti più cari: tra questi, la maestra Paola e l’amica del cuore, Ginevra, rivestono un ruolo fondamentale, soprattutto di fronte alla prova più difficile che deve affrontare.
Cento passi oltre la luna è un romanzo delicato che affronta un tema importante con gli occhi limpidi e forti di un bambino. È una storia di amicizia, di affetti e di passioni in un mondo autentico, in cui tutto è come il piccolo protagonista vorrebbe che fosse, anche l’imprevisto inatteso e più difficile da accettare.
LinguaItaliano
Data di uscita28 feb 2022
ISBN9788833286310
Cento passi oltre la luna

Correlato a Cento passi oltre la luna

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Cento passi oltre la luna

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Cento passi oltre la luna - Mirko Genovese

    1

    Il rombo del motore interrompeva la quiete di quel pomeriggio d’estate.

    Curva dopo curva, l’auto rossa sembrava essere incollata alla strada, mentre percorreva quel tragitto che, da ormai quarant’anni, era il suo percorso abituale in quel periodo dell’anno. Si dirigeva a gran velocità da Sorrento verso Massa Lubrense, alla Baia delle Sirene.

    Le sue cromature, non più lucide come un tempo, facevano fatica a riflettere il sole che, a picco sulla carrozzeria, infuocava l’abitacolo. I finestrini, completamente abbassati, lasciavano entrare l’aria fresca che proveniva dal mare, mentre la radio suonava ad alto volume le note di "Torna a Surriento".

    Le due donne che, con i capelli al vento, cantavano a squarciagola, erano amiche inseparabili da sempre, fin da quando, bambine, con i genitori lasciavano il loro paese per trascorrere le vacanze estive in quell’angolo di paradiso.

    Il viaggio fu breve e, appena arrivate, scesero dall’auto e si guardarono intorno. Erano state in quel posto un’infinità di volte, eppure, ai loro occhi, quel luogo era incantevole come il primo giorno. Le alte scogliere verdi di rovi e muschi, il mare azzurro tutt’uno con il cielo, e il silenzio, spezzato solo dal suono delle onde che bagnavano la riva, rendevano il paesaggio surreale.

    A un tratto, una voce dal lido vicino ruppe quel silenzio.

    La signorina Girelli è pregata di recarsi urgentemente alla reception. Ripeto, la signorina Girelli è desiderata alla reception.

    Scambiandosi uno sguardo incuriosito, le due donne si allontanarono dalla costa.

    «Buongiorno Carlo!» disse una di loro.

    «Signorina Paola, mi perdoni, non sapevamo proprio in quale altro modo contattarla. Abbiamo chiamato l’hotel, ma ci hanno detto che era già uscita…»

    «Non preoccuparti, hai fatto benissimo. È successo qualcosa?»

    «Sarebbe meglio che si mettesse seduta.»

    Il volto di Paola si incupì.

    2

    Mi chiamo Lorenzo De Luca e ho undici anni. Ho sempre vissuto con i miei genitori a Sirolo, un piccolo borgo incastrato tra il monte Conero e il Mar Adriatico.

    In questo piccolo centro, la mia mamma, Laura, fa la commessa in un supermercato. Papà Enzo, invece, è un piccolo imprenditore edile. Non so bene cosa significhi, ma so che la maggior parte del tempo lavora ad Ancona, dove sono nato io.

    Quando mamma e papà sono impegnati col lavoro, mi portano a casa dei nostri vicini, Giuseppe e Lucrezia, due signori di Macerata cui i miei genitori, entrambi campani, sono molto legati.

    I miei sono venuti a vivere nelle Marche poco prima che io nascessi, proprio per via del lavoro, che sembra essere il motore della vita degli adulti.

    Mi piace vivere qui. Mi piacciono la brezza di mare e l’ombra del monte. Mi piace passeggiare con la mamma e respirare a pieni polmoni, perché, come dice sempre lei, quest’aria mi fa bene.

