La chitarra blu: Sul luogo del delitto un solo e unico indizio
Di AA. VV.
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Vicende piene di tensione, ambientate nei luoghi più disparati, con soluzioni inaspettate e ben congegnate.
Un agente FBI in missione in un futuro prossimo che assomiglia molto alle scene apocalittiche di Blade Runner, un omicidio quasi perfetto sul palco dell’ultimo concerto, un maestro di chitarra che cela i suoi segreti in una stanza nascosta, una chitarra maledetta che crea e distrugge geni musicali, un assassino alla ricerca del delitto perfetto, una band e una chitarra di troppo, un macabro omicidio con una chitarra inserita nel corpo di uomo, una Alice sadica e impietosa…
Tante storie... unite dall’unico indizio.
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Anteprima del libro
La chitarra blu - AA. VV.
Autori Vari
La chitarra blu
Prima Edizione Ebook 2013 © Damster Edizioni, Modena
ISBN: 9788868100575
Damster Edizioni
Via Galeno, 90 - 41126 Modena
http://www.damster.it e-mail: damster@damster.it
Autori Vari
Unico indizio
La chitarra blu
I racconti
HAVE YOU SEEN THE STARS TONIGHT? di Piergiorgio Annicchiarico
"La melodia è spazio. La chitarra
diviene il luogo della cosa come fu,
un comporre i sensi della chitarra blu."
L’uomo con la chitarra blu - Wallace Stevens
La chitarra blu
Qualcuno, all’Agenzia, si era ricordato del suo lavoro in quegli anni, schiodandolo dalle consolle dei tre radiotelescopi interferometrici di Monte Wilson.
L’avevano chiamato perché lui, in onore dei bei vecchi tempi, entrasse per primo e facesse una rapida valutazione della situazione, da vero esperto.
Erano scomparse non meno di quindici persone, come se si fossero volatilizzate. A San Francisco ne sparivano ogni giorno. Per un po’ venivano svolte ricerche per appurare che non giacessero coi piedi zavorrati in fondo a qualche canale, o che non facessero la loro bella figura appese in un camion frigorifero del porto. Poi la TV non se ne occupava più, e alla fine non c’era nulla da cercare.
Niente di straordinario, dunque. Se non per il fatto che erano spariti alcuni dei membri di una rock-band degli anni ’70.
– Si chiamano, fammi vedere... Ah sì, Jefferson Airplane, o Starship. Ma tu, sai chi sono?
Phil sapeva che non era una qualunque rock-band, di quelle che passavano come meteore nel cielo delle stelline canore di un’America votata al mantenimento dell’ordine ricostituitosi dopo il Lunedì Nero. Come quelle insulse delle Bangles, che piacevano tanto agli yuppies sopravvissuti al Grande Crollo.
Ma era inutile spiegarlo all’interlocutore che lo aveva chiamato.
– Le ultime tracce conducono ad una casa di Sausalito, nella collina affacciata sulla Baia. Poi… più nulla!
– Più nulla?
– Spariti, volatilizzati.
Non gli ci volle molto a riconoscere la casa. Da allora non era cambiata granché.
Scese dalla macchina con la sua giacca nera un po’ lisa, il cravattino tirato allo stremo sulla camicia bianca che gli arrotondava il profilo, segno di qualche birra di troppo, rayban appesi al naso per proteggersi gli occhi dalla luce tagliente di quel freddo mattino di dicembre.
Ad attenderlo c’era l’FBI e l’intero CSI di San Francisco, attrezzato di tutto punto. Per non dire degli agenti della CIA, suoi vecchi conoscenti, e quelli di altre agenzie federali, al gran completo.
"Un gran bel raduno di vecchie glorie", pensò.
Si tolse i rayban, entrò e subito la vide. Una Gibson blu-notte spiccava appoggiata al muro dipinto di spirali arancioni che si innalzavano come fiamme, sino al soffitto.
Si guardò intorno: amplificatori, microfoni, altoparlanti, spartiti e registratori, coperti di polvere.
Sul divano al centro della sala era disteso un lenzuolo bianco che lambiva il parquet, come una sorta di Pietà su un passato che lui sapeva non sarebbe tornato.
