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Commentari della Moscovia e della Russia
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E-book329 pagine5 ore

Commentari della Moscovia e della Russia

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In Europa l'interesse per la Russia o Moscovia, come più spesso la si chiamava, si concretizzò compiutamente al principio del XVI secolo, allorché, dopo la caduta dell’impero bizantino, Mosca si nominò erede di Costantinopoli reclamando per sé il ruolo di terza Roma e di baluardo di tutti i popoli di fede ortodossa.
Fra i numerosi trattati scritti nel Cinquecento quello di Sigismund von Herberstein, a lungo ambasciatore degli Asburgo tra le popolazioni slave, è il più lucido e ricco di informazioni di prima mano sui vari aspetti della vita e dei costumi dei russi.
Traduzione dal latino di Giovan Battista Ramusio. Nota introduttiva di Daniele Lucchini.
LinguaItaliano
Data di uscita12 apr 2022
ISBN9791221321241
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    Commentari della Moscovia e della Russia - Sigismund von Herberstein

    Colophon

    Finisterrae 54

    Titolo originale dell’opera: Rerum Moscoviticarum Commentarii

    Prima pubblicazione: Vienna, 1549

    Prima volta in Finisterrae: 2022

    Traduzione dal latino: Giovan Battista Ramusio

    In copertina: particolare da un’illustrazione nella prima edizione dei Commentari.

    © 2022 Daniele Lucchini, Mantova

    www.librifinisterrae.com

    Tutti i diritti riservati

    ISBN: 9791221321241

    Epigrafe

    Affinché le imprese degli uomini col tempo non cadano in oblio.

    Erodoto, Storie

    Quando il Rinascimento scoprì la Russia

    Già verso la metà del XIII secolo frate Giovanni da Pian del Carpine, inviato come ambasciatore di papa Innocenzo IV tra i mongoli all’indomani della loro invasione dell’Europa centrorientale, aveva fatto menzione della Russia in riferimento alle devastazioni portatevi dall’Orda d’oro¹. Più in generale note sulle popolazioni sarmatiche, abitatrici di un’area geografica estesa grosso modo dal Danubio al Caucaso e dai confini non sempre chiari e costanti nel corso dei secoli, compaiono fin dall’antichità. E un po’ per tutto il Cinquecento si stampano pubblicazioni sull’argomento, quali La vita e sito de Zichi, chiamiti ciarcassi² del genovese Giorgio Interiamo (XV-XVI sec.) nel 1502 o il Tractatus de duabus Sarmatiis del polacco Maciej Miechowita (1457-1523) nel 1517 o ancora nel 1578 la Sarmatiae Europeae descriptio, quae regnum Poloniae, Litvaniam, Samogitiam, Rvssiam, Massoviam, Prvssian, Pomeraniam, Livoniam, et Moschoviae, Tartariaeque partem complectitur di Alessandro Guagnino (1538-1614), soldato e storico veronese trapiantato a Cracovia. Ma è più precisamente dal 1525, anno in cui sono redatti due brevi testi d’ambito ecclesiastico rispettivamente dal comasco Paolo Giovio (1483-1552) e dall’olandese Albert Pigghe (1490-1542), che appaiono le prime testimonianze di attenzione specifica per la Russia.

    Non a caso tale interesse matura proprio al principio del XVI secolo. Dopo la tragica e definitiva caduta dell’impero bizantino nel 1453 i russi se ne nominano eredi, reclamando per Mosca il ruolo di terza Roma e investendosi difensori di tutte le popolazioni che Costantinopoli aveva condotto all’ortodossia. Un processo politico e culturale portato avanti dal granduca di Mosca e signore di tutte le Russie Basilio III (1479-1533) e ancor prima da suo padre Ivan III (1440-1505), il quale nel 1472 aveva sposato in seconde nozze Zoe Sofia Paleologo (1448-1503), nipote dell’ultimo imperatore bizantino Costantino XI (1405-1453) e madre dello stesso Basilio.

    In questa fase convulsa e traumatica segnata dalla caduta di Bisanzio un ruolo importante ha pure la corte papale. Tommaso Paleologo (1409-1465), fratello di Costantino XI e padre di Zoe Sofia, morto rifugiato a Roma, lascia i figli alle cure di papa Paolo II (1417-1471) e del cardinale Bessarione (1403-1472); il quale era giunto in Italia nel 1437 come vescovo di Nicea in occasione del Concilio di Ferrara e Firenze, che avrebbe dovuto sancire l’unione della chiesa ortodossa a quella cattolica come premessa per un aiuto dei latini contro i turchi. Un accordo che però non viene raggiunto, benché anche Bessarione, nel frattempo definitivamente stabilitosi in Italia, ne fosse divenuto sostenitore.

