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Il tramonto di un regno.: Il declino di Jan Sobieski dopo il trionfo di Vienna
Il tramonto di un regno.: Il declino di Jan Sobieski dopo il trionfo di Vienna
Il tramonto di un regno.: Il declino di Jan Sobieski dopo il trionfo di Vienna
E-book446 pagine6 ore

Il tramonto di un regno.: Il declino di Jan Sobieski dopo il trionfo di Vienna

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Info su questo ebook

La liberazione di Vienna dall’assedio ottomano nel 1683, un evento epocale per la storia dell’Europa, il cui merito fu scritto universalmente a gloria di Jan III Sobieski, costituì il momento più alto della biografia politica e militare del sovrano polacco. Sull’onda anche emotiva suscitata in tutti gli Stati cristiani da questa grande sconfitta dei Turchi, il re ottenne una straordinaria fama europea ed acquistò un grandissimo prestigio sul piano della politica internazionale.
Ma la scelta di coinvolgere la Rzeczpospolita nella guerra anti-turca, non portò al Sobieski e alla Polonia i risultati sperati. Anzi in quella scelta, per gli enormi costi sostenuti, per gli scarsi vantaggi ottenuti, per il rafforzamento conseguito invece dalle due potenze confinanti, l’Austria e la Russia, è stato visto addirittura il momento di innesco del processo che generò la crisi polacca.
La vittoria riportata sotto le mura di Vienna si rivelò in effetti solo come il momento più alto di una parabola che era iniziata con la vittoria di Chotin nel 1673 e con l’elezione al trono; parabola che però si avviò ben presto verso il suo percorso discendente.
LinguaItaliano
Data di uscita25 lug 2014
ISBN9788878535213
Il tramonto di un regno.: Il declino di Jan Sobieski dopo il trionfo di Vienna

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    Il tramonto di un regno. - Francesca De Caprio

    Francesca De Caprio

    Il tramonto di un regno. Il declino di Jan Sobieski dopo il trionfo di Vienna

    isbn: 978-88-7853-352-3

    isbn ebook: 978-88-7853-521-3

    Iª edizione aprile 2014

    Edizioni SETTE CITTÀ

    Via Mazzini 87 - 01100 Viterbo

    tel 0761304967 fax 07611760202

    info@settecitta.eu - www.settecitta.eu

    ebook realizzato da Silvia Busti.

    Stage del Dipartimento di Scienze Umane e della Comunicazione (Disucom) dell'Università degli Studi della Tuscia presso le Edizioni Sette Città.

    ISBN: 978-88-7853-521-3

    Questo libro è stato realizzato con BackTypo (http://backtypo.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Indice dei contenuti

    ​SIGLE ED ABBREVIAZIONI

    ​INTRODUZIONE

    Capitolo I, I sussidi per la Lega Santa e le carte vaticane

    Capitolo II, La pace con la Moscovia e la prima campagna di Jan III in Moldavia (1686)

    Capitolo III, Il riavvicinamento all'Austria e la seconda campagna in Moldavia (1691)

    Capitolo IV, La morte del re e l'interregno

    BIBLIOGRAFIA

    ​SIGLE ED ABBREVIAZIONI

    ASR: Archivio di Stato di Roma.

    ASV: Archivio Segreto Vaticano.

    BAV: Biblioteca Apostolica Vaticana.

    BCz: Biblioteka Czartoryskich – Kraków.

    DBI: Dizionario Biografico degli Italiani.

    RhD: «Revue d’histoire Diplomatique».

    BIZOZERI.1: La Sagra Lega contro la potenza ottomana. Successi delle arme imperiali, polacche, venete e moscovite, rotte e disfatte di eserciti de’ Turchi, Tartari e Ribelli; assedi e prese di città, piazze e castelli; acquisti di provincie e di regni; ribellioni e sollevazioni nella Monarchia Ottomana; origine della ribellione degli Ungari; con tutti gli accidenti successivamente sopraggiunti dall’anno 1683 fino al fine del 1689. Racconti veridici brevemente descritti da don Simpliciano Bizozeri Barnabita Milanese. Milano, nella Regia Ducale Corte, per Marc’Antonio Pandolfo Malatesta Stampatore Regio Camerale, 1690.

    BIZOZERI.2: La Sagra Lega contro la potenza ottomana. Successi delle arme imperiali, polacche, venete e moscovite, rotte e disfatte di eserciti di Turchi, Tartari e Ribelli dell’Ungheria; acquisti di regni e provincie; ribellioni e sollevazioni nella Monarchia Ottomana. Con tutti gli altri eventi della Guerra continuati dall’anno 1689 fino alla conclusione della Pace nell’anno 1698. Insertavi la narrativa dell’Elezione e Incoronazione del Re Augusto di Polonia. E per ultimo, il particolare trattato della Pace con tutte le Potenze interessate. Racconti veridici

    10 Francesca De Caprio

    brevemente descritti da don Simpliciano Bizozeri Barnabita Milanese.

    Tomo II, Milano, nella Regia Ducale Corte, per Marc’Antonio Pandolfo

    Malatesta Stampatore Regio Camerale, 1700.

    CHIARELLO: [G.B. Chiarello], Historia degl’avvenimenti dell’armi

    imperiali contro a’ ribelli, e ottomani. Confederazioni e Trattati seguiti

    fra le Potenze di Cesare, Polonia, Venetia e Moscovia, Venezia, presso

    Steffano Curti, 1687 (Il nome di Giovan Battista Chiarello risulta solo

    dalla dedica al duca di Baviera Massimiliano d’Asburgo. L’opera è

    attribuita anche all’abate Bernardo Giustiniani).

