La grande gara
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“Discussero del bosco, del vento, della pioggia e di altre cose che Giorgio non capiva. Usavano parole che non aveva mai sentito, parlavano di gente che non aveva mai conosciuto. Dovevano sapere quello che stava succedendo.”
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Anteprima del libro
La grande gara - Paolo Casarini
Paolo Casarini
La grande gara
Prima Edizione Ebook 2022 © Damster Edizioni, Modena
ISBN: 9788868104788
Immagine di copertina
Paolo Casarini
Damster Edizioni è un marchio editoriale
Edizioni del Loggione S.r.l.
Via Piave, 60 - 41121 Modena
http://www.damster.it e-mail: damster@damster.it
img1.jpgIndice
Poche righe di introduzione
Primo giorno
Secondo giorno
Terzo giorno
Quarto giorno
Quinto giorno
Penultimo giorno
Ultimo giorno
L’autore
Poche righe di introduzione
Questa è una storia semplice ma è una storia che volevo raccontare. La prima volta che pensai alla grande gara avevo sedici anni, e ora ne ho ventiquattro. Non ne è passato uno senza che la gara fosse parte dei miei pensieri, e questo è il meglio che la mia esperienza e la mia età mi hanno concesso di realizzare. Viverla fu semplice, ma non è stato semplice riportarla a parole, e forse non sarà semplice leggerla fino alla fine.
La grande gara è stata ripetuta un’infinità di volte, e anche in questo momento la sua classifica continua ad aggiornarsi. La mia unica speranza è che rimanga qualcuno, alla fine, che possa raccontarla.
Paolo Casarini
Paolo Casarini
LA GRANDE GARA
Romanzo
Alla gente che c’era
Primo giorno
Arrivò seguendo la gente che c’era. La folla uscì dalla foresta e si schiacciò attorno a qualcosa al centro della piana. Il sole li colpiva dritti e c’era un forte odore di bosco.
— Saranno passate due ore — disse Pit.
— Ma va’, sarà un’ora al massimo — fece Zacca.
— Pff, te sei fuori — rispose Pit. Avevano tredici anni. Gli altri erano più grandi, parlavano e indicavano la valle e il bosco. Dovevano sapere perché si trovassero lì.
Giorgio scaricò lo zaino e cercò la borraccia nella tasca laterale.
— Dove siamo? — chiese Pit.
— Ah boh — rispose Zacca. Superò la folla con lo sguardo. — Ci sono solo dei boschi qua.
— Per forza ci sono dei boschi — disse Pit. — Cosa vuoi che ci sia?
— Era per dire.
— Per dire un cazzo — fece Pit. Qualcuno si allontanò verso la foresta. Il tredicenne storse il naso. — Siamo in un botto — disse. Erano una ventina di persone, e avevano tredici, quattordici e quindici anni. Uno dei più grandi intimò di stare col gruppo, che presto avrebbero cominciato.
— Dove siamo? — La Bea buttò lo zaino sopra i loro e salutò con un cenno della testa.
— È quello che ho chiesto anch’io — disse Pit, voltandosi verso Zacca per mostrare che non era scemo. Zacca scosse le spalle.
Giorgio abbassò la borraccia. — Adesso ce lo diranno — disse.
— Ma sì — fece Zacca. Si massaggiò le spalle. — Ma che caldo c’è?
Rimasero a parlare a lato del gruppo mentre i grandi si muovevano a loro agio, scambiandosi saluti e strette di mano. Qualcuno rideva. Due ragazzi parlavano sottovoce. Giorgio non conosceva nessuno di loro.
Uno dei quindicenni alzò il braccio. Era alto, robusto, i capelli corti e mori. Era il più imponente tra quella gente. Bastò un suo movimento per attirare l’attenzione.
— Ciao a tutti — disse. — Io sono Dario. — Portava una maglietta nera e pantaloncini azzurri da ginnastica. Ci fu uno scambio di battute prima che tornasse il silenzio. — Oggi abbiamo poco tempo e molte cose da fare — continuò. — Vanno montate le tende, ovviamente, ma prima dividiamoci nelle squadre. — Fece un cenno a destra. — Marti, hai tu la lista?
— Sì. — Si alzò una ragazza della sua età. Dai pantaloni estrasse un foglio piegato con cura.
Giorgio non sapeva cosa stesse succedendo, ma sembrava qualcosa di importante. Accanto a lui due ragazze si presero per mano.
— Queste sono le squadre — cominciò la Marti.