    Probabilmente proprio quest’ultimo alla morte della prima moglie di Ivan III, Maria di Tver (1442-1467), concepisce l’idea di maritargli la giovane Zoe Sofia, nel frattempo fattasi cattolica. La speranza alla corte papale è di portare in questo modo i russi ad aderire all’unità confessionale che non si era fatto in tempo a imporre ai bizantini. Attesa vana, poiché Ivan, convinto del proprio ruolo di erede e difensore del lascito anche religioso di Costantinopoli, non si piega ad alcuna pressione verso il cattolicesimo. La stessa principessa bizantina, una volta arrivata a Mosca, torna presto alla propria fede originaria.

    In tale contesto e, di lì a poco, anche a seguito dello scisma protestante si fa strada, in Italia prima e nel resto d’Europa poi, l’interesse per la Russia o, dal nome dell’area dominante, Moscovia. Né è accidentale che siano proprio due chierici i primi a scriverne.

    Nel 1525 si pubblica il Libellus de legatione Basilii Magnii Principis Moschoviae di Paolo Giovio, uomo di fiducia dei papi Leone X, Adriano VI e Clemente VII, nonché scrittore di cose naturali e di storia; seppur non sempre brillante per profondità e obiettività. Il libello nasce dalle conversazioni dell’autore con lo studioso e interprete Dmitrij Gerasimov (1465-1535), in quell’anno ambasciatore di Basilio III presso papa Clemente VII. I racconti di Gerasimov sul proprio paese sono alla base della trattazione di Giovio; il quale però non si adopera tanto a sfruttare la confidenza raggiunta con il suo interlocutore per approfondirne o indagarne maggiormente le informazioni, quanto piuttosto a dipingere Basilio come un gran re desideroso di unirsi alla chiesa romana, a differenza dei tedeschi che, convinti di progredire nella religione con la riforma luterana, hanno creato uno strappo oltremodo dannoso. E prende in tal moto una cantonata colossale, non comprendendo affatto che Basilio III è lontanissimo da un desiderio del genere, dal momento che si considera il continuatore dell’ortodossia bizantina.

    Sempre del 1525, ma pubblicata a stampa soltanto nel 1543, è la lettera indirizzata da Albert Pigghe a papa Clemente VII circa le cose della Moscovia. Matematico e teologo, già allievo nella natia Olanda di colui che sarebbe diventato papa Adriano VI e poi insegnate del futuro Paolo III, nonché in più occasioni ambasciatore pontificio, elabora a beneficio della curia romana un’informativa sui russi perlopiù derivata da fonti indirette, spesso classiche. Muovendosi con la medesima impostazione e con il medesimo errore prospettico di Giovio, suggerisce che la chiesa universale acquisterebbe molte più anime portando pacificamente al cattolicesimo gli ortodossi che cercando di sconfiggere militarmente i propri nemici. Anche in questo caso la forzatura proselitistica è a scapito dell’osservazione lucida di quella Moscovia di cui Pigghe dichiara di scrivere.

    Profondamente diverso l’approccio e molto più lunga e complessa la gestazione del trattato dell’austriaco Sigismund von Herberstein (1486-1566), già viaggiatore in tutta Europa e ambasciatore imperiale, prima che in Russia, in Germania, Paesi Bassi, Danimarca, Boemia, Ungheria e Polonia per conto di Massimiliano I e di Carlo V d’Asburgo; per questo motivo anche conoscitore delle lingue slave. Iniziato con ogni probabilità già a partire dai primi anni ‘30 del secolo, ma concluso e pubblicato solo nel 1549, con il titolo di Rerum Moscoviticarum Commentarii, a causa dei numerosi impegni diplomatici che lo tengono a lungo distante dallo scrittoio, come l’autore giustifica nell’ampollosa dedica al futuro imperatore Ferdinando I, fratello di Carlo V, il commentario di Herberstein si basa, per ammissione dello stesso, sulle esperienze dirette dei luoghi e delle genti. Suo modello sono i trattati geografici ed etnografici latini, quali ad esempio i commentari di Cesare, da cui non a caso prende spunto per il titolo, o la Germania di Tacito; in essi infatti afferma di trovare osservazioni e descrizioni pratiche e utili di usi, costumi, territori. E proprio quelli, probabilmente anche per deformazione professionale, considera i testi letterari di maggior valore pervenuti dall’antichità.