    CIAMPI: Lettere militari con un piano di riforma dell’esercito polacco,

    del re JanSobieski, ed altre de’ suoi segretari italiani pubblicate da

    Sebastiano Ciampi, Firenze 1830.

    PLATANIA.1: Polonia e Curia Romana. Corrispondenza del lucchese

    Tommaso Talenti segretario intimo del re di Polonia con Carlo Barberini

    protettore del regno (1681-1693), a cura di G. Platania, Viterbo 2003 [II

    ed.; I ed. 2000].

    PLATANIA.2: G. Platania, Polonia e Curia Romana. Corrispondenza

    di JanIII Sobieski re di Polonia con Carlo Barberini protettore del regno

    (1681-1696), Viterbo 2011.

    ZAŁUSKI.1.1: Andreae Chrysostomi in Załuskie Załuski, Primo

    Kijoviensis Plocensis, et nunc Varmiensis Episcopi, Sacri Romani

    Imperii Principis, Terrarum Prussiae Praesidis et Supremi Regni

    Poloniae Cancellarii, Epistolarum historico-familiarium Tomus

    Primus. A morte Ludovicae Reginae, et abdicatione Regis Casimiri.

    Regum Michaelis I et Joannis III Acta continens, Brunsbergae 1709.

    ZAŁUSKI.1.2: Andreae Chrysostomi in Załuskie Załuski […],

    Epistolarum historico-familiarium Tomi Primi Pars II […], Brunsbergae

    1710.

    ZAŁUSKI.2: Andreae Chrysostomi in Załuskie Załuski

    […],Epistolarum historico-familiarium Tomus secundus […],

    Brunsbergae 1711.

    ​INTRODUZIONE

    La liberazione di Vienna dall’assedio ottomano nel 1683, un evento epocale per la storia dell’Europa, il cui merito fu scritto universalmente a gloria di Jan III Sobieski, costituì il momento più alto della biografia politica e militare del sovrano polacco. Sull’onda anche emotiva suscitata in tutti gli Stati cristiani da questa grande sconfitta dei Turchi, il re ottenne una straordinaria fama europea ed acquistò un grandissimo prestigio sul piano della politica internazionale. Si comprende, quindi, perché Jan III a sua volta abbia sempre cercato di coltivare e mantenere il più a lungo possibile in vita la propria immagine di grande generale e soprattutto quella di liberatore di Vienna, salvatore della stessa casa d’Asburgo e dell’intera Europa cristiana. Egli perciò insisterà nel presentare se stesso come lo strenuo difensore della cristianità e, con molto maggiore efficacia che nel passato, proporrà la sua Polonia come l’Antemurale Christianitatis, il baluardo, la postazione più avanzata della linea difensiva europea contro la secolare espansione della potenza islamica verso il continente.

    Saranno dunque le stesse scelte di Jan III a conferire un valore assoluto e una portata generale a questa immagine della Polonia, che ben riassumeva il ruolo storico di uno Stato nel cui tessuto istituzionale e politico s’integravano profondamente sia il cattolicesimo sia l’alto clero. Ma l’assolutizzazione di questa immagine, il suo presentarsi essenzialmente nella sua valenza bellica, di roccaforte avanzata nella guerra anti-turca, rifletteva tuttavia soprattutto una fase particolare della storia della Polonia, quella appunto del regno di Jan III e degli anni immediatamente precedenti. Molto a lungo la Polonia era stata piuttosto impegnata militarmente sullo scacchiere baltico, anche se era stata contemporaneamente coinvolta in uno stato di intermittente ma prolungata belligeranza con i musulmani Tartari del Khanato di Crimea e del Budjak.

    Specialmente nella storiografia polacca contemporanea si è andata consolidando la consapevolezza che l’immagine della Polonia solamente come antemurale contro gli infedeli non appare del tutto appropriata se viene inquadrata e dimensionata entro la storia delle relazioni polacco-ottomane in un lungo periodo. Infatti sul lungo periodo le relazioni fra la Rczepospolita e l’Impero turco sono state caratterizzate dalla pace, oltre che dalla guerra; fino a tutto il penultimo quarto del Seicento e a Jan Sobieski, quando si riaccendono le ostilità con i Turchi. Si è sottolineato che in fondo, se si escludono gli Stati vassalli della Porta, la Polonia fu il primo Stato cristiano a firmare nel 1533, sotto i regni di Zygmunt I Stary [1467-1548] e di Sulaymān I [1494-1566], una pace eterna con l’islamico Impero Ottomano; pace mantenutasi per ben 150 anni, interrotta solo dal breve periodo della prima guerra di Chotin. E si tende a mettere in evidenza che questo secolo e mezzo di pace sembrerebbe configurarsi come un interessante periodo di coesistenza e di reciproco bilanciamento fra Stati aventi religioni e ordinamenti molto differenti fra loro; piuttosto che come un periodo di coesistenza basata però sulla conflittualità fra i due Stati.

    E su questa tradizione di convivenza, ancora ben viva durante gli anni della Lega Santa promossa di Innocenzo XI, poteva facilmente far leva il partito del Sejm contrario alla guerra contro l’infedele e favorevole a una pace separata; un partito, che per altro era rafforzato dalla diplomazia francese, contro le cui resistenze Jan Sobieski dovette a più riprese impegnarsi sia prima che dopo la stipula dei trattati anti-ottomani.

