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Corrispondenza di Maria Kazimiera Sobieska regina di Polonia con Carlo Barberini protettore del regno (1681-1699)
Corrispondenza di Maria Kazimiera Sobieska regina di Polonia con Carlo Barberini protettore del regno (1681-1699)
Corrispondenza di Maria Kazimiera Sobieska regina di Polonia con Carlo Barberini protettore del regno (1681-1699)
E-book618 pagine9 ore

Corrispondenza di Maria Kazimiera Sobieska regina di Polonia con Carlo Barberini protettore del regno (1681-1699)

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Corrispondenza di Maria Kazimiera Sobieska regina di Polonia con Carlo Barberini protettore del regno (1681-1699)
LinguaItaliano
Data di uscita5 apr 2017
ISBN9788878536111
Corrispondenza di Maria Kazimiera Sobieska regina di Polonia con Carlo Barberini protettore del regno (1681-1699)

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    Anteprima del libro

    Corrispondenza di Maria Kazimiera Sobieska regina di Polonia con Carlo Barberini protettore del regno (1681-1699) - Gaetano Platania

    Gaetano Platania

    Corrispondenza di Maria Kazimiera Sobieska regina di Polonia con Carlo Barberini protettore del regno (1681-1699)

    Università degli Studi della Tuscia

    Dipartimento di Scienze Umanistiche, della Comunicazione e del Turismo

    Centro Studi sull’Età dei Sobieski e della Polonia Moderna

    (CESPoM)

    Centro Interdisciplinare di Ricerca sul Viaggio

    (CIRIV)

    © Gaetano Platania

    Ogni opera di questa collana è valutata da due lettori anonimi

    ISBN: 978-88-7853-731-6

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Premessa

    ​Capitolo I

    ​Capitolo II

    ​Capitolo III

    ​Capitolo IV

    ​Capitolo V

    ​Capitolo VI

    ​Capitolo VII

    ​Capitolo VIII

    Avvertenze

    Corrispondenza I parte

    Corrispondenza II parte

    La morte di Maria Kazimiera Sobieska e gli ultimi atti terreni

    Ritratto di Sua Eminenza il Cardinale Enrico de la Grange d'Arquien attraverso la penna di vari autori

    L'Arcadia: Le voci dedicate a Maria Kazimiera Sobieska e Aleksander Sobieski

    Ringraziamenti

    Premessa

    Il volume prende in esame la complessa personalità di una sovrana che tra gli ultimi anni del 1699 e il 1714 vive nella città eterna un esilio dorato lasciando traccia e memoria di sé non solo nella documentazione archivistica, ma anche in alcune opere architettoniche da lei commissionate e considerate tra i più significativi prodotti del Settecento romano.

    Si tratta di Maria Kazimiera Sobieska, moglie molto amata da Jan III Sobieski [1629-1696] [1] , sovrano di quell’ antemurale Christianitatis che fu la Polonia della seconda metà del XVII secolo, noto al mondo come il defensor fidei per le sue azioni militari indirizzate contro gli infedeli ottomani e poi culminate nel 1683 con la liberazione di Vienna, capitale dell’impero, dall’assedio portato da una formidabile armata guidata dal gran visir Kara Mustafâ Merzifonlu [1626/36-1683] [2], uomo crudele ed assetato di potere che guardava alla conquista dell’Ungheria come prima tappa, per poi puntare alla volta di Vienna e correre infine «a Roma e fare di San Pietro le scuderie del Sultano» [3].

    Oltre a studiare la figura e l’azione politica di intrepida e intrigante donna in alcuni specifici momenti della sua vita di sovrana regnante, tenterò di mettere in evidenza anche le azioni quotidiane di vita sociale vissute nei lunghi 14 anni di permanenza romana. Pertanto, se il volume partirà dalla corrispondenza scambiata tra il 1681 e il 1699 con il cardinale Carlo Barberini [1630-1704] [4], divenuto a seguito della morte di Pietro Vidoni [1611-1681] [5], protettore del regno di Polonia [1681] [6], proseguirà poi con l’illustrare l’attività politica da lei svolta nella Roma di papa Clemente XI Albani. Uno studio, quello dello scambio epistolare, che si pone all’interno di un più vasto e complesso progetto di ricerca iniziato già da qualche anno, e che ha visto la pubblicazione delle lettere scambiate tra personalità più o meno in vista della Rzeczpospolita con questo influente porporato giudicato da Giuseppe de Novaes «modesto, dolce, affabile, limosiniere, ma non di talento né di buona salute» [7] e al quale nondimeno veniva chiesto di difendere, salvaguardare, appoggiare gli interessi della corona davanti alla Curia e/o al pontefice regnante.

    Nell’ambito della collana Acta Barberiniana è stata pubblicata la corrispondenza tra il protettore e il lucchese Talenti Tommaso [1629-1693] [8], segretario particolare per le cose d’Italia, così come quella tra lo stesso Jan III Sobieski e il Barberini [9].

    Tutti documenti conservati nella biblioteca della nobilissima famiglia romana acquistata nel 1902 da papa Leone XIII ed oggi in Vaticano [10]; un ricchissimo fondo archivistico/librario che consta all’incirca di 10.652 manoscritti, di molteplici epistolari tra membri di casa Barberini e personaggi europei e di 31.671 stampati di vario genere [11].

    Tra le biblioteche prelatizie celebrate nella Roma del ‘700, Carlo Bartolomeo Piazza [1632-1712] annoverava giustamente quella dei Barberini alle Quattro Fontane «di cui dice il Bellorio non v’ha simile in Europa» [12], ed era considerata fra le più belle anche da Charles De Brosses [1709-1777], viaggiatore francese di passaggio per la città eterna. A tal proposito, egli scrive, che il suo vasto salone «ne dà una idea grande, che viene poi confermata quando si va ad esaminare i particolari, ragguaglia per il numero dei manoscritti quella della Minerva, ed è inferiore, su questo punto, sola alla Vaticana» [13]. Stesso convinto giudizio dato da un altro francese, Joseph-Jérôme Lalande [1732-1807], che ebbe a lodarla, particolarmente per la quantità di volumi conservati: «on compte plus de 60 mille volumes, outre plusieurs milliers de manuscrits précieux» [14].

    Il corpus librario è senza ombra di dubbio la raccolta più ricca fra quelle che si andarono formando nel XVII secolo, tanto che il Tezi fin dal 1642 aveva, nelle Aedes Barberinae [15], magnificato la grandezza e l’importanza della biblioteca [16] descrivendola collocata nelle sale del grandioso palazzo progettato dal Bernini [17] dove avevano trovato posto anche i famosissimi arazzi già di proprietà della regina Cristina di Svezia [18] acquistati al tempo del suo esilio romano [19].

    Originariamente il Fondo Barberiniano, non fu altro che la biblioteca privata appartenuta a papa Urbano VIII, poi ampliata dai cardinali Francesco [1597-1679] [20] e Antonio [1569-1646] [21] il «primo nipote, il secondo fratello del papa, entrambi già suoi Segretari di Stato e il secondo anche prefetto della Congregazione di Propaganda Fide» [22].

