Donne di Potere, Donne al Potere
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Anteprima del libro
Donne di Potere, Donne al Potere - a cura di Associazione F.I.D.A.P.A.
Sei-Settecento1
Bona Sfoza tra potere e famiglia [1]
di Francesca De Caprio
1.
Bona Sfoza2, la principessa italiana divenuta [1518] regina di Polonia grazie al matrimonio con Sigismondo I Stary Jaghellone3, è stata una figura abbondantemente studiata dalla storiografia polacca. Si veda, ad esempio, la fondamentale monografia, ancorché datata, di Ladislao Pociecha4, o quella pubblicata nel 1989 da Bogucka5. Ciononostante, almeno per il grande pubblico italiano, la personalità di Bona, tranne in alcuni recenti lavori6, resta ancora parzialmente in ombra. La sua azione politica a favore del paese che l’ebbe sovrana, così come gli ultimi anni di regno che la videro in aperta opposizione al figlio Sigismondo II Augusto7, non hanno risvegliato nella storiografia occidentale l’interesse che la figura di questa principessa avrebbe dovuto suscitare. E se in Italia appaiono più studiati gli ultimi anni del soggiorno barese di Bona Sforza8, quelli trascorsi in Polonia (gli anni in cui la sovrana, madre premurosa, tentava di intrecciare con le corti d’Europa un dialogo politico-diplomatico sperando vantaggiosi matrimoni per le figlie), restano, a mio avviso, ancora lontani da una specifica ed approfondita disamina9.
2.
Prima di entrare nel tema che ho scelto di esporre, permettetemi di tornare ancora a segnalare, seppure molto genericamente, perché anche questo è un aspetto ampiamente studiato, il ruolo culturale svolto dall’italiana negli anni del suo soggiorno polacco10.
Scriveva alcuni anni addietro Giogio Petrocchi, insigne dantista, come alcuni precisi studi avessero «accresciuto la statura politica di Bona Sforza, rilevando la ricchezza dei suoi interessi artistici e letterari, così ragguardevole da porsi senza dubbio come uno dei principali fomiti della Rinascenza polacca e un monumento risplendente nelle vicissitudini dell’amicizia tra l’Italia e la Polonia»11. Con questa principessa lombardo-barese emigrarono nel lontano regno dei Sarmati europei molti nostri connazionali che portarono la cultura dell’età nuova, in altre parole, il sapere della modernità12. Connazionali che introdussero la cultura rinascimentale, sostituendo l’elemento tedesco artistico e scientifico che aveva fino ad allora imperato e che in poco tempo daranno alla tradizionale miasto polacca, una diversa e più armonica fisionomia.
I nomi degli addetti alla cancelleria reale formano una lunghissima lista: Lodovico Alifio, Carlo Antonio Marchesini di Monte Cenere, Marco della Torre, Francesco Nardozzi, Francesco Lismanino, dell’ordine del Poverello
di Assisi, Traiano Provana da Pedemontano, Francesco de Saona, Alberto Ruffino, Annibale Ferito da Modena, Giovan Francesco Maria Valentino, il modenese Lodovico Monti o Monte, Giovanni Vincenzo Seculo; altri, di contro, svolgevano la professione di chirurgi e medici: Francesco Giovanni di Media Barba, padovano, Nicola de Ricci, genovese, Antonio Gazio (Gazzi, o Gazius), padovano, il brindisino Niccolò Catignani, il modenese Giovanni Andrea Valentino, il mantovano Giacomo Montagna, Andrea Bolconello, giacomo Ferdinando, barese, Giacomo Zofo, Francesco Nardozzi, Lodovico Verad di Ferrara13.
A queste due categorie prese sommariamente in esame, va aggiunta anche la lista di tanti illustri umanisti14 i quali incisero fortemente sulle migliori intelligenze
del paese tanto da creare una generazione di intellettuali
autoctoni: dal protestante Rey Mikołaj di Naglowice [1505-1569], al cattolico Giovanni Kochanowski [1530-1584]15. E se il Rey, ritenuto precursore della letteratura polacca, fu il primo a lasciare il latino per la lingua nazionale, il secondo è ancora oggi chiamato il «Petrarca dei polacchi» e definito dallo storico polacco Janusz Tazbir, che lo paragona addirittura a Ronsard e al Poliziano, uno dei tre giganti intellettuali della Polonia assieme a Copernico e Andrea Frycz Modrzewski16.
Kochanowski, ad esempio, studia prima all’università di Cracovia e poi vuole perfezionarsi a Padova, dove già da tempo confluivano studenti da tutta l’Europa. Prima di lui, in pieno Quattrocento, profondamente influenzato dall’umanesimo italiano è Giovanni Długosz [1415-1480], che si pone come rappresentante tipico della metamorfosi culturale che il regno dei Sarmati europei stava attraversando17.