    Ma la scelta di coinvolgere la Rzeczpospolita nella guerra anti-turca, dapprima nell’ambito della Lega con l’Austria e poi in quello della Lega Santa, non portò al Sobieski e alla Polonia i risultati sperati. Anzi in quella scelta, per gli enormi costi sostenuti, per gli scarsi vantaggi ottenuti, per il rafforzamento conseguito invece dalle due potenze confinanti, l’Austria e la Russia, è stato visto addirittura il momento di innesco del processo che generò la crisi polacca.

    La vittoria riportata sotto le mura di Vienna si rivelò in effetti solo come il momento più alto di una parabola che era iniziata con la vittoria di Chotin nel 1673 e con l’elezione al trono; parabola che però si avviò ben presto verso il suo percorso discendente. Un percorso discendente che si lasciò intravedere già immediatamente dopo la liberazione della capitale asburgica dall’assedio, quando il re polacco e Carlo di Lorena s’impegnarono infruttuosamente, e in modo avventuroso data la stagione ormai avanzata, nell’inseguimento dell’esercito turco in ritirata.

    Il fronte principale delle operazioni terrestri della Lega Santa era situato nell’area balcanico-danubiana a Sud dei Carpazi, in cui le forze asburgiche furono impegnate in un confronto diretto con quelle turche. Sul teatro delle operazioni al di là dei Carpazi e al di là del Danubio, sul quale furono impegnate le forze polacco-lituane fiancheggiate da quelle cosacche, la presenza turca non fu così determinante. La lotta contro le truppe di Jan III fu invece delegata dalla Porta ai paesi satelliti dell’impero ottomano, a Tartari, Moldavi, Valacchi. Determinante fu soprattutto la presenza della mobilissima cavalleria tartara, impegnata non solo nel fronteggiare l’esercito polacco evitando però lo scontro campale, ma anche nella continuazione delle tradizionali scorrerie nei territori posti ai confini della Polonia, che divennero sempre più audaci e di grande portata fino ad arrivare a investire direttamente Leopoli e a penetrare nella città.

    Contro gli inafferrabili Tartari Jan III non riuscì più a rinnovare il successo clamoroso ottenuto a Vienna contro l’armata turca: non riuscì a realizzare la vecchia aspirazione a conquistare la Moldavia, che avrebbe anche consolidato la sua monarchia creando uno stato dinastico per suo figlio Jacub; e non riuscì nemmeno a recuperare la Podolia e a riprendere la piazzaforte di Kamieniec Podolski, presidiata da Turchi e Tartari, cosa che avrebbe almeno rese più solide le condizioni militari dello Stato e, assicurando le retrovie dell’esercito, avrebbe reso più facilmente realizzabile ogni progetto di espansione militare della Polonia verso la Moldavia e le foci del Danubio.

    Dalla lunga e costosa guerra antiturca e antitartara la Polonia di Sobieski uscirà invece profondamente indebolita e resa istituzionalmente più fragile, mentre fallirono i tentativi del re di riformare le sue istituzioni. La storiografia più recente ha giustamente ridimensionato le critiche mosse nel secondo dopoguerra al sistema istituzionale polacco e all’esercizio del Liberum veto, rileggendo in una luce più critica i tentativi di Jan Sobieski di rafforzare il potere regio. Ma ciò non toglie che per il re si trattava di far fronte alle esigenze di una lunga e dispendiosa guerra fra Stati che prevalentemente erano caratterizzati dall’assolutismo monarchico e quindi da un forte e più rapido potere decisionale; tranne, appunto, la Repubblica nobiliare della Polonia sempre più investita da dirompenti dissidi interni. Non possiamo sottovalutare che dopo la Dieta di Varsavia del 1690, negli anni successivi, e fino alla morte di Jan III, le Diete non riuscirono mai più a concludersi lasciando ogni volta aperti e irrisolti, fra gli altri, anche i problemi della guerra e del suo finanziamento.

    Il recupero della Podolia ottenuto con la Pace di Karlowitz, l’unico risultato conseguito dalla lunga guerra antiturca, non poté certo controbilanciare il rafforzamento, ai confini dello Stato polacco, delle due grandi potenze che ne decreteranno di lì a poco la rovina. Sul confine occidentale della Polonia, la guerra della Lega Santa produrrà uno straordinario rafforzamento dell’Austria che recupererà l’Ungheria ed estenderà il suo potere sull’area danubiano-balcanica. Quanto al confine orientale, dopo il trattato della Pace eterna stipulato fra Polonia e Moscovia nel 1686, che stabilizzò le frontiere fra i due Stati lungo la linea del Dniepr e fra l’altro portò di fatto ad una spartizione dell’Ucraina in tre zone d’influenza (moscovita a Est, polacca a Ovest del Dniepr e ottomana al Sud), avrà inizio la trasformazione della Moscovia nella potenza della Russia ad opera di Pietro il Grande.

    La tensione verso il controllo della Moldavia era stata una componente tradizionale della politica estera polacca. Tuttavia lo spostamento del baricentro di questa politica dall’asse baltico a quello esclusivamente continentale, prodotto dal concentrarsi delle energie tutte sulla guerra contro gli infedeli, permetterà il crescere e il manifestarsi di quelle tensioni che già durante l’interregno seguito alla morte di Sobieski porteranno al rischio di una separazione del Granducato di Lituania dalla Rzeczpospolita.