    La biblioteca, così come il corpus archivistico, si arricchirà dopo la morte di papa Barberini, attraverso acquisti, lasciti, ma anche grazie alla conservazione di documenti riguardanti i componenti la famiglia che venivano prodotti giorno dopo giorno, arrivando a comprendere un numero considerevole di manoscritti latini, greci e orientali, ripartiti in apposite serie quali, ad esempio, la raccolta di carteggi diplomatici dove è conservata la maggior parte di polonica, oppure il fondo «barberini latini» nel quale c’è materiale prodotto «dall’attività di vari dicasteri della Curia Romana, particolarmente nel secolo XVII». Peculiare rilevanza è da attribuire alle carte che vanno sotto il nome di serie di documenti contemporanei al pontificato di papa Urbano VIII, le quali rappresentano uno spaccato di storia della chiesa e un quadro preciso ed essenziale per la conoscenza della storia europea.

    L’inventario dell’archivio Barberini riedito nel 1978 a cura di Luigi Fioranti (sette volumi), riproduce l’originale compilato probabilmente dall’archivista Sante Pieralisi dopo il 1836 e copiato dal computista di casa Barberini Prospero Mallerini, sostituiva quello settecentesco dal titolo Index variorum e permette, anche secondo il Pecchiai, di «compiere facilmente, in genere, le ricerche. Diciamo in genere, perché i traslochi subiti dall’archivio, non sempre (come pare) sotto la diretta vigilanza di personale tecnico, hanno causato qualche disordine nella massa dei materiali: mescolamento di serie di registri (occasionato spesso dalle omonimie dei membri della famiglia), confusione di serie di buste o di filze, sfasciamento di pacchi» [23].

    Ciò detto, l’intento del presente lavoro è quello di poter aggiungere un ulteriore tassello nella lunga storia dei rapporti tra la Polonia e la Santa Sede in età moderna, ma offrire anche un più dettagliato quadro riguardo alla complessa personalità di una sovrana, Maria Kazimiera Sobieska, la quale, «pochodziła z dość biednego, ale starego rodu ze środkowej Francij» [24], è tuttavia considerata dagli storici che di lei si sono interessati, vero e proprio cavallo di razza, una donna capace di condizionare le complesse decisioni che spettavano al marito che conoscendo d’altra parte l’acume politico, l’intelligenza, la spregiudicatezza e le finezze diplomatiche più volte dimostrate dalla consorte nei momenti importanti della vita pubblica come di quella privata, seppe apprezzare e raccogliere i suggerimenti che quotidianamente la sovrana gli elargiva. Era una chiara dimostrazione dello stretto legame, insolito nei matrimoni regali, che li unì per tutti gli anni che vissero assieme. Solo la morte di lui, vinse sul loro amore. Per tutti gli anni di matrimonio, restò sempre valido il giuramento che si erano scambiati clandestinamente (cfr. capitolo successivo), davanti all’altare della chiesa dei Carmelitani quanto la nostra Maryńienka era sposa negletta di Zamoyski.

    Maria Kazimierza Sobieska. Autore sconosciuto - 1670c. Museo del Palazzo di Wilanów


    [1] In generale sulla figura del sovrano cfr. la ristampa di O. Forst de Battaglia, Jan Sobieski könig von Polen, Graz 1982; G. Hagenau, J an Sobieski. Der Retter Wiens, Wien-München 1983; Z. Wójcik, Jan Sobieski 1629-1696, Warszawa 1983 (II. Ed. 1994).

    [2] Gran visir dal 3 novembre 1676 al 25 dicembre 1683, favorito di Mehmed IV Avdjï [1642-1693], aveva fatto carriera sotto la protezione della famiglia dei Köprülü. Educato dal vecchio visir Mehmet Köprülü [1656-1661], insieme al proprio figlio Fâzil Mustafâ Köprülüzâde Paşa [1637-1691], a sua volta visir nel 1661 e morto nel 1676. Kara Mustafâ fu governatore in Rumelia e in Anatolia e, per breve tempo, Kapudan Paşa, infine Kaimakam e cognato di Ahmed Köprülü. A seguito dei suoi insuccessi militari prima a Vienna poi durante la campagna di Belgrado, viene condannato a morte dal sultano [1683]. Su di lui cfr. R.F. Kreutel, Kara Mustafà vor Wien (Geschichte des Silihdars), Wien 1955 (2 ed. Graz 1960).

    [3] L. (von) Pastor, Storia dei papi (...), Roma 1962, vol. XIV/II, p. 30.

    [4] Su di lui cfr. P. Pecchiai, I Barberini, in Archivi, Roma 1959, quaderno 5, pp. 215-217; A. Merola, sub voce, in DBI, vol. VI, Roma 1964, pp. 171-172. Sul suo ruolo di cardinale protettore della Polonia cfr. G. Platania, La Polonia nelle carte del cardinale Carlo Barberini protettore del regno, in Accademie e Biblioteche d’Italia, LVI, 2, (1988), pp. 38-60.

    [5] Figlio di Cesare marchese di S. Giovanni in Croce e di Costanza di Pessa, era nipote del cardinale Girolamo Vidoni [1581-1632], si laurea alla Sapienza di Roma nel 1631, ricopre diverse cariche pubbliche, vescovo di Lodi, è chiamato nel 1652 a Roma da papa Innocenzo X e mandato in qualità di nunzio in Polonia [1652-1660] dove resta a difendere e promuovere la religione cattolica. Rientrato in patria, papa Alessandro VII lo crea il 5 aprile 1660 cardinale prete del titolo di San Callisto e lo designa cardinale protettore dell’Ordine dei Camaldolesi, carica che ricopre anche per il regno di Polonia dal 1675 al gennaio 1681, anno della sua morte. Più in generale cfr. H.D. Wojtyska, Acta Nuntiaturae Polonae, t. I, De fontibus (…), Romae 1990, pp. 261-263 e bibliografia ivi citata; Ch. Weber (a cura), Legati e Governatori dello Stato Pontificio (1550-1809), Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Sussidi 7, Roma 1994, p. 971.

    [6] Cfr. G. Platania, La nomina di Carlo Barberini a protettore di Polonia (1681) in alcune lettere inedite conservate nel fondo barberiniano della Biblioteca Vaticana, in Per sovrana risoluzione. Studi in ricordo di Amelio Tagliaferrri, a cura di Giuseppe Maria Pilo e Bruno Polese, ARTE/Documento, Quaderni 4, 1998, pp. 215-224.

    [7] G. de Novaes, Elementi della storia de’ Sommi Pontefici (...), Roma 1822, t. X, p. 24.