    Ho tanti amici, sparsi un po’ in giro. Ci sono i miei compagni di scuola e i bambini che vengono qui per le vacanze estive. Ci sono gli amici del vicinato. E poi ci sono quelli che sono andati via, per sempre.

    ***

    Prima del funerale, io e mamma siamo passati a casa della maestra Paola per farle le condoglianze e per chiederle se potevamo, in qualche modo, esserle di sostegno. Aveva perso il suo papà due anni prima e ora la mamma l’aveva lasciata a causa di un malore improvviso.

    Non ero mai stato lì prima, quindi ci abbiamo messo un po’ di tempo per trovare la casa.

    «Eccola! Quella è la sua macchina!» ho urlato, dopo aver riconosciuto l’auto con cui, tutte le mattine, la maestra arrivava a scuola.

    Credo che solo la maestra Paola ne possieda una come questa: è una Volkswagen Maggiolino molto vecchia, di un colore rosso sbiadito. La vernice è bruciata dal sole e la ruggine copre una buona parte della carrozzeria. È una cabriolet, ma in realtà la capote in tela, piena di rattoppi, è stata bloccata per impedirne l’apertura accidentale. Il rumore assordante del motore, riconoscibile già a un chilometro di distanza, annuncia il suo arrivo ogni mattina, insieme alla radio, che è sempre a tutto volume. Tutti sappiamo che la maestra è legatissima a quell’auto. Il padre glie l’aveva regalata per il suo diciottesimo compleanno e lei non è mai più riuscita a separarsene, nonostante i suoi amici la prendano in giro per questo.

    Ho tirato a me mia madre, che si faceva guidare tenendomi per mano. Ci siamo avvicinati alla Volkswagen e, alla fine di un vialetto, ci siamo trovati di fronte una splendida casa in pietra, costruita su due piani. Ha una piccola scala laterale che conduce al portone d’ingresso, a forma di arco. Circondata da un vasto prato all’inglese e da un giardino fiorito, la struttura stretta e il tetto spiovente la fanno sembrare molto alta. Dai davanzali delle piccole finestre bianche scendono cascate di fiori colorati. Ho pensato che la padrona di casa, che indossa sempre abiti molto colorati, con toni accesi e vistosi, ed è sempre allegra e vivace, sia la perfetta versione umana di quella casa.

    Quando la maestra è apparsa sulla soglia, però, quasi non l’ho riconosciuta. Mi ha fatto uno strano effetto vederla vestita di nero, con il viso scavato e gli occhi provati da una notte di pianto.

    Prima ha salutato la mamma, che l’ha stretta forte a sé, poi ha abbracciato me.

    «Ciao Lorenzo», mi ha detto, accennando un sorriso. «Riesci a farmi sorridere anche in un giorno così triste!» ha aggiunto, prendendomi il naso tra le dita.

    Questo mi ha fatto tornare in mente il giorno in cui l’avevo conosciuta.

    3

    Il mio primo giorno di scuola è uno dei ricordi più nitidi che ho. Fu mamma ad accompagnarmi e riesco ancora a vedere papà sulla soglia di casa, che, sorridendo, mi fa ciao con la mano. Quella mattina aveva deciso di andare al lavoro più tardi soltanto per riuscire a salutarmi e ricordo il suo sguardo che, a mano a mano che mi allontanavo, si rattristava.

    Sentivo che erano entrambi agitati per la mia nuova esperienza. Forse erano preoccupati, perché non avevo mostrato molto entusiasmo per l’inizio della scuola.

    Non mi era chiaro come si potesse essere eccitati per quello che, dal canto mio, vivevo come un distacco, un allontanamento dall’ala protettiva dei miei genitori. Se a questo si aggiungevano le storie che circolavano sul conto dei bambini più grandi, che facevano scherzi ai nuovi arrivati, non risulta poi così strana la mia riluttanza. Mamma e papà avevano cercato di tranquillizzarmi, assicurandomi che quelle erano solo storielle, e io finsi di essermi rasserenato solo per non farli stare in pena.

