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L'umore del caffè
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E-book222 pagine2 ore

L'umore del caffè

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Info su questo ebook

Franco Danzi, detto il Nero, ispettore di Polizia a Roma viene trasferito, temporaneamente, a Ginepre, piccolo paese della provincia di Livorno, che sorge fra Piombino e San Vincenzo dove è cresciuto.

Ginepre, un paesino tutt’altro che tranquillo, è stato teatro vent’anni prima dell’efferata uccisione di quattro giovani sulla spiaggia e scenografia di altre strane morti, archiviate come incidenti. Le indagini si arenarono per mancanza di indizi. Il ritorno in veste di ispettore di Danzi spinge, però, il padre di una delle vittime a chiedere il suo intervento per risolvere il mistero che tormenta non solo i genitori delle vittime ma tutta la popolazione locale. Supportato dal gruppo degli ex-compagni di scuola con i quali riallaccia i rapporti, facendo un tuffo nei ricordi di gioventù, l’ispettore riuscirà, destreggiandosi in una rete di sospetti, casualità ed equivoci, a scoprire la verità.

La storia si svolge su diversi piani temporali e racconta la vita più o meno segreta degli abitanti di Ginepre. L’autore utilizza espressioni dialettali e non rinuncia all’ironia tipica della gente che vive lungo il mare, sulla costa toscana, pungente, scanzonata, che non fa sconti a nessuno.

Un mistero, alcuni incidenti che si riveleranno forieri di inconfessabili colpe ma anche amicizie, affetti, amori che contribuiscono a delineare vizi e virtù della provincia italiana.

Marco Miele nasce a Piombino nel 1963. Sposato con tre figli, di professione è, da vent’anni, marinaio dei piloti del porto. Nel 2013 pubblica Un pesce da aprire con Giovane Holden Edizioni. L’umore del caffè, già uscito nel 2011 per Cult Editore, viene riproposto in una nuova veste grafica ed editoriale.

Entrambi i romanzi hanno per protagonista l’ispettore e poi commissario Franco Danzi detto il Nero.
LinguaItaliano
Data di uscita4 feb 2014
ISBN9788863964493
L'umore del caffè

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    Anteprima del libro

    L'umore del caffè - Marco Miele

    Marcello.

    I

    Di nuovo a casa

    Dal raccordo anulare si imbocca la strada per Civitavecchia, poi su a nord, verso Grosseto. Nero era appena entrato in Toscana che a fatica riusciva a mettere insieme i cocci che aveva in testa.

    Ma sì dai… era la cosa da fare, ripeteva tra sé Franco Danzi, Nero. Si volta pagina, si cambia vita, si torna a casa, quasi a voler convincere se stesso che stava facendo la scelta giusta. Il commissariato di Ginepre andrà benissimo, poi torno a casa, e il babbo sarà contento se stiamo un po’ insieme.

    I pensieri navigavano a ruota libera, un po’ anche ad alta voce mentre il paesaggio fuori era sempre più familiare.

    Arrivato all’altezza di Grosseto, decise di allungare un po’ la strada per passare da Castiglion della Pescaia, luoghi come Le Rocchette, Punta Ala gli ricordavano quando veniva lì con il babbo a guardare le barche alla domenica. Imboccò la via delle Collacchie che porta fino a Follonica.

    Guarda quante puttane ci sono? Tutte di colore! pensò rallentando un po’. A Roma, dove aveva lavorato come ispettore capo fino al giorno prima, la vista delle prostitute sulla strada non era certo rara, ma lì Nero non le ricordava.

    Si stava avvicinando a Follonica, a sinistra si vedeva già il grande golfo… il mare. Mancavano a Ginepre una trentina di chilometri, sempre verso nord. Arrivò che era ormai sera, in casa non c’era nessuno. Entrando sentì forte l’odore di pane abbrustolito che gli ricordava le colazioni che il babbo faceva ogni mattina da tutta la vita: pane tostato, quasi bruciato, zucchero e caffè. Quell’odore era nelle pareti, era l’umore di casa sua. Era ancora dentro di lui. Si buttò sul letto senza lenzuola in quella che era stata la sua camera quando abitava ancora lì, addormentandosi senza nemmeno sfare le valigie.

    Ma sì dai è… la cosa giusta, fu l’ultimo pensiero.

    II

    Chitarre, fumo e cicale

    La notte di luglio era tiepida, la scuola era finita da poco con gli esami di maturità, la maggior parte dei ragazzi di Ginepre era a far festa sulla spiaggia tra fuochi, salsicce, birre e chitarre, fumo di sigarette… e di altro ancora.

    C’era Legno poi, che portava sempre un pentolone di pasta con il tonno, le olive nere, le cipolle, il burro e il prezzemolo, niente di speciale ma a tutti sembrava deliziosa.