    [8] Tommaso, fa parte di una famiglia di piccoli mercanti lucchesi. All’età di 18 anni parte alla volta della Polonia dove raggiunge il fratello Pietro [1653-1673] ed intraprende una brillante carriera militare che, nel 1669 lo faceva entrare al servizio di Michał Korybut. Alla morte di quest’ultimo entrava al servizio [1674] del successore, Jan III Sobieski divenendone confidente e segretario particolare per gli affari d’Italia, un ruolo di molto prestigio. ASL, Archivio De Nobili, vol. 65, Notizie genealogiche storico critiche della famiglia Talenti di Lucca raccolte ed ordinate da Giacomo di Giovanni Battista Talenti, pp. 446 e sgg. In generale, sulla figura e la vita di questo lucchese in Polonia cfr G. Platania, Viaggi, mercatura e politica. Due lucchesi nel regno dei Sarmati europei nel XVII secolo: Pietro e Tommaso Talenti, Viterbo 2003. Sulla corrispondenza protettore-Talenti cfr. G. Platania, Polonia e Curia Romana. Corrispondenza del lucchese Tommaso Talenti (…) con Carlo Barberini protettore del regno (1681-1693), Acta Barberiniana, 1, Viterbo 2004.

    [9] G. Platania, Polonia e Curia Romana. Corrispondenza tra Giovanni III Sobieski re di Polonia con Carlo Barberini protettore del regno 1681-1696), Acta Barberiniana, 2, Viterbo 2011.

    [10] L’acquisto della biblioteca già dei Barberini fu dovuta alla paziente opera del bibliotecario della Vaticana, padre Franz Ehrle. Cfr. M. Batllori, El padre Ehrle, prefecte de la Vaticana, en la seva correspondència amb el cardinal Rampolla, in Collectanea Vaticana in honorem Anselmi M. Card. Albareda edita, (Studi e Testi, 219), Città del Vaticano 1962, pp. 75-117.

    [11] Cfr. A. Pasture, Inventaire de la Bibliothèque Barberini à la Bibliothèque Vaticane au point de vue de l’historire des Pays-Bas, in Bulletin de l’Institut historique Belge de Rome, 3, (1924), pp. 43-49; J. Bignami Odier, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherces sur l’histoire des collections des manuscrits, avec la collaboration de José Ruysschaert, Città del Vaticano 1973; Id., Guide au departement des manuscrits de la Bibliothèque du Vaticane, Paris 1934, pp. 18-19.

    [12] Piazza continua nella descrizione e riporta come la libreria si trovasse in un vastissimo «teatro e stanze sta raccolto in sontuosi armari di rarissimi e pelegrini manoscritti e stampati volumi, quanto hanno saputo scrivere, tradurre, compilare, specolare, studiare e dar alle stampe i più famosi e classici autori greci e latini (oltre i Sagri Codici del Nuovo e Vecchio Testamento in tutti gli Idiomi, e stampe più corrette)». C.B. Piazza, Eusevologio romano, ovvero delle Opere Pie di Roma accresciuto et ampliato secondo lo stato presente con due trattati delle Accademie e Librerie celebri di Roma, per i due tipi di F. Cesaretti e Paribeni, Roma 1698, p. CXIII. Si veda anche P. Totti, Ristretto delle grandezze di Roma, Roma 1637, p. 110.

    [13] Ch. De Brosses, Lettres familières sur l’Italie publiées d’après les manuscrits, avec une et des notes par Yvonne Bezard, Paris 1931 (trad. it., Viaggio in Italia, Bari 1973, Lettera XXXIX, pp. 351-352).

    [14] J. J. Lalande, Voyage en Italie, contenant l’histoire et les anecdotes les plus singulieres de l’Italie (…), vol. III, Yverdon 1787, p. 547.

    [15] G. Teti, Aedes Barberinae ad Quirinalem a comite Hieronymo Tetio Perusino descriptae, Romae 1642, Excudebat Mascardus, pp. 19-23, 31-34.

    [16] La biblioteca rimase alla famiglia Barberini fino al 1902, poi trasportata con la sontuosa scaffalatura originaria in uno dei saloni della Vaticana, da dove è stata «recentemente tratta e, per la parte degli stampati, incorporata, non fusa, con gli altri fondi librari nel gigantesco braccio della Vaticana». Cfr. Barberini famiglia, sub voce, in Enciclopedia Italiana, 1949, VI, p. 140.

    [17] Per quanto riguarda il palazzo cfr. B.M. Apolloni, La «casa grande» dei Barberini, in Capitolium, VIII, (1932), pp. 451-462; V. Golzio, Palazzi romani dalla Rinascita al Neoclassico, Bologna 1971, pp. 34-56.

    [18] B.A.V., Barb. Lat. 4373, Raccolta di diverse relazioni circa la fabbricazione di Arazzi. Luca Holstein a ff. 72r-77r. descrive il prezzo degli stessi arazzi cominciando da quelli che contengono la storia di Costantino Magno. Si veda anche U. Barberini, Pietro da Cortona e l’arazzeria Barberini, in Bollettino d’Arte, 1950, pp. 43-152; A. Cavallo, Notes of the Barberini tapestry manufactory at Rome, in Bolletin of the Museum of Fine Arts, 1957, pp. 17-26.

    [19] B.A.V., Collezione Cicognara, V.M.5/3, Descrizione degli arazzi della Regina Cristina di Svezia provenienti dal sacco, prima di Mantova, poi di Praga, portati in Roma dalla medesima ed in sua morte comprati e posseduti presentemente da don Livio Odescalchi, ff. n.n.

    [20] Figlio di Carlo e Costanza Magalotti, cardinal nepote sotto Urbano VIII. Cfr. P. Pecchiai, I Barberini, op. cit., pp. 154-159; A. Merolla, sub voce, in DBI, vol. VI, 1964, pp. 172-176.

    [21] Battezato con il nome di Marcello, figlio ultimogenito di Antonio e Camilla Barbadori, era fratello del futuro Urbano VIII; nel 1592 entra nell’Ordine dei cappuccini dedicandosi ad una rigida vita monastica, è nominato cardinale con il titolo di Sant’Onofrio e successivamente vescovo di Senigallia. Tra le varie cariche, ricopre anche quella di cardinale bibliotecario. Cfr. A. Merola, sub voce, in DBI, Roma 1964, vol. 6, pp. 165-166.

    [22] Cfr. Guida delle fonti per la storia dell’America Latina negli archivi della Santa Sede e negli archivi ecclesiastici d’Italia, a cura di Lajos Pásztor, (Collectanea Archivi Vaticani, 2), Città del Vaticano 1970, pp. 597-598.

    [23] L’archivio Barberini, scrive ancora Pecchiai, «giunse alla Biblioteca Vaticana nell’ordinamento datp ad essp nel secolo XVIII dagli archivisti della casa, un ordinamento empirico, come quelli che si usavano prima che dell’archivistica si facesse una dottrina, ma sufficiente allo scopo di tenere i materiali ben dispoti». P. Pecchiai, I Barberini, citato, passim.

    [24] Zb. Satała, Poczet polskich królowych, księżnych i metres, Glob 1990, p. 240.