Ci aveva trascorso notti intere su quel divano, a discutere con Paul e Grace, ad ascoltarli provare nuove canzoni.
Per terra, sparsi alla rinfusa, decine di nastri srotolati luccicavano al sole, agitati dalla brezza che penetrava dalla vetrata. L’avevano aperta quelli dell’FBI tagliando un tortino di vetro con perizia da veri ladri, quanto bastava per arrivare alla maniglia. Dopo aver disabilitato l’impianto di sicurezza era tornato il silenzio che durava da almeno un anno, a giudicare dalla polvere che copriva ogni cosa.
Sul grande tavolo all’angolo della sala era sistemata una pila di LP. In cima, l’inconfondibile luminosa figura del Principe e del Pavone risaltava sul nero della copertina, con le sue tonalità di verde e arancione.
Estrasse il libretto che accompagnava il disco e, sfogliandolo, provò un brivido. I disegni firmati God Tunes sembravano frutto di una allucinazione lisergica.
Su un’altra parte del tavolo giacevano libri di Asimov, Clarke, Bradbury e altri. Sicuramente appartenuti a Paul. Tra i tanti, lo attrasse un saggio di Herman Oberth. Stava in bella mostra in mezzo ai libri di fantascienza, ed aveva un titolo semplice come una dichiarazione programmatica: Man into Space
.
Dopo aver soffiato la polvere dalla copertina fece scorrere le pagine. Si soffermò su una frase sottolineata con una riga tirata dritta, senza tentennamenti:
"To make available for life every place where life is possible. To make inhabitable all worlds as yet uninhabitable, and all life purposeful"{1}.
Sul lato della pagina c’era un appunto vergato con la calligrafia nervosa di Paul. Si riusciva a stento a leggere la parola starship
. Tutto il resto era indecifrabile, come sempre.
Sul tavolo, anche un mazzo di fotografie, la maggior parte a colori, alcune in bianco e nero. I colori erano stinti, sfioriti dal tempo. Le sfogliò soffermandosi a guardare i dettagli, con lo stomaco stretto dall’emozione.
Paul e David che suonano, uno di fronte all’altro. Wooden Ships, probabilmente.
Paul con la sua Gibson blu. Grace e Marty che cantano sul palco di Woodstock, avvolto nella luce rosata dell’alba della domenica.
Jerry e Jorma che si fronteggiano, occhi persi sulle chitarre. Senza dubbio uno dei loro interminabili viaggi sonori a base di acido.
Una lo colpì, era una polaroid scolorita. Paul stava seduto sul divano, al suo fianco sedeva Grace, sorridente. Tutto sembrava essere esattamente come intorno a lui, in quel momento.
A parte la Gibson blu.
Paul la impugnava come se si accingesse a suonarla. Con quei suoi occhiali perennemente storti sul naso guardava dritto verso l’obiettivo e ammiccava. Dietro, con la inconfondibile grafia di Grace, era scritto:
"Phil, Have you seen the stars tonight?"{2}
Capì che avevano sempre saputo, e si chiese cosa si aspettassero da lui. Mise in tasca la foto, e poggiò le altre sul tavolo.
Sollevò lo sguardo verso la Gibson blu poggiata al muro arancione. Stava dritta, sull’attenti, come se lo stesse aspettando. Superò il timore che lo scricchiolare dei passi sul legno infrangesse il silenzio. Si avvicinò e la prese con cautela, sollevandola e abbracciandola, incurante della polvere che gli sporcava la giacca. Ne ricordò il suono: lacerante, talvolta dolce, sempre incalzante, specie quando accompagnava il piano di Grace.
L’osservò meglio, e si accorse che una tenue linea giallo-verde, quasi fosforescente, partiva dallo stoptail bridge, e proseguiva dietro la cassa armonica.
Sul retro era costellata di migliaia di punti fosforescenti, alcuni quasi impercettibili, altri più grandi. Al centro, un ammasso di piccoli segni formavano un’indistinta nebulosa fluorescente. La linea invece roteava in una spirale che, costeggiando il bordo più esterno, convergeva al centro della nebulosa.
Tornò sui suoi passi con la chitarra in mano e poggiò il manico al bordo del tavolo. Riprese la foto di Woodstock, avvicinandola agli occhi per scrutarne meglio i dettagli.