Le città più ricche conducevano il commercio con i luoghi più lontani del continente ed i prodotti polacchi divennero famosi. Si moltiplicarono le miniere e le fonderie, aumentarono le cartiere e i mulini, si accrebbe la popolazione. Una campagna ricca immetteva sul commercio diversi prodotti che potevano essere venduti anche all’estero. Di anno in anno il corso della Vistola diventava sempre più movimentato e i prodotti della campagna venivano trasportati al porto di Danzica e da lì in Olanda, in Inghilterra e negli altri paesi dell’Europa occidentale.
È questo il periodo, che prende il nome di secolo d’oro18, durante il quale nel paese dei Sarmati europei cominciò a fiorire la cultura rinascimentale
. La corte del vecchio Sigismondo Jaghellone fu al centro del nuovo sapere e Bona, sua moglie, con il suo seguito di italiani19, ne fu l’ispiratrice divenendo grande protettrice di personaggi dell’umanesimo polacco quali Andrea Krzycki e Giovanni Dantyszek20.
La melodiosa lingua di Dante, scriveva Pacichelli, autore seicentesco, «si ode nelle strade, in alcune chiese vengono cantate canzoni italiane, nella cappella di corte si suonano arie italiane. I libri cittadini sono pieni di documenti scritti in italiano e artisti italiani erigono monumenti magnifici del Rinascimento i quali al di là delle Alpi sono considerati come primizie di quello stile»21.
Bona era intelligente, colta, raffinata, ma anche avida e priva di ogni scrupolo, tanto da essere accusata apertamente di aver voluto la morte di Barbara Radziewiłłowa,22 moglie di suo figlio Sigismondo Augusto.
Per quanto l’elemento italiano diventi con Bona Sforza predominante alla corte polacca, non si deve tuttavia pensare che in precedenza non provenissero dalla penisola apporti qualitativamente rilevanti anche se numericamente inferiori. È sufficiente rammentare la presenza a Cracovia di Filippo Bonaccorsi detto il Callimaco23, per rendersene conto. Andando ancor più indietro nel tempo, fin dal XII secolo si può registrare un aumento delle relazioni fra Roma e la diocesi di Cracovia che all’epoca era forse la più vasta d’Europa. Un paese considerevolmente grande, come ebbe a relazionare nel 1568 a papa Pio V il nunzio pontificio Giulio Ruggieri, con un confine meridionale che faceva di questo regno uno dei più vasti nell’area dell’Europa centro-orientale, con un accesso al mare ottenuto dopo la strepitosa vittoria contro i cavalieri Portaspada, un evento tanto importante da favorire soprattutto l’economia del paese:
[...] a Ponente vi sia lunghezza di 900 miglia italiane et da mezzogiorno a settentrione larghezza di 700 miglia simili, la figura poi è molto irregolare, pure regolandola si potrà per avventura chiamar quadrata. Li termini della quale più principali sino a Settentrione il Mare Maltico, vogliamo dire Golfo Venetico, da Mezzogiorno il fiume Niester, da Levante il fiume Boristene et da Ponente si può mettere il fiume Vistola, non vi essendo il confine naturale più certo [...]. Il paese, per venire alle sue parti contiene in sé la Polonia Maggiore et Minore, la Masovia, la Prussia et Pomerania, la Russia insieme con la Podolia et Volinia, la Lituania, la Samogizia et la Livonia. Provincie tutte poste in piano, eccetto la Prussia et la Polonia Minore, ripiene di molti colli e valli et non senza monti ancora da quella parte, ove la Polonia confina con la Ungheria24.
L’apparizione di canonici regolari, l’arrivo in Polonia dell’Ordine Cistercense, le missioni diplomatiche e i pellegrinaggi a Roma attestano un consolidarsi della presenza polacca sulla scena della cristianità; una presenza, però, che vide la Polonia non partecipare alla grande esperienza delle crociate con le sole eccezioni di Ladislao l’Esiliato e del potente signore Iaxa che portò le reliquie del Santo Sepolcro a Miechòw25.
Si può dunque affermare che ancor prima dell’arrivo in Polonia della nostra principessa, un sostanzioso numero di connazionali è presente nel regno. Tra il 1320 e il 1350, si registra nella stessa Cracovia un discreto numero di italiani26 - come riporta il De Daugnon e la Danuta Quirini-Poplawska. Ma è nel XV secolo, in particolare il periodo successivo alla lotta contro l’hussitismo, che si verifica concretamente l’inizio di un’italianizzazione del paese. Dall’Accademia romana giunge Pomponio Leto, lo stesso Filippo Buonaccorsi era a Cracovia nel 1472 dove resta fino alla morte avvenuta il 1 novembre del 1496, trovando degna sepoltura nella chiesa della Trinità27.