    Herberstein rimarca più volte con puntiglio di esporre, a differenza di chi prima di lui ha scritto per sentito raccontare o per fantasia, solo ciò di cui ha esperienza diretta o testimonianza più che affidabile. E, con grande modernità, sottolinea l’importanza fondamentale di capire la lingua dei luoghi che si visitano per poterne parlare con cognizione di causa; a questo proposito, peraltro, è il primo ad attestare il termine czar per indicare il sovrano. Arriva così a comporre quasi una vera summa delle sue esperienze della Russia e dei russi, indagandone e illustrandone gli aspetti più vari: origini, storia, lingua, costumi, società, politica, religione, economia, commerci, rapporti con altre popolazioni, geografia, rotte.

    Herberstein ha la disposizione propria di chi è avvezzo a registrare e a riportare gli aspetti concreti delle nazioni e dei popoli tra cui è in missione; in modo non diverso dagli storici latini che più ammira e dagli ambasciatori della Serenissima, divenuti da tempo modello da imitare in tutta Europa³.

    Quanto al testo dell’opera, si è scelto qui di proporre al lettore i commentari nella preziosa traduzione dell’umanista veneto Giovan Battista Ramusio (1485-1557), contemporaneo dell’autore.

    Daniele Lucchini

    aprile 2022

    Commentari della Moscovia e della Russia

    Dedica

    Al serenissimo principe e signore, il signor Ferdinando, re delli Romani, de l'Ongheria e di Boemia, infante di Spagna, arciduca d'Austria, duca della Burgundia e di Wirtembergo, e di molte provincie duca, marchese, conte e signore.

    Li Romani, qualunque volta i loro ambasciadori alle nazioni esterne e per la molta lontananza men conosciute mandavano, questa commissione e ricordo davano loro, che, mentre appresso di quelle l'ufficio della legazione facessero, i costumi, gli ordini, i decreti e tutto il modo del vivere di quella gente accuratamente scrivere dovessero; il che in processo di tempo a tanto pregio e istimazione divenne che, renunciata la loro ambascieria, tali commentarii a beneficio e amaestramento delli posteri loro nel tempio di Saturno erano fidelmente riposti e consegnati. Il quale lodevolissimo instituto, se dagli uomini della nostra ed eziandio della passata età fosse stato osservato, forse molto più di luce e di vero splendore e manco di vanità alla istoria latina arebbe arrecato. Ma io che, da fanciullo in su, e in casa e fuori della conversazione degli uomini esterni molto mi ho dilettato, ho sopportato volontieri il carico che dalla felice memoria di Massimiliano, principe prudentissimo e avolo della Maestà Vostra, ed eziandio da lei mi è stato più volte commesso; laonde successe poi che, per volontà della Maestà Vostra, non una volta sola le parti settentrionali con somma diligenza ho ricercato, ma ancora di nuovo nella Moscovia insieme col compagno e della dignità e del viaggio, Leonardo conte di Nogarola, gentiluomo veronese, son ritornato. Il qual paese di Moscovia, fra tutte quelle provincie le quali dal sacrosanto battesmo sono bagnate e tinte, per costumi, per ordini, per religione e per l'arte militare non poco da noi cristiani è differente. E però, quantunque per commissione di Massimiliano primo imperadore, vostro avolo, già nella Dania, nell'Ongheria e nella Polonia l'ufficio di fedele ambasciatore io abbia usato, e dopo la morte di quello similmente con tal nome al potentissimo e invittissimo Carlo V, imperatore romano e della Maestà Vostra germano fratello, per Italia, per la Francia, per mare e per terra fino in Spagna io me ne sia andato; e oltre di ciò, per comandamento della Maestà Vostra, di nuovo io abbia esercitata la solita diligenza appresso delli re dell'Ongheria e di Polonia, e ultimamente insieme con il conte Nicolò da Salmi infino a Solimano principe de li Turchi con questo titolo d'ambasciatore io ne sia gito, e che molte cose non solamente nel trapassare del mio viaggio abbia vedute, ma eziandio accuratamente riguardatole e ben conosciutole, le quali in vero e di memoria e di vera luce dignissime sarebbono state; nondimeno non ho voluto giamai, in quello mio ocio che dalli publici consigli m'era concesso, nulla di quelle cose scrivere le quali per adietro dagli altri scrittori chiaramente e con diligenza fossero state trattate, e parimente avanti gli occhi e nel continovo aspetto della bella Europa poste e collocate. Ma bene le cose della Moscovia, molto più secrete e alla cognizione di questa etade non così facilmente pervenute, a tutte le altre di gran lunga ho preferito, e a scriverle acconciamente ho cominciato, confidatomi però in due cose principali, cioè nella diligenza e parimente nella perizia della lingua slavonica, le quali in vero non picciolo soccorso e favore alla composizione di questa sorte di scrittura hanno apportato.