    ​Capitolo I

    Maria Kazimiera Sobieska: una vita da sovrana

    1.1.

    Studiata da diversi storici polacchi e non solo, in particolare da Michał Komaczyński [1] , Maria Kazimiera de la Grange d’Arquien, figura complessa e problematica, approda in Polonia nel 1646 «à peine de quatre ans» [2], come dama di compagnia della principessa italo-francese Ludwika Maria Gonzaga-Nevers [1612-1667] [3] che andava sposa a Władysław IV Wasa [1595-1648] [4], per poi passare in seconde nozze, una volta restata vedova, con Jan II Kazimierz [1609-1672] [5], ultimo della dinastia dei Wasa che regna in Polonia e fratello del defunto:

    Maria Casimira fu fatta passare dalla Francia in Polonia in età ancor tenera dalla Regina Maria Ludovica Gonzaga moglie già del re Casimiro dalla quale era stata tenuta al sacro fonte, onde la volle sempre appresso di sé con tal distinzione ed affetto che presentateseli l’occasione di maritarla gliene procurò il vantaggio [6].

    La giovane e bellissima Maria, visse, dunque, la propria adolescenza presso la sua protettrice in maniera spensierata e mondana, ma le sue fattezze di ragazza aggraziata non restarono però in ombra troppo a lungo. Come molte damigelle d’onore della sovrana, anche Maria Kazimiera fu al centro dell’attenzione di alcuni importanti personaggi della corte tra cui il palatino di Sandomierz, Jan II Zamoyski [1627-1665] [7], soprannominato Sobiepan, personalità di notevole influenza politica oltre che uno dei più ricchi magnati del regno.

    Interesse che non poteva sfuggire al vigile occhio dell’astuta ed intrigante Gonzaga Nevers la quale, in una sua lettera inviata a Madame de Choisy, Jeanne-Olympe de Belesbat-Hurault una delle sue più intime confidenti [8], scriveva a proposito dello Zamoyski, all’epoca gran coppiere della corona, «zdaje się być zakochanym w małej d’Arquien» [9].

    Intrighi di palazzo, amori extra coniugali tra Jan II Kazimierz e Anna Schönfeldt la cui bellezza restò consegnata alla memoria dei suoi contemporanei per molto tempo [10], gelosie della sovrana contrarissima ad un possibile matrimonio tra quest’ultima e lo Zamoyski perché avrebbe consentito la presenza della sposa a corte e, dunque, preda dei desideri dell’infedele marito, tutto questo spinse l’astuta francese a sollecitare le nozze tra la diciassettenne Maria Kazimiera e il magnate polacco che, in verità, appariva sempre più preso dalla francesina:

    Książę Zamoyski jest tak bardzo żakochany, że ofiarowuje swej wybrance milion talarów podarku, dwanaście tysięcy rocznie na drobne wydatki nadto cztery tysiące rocznie z dochodów ze starostwa; jeśli się będzie dobrze prowadziła, gdy zostanie jego żoną i będzie go kochała, przyrzeka jej wiele innych jeszcze korzyści [11].

    L’atto con cui si sancisce il matrimonio è infine sottoscritto dai due il sabato 2 marzo del 1658, mentre la domenica successiva, la giovane, alla quale la stessa sovrana francese posava in testa un bellissimo diadema di brillanti [12], diveniva pubblicamente ed ufficialmente la potente signora Zamoyska [13]. Testimoni dell’evento, furono chiamati Stefan Czarniecki [1599-1655] [14], e Michał Kazimierz Radziwiłł [1635-1680] [15] allora Maggiorasco di Nieswież. Al neo sposo, il sovrano polacco concedeva il titolo di voivoda di Kiev intanto che alla sposa si spalancavano le porte della brillante e spensierata vita di corte. Con l’accettazione pronunciata davanti a Dio, Maria passava da semplice dama di compagnia, benché assai amata dalla sovrana, a ricoprire un rango che tutti le avrebbero invidiato. Tuttavia, la vita coniugale di questa strana coppia fin dai primissimi giorni non si può dire felice o soddisfacente. Passata dalla brillante corte di Varsavia alla monotonia della vita di provincia, la giovanissima ragazza si trovò legata ad un uomo intento a battersi contro i cosacchi ucraini o a passare la maggior parte del suo tempo a tavola con gli amici bevendo vino ungherese, bevanda preferita dalla nobiltà polacca. Soprattutto si troverà sposa di un uomo affetto dalla sifilide, che per questo motivo restò lontano dal talamo nuziale per un intero mese dormendo, riportano i cronisti dell’epoca, accovacciato ai piedi del letto. L’unione carnale avvenne soltanto un mese dopo le nozze e non fu, come si disse, particolarmente esaltante per la giovanissima sposa [16].

    Presto, fin troppo presto, ella dovette prendere atto che il suo era stato un matrimonio finto. Una unione senza amore, uno sposalizio d’interesse. Il marito, sovente ubriaco e dedito più alla compagnia dei vecchi compagni d’arme che non alla sua consorte, cominciò ad intraprendere lunghi viaggi. Restata sola, annoiata, la nostra eroina si dedica allo scambio epistolare. Scriveva lunghe lettere indirizzate allo sposo ma anche, e soprattutto, al suo vicino di casa, quel citato Jan Sobieski [17], futuro re di Polonia, che confinava direttamente con i possedimenti di Sobiepan.

    Dunque, una vita matrimoniale vissuta con qualche gravosità e difficoltà che aumentarono quando la giovane donna decise di prendere le redini della conduzione della casa, vero e proprio caravanserraglio dove bivaccavano una quantità impressionante tra gentiluomini e paggi, segretari, valletti e uomini di fatica, di cucina ect. Ciascuno dava ordini e nessuno li eseguiva, le spese per la gestione dell’immenso palazzo di Zamość inserito nel progetto della città ideale fondata da un altro Jan Zamoyski [1542-1605] su progetto dell’architetto italiano Bernardo Morando [1589-1656] [18], erano incontrollabili. Maria vuole riportare ordine in tutto questo ma trova forte resistenza in tutti, particolarmente tra la servitù, ormai da lungo tempo abituata a non ricevere indicazioni padronali. Affranta, sempre più isolata, tentò qualche lamentela con il marito, il quale, preso da altre faccende a lui più consone, non intervenne a modificare una situazione a dir poco sgradevole.

    A sconvolgere la noiosa routine quotidiana, accadde nel giorno del sabato santo del 1658 un evento che lasciò un segno indelebile nella futura sovrana polacca. A Zamość, residenza ufficiale dove la nostra giovanissima francese trascorreva le sue noiosissime giornate, un incendio devastò ben trentaquattro edifici che si affacciavano nella piazza centrale, oltre all’ufficio del decano, alla chiesa dei francescani e parte del campanile e delle scuderie.