Ricordava bene: non aveva mai visto quei segni, a Woodstock la chitarra non li aveva mai avuti. Gli tornarono in mente le parole vergate sulla polaroid, e si sorprese a canticchiare le altre strofe della canzone:
"Do you know
We could go
We are free
Any place you could think of
We could be." {3}
Estrasse la polaroid dalla tasca e guardò meglio anche quella. Sì, gli sembrava che tra il blu si intravedesse un leggero scintillare di giallo.
Prese con sé la Gibson, e si diresse verso la porta d’ingresso. Prima di uscire si voltò a guardare la grande sala, ed ebbe netta la sensazione che si fossero radunati un’ultima volta, come i reduci di una rivoluzione fallita.
All’uscita indossò gli occhiali, e a chi lo aspettava disse:
– Ora potete entrare, io non ho trovato granché, a parte questa chitarra.
Resistenza
Aveva quasi settantasei anni e aveva visto cambiare tutto troppo rapidamente.
La Terra - e il suo clima impazzito - si era comportata come una pallina alla ricerca di un equilibrio su una superficie concava; aveva alla fine trovato l’ombelico parabolico, il tunnel infinito della Teoria delle Catastrofi, e ci era finita dentro a gran velocità.
Aveva visto nascere la Rivoluzione delle Rose: i militari del Movimento-Eco, nato sui campi di battaglia dell’Iran, avevano conquistato il potere in tutto l’Occidente.
Una minoranza della popolazione, tra cui la Casta degli Scienziati, aveva sostenuto le Dittature Ecologiste nate dalla Rivoluzione.
La maggior parte della gente aveva forzosamente adottato uno stile di vita eco-compatibile. Gli irriducibili, invece, erano stati deportati nelle aree di produzione di energie alternative o nei campi agricoli adibiti alla coltivazione di prodotti biologici.
Tuttavia, a nulla sembrava essere servita l’instaurazione del Nuovo Ordine Eco-Compatibile Mondiale; né, d’altra parte, erano state risolutive le guerre per la conquista ed il controllo delle aree strategiche necessarie alla riduzione delle emissioni inquinanti.
Il processo di innalzamento della temperatura del Pianeta sembrava aver raggiunto un punto di non reversibilità.
Dopo le guerre, i paesi sconfitti erano stati costretti a ridurre rapidamente le emissioni di gas-serra. Ma il blocco improvviso delle produzioni dell’industria pesante aveva provocato rivolte di massa e massacri di centinaia di migliaia di persone, in Cina e India.
La povertà, improvvisamente diffusasi in tutto l’Estremo Oriente, aveva incrementato la produzione di CO2: la popolazione bruciava legname per scaldarsi e cucinare il cibo, che nel frattempo aveva cominciato a scarseggiare.
Una pesante calotta di nubi avvolgeva perennemente l’orizzonte, una pioggia acida e calda cadeva incessante, a ogni latitudine. I ghiacciai si erano sciolti, gli oceani si erano innalzati di metri, intere aree del Pianeta erano scomparse, sommerse dal mare.
Le società umane erano depresse, isolate, confinate lontano dalle megalopoli e dalle città, in larga parte abbandonate, o rigidamente controllate dai militari.
La limitazione della libertà e l’insuccesso delle politiche eco-compatibili avevano creato le prime crepe nel Movimento-Eco, favorendo l’opposizione al Nuovo Ordine.
Si erano organizzati i primi nuclei di resistenza. Phil vi aveva aderito, offrendo tutta la sua esperienza da astrofisico che aveva fatto parte della Casta degli Scienziati, e che conosceva bene la logica del potere dei militari del Movimento.
Camminava sotto la pioggia, incurante della maglietta bagnata. Suo nipote Jimi lo precedeva lasciando sull’asfalto fumante, dietro le lacere nike, impronte schiumose. Poteva vedere il formarsi delle bolle a ogni passo, quasi a costellarne il percorso. Le bolle scoppiavano a contatto con l’aria.
Si chiese quale pioggia gli avrebbe mai lavato anima e polmoni da quel denso grumo di tosse e sconforto che lo attanagliava da anni.