    E ben che molti della Moscovia abbino lodevolmente ragionato, nondimeno più per la relazione d'altri che per propria veduta si sono mossi a scrivere: degli antichi fu Nicolò Cusano, e de' moderni Paulo Giovio, il quale per cagione di somma erudizione e per l'incredibile amor suo verso di me lo nomino. Costui certo elegantemente e fidelmente ha scritto, perciò ch'egli per suoi ricchissimi interpreti Giovanne Fabro e Antonio Biedo, quali e le tavole e certi commentarii di ciò hanno lasciato, ha sempre usato. Sono stati poi alcuni altri scrittori li quali, mentre delle regioni più vicine descrivono, alcune cosette della Moscovia leggiermente hanno toccato: in numero de' quali è Olavo Gothio nella descrizione della Svezia, e similmente Matteo Mechovita, Alberto Campense e Munstero, li quali nondimeno dal cominciamento del scriver mio punto non mi spaventaranno, percioché di quelle cose che io vi scrivo molte ne ho vedute con la testimonianza delli proprii occhi, e alcune per relazione d'uomini degni di fede ho conosciute verissime, e altre ho intese con lunghi ragionamenti avuti con persone pratiche. Laonde è successo poi che alcuna volta (sia però lontana l'invidia da le parole) io sia stato astretto con maggior copia del dire e con più abondanza di parole a dichiarare quelle cose le quali dagli altri sieno state proposte quasi per picciola veduta, più tosto che raccontate con pura verità. Aggiungasi ancora questo, che io scrivo le cose non più dette dagli altri, e quelle finalmente che da nissuno poteano essere conosciute se non da l'oratore; e però questo mio pensamento e questo mio studio la Maestà Vostra l'ha confermato, e più volte confortatomi che tal opra incominciata al tutto finire dovessi, e volontariamente sopra ciò al corrente scrittore (come si dice) ha aggiunto gli speroni. Nondimeno da tale impresa e le legazioni e gli altri negozii della Maestà Vostra sovente mi hanno talmente rimosso che infino ora non ho potuto sodisfare in quello che già incominciato io avea.

    Ma ora, mentre all'intermessa impresa, in quel modo che dalle continove occupazion del fisco de l'Austria emmi concesso, io ritorno, e parimente a la Maestà Vostra ubbidienza presto, né anco mi dubito della sottiglianza di questa elegantissima età, e poco similmente delli benigni lettori, li quali forse maggiore politezza del dire ricercheranno: perciò che bastevol sia, ma ora con l'effetto, perché non posso fare le cose eguali alle parole, la volontà mia circa al voler insegnare a' posteri aver dimostrato, e parimente alli vecchi comandamenti di quella aver voluto ubidire. E però questi miei commentarii della Moscovia, da me scritti più presto per cagione di ricercare la verità e quella metter in luce che per studio e per l'arte del dire, alla Maestà Vostra dedico e consacro; e io similmente nella defensione di quella, nelli cui officii mi sono oggimai invecchiato, supplichevolmente mi dono e racommando, e prego la Maestà Vostra che 'l nostro libro con quella clemenza e benignità d'animo si degni abbracciare con la quale l'auttore di quello ha sempre abbracciato.

    In Vienna, il primo di marzo MDLIX.

    Della Maestà Vostra fedel consigliero, cameriero e prefetto del fisco d'Austria, Sigismondo barone in Herberstain, Neiperg e Guettenagh.

    Proemio dell'auttore nella Moscovia.