    Con molta probabilità questa disavventura fu l’unico evento che scosse in modo significativo e concreto la sua monotona vita. Sempre più sola, più lontana dal marito al quale indirizzava lettere con le quali lo supplicava di raggiungerla «al più presto, mio carissimo cuore, […] non vi lasciate alle spensieratezze […]. A causa dell’amore che provo per voi ho imparato a bere un poco di vino. Signore, quando tornerete ne berrò un mezzo bicchiere». La tristezza aumentò dopo essersi accorta di aspettare un figlio. Al marito ancora una volta lontano scriveva: «anche se sono in preda alla malinconia rimango sempre a voi, mio carissimo ed amatissimo, umile ed obbediente e la moglie fedele […]. E nell’immaginazione bacio un milione di volte la vostra bocca» [19].

    Nella primavera del 1659, Maria Kazimiera dava alla luce una figlia alla quale viene imposto il nome della regina regnante ma che muore dopo solo un mese di vita [20]. Restata nuovamente in dolce attesa, questa volta fu costretta ad abortire a causa di un incidente di slitta, ma riuscì ad assaporare la gioia della maternità il 5 dicembre del 1660 quando dà alla luce Katarzyna che visse lo spazio di due anni [21].

    Zamoyski continuò tuttavia a disinteressarsi della moglie. Gaudente, dedito alla vita sregolata con gli amici, dissipa il patrimonio di famiglia trascurando gli affari anche dopo la sua nomina a voivoda di Sandomierz e quindi ricoprendo il quarto posto nel Senato.

    1.2.

    Nasce da questa atmosfera l’incontro tra la giovanissima madame Zamoyska e il maresciallo della corona Sobieski sebbene fu deludente per la donna che trova il suo interlocutore rozzo ed invadente. Insoddisfazione che durò poco. Nel maggio del 1661 i due si trovarono ancora una volta faccia a faccia nella capitale e questa volta l’incontro fu determinante per il loro futuro. Pian piano, da una semplice simpatia si passò ad un sentimento più profondo. Le lettere che si scambiarono contenevano frasi piene di passione. Jan scopre che l’oggetto amato non è una facile preda, ma una donna da difendere, proteggere, amare.

    Benché la donna fosse ancora legata a Zamoyski, il 24 settembre del 1661 i due amanti davanti l’altare della chiesa dei Carmelitani, si giurarono reciproco amore [22]. Un tenero sentimento coltivato attraverso una fitta corrispondenza nella quale Maria Kazimiera, divenuta Marysieńka per il focoso Sobieski, è paragonata all’aurora (= jutrzenka) e scambiata per una rosa (= róża), di più, per la stessa Venere mentre, da parte della giovane donna, il suo cavaliere è identificato con l’autunno (= jesień).

    Nello stesso tempo, i rapporti con Zamoyski peggioravano giorno dopo giorno, settimana dopo settimana. Alle pressanti richieste di lei rivolte al marito di cambiar vita, questi rispondeva in modo brusco e disinteressandosi delle suppliche della giovanissima sposa la quale, ormai stanca per le tante angherie e umiliazioni subite, prendeva la decisione di fare un viaggio in Francia con il pretesto di voler riabbracciare suo padre e la famiglia [23].

    Maria lascia dunque la Polonia con la recondita speranza di essere raggiunta almeno dal suo amante con il quale intendeva ricostruirsi una vita nella terra della sua antica patria. Ma anche questa illusione restò tale. Dopo un anno e mezzo di lontananza dal marito e dallo stesso amante, richiamata in Polonia, la giovane donna fu costretta suo malgrado a fare rientro nel regno trovando un marito apparentemente disposto a più miti consigli. I rapporti fra i due, infatti, migliorano, così come, parallelamente, la passione amorosa verso il maresciallo di corte, il suo jesień, non si era minimamente affievolita.

    In aiuto a questa coppia di amanti clandestini arriva il 7 aprile 1665 la morte di Jan Zamoyski:

    Visse seco pochi anni nel qual tempo ebbe tre gravidanze: due furono felicitate dalla nascita di un maschio e una femmina e l’altra non poté arrivare alla perfezione perché abortì dopo lo spazio di pochi mesi […]. La morte del principe Zamoyski, secondo le costituzioni del paese, rese padrona di tutti i suoi beni stabili e mobili la vedova principessa, sì che ereditò la rendita di sopra 30.000 scudi annui e puoté far pompa delle bellissime gioie che sopra l’altre acquistate di poi fanno ancora l’universale ammirazione [24].

    Più nulla poteva ostacolare l’unione tra la giovane donna (Astrée) e il suo Céladon, come affettuosamente chiamava Sobieski. Unione in qualche modo sostenuta anche in quest’occasione dalla regina Ludwika Maria, eterna protettrice della giovane francese, la quale, più che mai desiderosa di conquistare alla causa del trono il capo più popolare tra l’esercito e la nobiltà magnatizia, sponsorizza quest’unione. Persino l’eterno titubante ed indeciso Jan II Kazimierz Wasa punta sull’aitante Sobieski al quale offre la dignità di Gran Maresciallo del Regno in sostituzione del principe Jerzy Sebastian Lubomirski [1616-1667] [25] allontanato dalla corte dopo i ripetuti tentativi di rivolta contro il trono proprio in pieno potop [26], ovvero nel momento peggiore che attraversava la Rzeczpospolita con l’invasione da parte delle truppe svedesi guidate da Karol X Gustav [1622-1660] del regno incendiato, saccheggiato e devastato. Tuttavia la proposta della nuova carica offerta a Sobieski lo trova tiepido e poco interessato perché preso da interessi di famiglia e dall’organizzazione del proprio matrimonio con la bella francese.

    Il 14 luglio 1665, alla presenza di Ludwika Maria Gonzaga-Nevers e del sovrano, il ventiseienne Jan Sobieski pronunciava alla sua amata ventenne la formula del giuramento di fedeltà e di amore eterno. Il banchetto offerto dai novelli sposi che seguì la cerimonia religiosa fu, com’era prevedibile, sfarzoso. Tra gli invitati figuravano oltre ai reali, monsignor Antonio Pignatelli [1615-1700] [27], nunzio del papa, lui stesso salirà poi sul trono di san Pietro con il nome di Innocenzo XII [1691-1700] [28], monsignor Pierre de Bonsy [1631-1703] [29] nella sua qualità di rappresentante del re di Francia [30], il primate del regno, monsignor Andrzej Lesczczyński [1608c.-1658] [31], ed una quantità impressionante di dignitari di corte. La tavola degli sposi era stata posta davanti al trono, e gli invitati fatti sedere ai lati lungo il salone. L’intera cerimonia durò dalle quattro del pomeriggio fino ad un’ora dopo mezza notte e tutto si svolse con successo e divertimento [32]. Nella lieta circostanza, vennero consumate ben quattro grandi botti di vino d’Ungheria e birra locale tanto apprezzata dall’ex nunzio a Varsavia monsignor Galeazzo Marescotti [1627-1726] [33] nel suo famosissimo vademecum ad uso e consumo di ogni rappresentante pontificio che si sarebbe recato nella Rzeczpospolita dopo di lui:

    La birra migliore, cioè la più leggiera e più chiara che si beva in Varsavia et in Polonia tutta, è la birra di Varca luogo sei leghe distante da Varsavia, ma per beverla megliore è necessario lasciarla posare per due settimane perché così si chiarifica più e perde l’amaro che in essa si sente da beverla fresca. Anzi per maggior delizia molti sogliono votare in tante bocche di vetro una botte di questa birra perché si schiarisca meglio, ed in lasciarla posare per più settimane, avvertendo poi nel votare le bocce di usar diligenza acciò il fondaglio non intorbidi di nuovo il resto della birra.