    Alla distribuzione ridevano tutti, in fila ordinati come boyscout, con un piatto di carta e una forchetta e Legno, con un grosso mestolo che la serviva. Erano decine i ragazzi, quasi tutti dell’Istituto Magistrale, e quelli più grandi che abitavano ancora nel piccolo paesino della Maremma Toscana, direttamente sul mare tra Livorno e Grosseto, o quelli che, di passaggio, si fermavano volentieri.

    L’atmosfera era serena, tra chiacchiere e risate, il brusio era… denso.

    Don Vince che fai? Vai già via? chiese uno dei ragazzi.

    Sì… si è fatto tardi, sono un po’ stanco.

    L’insegnante di religione dell’Istituto Magistrale di Ginepre se ne andò presto, lasciando ai ragazzi la loro notte. La serata o meglio la nottata stava per finire in mattino e la maggior parte dei ragazzi era tornata a casa.

    Solo un ultimo gruppetto era rimasto per spengere le braci, ripulire la spiaggia, fumare l’ultima sigaretta, senza trovare la via del ritorno.

    Ciao gente, noi si va! dice la Barbarossa incamminandosi insieme con altri tre.

    Ciao, risposero Legno e Rita.

    Ah Ritina, si fermò l’altra ragazza, la felpa te la rendo dopo che l’ho lavata.

    Non c’è problema, la puoi tenere quanto vuoi, ci sentiamo domani quando ci svegliamo… ciao.

    Ciao! rispondono quasi in coro i quattro ragazzi che stavano andando.

    Ciao una sega! li richiama sorridendo polemicamente Mario Vanni, detto l’Ora. Sempre i soliti a fare le pulizie, Nero digli qualcosa a queste merdine.

    Stai bonino l’Ora, ’un c’è da fa’ una sega niente, rispose il Nero. Poi siamo quasi pronti, se devi andare vai anche te.

    No, no… rimango, disse bonariamente il corpulento ragazzo.

    Sulla spiaggia rimasero Rita, Legno, Ora, Nero e Katia, mentre gli altri quattro, salutarono e si avviarono verso casa.

    La strada che portava dalla spiaggia al paese, era lunga e sterrata e, senza bisogno di consultarsi, imboccarono la scorciatoia che usavano di solito.

    La scorciatoia passa dal bosco, fitto ma praticabile, che tutti i giovani - e anche i meno giovani - di Ginepre conoscono benissimo. I quattro entrarono nella boscaglia sparendo dalla vista degli amici dopo un ultimo saluto.

    In quel tratto di bosco, in quel periodo, si sentono le cicale, e le lucciole illuminano il viottolo… La Barbarossa rimase un po’ sorpresa nel non sentire alcun rumore… se non quello dei loro passi.

    Non c’è vento, non piove… perché non ci sono le cicale?… E le lucciole che fine hanno fatto?!

    Non ci sono mica sempre… rispose il Ciocco. Si vede che cambia il tempo forse domani piov…

    Non finì la frase perché un colpo dal buio più scuro lo colpì in pieno volto. Gli altri risero pensando che avesse urtato un ramo, ma le risate durarono poco. Un altro colpo e poi ancora due. I quattro ragazzi erano storditi per terra, semicoscienti. Barbarossa tentò di urlare ma il grido le si fermò in gola, la paura la gelò. Non riuscivano ad alzarsi, né a parlare, la loro vista era annebbiata, videro soltanto la sagoma di chi li aveva colpiti, avvicinarsi frettolosamente, sentirono il suo respiro, corto, affannato. Li trascinò fuori dal sentiero per una decina di metri e colpì ancora i ragazzi. Forse non erano già più coscienti… poi, con decisione, gli recise la gola. Iniziò con le ragazze. La Barbarossa cercò di nuovo di urlare ma sentì solo il sapore del suo sangue. I ragazzi morirono abbastanza velocemente.

    Forse. O forse no.

    I cinque rimasti sulla spiaggia tornarono verso casa dalla strada più lunga, ma più comoda per spingere il carrellino con un paio di chitarre, il pentolone e la roba usata per la festa sulla spiaggia. Arrivarono in paese passeggiando e ridendo che stava sorgendo il sole, si salutarono e andarono a letto, dopo una meravigliosa nottata.

    III

    Califfone 1977

    Il trasferimento - temporaneo, aveva chiesto - a Ginepre era dettato dall’esigenza di stare vicino al babbo, rimasto vedovo da quattro anni, che si era troncato una gamba cadendo dal motorino, un Califfone del 1977. Considerata l’età e il tipo di frattura, la diagnosi era di almeno un anno di disagi. A dire il vero aveva in mente questa idea già prima dell’incidente. Nero a Roma non lasciava solo il commissariato, i colleghi, gli amici. Lasciava la moglie.