Pit e Zacca si fecero in avanti. Giorgio si spostò di lato, che tanto sentiva lo stesso.
La Marti lesse ad alta voce:
PANTERE
Olga
Ire
Bea
Alcuni si guardarono. Giorgio non capiva, ma non gli interessava. Passò la mano sull’erba che ricopriva la piana. Era asciutta e terrosa, libera come se nessuno l’avesse mai calpestata. Strappò un filo d’erba e lo passò tra le dita.
— Che è sta cosa? — sussurrò Zacca. Pit non si voltò neppure.
La quindicenne continuò:
COBRA
Dario
Elia
Zacca
Dario batté il pugno con un ragazzo alla sua destra. Zacca li guardò affascinato.
— Ti hanno chiamato — disse Pit.
— Ho sentito. Ma non…
— Aspetta! — lo fermò l’altro mentre la Marti proseguiva:
VOLPI
Marti
Ali
Viola
La Viola era seduta accanto alla Bea, e a sentire il suo nome alzò appena la testa. La ragazza riccia accanto a lei le sussurrò qualcosa all’orecchio. La Viola sorrise. Giorgio quasi non si accorse che la Marti continuava:
PUMA
Silver
Jack
Pit
Qualcuno rise.
— Ma fottetevi — disse Silver. Era alto, biondo, e portava dei pantaloncini di tuta grigi. — Fottiti pure te — fece a un altro che lo guardava. Questo scosse la testa.
— Dai, ragazzi — li zittì la Marti. Riportò lo sguardo al foglio, e lesse:
KOALA
Cate
Frenci
Sara
Le due ragazze che si tenevano per mano si guardarono e annuirono. Dovevano aspettarsi quello che era successo. Giorgio continuava a non capire. Le nuvole che arrivavano da ovest erano di un bianco che accecava.
— Passiamo agli ultimi, ma non per…
— Beh — fece qualcuno.
— …importanza — concluse la Marti. — La squadra dei
FALCHI
Richi
Lollo
Giorgio
Che?
La Marti ripiegò il foglio. — Bene, anche per quest’anno ci siamo — concluse.
La gente si alzò improvvisamente, scambiandosi pareri ed impressioni. I tredicenni li imitarono confusi. Attorno a loro si parlava di tende, di gente e di notti.
— Che sono ste squadre? — chiese Zacca.
— Silver? — faceva Pit, guardandosi attorno. — Dov’è Silver?
Pit si unì ai Puma, Zacca andò coi Cobra, la Bea corse dalle Pantere. La Viola e la Sara rimasero vicine prima di raggiungere Volpi e Koala. Erano nomi strani per delle squadre, pensò Giorgio, ma qualcuno doveva sapere perché si chiamassero così.
Uno dopo l’altro si unirono alla propria squadra finché rimasero fuori due ragazzi più grandi, a lato, che parlavano animatamente. Sembravano conoscersi bene.
Giorgio gli si avvicinò.
— Siete i Falchi?
I due si voltarono. — Proprio noi — rispose il più basso. Era grosso, al limite del grasso, capelli neri lunghi e unti. — Io sono Richi, il capo. — Prese la mano di Giorgio e la strinse con forza.
— Capo per formalità — disse l’altro.
— Formalità di ‘sto cazzo — replicò Richi, alzando la mano. — La baracca è mia e la porterò all’inferno con me.
— Io sono Lollo, piacere — si presentò il secondo. Aveva quattordici anni e un fisico slanciato che superava Richi in altezza. I capelli erano biondissimi.
Giorgio gli strinse la mano. — Giorgio.
— Ottimo, siamo a cavallo — fece Richi. Si sfregò le mani. — Muoviamoci prima ci fottano i posti migliori.
— Hai già un’idea? — chiese Lollo.
Richi si guardò attorno. Discussero del bosco, del vento, della pioggia e di altre cose che Giorgio non capiva. Usavano parole che non aveva mai sentito, parlavano di gente che non aveva mai conosciuto. Dovevano sapere quello che stava succedendo. Dovevano averlo vissuto altre volte.
— Bene, mi sembra andare — convenne Richi. Notò che Giorgio lo guardava confuso. Il capo dei Falchi indicò il bordo del bosco a nord. — Appena sotto le prime fronde — disse. — Così siamo schermati dalla pioggia e non dobbiamo fare giri strani per venire sulla piana. Poi il bosco è vicino per la legna, e se… — Si fermò. — Ma te che ne sai?
— Infatti — fece Giorgio.