    Le botti di questa birra sono picciole come bacili e tengono 30 garnizze in circa e la grnizza può dirsi che tenga come un boccale romanesco et ordinariamente si computa una ganizza il giorno a testa per le famiglie [34].

    In fine, cominciarono le danze che continuarono fino al sorgere del sole. Il giorno seguente fu destinato al ricevimento dei regali presentati agli sposi dai grandi del regno. Introduceva il nobile polacco Marek Matczyński il quale faceva l’appello dei donatori, secondo l’ordine stabilito dal cerimoniale. Il terzo ed ultimo giorno i sovrani polacchi, con numerosa cavalcata, accompagnarono i neo sposi nella loro nuova dimora coniugale [35]. Iniziava così una felicissima unione ben presto allietata dalla nascita nella seconda metà del 1667 di Jakub [36], primo di un certo numero di figli [37]. Sembrava allora che la vita scorresse piacevolmente seppure con qualche parentesi dovuta ad un attacco di varicella che colpisce la sposa che curata con sistemi molto rudimentali, non lasciò tuttavia alcun segno «sul più grazioso corpicino», come soleva esprimersi Jan all’indirizzo della moglie.

    Frattanto la situazione politica del paese si andava sempre più aggravando. La morte della regina francese [38], l’insolita abdicazione di Jan II Kazimierz Wasa [39], pose nuovamente la questione della scelta di un sovrano sul trono di Polonia.

    Sobieski, divenuto nel frattempo capo del partito filo-francese di corte, seguendo anche quanto gli era suggerito da Luigi XIV, tentò di sostenere la candidatura di un sovrano che fosse in qualche modo in sintonia con l’alleata Francia. Uno sforzo che non produsse, però, i risultati sperati. A capo della Rzeczpospolita fu scelto Michał Korybut Wiśniowiecki [1640-1673] [40], esponente del partito filo-asburgico. Una scelta che poneva Sobieski in una luce sfavorevole ma che non lo metteva certamente fuori gioco. Così come non fu messa in ombra l’ormai ex signora Zamoyska ora Sobieska. Bella, ambiziosa, astuta ed incline agli intrighi, ebbe sul marito, un forte ascendente seguendolo, sostenendolo, spronandolo, per tutto il resto della vita nelle scelte politiche che il grande generale polacco dovette affrontare.

    La prima grande prova si presenta nel 1673 all’indomani della morte del Wiśniowiecki [41], l’inetto sovrano polacco strumento nelle mani del vescovo Andrzej Innocenty Olszowski [1621-1677] [42] a capo del partito filo imperiale [43]. Scomparso il sovrano, lo scenario ad oriente era più che mai minaccioso. L’esercito ottomano, penetrato in profondità nel territorio polacco, si era impadronito della fortezza di Kamieniecz [44] costringendo la corte di Varsavia a sottoscrivere la pace di Bucacz [1672], che la obbligava a condizioni durissime [45].

    In questo quadro preoccupante per l’Europa continentale, già alle prese con la guerra nelle Province Unite [1672-1673] e con quella che solitamente viene indicata come la guerra generale [1672-1678], le cancellerie attivano i loro canali diplomatici, ufficiali o meno, al fine di ottenere dalla Dieta polacca la designazione di un proprio candidato [46]. Anche questa volta, seppure dopo un primo apparente disinteresse, la Francia di Luigi XIV decideva – come già era accaduto per la scelta fatta nel 1669 – di prendere parte attiva alla scelta del nuovo sovrano, inviando a Varsavia Forbin Toussaint de Janson [1626-1713], vescovo di Marsiglia [47], al quale viene fatta recapitare un’istruzione che espone, con estrema chiarezza davanti ad un attento sejm, la strategia messa a punto dalla corte di Versailles per la specifica circostanza.

    In concreto Forbin avrebbe dovuto per prima cosa tentare di far eleggere un principe francese o procurare, in subordine, la corona a un fidato alleato, ma, soprattutto, «empecher qu’elle ne passasse sur la teste d’un de ses ennemis» [48]. Fallito il tentativo di caldeggiare la candidatura di Louis II de Bourbon principe di Condé [1621-1686] o quella del figlio, Henri Jules de Bourbon duca d’Enghien [1643-1709], ambedue cugini del re di Francia, ecco allora delinearsi quella dello stesso Sobieski da contrapporre ai nomi più diversi che cominciarono ad affacciarsi sulla scena politica internazionale.

    Da Karol V von Lothringen [1643-1690], sostenuto da Leopold I d’Asburgo-Austria [1640-1705], considerato da Luigi XIV come «son ennemy par luy mesme et attaché si dependament a ses plus irreconciliables ennemys» [49], a Johan Wilhelm von der Pfalz-Neuburg [1658-1716] [50], dal conte Luigi Tommaso di Carignano-Soissons [1657-1702], avanzata dal duca di Savoia, a quella del moscovita Fëdor Alekseevič [1661-1682]; dalla candidatura di Giacomo duca di York [1633-1701], a quella del principe Alessandro Farnese [1635-1689] [51]; da quella del calvinista elettore del Brandeburgo per finire con il principe di Modena Rinaldo d’Este [1655-1737] presentato dal vicentino Galeazzo Gualdo Priorato [1606-1678], storiografo imperiale [52], quale candidato super partes e quindi possibile elemento di mediazione tra gli interessi francesi e quelli imperiali [53]. Si trattava, in effetti, di un principe non ammogliato [54], di un cattolico osservante e praticante, nipote, per parte di madre [55], del potente già citato cardinale Francesco Barberini, e dunque pronipote di Urbano VIII [1623-1644], il pontefice che tanto merito aveva acquistato per l’intera cristianità nella lotta contro l’infedele turco, approvando e sostenendo con notevole sforzo il risveglio missionario con la creazione del collegio Urbaniano [56], l’istituzione che «avrebbe da servire principalmente per le Nazioni che non hanno collegi e per quelli che hanno estrema necessità d’operarsi» [57].