Pensò a quando la pioggia portava buoni odori di terra bagnata, e di fieno umido e grasso. Ora portava solo fetidi acidi a corrosione lenta. Non sarebbe mai finita, questo era certo.
Jimi si fermò, e si fece raggiungere. Era come se lo zaino non gli pesasse, benché contenesse viveri e acqua per una settimana, oltre al necessario per sopravvivere al freddo e all’umido della notte.
Dalle tasche gli spuntavano due fili che ondeggiavano mentre caracollava, e gli finivano dentro le orecchie. Camminava ascoltando musica.
In un megastore abbandonato Phil aveva trovato un vecchio i-Pod nano. Ingegnandosi era riuscito a collegarci un alimentatore a micro-batteria solare. Non era facile ricaricarla con la pallida luce diurna che filtrava tra il grigio perenne degli strato-cumuli, ma con un po’ di fortuna si poteva contare su uno sprazzo di sole, grazie a una rara folata di vento. Era quanto bastava per almeno mezz’ora di ascolto.
Aveva trovato anche un vecchio DVD con una raccolta di musica degli anni ’70 del ‘900, una rarità assoluta. Aveva trasferito i files sulla memoria dell’i-Pod usando un lettore scalcinato, alimentato con una batteria collegata alla piccola pala eolica montata sul tetto del loro rifugio segreto.
C’erano anche gli album dei Jefferson Airplane, tra cui "Blows Against the Empire". Lo aveva riascoltato dopo tanto tempo, e i brividi gli erano corsi lungo la schiena, come la prima volta.
Jimi se n’era accorto.
– Phil, cosa c’è? Qualcosa non và?
– Niente, niente. Non ti preoccupare, sto bene. Sai, è questa musica, mi ricorda…
– Cosa ti ricorda, zio?
– Mi ricorda… Ti racconterò un giorno. Prendi tu l’i-Pod, ascoltala tu. Mi dirai se ti piace.
Phil non era più riuscito a dimenticare le canzoni che erano riemerse prepotenti dal suo passato. Gli tornavano in mente sempre le stesse parole di quella canzone:
"Have you seen the stars tonight?
Have you looked at all the family of stars?" {4}
Cercò la polaroid che teneva sempre con sé, in una tasca interna dello zaino. Era tutta stropicciata, ma si distinguevano ancora bene i dettagli: Paul e Grace gli sorridevano, seduti sul divano coperto dal lenzuolo bianco.
Prima o poi avrebbe raccontato tutto a Jimi.
Madre Terra
C’era la guerra in Vietnam, e molti dei miei amici erano dovuti partire quando avevano ricevuto la cartolina di reclutamento obbligatorio. Altri erano già scappati in Canada e poi in Europa, per evitare una lunga trasferta di sola possibile andata. Di alcuni non ebbi più notizie.
La protesta contro la guerra cresceva in tutte le università del Paese. Io venivo da una famiglia dei sobborghi di Los Angeles, ed ero un tipo a posto. Guardavo con simpatia al movimento pacifista, ma in fin dei conti mi preoccupavo solo di studiare fisica e astronomia, in quel caos montante. Soprattutto non volevo finire a combattere in Vietnam. Avrei fatto qualunque cosa per evitarlo, e non ne facevo mistero con nessuno.
Una volta fui avvicinato da una ragazza in un bar del campus. Teneva i libri di medicina stretti al petto, come per difendersi da qualcosa. Aveva uno sguardo fiero, e labbra irriverenti. Si chiamava Jenny. Istintivamente mi piacque, e facemmo subito amicizia.
Dopo un intero pomeriggio trascorso a parlare, a ridere e a bere, al tramonto eravamo a casa mia, stretti l’uno all’altra. Jenny mi fece provare l’LSD, e per me cominciò un volo interminabile in un mondo plasticamente puro. La mia percezione si dilatò senza fine, e fu come esplodere in un nuovo universo. Il fuoco mi prese, ed era dentro me.
Mi innamorai teneramente di Jenny, fino a pensare di amarla. Lei era invece scostante, diffidente, incapace di sopportare la mia gelosia per le sue frequentazioni maschili.
Durante una cena in cui Jenny sembrava più allegra del solito, mi raccontò di essere stata ingaggiata dalla CIA per l’Operazione Merrimac-CA. L’azione clandestina di