    Volendo io ora descrivere la Moscovia, la qual è capo della Russia ed è quella che 'l suo dominio e signoria in longhezza e in larghezza per la Scizia si distende, sarà cosa a me certo convenevole in questa opra di toccare molte parti del settentrione, le quali non solamente dagli antichi scrittori, ma eziandio dalli auttori di questa nostra età sono state poco intese e conosciute, per il che succederà che alcuna volta sarò astretto ad essere differente dagli scritti loro. Nondimeno, acciò che questa mia opinione in simile materia non sia veduta e giudicata sospetta e arrogante, veramente io confesso me stesso non già una volta, ma più, mentre son stato ambasciatore di Massimiliano, primo di questo nome imperatore, e parimente del suo nepote re Ferdinando, re delli Romani e fratello di Carlo V imperatore, la Moscovia aver veduta e ricercata, ed eziandio la maggior parte di quella da uomini di quel luogo esperimentati e degni di fede aver conosciuta. Né però della relazione di un solo sono stato contento, ma nelle opinioni e pareri di molti ho voluto ben confermarmi e stabilirmi. Oltre di ciò, dalla cognizione e beneficio della lingua schiava (la quale con la lingua rutenica e moscovitica è quell'istessa) felicemente aiutato, questa cosa della Moscovia non solamente per udita, ma ancora per testimonianza delli proprii occhi, né con parlar dubioso e incerto, ma chiaro, facile e aperto ho voluto scriverle, e alla memoria de' posteri nostri chiaramente manifestarle.

    Ma sì come ciascuna nazione ha 'l suo costume e usanza nel proferire alcune cose, così fanno li Ruteni, li quali le sue lettere, variatamente legate e congionte insieme, con certa ragione inusitata e nuova sogliono proferire, di modo che quello che con somma diligenza e attenzione la pronunzia loro non comprende e osserva, costui non potrà nel vero cosa alcuna commodamente addimandare, né sapere certezza alcuna. E però, nella descrizione della Russia avendo nella nominazione delle cose e delli luoghi e delli fiumi non senza cagione usato vocaboli ruteni, ho voluto primieramente la ligatura e forza d'alcune lettere brevemente dimostrare; il che agevolmente conosciuto, il lettore può alcune cose più facilmente conoscere, e alcuna volta forse di più maggiori potran ricercare.

    Questo nome Basilio, benché li Ruteni lo scrivano e proferiscano per w consonante, nondimeno, essendo la consuetudine cresciuta appresso di noi di scriverlo e proferirlo per B, non ho voluto scriverlo per w.

    C, preposta avante la h, non per ci, o ver schi, come sogliono fare molte nazioni, ma per khi, quasi secondo il costume de' Germani, debbesi proferire, come nella dizione: Chiowia, chan, Chlinowa, Chlopigorod, etc. Ma questa lettera c, posta avanti il z duplice, alquanto più sonoramente debbesi proferire, come questa dizione: Czeremisse, Czernigo, Czilma, Czunkas, etc.

    G, li Ruteni, fuori del costume degli altri Schiavoni, per h aspirazione, secondo l'usanza di Boemi, proferiscono, e quando vogliono scrivere Iugria e Wolga proferiscono Iuhra, Wolha, etc.

    I lettera, il più delle volte ha forza di consonante, come in Iausa, Iarossaw, Iamma, Ieropolchus, etc.

    Th, quasi per ph proferiscono, e così dicono Theodoro Pheodoro, over Feodoro.

    V, quando ha la forza di consonante, in luogo di quella, w littera (la qual i Germani per B sogliono esprimere) ho posto, come in queste dizioni: Wolodimeria, Worothin, Wedrasch, Wiesma, Wladslaus. Questa medesima lettera v, posta in mezo over nel fine della dizione, quella medesima forza over suono ritiene, come in Ozakow, Rostow, Asow, Owka. Adunque diligentemente il lettore la forza di questa lettera v osserverà, accioché per una e istessa dizione che barbaramente proferisse non paia che abbi dimandato e inteso cose diverse.

    Della Russia e donde abbia preso il nome.