    Un quadro complesso si presentava, dunque, ai mediatori incaricati di trovare il bandolo della matassa e risolvere la complessa questione. Tra questi, oltre al citato Janson de Forbin, il nunzio pontificio Francesco Buonvisi [1626-1700] [58], presente in qualità di straordinario di papa Clemente X. La mediazione che si richiedeva però questa volta al Buonvisi, era oltre modo difficile. Bisognava non irritare i magnati polacchi con eccessive intromissioni nelle delicatissime questioni di autonomia legate all’autorità della dieta, né scontrarsi con gli altri diplomatici europei incaricati di sostenere i propri candidati. Buonvisi doveva occuparsi in prima persona di una accettabile soluzione restando, però, fedele alle istruzioni che provenivano da Roma, indicazioni che lo esortavano a sostenere con forza un candidato che avesse difeso gli interessi della Santa Sede nel regno e dunque cattolico, senza entrare prepotentemente in sostengo di questo o quell’altro nome [59].

    Anche questa volta Marysieńka si gettò nella mischia, ponendosi al centro degli affari politici del paese offrendo nuovamente il suo incondizionato appoggio alle strategie del marito, convincendolo, alla fine, a tentare egli stesso la scalata alla corona.

    Era questa una novità assoluta nel panorama di un interregno sempre più complesso dove la minaccia di una guerra civile non era solo propaganda ma stava diventando una drammatica realtà. Da parte sua, Janson de Forbin, rappresentante di Luigi XIV prende sul serio il nuovo quadro politico che gli presenta davanti agli occhi e si convince che probabilmente la candidatura del Sobieski, venuta meno la possibilità di successo del Neuburg [60], candidato del re sole, fosse la più concreta e praticabile, sicuramente la più favorevole alla politica francese che puntava alla sottoscrizione di una pace polono-turca [61], raggiunta la quale sia il sultano che il neo-eletto sarebbero stati liberi di marciare contro l’imperatore in Ungheria, aprendo così quel secondo fronte nel settore centro-orientale che tanto necessitava al re di Francia.

    La candidatura di Sobieski non era, a dire il vero, un fulmine a ciel sereno per nessuno. In molti, soprattutto all’interno del paese, erano favorevoli alla sua persona. Di lui si parlava come del grande eroe di Chocim [1673] [62] e, dunque, del più idoneo a ristabilire l’autorità della corona. A rafforzare questo convincimento che si stava facendo sempre più strada, c’era l’opera palese o nascosta di Maria Kazimiera che si sentiva, al pari del marito, pronta ad assumere un compito così grave ed impegnativo ma che l’avrebbe lanciata su un palcoscenico europeo. Soprattutto c’era il desiderio per i due coniugi Sobieski di cancellare dal cuore dei polacchi la regina vedova Eleonora Maria Józefa d’Asburgo-Austria [1653-1697] [63] perché, scriveva il marchese d’Arquato, «amata da’ popoli di genio polacco, parla la lingua, è conosciuta parziale del regno in certe occasioni anche a poco gusto dell’imperatore suo fratello» [64]. Nell’inquieto regno dei Sarmati europei sarebbe spettato a lei brillare nel panorama generale della corte in questo periodo di interregno, così come sarebbe spettato alla sua autorità vegliare sul popolo e sul buon nome di suo marito.

    In realtà, sarà la futura coppia reale a diventare in quei giorni convulsi il perno sul quale appoggiare il futuro dell’intero paese già in preda a conflitti interni e esterni. Una complessa realtà seguita con particolare attenzione dal nunzio Buonvisi che manteneva una scrupolosa linea di condotta secondo le indicazioni che pervenivano dalla corte pontificia.

    Davanti allo spauracchio dell’investitura del calvinista elettore del Brandeburgo, il rappresentante pontificio s’impegnò in una serie di lunghe ed estenuanti trattative condotte spesso con spirito d’indipendenza rispetto alle istruzioni che provenivano dalla stessa curia romana. Svanita la candidatura del lorenese, del brandeburghese, superata anche la speranza di vedere sul trono di Polonia un principe italiano, ecco che il 21 maggio 1674, con il sostegno politico, diplomatico e soprattutto finanziario della Francia, la dieta eleggeva il cattolicissimo Jan Sobieski [65] che giurava solennemente i pacta conventa il giorno successivo [66].

    Non v’è dubbio che la scelta caduta sopra il generalissimo Sobieski sia stata in maggior parte dovuta ai veti incrociati tra Versailles e Vienna, alla conseguenza della minaccia turca sempre più pressante a sud del regno, probabilmente anche alla mancanza di veri candidati forti. Di certo fu merito dell’importante ruolo che il nostro polacco rivestiva nel paese, oltre al fatto che, sollecitato e consigliato come sempre dalla moglie francese, dimostrava di offrire ampie garanzie all’alleato d’oltralpe.

    Quanto accaduto veniva narrato dallo stesso Forbin-Janson al suo padrone con un lungo e dettagliato dispaccio dalla lettura del quale traspare il compiacimento per la buona riuscita dell’operazione, avvenuta, a suo dire, in maniera del tutto regolare:

    C’est Monsieur le Grand Mareschal qui a eté elu Roy de Pologne. Il vient d’estre proclamé avec les ceremonies accoutumés. Son election s’est faite dans toutes les formes, unanimament, sans aucune violence, ny protestation et elle ne pouvait estre plur reguliere. Elle m’a paru trop importante a la satisfation de Vostre Majesté et au bien de ses affaires pour differer a luy en donner la nouvelle jusques a ce que je puisse l’accompagner de tout le detail que Vostre Majesté pourroit desirer d’en apprendere en meme tems [67].

    Sebbene nelle parole del diplomatico francese non manchi il rammarico per non essere riuscito ad imporre il principe di Neuburg come desiderato in un primo momento dal suo sovrano, c’è tuttavia la consapevolezza di aver svolto con successo un incarico a tutto favore della politica francese, riuscendo, non senza fatica, a far cadere i consensi del sejm polacco sopra un personaggio che da molti anni dimostrava un attaccamento particolare verso la persona di Luigi XIV, con il quale condivideva le scelte di politica internazionale, in questo sostenuto da una consorte dal carattere intraprendente, di nascita francese ma soprattutto molto legata al sovrano di Versailles che chiamava affettuosamente mon cousin:

    Mais ce qui acheve entierement la satisfaction de Vostre Majesté est que l’Election n’ayant pu reussir pour le Prince de Neubourg, le sort soit tombé sur un sujet qui a toujours eu autant plus de veneration pour Vostre Majesté que d’eloignement et meme d’aversion pour la Maison d’Austriche, qui a l’obligation de son elevation a Vostre Majesté seule, et qui par sa reconnoissance dont il a la reputation d’estre plus capable qu’aucun Polonois, et par celle de la Reine son epouse attachée d’ailleurs par sa naissance aux interests de Vostre Majesté me paroir plus ferme que tout autre et dans la disposizione d’une plus grande dependance. Car il est vray, Sire, qu’il temoigne un si grand ressentiment que Vostre Majesté s’en peut prometre a jamais tous les effets qu’elle en pourra desirer [68].