    Sul ruolo di Jan III nella liberazione di Vienna e negli avvenimenti ad essa più direttamente collegati, quelli relativi alla Lega del 1683 con l’Austria e alla Lega Santa con l’Austria e la Repubblica di Venezia del 1684, si è ormai accumulata una vastissima ed eccellente bibliografia.

    Sulle vicende militari e diplomatiche della guerra anti-tartara, successive al glorioso nucleo centrale della parabola sobieskiana sotto le mura di Vienna, le ricerche appaiono invece meno concentrate.

    Per un re che si presentava come il grande generale che aveva trionfato a Vienna, quella posteriore è una storia certamente molto meno gloriosa; anche se nelle due campagne in Modavia che egli guidò personalmente, Jan III manifestò la stessa capacità di galvanizzare i propri soldati e lo stesso valore che aveva già mostrato a Vienna nel 1683 e, ancora prima della salita al trono, a Chotin nel 1673. Malgrado il loro esito non brillante, in queste due campagne il re diede tuttavia ancora prova della sua abilità militare, trovando soluzioni nuove a situazioni improvvise che parevano ormai irrimediabilmente compromesse.

    Il presente lavoro intende ricostruire alcuni dei tratti più significativi proprio di questa fase discendente della parabola del regno di Jan III, cercando di mettere a fuoco la stretta interdipendenza fra le ragioni politico-militari, le ragioni diplomatiche e le ragioni economiche, legate alla continua mancanza di liquidità per la gestione della guerra e quindi alla indispensabilità dei sussidi della Santa Sede. Questo percorso discendente fu scandito da difficoltà finanziarie per allestire gli eserciti, da campagne non risolutive o addirittura disastrose, da difficoltà politiche interne che negli ultimi anni di regno portarono a non poter mai concludere una sessione del Sejm, da difficili rapporti interni alla Lega Santa, in particolare con l’Austria di Leopoldo I d’Asburgo. Esso sarebbe infine sfociato nel lungo e ingarbugliato interregno seguito alla morte del Sobieski, caratterizzato dall’ammutinamento dell’esercito, da violente lotte intestine, ingerenze straniere, scorrerie dei Tartari, e approdato infine all’elezione contemporanea di due re.

    In queste pagine ci soffermeremo dapprima sulla questione dei finanziamenti pontifici della guerra, legati alla creazione di quella poderosa macchina diplomatica e militare contro l’Impero ottomano costituita dalla Lega Santa. Le esigenze finanziarie, l’insufficienza dei sussidi vaticani, l’assenza di ogni certezza sulla loro concessione, la non tempestività nella loro erogazione, sono infatti fra i principali fattori che determinarono il non felice esito delle campagne sobieskiane. Nei capitoli successivi ci concentreremo su tre momenti decisivi di questa fase discendente della parabola, cercando di mettere in evidenza le ragioni finanziarie e diplomatiche che condizionarono molto pesantemente sia la gestione della guerra sia, in seguito, quella dell’interregno. In primo luogo ci occuperemo della conclusione degli accordi con la Moscovia, particolarmente complessi e dolorosi da accettare per la Polonia, e della prima campagna in Moldavia guidata da Jan III nel 1686. Dopo un quadriennio caratterizzato dal riavvicinamento della Polonia alle esigenze della politica estera della Francia che porterà a un relativo disimpegno nella guerra anti-turca, l’offensiva militare di Jan III riprenderà vigore nel 1691 in seguito al riaccostamento alla politica asburgica e con la seconda campagna in Moldavia. La morte del re, il travagliato interregno percorso da pesantissime ingerenze straniere e soprattutto dal conflitto di interessi fra Francia ed Impero asburgico, infine l’elezione contemporanea di due re finché non prevalse quella di Augusto II Wettin, saranno l’oggetto del capitolo conclusivo di questo libro.

    Anche se in maniera non esclusiva, faremo riferimento soprattutto alla vasta documentazione manoscritta conservata presso l’Archivio Segreto Vaticano e la Biblioteca Apostolica (di cui di recente sono state pubblicate le importantissime lettere di Tommaso Talenti, segretario intimo del re, al Cardinale Protettore della Polonia, Carlo Barberini, e il carteggio fra il Cardinale e Jan III).

    Quella vaticana è una documentazione la cui importanza, più volte sottolineata, risulta evidente dallo stesso ruolo giocato dalla Santa Sede in tutta questa vicenda. La Lega Santa fu una grande operazione diplomatica, politica e militare voluta fermamente da papa Innocenzo XI Odescalchi, che ne fu, più ancora degli altri pontefici suoi successori che continuarono la sua opera, oltre che il promotore, anche l’anima e il finanziatore principale. A sua volta la diplomazia pontificia assolveva al delicato compito di tenere coesa la complessa e fragile trama delle vaste relazioni internazionali tessuta dal pontefice e svolgeva inoltre un ruolo importantissimo di armonizzazione fra le esigenze diverse delle potenze collegate e quelle della Sede Apostolica. È comprensibile quindi che, mentre gli Stati cattolici si impegnavano in questa guerra lunga e difficile, durata 17 anni, Roma, che massimamente la sosteneva con enormi sussidi finanziari, funzionava anche come terminale ultimo delle informazioni che provenivano dai diversi scacchieri militari e come centrale di collegamento e in qualche modo anche di coordinamento fra i diversi Stati, i loro apparati politici ed i loro eserciti. Alcune delle più importanti linee guida della strategia militare di Sobieski nelle sue due campagne in Moldavia di cui ci occuperemo in questo lavoro, trovano una perfetta corrispondenza con alcuni suggerimenti discretamente indicati dai nunzi pontifici. Si comprende allora la ricchezza e l’importanza della documentazione romana, sia di quella che fece capo alla Segreteria di Stato, sia di quella che fece capo al cardinale Protettore della Polonia o direttamente al pontefice, che costituisce dunque una fonte primaria fondamentale.