    La Russia donde abbia avuto il nome, varie sono le opinioni degli uomini, percioché sono alcuni che vogliono ella aver preso il nome da un certo Russo, fratello over nepote di Lech, principe delli Poloni, non altrimente che se esso fosse stato principe delli Ruteni; altri dicono da un certo castello antichissimo, chiamato Russo, non molto lontano dalla grande Nowogardia; alcuni dal fusco colore di quella gente. Molti pensano, mutato il nome di Roxolania, essere cognominata Russia: nondimeno le opinioni di quelli che dicono questo non sono conformi alla verità. Li Mosci non tengono questo, affermando la Russia anticamente esser stata chiamata Rosseia, come a dire gente dispersa over dissipata, come il nome dimostra, percioché Rosseia in lingua rutenica significa disseminazione, dispersione; il che esser vero diversi popoli, misti eziandio con gli abitatori del luogo, o parimente diverse provincie della Russia in ogni luogo adunate e accostate insieme apertamente lo confermano. Ma da che luogo si voglia che la Russia abbia pigliato il nome, basta che tutti quei popoli li quali usano lingua schiava, seguitano il costume e la fede di Cristo secondo l'usanza de' Greci, e secondo li gentili Russi, e secondo i Latini Ruteni sono chiamati: costoro in tanta grandezza di moltitudine sono cresciuti che tutte le genti poste in mezo di loro overo le hanno cacciate via, overo al costume del viver loro le hanno tirate, di modo che al presente tutti con un comune vocabolo son chiamati Ruteni.

    Certamente la lingua slavonica, la quale a' tempi nostri con vocabolo alquanto corretto sclavonica è chiamata, in molti paesi largamente si distende, percioché li Dalmatini, Bosnesi, Croatii, Istriani, e tutti gli abitanti appresso del mar Adriatico con longo spazio fin al Friule, i Carni, quali da' Veneziani sono Carsi chiamati, similmente Carniolani, Carinzii, fino a Costantinopoli, usano la lingua schiava. Oltre di questo i Boemi, Lusacii, Silesii, Moravii e gli abitanti appresso al fiume Vagro, nel regno dell'Ongheria, similmente i Poloni, e li Ruteni, popoli di grande imperio, i Circassi, e finalmente que' popoli quali già furono gli avanzamenti di Wandali e ora abitano per la Germania rifusamente di là da l'Albis, alla parte di settentrione, usano questa lingua schiavona. Questi popoli, benché tutti confessano essere della gente schiavona, nondimeno li Germani, tolto il nome solamente dalli Vandali, tutti costoro quali usano la lingua sclavonica Wendani, Windeni, Windischi indifferentemente gli chiamano.

    Ma la Russia, non molto lontano dalla Cracovia, li monti Sarmatici tocca, e questa istessa appresso il fiume Tyra, da quel luogo il quale gli abitatori chiamano Nistro, infino al Ponto Eusino, cioè il mar Maggiore, e fino al fiume Boristene amplamente già distendevasi; ma poscia, in processo di tempo, Alba città, la quale altramente Moncastro è chiamata, e alla bocca del fiume Tyra edificata, e per adietro al dominio di Wallacco moldawsense sottoposta, è stata finalmente dal Turco occupata. Similmente il re di Taurice, avendo passato il fiume Boristene, largamente ogni cosa guastando e distruggendo, ivi duo castelli edificò, delli quali uno fu Oczakow, non molto lontano dalla bocca del fiume Boristene posto: nondimeno e quello eziandio sotto l'imperio turchesco è pervenuto, dove oggidì sono le solitudini infra le bocche dell'uno e l'altro fiume. Dapoi, montando appresso Boristene, si viene alla città de Circas, verso l'occidente, e da lì ad un'altra città vecchissima, detta Chiovia, la quale fu già la principale di tutta la Russia; dove poi trapassato il fiume Boristene, evvi una provincia chiamata Sanuera, al presente molto abitata, per la quale dritta via verso l'oriente ritroverete li vivi fonti del fiume Tanai. Dapoi di lì al Tanai, con longo viaggio, perviensi al corso dell'acqua di due fiumi, de' quali uno è chiamato Occa, e l'altro Rha; passato poi il detto fiume di Rha, con longo tratto camminasi fino al mare settentrionale: di lì poi ritornando circa alli popoli sottoposti al re di Swezia, alla Finlandia e al sino Livonico, e per la Livonia, Samogezia e Mazowia camminando, e finalmente fino in Polonia ritornando, tutto quel paese è terminato dalli monti di Sarmazia, eccettuato però solamente due provincie, cioè Litwonia e Samogezia, le quali, benché siano miste con Ruteni e che usino la propria favella e il costume romano, nondimeno gli abitanti di quelle in buona parte sono ruteni.