Fu un giorno particolare, quello dell’ultimo saluto terreno al Callimaco. Tutto il clero, i religiosi, i semplici cittadini, i maggiorenti della capitale non mancarono alle onoranze funebri, a dimostrazione del rapporto privilegiato che si era instaurato tra il nostro illustre umanista e la Polonia; una testimonianza di autentico affetto e della considerazione che circondava questo italiano ormai polonizzato:
[…] fu tutto il clero della città e tutti gli religiosi che furno in numero grandissimo, dove intervennero molti vescovi che furno di numero quattordici. Seguito poi il corpo sopra un cataletto con una vesta di raso cremesi foderata di bellissimo zibellini con gli crimi sparsi sul petto, aveva un Crocifisso alli piedi, e da lato aveva libri et intorno al cataletto avea tutta la sua famiglia vestita a modo nostro di panni imbastiti che furno di numero dodici, di poi seguiva Messer Mattias (=Drzewicki) che vi aveva suo alievo e oggi è Secretario Regio e Vice Cancelliere del Regno di Polonia, di poi era Joannes suo notaro di poi ero io, e tutti vestiti di panni imbastiti. Di poi erano tutti li dottori della Terra in ogni Facultà con il Rettore dello Studio e tutti gli Nobili e Signori che si trovano nella città, post hos erat turba magna di tutti gli scolari che erano nella città che furno numero quindici mila e dopo costoro fu tutta la plebe che fu numero infinito28.
3.
Lasciata Bari e giunta a Cracovia, consolidata la propria presenza a corte, Bona Sforza preferì al piacere dell’ozio, l’intelligente conversazione, le arguzie di Stanczyk, il giullare preferito dal re; soprattutto preferì la politica, ovvero amò fare politica
più che restare semplice spettatrice e muta
osservatrice degli eventi.
Questo, però, non significò una rinuncia ai divertimenti e alle feste di corte. Sappiamo con certezza che la sovrana, eccellente ballerina, attirava l’attenzione del vecchio Sigismondo che s’incantava nel guardarla danzare con gli altri giovani al suono di musiche italiane.
L’allegra vita di corte non coinvolgeva però la sfera familiare. In realtà i figli di Bona e Sigismondo vivevano lontano dai clamori e dagli intrighi del Wawel. La stessa sovrana amava occuparsi personalmente della loro educazione; con particolare attenzione a quella dei figli maggiori sui quali la regina aveva grandi progetti politici.
Per loro Bona fece giungere a corte i più insigni umansiti dell’epoca, e fu ancora lei a scegliere l’educazione più adatta da impartire al primogenito Ladislao Augusto, futuro re di Polonia vista l’età avanzata del vecchio sovrano. Bona sceglie le letture e cosa far studiare, dando la preferenza, com’era naturale, allo studio della lingua italiana che, solitamente, era usata insieme al polacco.
Questo modo di comportarsi con i figli, probabilmente troppo protettivo, era totalmente disapprovato, dall’alta nobiltà magnatizia polacca più avvezza all’arte rude degli esercizi fisici e assai poco interessata ad alimentare l’intelletto29.
Tuttavia, sopra l’educazione dei figli, nulla e nessuno poté mai intervenire. Bona li educò secondo il suo stile, il suo temperamento, la sua convinzione. E se conosciamo molto circa l’educazione impartita al maschio (Sigismondo Augusto) e alla figlia maggiore Isabella30, molto meno sappiamo dell’educazione dispensata alle figlie minori: Sofia, Anna e Caterina31.
Bona, madre premurosissima, dedicava meno tempo ai figli più piccoli rispetto ai maggiori, seppure non farà mai mancare a nessuno di loro il proprio amore materno e la costante, a volte ingombrante, presenza. La diversità di comportamento era la ovvia conseguenza delle aspirazioni politiche di questa principessa italiana. Il maschio, primogenito, sarebbe divenuto presto re e Isabella, la seconda, già sufficientemente adulta, era, nell’ottica politico-diplomatica e strategica della sovrana, pronta per un matrimonio d’interesse politico. Ne consegue che le ultime tre della nidiata erano in posizione subalterna nella gerarchia reale rispetto ai fratelli maggiori, soprattutto erano ancora troppo piccole per immaginare per loro un prossimo accasamento
.
Comportamento che non deve essere interpretato come segno di disinteresse verso i più piccoli. Al contrario, com’è ampiamente documentato, Bona Sforza s’interesserà fin delle più piccole minuzie per tutto quanto riguardava i figli, occupandosi personalmente finanche delle stanze che essi dovevano occupare nelle varie residenze reali, così come dei giochi e divertimenti. E per questo aveva fatto arrivare dall’Italia i dadi, la dama, gli scacchi, tutti passatempi alla moda nelle corti rinascimentali della penisola. Mentre, le più piccole appresero, sempre guidate dalla madre, l’arte del ricamo, del cucito, la tessitura e la filatura.