    Concludendo questa Introduzione vorrei esprimere la mia gratitudine al prof. Gaetano Platania: gratitudine scientifica, per il suo insegnamento, per i suoi studi sui Sobieski che sono un punto fondamentale di riferimento scientifico e che costituiscono la base anche di questo mio lavoro, per aver reso disponibile una mole enorme di documenti inediti; ma anche gratitudine umana ed affettiva per essere stato per me un grande maestro non solo di studi, per avermi guidata nella ricerca entro le carte vaticane, per avermi incoraggiata nei momenti difficili.

    È al suo insegnamento soltanto che si deve ciò che di buono può esserci in queste pagine. Mia è invece la responsabilità di eventuali sviste e lacune. 

    Capitolo I, I sussidi per la Lega Santa e le carte vaticane

    1.1.

    Quando era Gran Generale della Corona, in seguito alla battaglia di Chotin in cui egli aveva sonoramente sconfitto i Turchi [10 novembre 1673], la grandezza militare di Jan Sobieski aveva acquistato una fama che andava al di là dei confini nazionali. La vittoria di Chotin, infatti, aveva invertito strepitosamente quel trend espansivo dell’Impero Ottomano ai danni della Rzeczpospolita, che aveva portato alla firma del vergognoso Trattato di Bučač [16 ottobre 1672], non convalidato dal Sejm, con cui la Polonia aveva ceduto il controllo della Podolia e si era assoggettata a un tributo.[1]Una dettagliata relazione sulla battaglia, inviata al cardinale Virginio Orsini [1615-1676], protettore della Polonia, dal vescovo Andrzej Chryzostom Załuski [1650c.-1711], presenta già questa vittoria come un evento assolutamente straordinario e imprevedibile, una svolta di carattere veramente epocale non solo per la Polonia ma per la stessa Roma e per la cristianità tutta.[2] Certamente l’enfasi del vescovo Załuski riflette anche il fatto che questo dignitario, che ricoprirà anche la carica di Cancelliere della regina Maria Kazimiera Sobieska e poi, dal 1678, quella di Gran Cancelliere del Regno, fu per tutta la vita un sostenitore di Jan Sobieski.[3]Ma sta di fatto che questa battaglia vittoriosa aveva avuto una grande eco ed aveva facilitato al Gran Generale anche la via della successione al trono dopo la tempestiva morte del non compianto re Michał Korybut Wiśniowiecki.

    La Dieta di Grodno nel 1679 aveva sancito una svolta nella politica estera fino ad allora seguita dal re Sobieski.[4] Venne allora deliberato di inviare rappresentanti presso i principi d’Europa con lo scopo di sondare la possibilità di una lega anti-turca. Particolare attenzione era stata data all’ambasceria di Michał Kazimierz Radziwiłł,[5] prima presso l’imperatore e poi presso il papa. Un’ambasceria che si rivelerà, però, in entrambi i casi al di sotto delle aspettative. Anzi, la missione «fu un vero e proprio disastro. Né gli incontri con i ministri di Vienna, né quello con papa Odescalchi […] portarono a qualche concreto risultato».[6] I senatori polacchi avevano anche dato al proprio sovrano il mandato di negoziare un’alleanza polacco-moscovita, sempre in funzione anti-ottomana. Il tentativo era, in verità, assai complesso e l’obiettivo era difficile da raggiungere. Bisognava superare antichi ostacoli; soprattutto, bisognava che la Polonia rinunciasse alle terre che appartenevano allo zar dopo la firma del trattato di Andruszów. Dalla parte di Mosca pesava anche l’ostacolo costituito dall’ostilità dei Cosacchi ad un’alleanza fra Moscoviti e Polacchi; ostacolo che impensieriva molto i moscoviti. La diplomazia pontificia aveva intanto esortato il proprio rappresentante a Vienna, Francesco Buonvisi, ad incontrare la delegazione moscovita spedita nel giugno del 1679 all’Imperatore. [7] Sarà però la grande impressione in Moscovia del successo ottenuto dal Sobieski a Vienna che poi faciliterà l’azione diplomatica per sbloccare questa situazione.[8]

    Le novità nella politica polacca e la loro convergenza con quella dell’Austria e della Santa Sede colpivano duramente gli interessi francesi in politica estera. Tuttavia il rappresentante di Luigi XIV non aveva dato ad esse un particolare rilievo, almeno in un primo momento. Egli infatti era convinto della complessità di questa operazione che avrebbe richiesto, soprattutto, una larga adesione dei principi cristiani d’Europa; cosa che gli pareva improbabile che potesse essere realizzata nel quadro politico e militare del momento.

    Nel 1679-80 la Polonia di Jan III Sobieski, che fino ad allora era stata fedelissima alleata di Luigi XIV nel sostenere in funzione anti-viennese i ribelli magiari di Imre Tököli [1657-1705],[9] aveva dunque deciso di mutare la propria linea strategica avvicinandosi ora all’Impero, minacciato dalle poderose forze degli infedeli musulmani. Con i Turchi già stabilmente installati nel cuore della Podolia, la Polonia non poteva non guardare ormai con grande timore a un possibile rafforzamento della Porta nell’area a scapito degli Stati cristiani.