    Delli principi della Russia.

    Li principi li quali al presente signoreggiano nella Moscovia sono questi: il primo è il granduca di Moscovia, il quale la maggior parte di quella ottiene; il secondo il granduca della Litwania; il terzo è il re di Polonia, il quale al presente è signore della Polonia e della Litwania.

    Ma della origine di questa gente niente altro hanno, eccetto che gli annali over istorie quasi annuali infrascritte, le quali dicono questa tal gente slavonica esser derivata dalla nazione di Iaphet, e già aver fatta la prima sua abitazione appresso il Danubio, dove ora è l'Ongheria e la Bulgaria, e allora poi esser stata chiamata Norici: dapoi questa tal gente, di là e di qua per le terre dispersa e vagabonda, i nomi delli proprii luoghi aver pigliato, come verbigrazia Morawi dal fiume, altri Czechi, cioè Boemi; similmente Chorwati Bieli, Serbli, cioè Servii, Chorontani detti, li quali appresso il Danubio s'erano fermati. Oltra di questo, i Luochi, li quali, cacciati dalli Valachi e abitanti appresso Istula città, pigliorno tal nome da un certo Loco, principe delli Poloni, e da qui nacque poi che eziandio li Poloni sono chiamati Lechi. Altri similmente sono chiamati Luthwani, Masoviensi, Pomerani; altri, abitando per il fiume Boristene, dove è al presente Chiowia, Poloni erano detti; altri Drawliani, abitatori delle selve; altri, infra Dwina e Peti dimorando, Dregovici sono detti; altri Polevtzani, abitatori appresso al fiume Polta, il quale scorre per mezo Dwina. Furono altri ancora li quali, abitando intorno al lago Ilmen, Novogardia città occuporno, e quivi uno, chiamato Gostomissello, per lor proprio principe volontariamente creorno. Altri poi, per Desna e Sula fiume abitando, Seweri over Sewersky sono chiamati; altri finalmente, sopra li fonti de Wolche e Boristene dimorando, Criwitzi sono detti, e la rocca e il capo di questi tali è Smolensco.

    Quelli che nel principio abbiano signoreggiato a li Ruteni è cosa dubbiosa e incerta, percioché non avevano caratteri di lettera alcuna, per li quali potessero le cose fatte da loro scrivere; ma dapoi, avendo Michael imperatore di Costantinopoli, nell'anno 6406⁴ dalla creazione del mondo, mandate le lettere slawonice in Bulgaria, allora poi cominciorono a scrivere e mettere nelli loro annali non solamente que' fatti li quali da essi erano fatti, ma eziandio tutte quelle cose le quali dalli loro maggiori avevano intese e conosciute, e per longa memoria di tempo ritenute. Laonde per quelle è manifesto il popolo detto già Coseros d'alcuni delli Ruteni, sotto nome di tributo, da ciascuna casa di quelli aver riscosso le pelli di quelli animali chiamati aspreolii; e similmente li Waregi alli sopradetti Ruteni aver signoreggiato dicono. Nondimeno delli Coseri, donde siano venuti, che genti siano state, niente altro ho potuto per li annali conoscere, fuori del nome loro: e quello medesimo dicovi delli Waregi, de' quali giamai nulla di certo ho potuto comprendere. Ma conciosiacosaché essi Ruteni il mare Balteo e quello che la Prussia, la Livonia e la parte del suo dominio della Swezia divide, il mare Warego chiamino, io veramente mi pensavo che o vero li Swetensi, overo li Danii, overo li Pruteni, per la vicinanza loro, fossero stati principi e signori di quelli. Ma fin a tanto che la Wagria, già famosissima città e provincia delli Wandali, è stata vicina a Lubech e al ducato di Holsatia, e questo mare, il quale è detto Balteo, secondo la opinione d'alcuni ha preso il nome da quella, e non solamente questo, ma eziandio quel braccio di mare il quale la Germania dalla Dania, e ancora la Prussia, la Livonia e finalmente la parte maritima dell'imperio moscovitico dalla Swezia divide, e ancora appresso delli Ruteni il suo nome ritiene, chiamandolo il mare Warego; e oltra di questo essendo stato in quel tempo li Wandali

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