    Forbin chiude la sua lunga esposizione esprimendo la sua felicità per aver conseguito l’obiettivo che Versailles aveva auspicato. Un tangibile esito raggiunto soprattutto grazie alle istruzioni tempestive e precise che gli giungevano dalla corte «et a la facilité que son nome et la grande veneration qu’on a icy pour elle m’ont fait renconter dans ma negotiation» [69].

    Anche il rappresentante della Curia, Buonvisi, nel dare la notizia al cardinale Paluzzi Altieri non nasconde la complessità dell’operazione che aveva portato a preferire Sobieski ad altri concorrenti altrettanto agguerriti. C’erano stati - sottolinea con vigore il nunzio - tentennamenti da parte di alcuni magnati polacchi sul nome dell’eroe di Chocim prima che fosse raggiunta l’unanimità [70]. Dunque una scelta, a parere del nunzio straordinario, che poteva essere considerata concorde solo in apparenza, perché nella sostanza era stata una scelta forzata [71], ma non per questo sarebbe stata foriera di particolari conseguenze negative, dal momento che un seppur velata opposizione avrebbe scatenata una guerra civile come al tempo di Michał Korybut Wiśniowiecki. In una tale ipotesi nessuno, del partito contrario a Sobieski, si sarebbe potuto permettere di opporsi al nuovo sovrano soprattutto «perché troppo lo temono e credo regnerà con autorità assoluta» [72].

    1.3.

    La tiepidezza dimostrata in un primo momento da Buonvisi era da imputare esclusivamente al timore che il nuovo sovrano, conosciuto come sincero aderente al partito filo-francese di corte, potesse abbandonare la tradizionale politica anti-turca. Un timore fondato, secondo alcune voci avverse che presero a circolare immediatamente nel regno, novità che volevano Sobieski intenzionato – secondo i desideri e le direttive di Versailles – a sottoscrivere la tanto temuta pace con il sultano, evento considerato dalla Santa Sede svantaggiosissima per l’intera cristianità [73].

    Se a Roma serpeggia qualche perplessità, Luigi XIV è, al contrario, entusiasta della scelta. Uno stato d’animo di grazia che vuol condividere immediatamente con il neo eletto al quale indirizza una lettera spedita dal campo davanti la cittadina di Dole dove si congratula per l’avvenuta elezione e, nel contempo, assicura la sua più totale amicizia e stretta collaborazione:

    Cette lettre servira plus tost a vous donner une marque bien espresse de nostre amitié pour vous qu’a vous faire connoistre les sentimento avec lequels nous avns appris votre elevation a la couronne de Pologne. L’affetion que nous vous avons temoignée depuis si longtems et celle que tous avez fait paroistre pour nous et pour nos interests dans tant de rencon tres differens non moins que les ordres dont nous avion chargé l’Evesque de Marseille nostre ambassadeur extraordinaire lors que nous l’envoyasmes à la Diete tous ont deu estre autant de preuves que nulle nouvelle ne nous pouvoit estre plus agreable que celle qui nous a appris Vostre Election [74].

    Medesima attenzione rivolge a Maria Kazimiera considerata alla stregua del Forbin infaticabile e tenace sostenitrice della volontà politica del governo di Versailles:

    Vous avex une si grande part dans la joye que nous ressentons de la maniere dont la diette d’election pour la couronne de Pologne s’est terminée que nous n’avons pas besoin de Vous en faire paroistre nos sentiments. Vous ne pouvées ignorer que rien ne nous pouroit arriver de plus agreable, et que nous ne pouvions voir passer ce sceptre entre des mais que nous creussions plus dignes de le porter, et ou nous le souhaitassions d’avantage, l’amitié que nous avons toujours oüe si particuliere pour la persone de nostre frere le Roy de Pologne se trouve augmentée aujourd’huy par l’alliance quia tousjours esté entre nos Estats et qui deviendra ancore plus ferme et plus estroite soüs son regne. Nous Vous en regarderons toujours avec plaisir comme un des principaux liens, et nous serons tousjours bien aise de vous donner en toutes occasions de nouvelles preuves de nostre estime et de nostre amitié pour Vous. Nous sommes bien persuadés que les assurances ne vous en peuvent estre portées par persone dont Vous les receviés plus agreablement que par le Marquis de Bethune que nous avons choisy pour cet employ. Comme il est parfaitement instruit de nos sentimento sur tout ce qui Vous regarde, vous voudrez bien ajouter une creante entiere a ce qu’il vous dira de nostre part, sur tout aux temoignages qu’il vous donnera […] si particulier que nous faison de Vostre amitié et du fondement que Vous pouvés faire sur la Nostre [75].

    La nuova regina piace dunque a Luigi XIV. Su di lei si indirizzano gli sguardi della politica francese nella certezza di averla complice ed ispiratrice delle future azioni politico-displomatiche del suo amato Celadone. In effetti, come si è fatto già cenno, Maria Casinira è donna apprezzata per la sua capacità di gestire il potere oltre che per la sua famosissima bellezza. Doti, che il modenese Alessandro Bellentani da Carpi [1630-1692], trovandosi in quei convulsi giorni a Varsavia a svolgere l’incarico di sostenitore della candidatura del principe Rinaldo d’Este al trono di Polonia [76], non manca di sottolineare. In una lunga relazione, il nostro abate, se da un lato non può fare a meno di riconoscere l’indiscussa capacità militare dimostrata dal neo sovrano in passato, anche recentissimo, garanzia certa per la difesa del regno anche per il futuro, non manca neppure di porre l’accento sulla forza di carattere della Sobieska stimata dai rappresentanti stranieri accreditati a corte e, ovviamente, in particolare da quello francese :

    Il re ha pochi pari nell’intelligenza e nel valore, ma è così circospetto et irresoluto che le sue consulte riescono molto longhe e talvolta giunto sin sopra la porta dell’imprese non ha voluto entrare ancorché chiaramente non si vedessero ostacoli capaci di ributtarlo. Se poi si mette veramente sul piede d’eseguire, sa fare le parti di prudente e di valoroso et in ciò la fortuna l’ha secondato con i più prosperi successi. Ama assai l’applauso popolare, ne gode abbondantemente, ma egli se lo figura ancor maggiore. Il suo portamento è di uomo altiero ma il parlare assai cortese. Quando egli è lontano dalla moglie a tutti è aperto il trattar con lui, ma quando si trovano assieme non vi è quasi altro mezzo et altra porta che la Signora e con questa è bene difficile il negoziare perché se bene ella parla sempre in dolci termini, nondimeno in fatti si trovano le amarezze, perché con l’esempio l’ha mostrato in passato o per dispiacere di poco momento o per pretensioni eccedenti il praticabile et il conveniente ha guastato di gran cose e perciò è più odiata che amata tra Cavaliere, e tra le Dame forse non ha una sola amica. Per regolarsi con questa dama bisogna riflettere ch’ella studia di conservare il marito nella grande popolarità in cui oggi si trova e che restando vedova potesse assicurarsi della protezione del futuro regnante conoscendo ella molto bene che dopo la morte

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