    Nei primi giorni del mese di agosto del 1683 Roma apprendeva con sgomento dell’arrivo dell’armata turca del sultano Mehmed IV guidata dal gran visir Mustafâ Pachâ Merzinfonlu Köprülü, detto il Nero [= Kara], sotto i bastioni della capitale di Leopoldo I d’Asburgo. Era cominciato l’assedio di Vienna che riportava d’attualità drammatica le antiche e sempre vive paure del Turco da parte dell’Europa cristiana.[10] Delle bellicose intenzioni del sultano e del suo Visir, che nel 1676 era succeduto nella carica al cognato e fratello adottivo Fazil Ahmed Köprülü, l’Europa intera era in realtà edotta da tempo. L’armistizio fra la Moscovia e l’Impero Ottomano del 1681, che garantiva a Mosca il possesso di una parte dell’Ucraina, lasciava di fatto alla Porta mano libera per intervenire in Occidente, sul fronte balcanico-danubiano, in direzione dell’Ungheria e dell’Austria.

    L’assedio di Vienna era dunque il momento culminante di una crisi acuta, ma non inaspettata, quasi fosse un fulmine a ciel sereno. Il suo superamento sul campo militare, nella battaglia che portò alla liberazione della capitale asburgica e alla disfatta dell’esercito di Kara Mustafâ, si deve all’azione degli eserciti dei collegati sotto la guida di Jan III Sobieski.[11]Dieci anni dopo la vittoria di Chotin, dunque, l’eco di un’altra e ben più clamorosa impresa del Sobieski rinnovò, amplificandola a dismisura, la celebrità dell’invincibile guerriero trionfatore sui Turchi, dando a Jan Sobieski un enorme prestigio sul piano internazionale ed una straordinaria fama diffusasi rapidamente per tutto il continente.[12] Si ritenne che anche in questo caso, ma su ben più larga scala, addirittura continentale, e con conseguenze enormemente più vaste, l’intervento militare del Sobieski aveva ribaltato completamente una situazione che pareva disperata. L’espansione turca nel cuore dell’Europa era stata bloccata dall’esercito della Lega Santa guidato da lui e la vittoria di Vienna era stato il primo straordinario successo della crociata anti-turca realizzata dal papa Innocenzo XI con una tenace e sapiente azione che si era sviluppata sul piano diplomatico, su quello politico e su quello finanziario.

    Ma questa azione fu possibile solo perché da tempo la Santa Sede aveva già messo in atto un poderoso sforzo politico, diplomatico, finanziario. La Lega austro-polacca del 1683 che portò alla liberazione di Vienna dall’assedio, la Lega Santa stipulata fra Austria, Polonia e Repubblica di Venezia nel 1684, la Pace Perpetua fra Polonia e Moscovia del 1686, sono le principali tappe diplomatiche di un percorso di contenimento e di contrattacco alla politica espansiva dell’Impero Ottomano. Ma questo percorso è, a sua volta, il momento terminale, forte, operativo, di tendenze verso la lotta all’Infedele che come un filo rosso attraversano la politica pontificia e nel corso del tempo affiorano con maggiore e o minore evidenza.[13]

    Ma ora, in presenza di un pericolo imminente che investiva il regno magiaro come prima tappa, ma che poi si sarebbe rivolto contro Vienna per arrivare, infine, «a fare di San Pietro le scuderie del Sultano»,[14] la Santa Sede tentò di rispondere alla sfida mobilitando la propria diplomazia, nonché richiamando ai propri doveri di veri credenti i principi cattolici ed esortandoli alla comune lotta contro un nemico che si faceva sempre più baldanzoso; cercando di coinvolgere nella lotta anche i cristiani non cattolici della Moscovia e sperando persino nell’intervento della Persia.[15] Era, quest’ultima, una speranza che non tramontò subito ma a più riprese sembrò risorgere nel corso degli anni Ottanta del Seicento, investendo sia il re di Polonia sia l’imperatore.

    Fu in questo clima di forte tensione anti-ottomana che ad appena un mese dalla sua elezione al soglio di san Pietro, papa Innocenzo XI Odescalchi destinò a Jan Sobieski la somma di 50.000 ducati per incitarlo a proseguire la guerra contro gli infedeli. Ma il pontefice non si fermerà a questo. Convinto della necessità di rivolgere ogni sforzo contro il sultano, il papa si farà mediatore al congresso di Nimega[16]con la speranza di vedere i principi cristiani d’Europa, una volta risolte le loro controversie, accordarsi per formare una lega offensiva/difensivacontro la potenza ottomana[17].

    Sarà proprio papa Innocenzo XI Odescalchi a far risuscitare l’idea di crociata. Egli mobiliterà le coscienze e cercherà di trovare soluzioni negoziali con lo scopo di risolvere le frizioni che ancora esistevano per l’egemonia del continente tra la Francia di Luigi XIV e l’impero degli Asburgo[18]. Strategicamente, come si poteva fermare la valanga di infedeli musulmani nel cuore dell’Europa? Papa Odescalchi immaginava un attacco concentrico portato nell’area danubiano-balcanica dall’imperatore, dal re di Polonia e «da parte dei Persiani, Moscoviti», mentre spettava al re di Francia il compito di incalzare il nemico dalla parte del mare[19]. Era, questo, un piano più volte caldeggiato anche dai suoi predecessori, e presente nei famosi memoriali inviati allo stesso pontefice da fra’ Paul de Lagny (Paolo da Lagni), il religioso francese «residente da molti anni nell’impero del sultano il quale, da questo prolungato soggiorno, sembrava aver ricavato un’idea piuttosto precisa ed articolata della situazione di quel governo e delle prospettive nel rapporto con il mondo cristiano»[20]. Erano, a dire il vero, indicazioni che in qualche modo erano state confermate nel febbraio del 1679 anche dall’inviato francese a Costantinopoli, De Nointel, tramite il carmelitano Angelo di San Giuseppe[21], ma che non erano per nulla piaciute a Luigi XIV che richiamò immediatamente il suo rappresentante e lo sostituì con il più affidabile Gabriel Joseph Guilleragues, visconte de la Vergne[22].