    L’immagine di mio padre, che pian piano diventava sempre più piccola, si impresse a fuoco nella mia mente mentre io, inginocchiato sul sedile posteriore dell’auto e voltato verso di lui, continuavo a guardarlo. Poco dopo, scomparve.

    Quando arrivammo a scuola, mamma si chinò per darmi un bacio sulla fronte. Non mi guardò, ma io riuscii a vedere i suoi occhi che si inumidivano. Percepii quel saluto come un addio. Era come se, nella mia testa, qualcosa volesse farmi credere che mamma mi avrebbe abbandonato lì. Anche se era tutto frutto della mia immaginazione, un’improvvisa morsa allo stomaco mi avvertì del senso di solitudine che avrei provato. Rimasi chiuso in me stesso mentre gli altri bambini giocavano e facevano amicizia.

    Ogni mattina quel pensiero si ripresentava puntuale al cancello della scuola. Non riuscivo a credere che, all’uscita, mamma mi avrebbe aspettato puntuale a quello stesso cancello. No, mentre lei mi faceva le solite raccomandazioni, io non la ascoltavo. Ero troppo preso a pensare al mio futuro senza i miei genitori e alla paura di restare solo.

    ***

    Trascorsi i primi, traumatici giorni, iniziai, seppure a fatica, ad ambientarmi. Strinsi le prime amicizie e, più il tempo passava, meno la scuola mi appariva ostile.

    Mi piaceva imparare ogni giorno cose nuove e, soprattutto, apprenderle dalla maestra Paola, sempre attenta che stessimo tutti al passo.

    «Immaginate la nostra classe come una squadra di atletica, impegnata in una staffetta», diceva. «Ogni giorno di scuola è una gara e noi, insieme, dobbiamo cercare di vincerla. Se qualcuno rimane indietro, però, dobbiamo fermarci e aiutarlo. Meglio perdere una gara che un compagno!»

    La maestra Paola era la maestra più bella di tutta la scuola, sebbene fosse molto stravagante. Aveva un sorriso luminoso e lo sguardo dolce, lunghi capelli neri e occhi scuri. Anche la sua carnagione era scura. Indossava spesso vestiti eccentrici, camicie ricamate e lunghe gonne colorate. Portava sempre dei grossi orecchini a cerchio, cui doveva essere particolarmente legata. Questo stile da gitana la rendeva ancora più unica di quanto già facessero i suoi modi gentili.

    Ho sempre avuto il sospetto che amasse cantare. Spesso, nel silenzio di un compito in classe, la sentivo canticchiare a bassa voce, come se non riuscisse proprio a farne a meno. La prima volta che la sentimmo, i miei compagni dissero che quando una donna fa così vuol dire che è innamorata.

    Innamorata? L’idea mi infastidì non poco. Forse perché erano bastati pochi mesi per affezionarmi: si era mostrata pronta ad aiutarmi in qualsiasi momento, sin dal primo giorno, quando, solo e con gli occhi pieni di lacrime, avevo trovato in lei una perfetta alleata contro gli altri bambini che ridevano di me.

    Ricordo che mi si avvicinò e, con il suo sorriso gentile, mi disse: «Prenditi tutto il tempo che vuoi, nessuno ti darà fastidio. Quando ti sentirai pronto, unisciti a noi.»

    La guardai e mi convinsi che era lì per sostituire la mia mamma. Con la testa affondata nelle braccia conserte, la osservai di nascosto allontanarsi. Per gli altri bambini era come se non esistessi, ma lei sapeva che li stavo guardando. Ogni volta che osavo mettere il naso fuori dal mio nascondiglio per dare una sbirciatina, lei, sorridendo, mi strizzava l’occhio. Io, paonazzo per la vergogna, mi rituffavo con il broncio tra le braccia. Continuammo così tutto il giorno, al punto che divenne come un gioco.

    All’inizio rigato dalle lacrime, poi imbronciato, poi sorridente, il mio volto fece capolino dalle braccia conserte così tante volte che si creò un legame con il viso di lei, con la sua risata

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1