Particolarmente curato da Bona fu anche l’aspetto esteriore dei figli. In effetti obbligò sia i grandi sia i più piccoli, a curarsi nel vestire, ad essere sempre alla moda. Sofia, Anna e Caterina rappresenteranno con il tempo una bella coreografia a fianco della regina, oggetti
da mostrare e di cui essere profondamente orgogliosi.
Sofia, nata nel 1522, era da tutti considerata la più intelligente, quella più interessata alla lettura, alla poesia, alla letteratura. Un coinvolgimento nella sfera del sapere che permise a questa principessa polacca di lasciare, alla sua morte, in eredità al marito, l’elettore del Brunswick-Wolfenbüttel32, una ricca collezione di libri rari33.
Caterina, la piccola di casa
, nata nel 1526 era, almeno secondo il generale giudizio dei suoi contemporanei, la più bella e la più corteggiata. Infine Anna [1523-1596], nata nel 152334, la meno bella delle sorelle, sarà, al contrario, la più sfortunata, quella che resterà più a lungo accanto alla madre. Una stretta vicinanza che ebbe termine nel gennaio del 1556 quando la sovrana polacca, venuta in aperto contrasto con la politica del figlio, ora sovrano, fu da questi costretta a prendere la strada dell’esilio, e volgere il suo sguardo a Bari, sua città natale.
4.
Monsignor Aloisio Lippomano, allora nunzio pontificio in Polonia, descriveva al cardinale Carlo Carafa, Segretario di Stato di papa Paolo IV, la triste scena della partenza della sovrana alla volta di Bari:
Quel poco ch’io ho da dire a Vostra Signoria Reverendissima al presente è che, come per l’ultime mie l’ho scritto, dopo molti et molti consulti, dove intervennero parole molto brutte, han dato licenza alla Serenissima Regina Bona di venir in Italia, dopo anco ch’è stata constretta di far la cessione al Re di tutti gli suoi beni. La qual partirà sabato senza fallo. Et se ne viene sazia di queste generazioni et con fermo proposito di non ritornar più in questo Regno35.
Partita, dunque, dalla capitale polacca il primo gennaio 1556, il 3 maggio la regina era già a destinazione accompagnata dal suo inseparabile confidente ed amico Gian Lorenzo Pappacoda e da Camillo Brancaccio.
Triste fine per questa sovrana che durante il regno di Sigismondo il Vecchio e nei primi anni di quello di suo figlio, era stata protagonista
della politica polacca in un paese nel quale la figura del re era particolarmente debole rispetto all’autorità della dieta, autorità gestita dall’alta nobiltà.
Lei, principessa italiana, con tradizioni politiche inculcate fin dall’infanzia, educata nell’atmosfera della tradizione di un governo forte e quindi per natura dispotica, si trova, al contrario, ad essere succube di un potere esterno all’autorità regia. Realtà che la sovrana, fin dal suo arrivo in Polonia, pensò di ribaltare cercando di creare una dinastia forte, ricca, influente, in altre parole un trono capace di saper governare il paese senza lacciuoli
di nessun genere. Bona, in realtà, pensava di poter riformare lo Stato.
Per lei che aveva un senso tanto accentuato della politica, non fu dunque difficile individuare le debolezze di un paese solo apparentemente forte. Debolezza che era sotto gli occhi di tutti: il tesoro reale esausto, inesistente l’esercito permanente, totale l’impossibilità d’imporre tasse senza previa autorizzazione della nobiltà magnatizia che, da sempre, sentiva come obbligo inaccettabile un tale dovere.
Fin dal secolo precedente, l’alta nobiltà aveva acquisito poteri tali da limitare con la famosa costituzione Nihilnovi la stessa autorità del re. Ed ora che la piccola nobiltà cercava di frenare lo strapotere dei magnati e sottoponeva proprie proposte per le riforme, Bona si presenta con l’intenzione di rafforzare il trono, puntando direttamente a trovare un accordo proprio con la grande nobiltà magnatizia.
Aveva così inizio il conflitto tra l’italiana e la nobiltà, scontro che avrebbe in futuro, morto Sigismondo II Augusto, l’ultimo rappresentante della dinastia, complicato notevolmente i rapporti all’interno dello stato minando così lo stesso istituto monarchico. D’altro canto nei piani dell’italiana c’era, a suo giudizio, la carta vincente del figlio, che da sempre era stato al centro dei progetti politici della sovrana.
Bona stessa, una volta constatata la debolezza politica del vecchio Sigismondo, aveva cominciato a sperare di poter vedere il figlio sul trono polacco ancora vivente il legittimo sovrano. E fu grazie alle insistenze della nostra italiana se nel 1529 a Vilna, capitale del granducato di Lituania,