    Nel frattempo, i venti di guerra si facevano sempre più minacciosi ed era necessario cercare dei rimedi in ogni direzione. Da una parte, la diplomazia viennese tentava di trovare in extremis un accordo con il sultano per prorogare la tregua ventennale stabilita con la Porta nel 1664, dopo la battaglia di Raab, e ormai prossima a scadere. A questo scopo, l’imperatore inviava a Costantinopoli, come ambasciatore straordinario, il conte Alberto Caprara, la cui missione fu però un vero e proprio fallimento, raccontato dal suo segretario Giovanni Benaglia che descriverà anche il percorso dell’esercito ottomano che lentamente avanzava alla volta di Vienna. [23] Da un’altra parte, Leopoldo I d’Asburgo, tramite l’inviato straordinario a Varsavia, Waldstein, cercava di fare pressione su Jan Sobieski affinché il sovrano polacco riuscisse a convincere il Sejm a sottoscrivere una lega che, ora più che mai, gli sembrava necessario che avesse un carattere difensivo.

    È noto che l’accordo polacco-viennese, dopo alterne e drammatiche vicende, veniva approvato dalla Dieta polacca il 31 marzo 1683, non senza aver incontrato resistenze e difficoltà.[24] Come nota il segretario del re il lucchese Tommaso Talenti, il 24 marzo, quando i lavori della dieta dovettero essere prolungati di alcuni giorni per poter raggiungere un accordo, le manovre della Francia per ostacolare una decisione favorevole alla Lega si intrecciavano con le resistenze dei palatini a definire le proprie contribuzioni per l’esercito, che imporranno di continuare i lavori accantonando per un momento la questione.[25]

    Gli obiettivi della Lega, seppure estremamente importanti in questa delicatissima circostanza, erano però più ridotti rispetto al progetto originario di un’alleanza offensiva e difensiva, che era stato sostenuto con tanta forza dallo stesso pontefice. Come ben sintetizza il Pastor, la Lega diventava difensiva: «doveva essere diretta solo contro i Turchi, per la difesa contro i loro attacchi e la riconquista dei territori perduti. […] non si doveva concludere pace se non dopo l’accordo fra le parti»[26].

    Al di là di queste limitazioni, era, però, importantissimo che questa volta si fosse realizzato un concreto evento storico che pochi avrebbero potuto ritenere possibile fino a qualche tempo prima.

    1.2.

    Si comprende allora come sulla propria immagine in quanto liberatore di Vienna e sulla risonanza politica e strategica di questa vittoria, Jan III abbia fatto particolarmente leva per tutta la sua vita, rivendicando a se stesso e alla Polonia, postasi come antemurale Christianitatis, un ruolo di primo piano sulla scena europea e nella lotta dei cristiani contro i Turchi.

    Tuttavia, nelle campagne successive alla battaglia di Vienna il re non riuscì a ottenere nessun successo militare tale da poter rinnovare la gloria della vittoria del 1683. La situazione della Rzeczpospolita sui campi di battaglia andò anzi via via peggiorando di fronte a un nemico costituito dalle mobili, combattive e inafferrabili orde dei Tartari. La Polonia di Jan III non riuscì a recuperare il controllo sulla Podolia e di gran parte delle roccaforti perdute, né a conquistare nuovi territori; malgrado i tentativi, compiuti soprattutto con due impegnative campagne guidate personalmente dal re, nel 1686 e nel 1691, di espandersi verso la Moldavia e la Valacchia, prefigurando un intervento che giungesse addirittura nei territori dei Tartari del Budjak e forse addirittura fino alle basi turche sul Mar Nero.[27]

    La divisione delle sfere di azione stabilita dal Capitolo IX del Trattato della Lega anti-ottomana fra Polonia ed Austria, stipulato nel 1683 sotto l’egida pontificia nell’imminenza della battaglia di Vienna, escludeva la conquista di territori diversi da quelli attualmente in mano turca ma che erano stati già posseduti in passato dai due Stati contraenti. Quel Capitolo, che rifletteva il carattere difensivo della Lega, assegnava infatti all’Austria il recupero delle piazzeforti dell’Ungheria Superiore ed Inferiore ed alla Polonia il recupero di Kamieniec Podolski e dell’usurpato in Podolia, Volinia ed in Ucraina. Come si legge nel testo in italiano subito diffuso a stampa: «IX. Che la guerra dovess’essere condotta in maniera che l’inimico restasse sempre attaccato da due parti, cioè che l’Imperatore agisse col suo Essercito nell’Ungheria inferiore e nella superiore con 6000 Alemani et altrettanti Ausiliarij contro alli Ribelli, per la ricupera delle sue Piazze da loro occupate, e che il Re di Polonia cercasse di ricuperare Caminietz e l’usurpato nella Podolia, Ukraina e Volinia».[28] Questo stesso impianto, che escludeva nuove conquiste e puntava solamente alla riconquista dei territori perduti nel corso delle diverse offensive ottomane, sarà poi anche alla base del trattato della Lega Santa con Venezia stipulato nel 1684. Ribadendolo, il Capitolo XI di questo trattato prescriveva ancora una volta che per la Polonia era possibile il recupero della piazzaforte di Kamieniec, della Podolia e dell’Ucraina. E ancora una volta, l’enorme importanza strategica di Kamieniec Podolski veniva sottolineata dalla menzione esplicita della fortezza. Si legge infatti: «XI. Che la Guerra si doverà fare con diversione, cioè Sua Maestà Cesarea procuri di ricuperare le Fortezze d’Ungheria, et il Re di Polonia co’l Regno tutto presso di Caminietz, Podolia, Ukraina, e la Republica di Venetia procuri di ricuperare quello ha perso, e ciò [che] si ricuprerà sia di quello a qual prima di ragione si aspettava».[29]

    Ma fin dalla stipula della Lega del 1683, Jan III, forzando in qualche modo la lettera del trattato, aveva fatto intuire di nutrire la speranza non solo di poter recuperare i territori perduti, come era previsto dagli accordi, ma anche di poterne conquistare altri nuovi, cioè, per usare le sue parole, di far nuovi acquisti. Come scrive a Innocenzo XI, informandolo che la dieta polacca ha appena approvato il trattato con l’Austria, la Lega costituisce un «disegno altrettanto giusto che necessario per la conservazione del resto di questo afflitto regno, che per recuperare il perso e far nuovi acquisti».[30]

    Durante le due campagne in Moldavia guidate dal re, tuttavia, sia il recupero del perso sia gli auspicati nuovi acquisti mancarono del tutto o furono temporanei: Kamieniec rimase in mano ottomana fino alla pace di Karlowitz [1699]; la capitale della Moldavia, Iaşi, presa senza colpo ferire nella campagna del 1686, venne poi abbandonata dall’esercito polacco quando esso si ritirò prima dell’inverno; la progettata invasione della Bessarabia e del Budjak venne accantonata. Più stabile ma non definitivo si rivelò il possesso delle importanti piazze occupate in Moldavia durante la campagna del 1691, che erano state non solo prese ma anche ben munite per quell’inverno. Furono invece gli Asburgo, che in questi anni ripresero saldamente il controllo dell’Ungheria, a trarre enormi vantaggi duraturi dalla guerra santa contro l’Impero Ottomano e dalla politica antifrancese.[31] E insieme alla grande potenza che così veniva a formarsi sul confine occidentale della Polonia, anche sul suo confine orientale, che era stato stabilizzato dal trattato della Pace Perpetua del 1686, nascerà un’altra grande potenza, quella dell’impero di Pietro il Grande.

    Dopo il 1683 nella guerra della Polonia contro i Turchi si alternano periodi di scarso impegno a periodi di più intensa azione militare, accompagnati da oscillazioni nel posizionamento diplomatico di Jan III nei confronti della Francia che puntava a separare la Rzeczpospolita dagli Asburgo incoraggiandola verso una pace separata con i Turchi. In questa fase di oscillazioni politico-diplomatiche, le due impegnative ed ambiziose campagne in Moldavia condotte personalmente dal re rappresentano due momenti molto alti di questo impegno militare polacco nella Lega Santa. Ma le due campagne, come vedremo, ebbero scarso successo se non furono sostanzialmente un vero e proprio fallimento.

    Oltre alle permanenti cause politiche e istituzionali della debolezza della Polonia, le ragioni di questo non successo delle spedizioni in Moldavia sono state di volta in volta individuate in circostanze occasionali diverse: l’inaffidabilità degli ospodari della Moldavia e della Valacchia, che nella campagna del 1686 vennero meno a quell’appoggio alla Polonia che inizialmente avevano lasciato sperare e che preferirono restare nella rassicurante orbita ottomana; le avverse condizioni ambientali e climatiche, che furono determinanti per l’esito di queste due spedizioni svoltesi molto lontano dai confini nazionali. La campagna del 1686 partì più tardi di quando il re aveva progettato, a causa del prolungarsi del gelo in piena primavera, e poi l’avanzata dell’esercito in Moldavia verso le foci del Danubio venne resa difficile oltre che dai Tartari anche e soprattutto da un’eccezionale ondata di siccità durante l’estate; la campagna del 1691, per altro cominciata davvero con enorme ritardo, ormai in pieno agosto, si chiuse tra le improvvise tremende e prolungate tempeste di neve che si abbatterono sull’area. Tempeste che portarono al completo disastro l’esercito polacco-lituano mentre faticosamente stava tornando in patria e che tuttavia sul campo sostanzialmente non aveva subito sconfitte.

    Accanto a queste circostanze furono indicati anche degli altri fattori: le continue scorrerie lungo i confini sud-orientali della Polonia e le tattiche di guerra messe in campo dai Tartari che bruciavano l’erba nei campi privando di foraggio la cavalleria, mentre contemporaneamente si rendevano inafferrabili e rifiutavano lo scontro campale; le difficoltà incontrate dalla Moscovia, dopo la firma della Pace perpetua con la Polonia, nell’intervenire tempestivamente e con efficacia contro il Khanato di Crimea, cosa che avrebbe alleggerito la pressione dei Tartari

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