    La moglie, peraltro, aveva già lasciato lui, sei mesi prima. Non erano ancora andati da un avvocato, ma la separazione c’era stata e netta. Forse perché lei, sentendosi in colpa, se ne era andata il giorno dopo essere stata sorpresa a… trombare selvaggiamente e con trasporto, con un tipo. Lui era rientrato a casa prima del previsto, un classico. Non era nemmeno il primo tradimento che scopriva, ce ne erano stati almeno altri tre. Poi lei si pentiva, confessava qualcosa e la relazione andava avanti o galleggiava tra silenzi, poche e banali parole e una quotidianità devastante, che però rassicurava. Lui sapeva che era sbagliato, ma si era cucito addosso quel cappotto pieno di strappi che alla fine, nonostante tutto, sembrava scaldasse ancora.

    Non disse nulla al babbo, non menzionò il trasferimento al distretto di polizia di Ginepre, disse solo che aveva chiesto un periodo di sospensione dal lavoro per poterlo assistere nei primi periodi.

    O che ti sei venuto a rompere i coglioni qua? lo apostrofò carinamente il babbo, ancora all’ospedale, appena saputa la notizia. Qua ’un c’è una sega da fa’… e poi io ’un c’ho bisogno di nulla, e tra un po’ me ne torno a casa, non c’è problema.

    Sembra strano, ma era il suo modo di dire al figlio che era contento che fosse lì.

    Nel periodo in cui il babbo era in ospedale, prese contatto con il piccolo distretto di polizia di Ginepre dove, a passare le consegne, trovò il commissario Brigante, lì da poco più di un anno. Era euforico sapendo che sarebbe tornato in Piemonte con la sua famiglia, una moglie e due figlie adolescenti, che probabilmente, nate e vissute a Torino, si dovevano essere annoiate molto in un paesino come quello.

    Brigante disse poco, solo quello che riteneva importante.

    Spiegò delle domiciliazioni coatte dei mafiosi nei dintorni del paese, senza però che questo abbia inquinato il comprensorio di Ginepre con soggetti della criminalità. Parlò poi del crescente uso di droghe di vario tipo nelle scuole, un aumento della prostituzione specialmente nel periodo estivo e una serie di eventi degli ultimi mesi di una ovvietà disarmante: un po’ quello che succede ovunque. Concluse con una frase che colpì Nero: Ricordati che i gineprini nativi, sia giovani che adulti, sono tranquilli, gente per bene, i casini li fanno quelli che vengono da fuori, o i negri, che con la scusa di lavorare nei campi, nel tempo libero, spacciano le droghe e portano le puttane delle loro mogli per la strada.

    Mentre prendeva le consegne, tutta la squadra era stata riunita nell’ufficio principale; il nuovo ispettore non conosceva nessuno ma ebbe da subito la sensazione che tutti fossero contenti di vedere andarsene Brigante, a prescindere da chi lo avrebbe poi sostituito. Nessuno aveva incrociato lo sguardo con lui, né una risatina di convenienza alle sgradevoli battute, né un sorriso di consenso, insomma niente che facesse pensare che ci fosse un gran feeling tra loro.

    La squadra era composta di sette elementi più il commissario, anche troppi se non c’era niente da fare, ma ci sarebbero stati dei problemi se quel gruppo avesse dovuto contrastare una carica di rivoltosi o fare un’irruzione. Brigante, con una certa presupponenza, tranquillizzò il nuovo arrivato sostenendo che a Ginepre non succede quasi mai nulla, che aveva comunque chiesto un piccolo aumento di organico e, se proprio necessario, bastava chiedere l’intervento del commissariato di Piombino, Venturina o Cecina, ma che lui non ne aveva mai avuto bisogno.

    Poi ispettore Danzi, proseguì, qua, non siamo a Roma, questa gente un po’ provincialotta e un po’ ignorante è capace sì e no di rubare un’auto o poc’altro, non si preoccupi, ignorando che Nero in quel posto c’era nato, e contraddicendo quello che aveva appena detto riguardo droga, prostituzione ecc. La cosa non lo scosse più di tanto, anzi Nero non si curava un granché dell’opinione di quel tipo, la cui unica aspirazione era tornarsene da dove era venuto.

    IV

    Ginepre

    A Ginepre c’è un piccolo porticciolo che in passato era a uso soltanto dei pescatori locali che con le loro piccole barche rifornivano l’unica pescheria. Il gioco funzionava bene perché la pescheria comprava sempre il pesce dai pescatori e poi riusciva a venderlo anche ai vicini ristoranti.

    Tutti lavoravano e tutti guadagnavano.

    Da un po’ di tempo la zona è diventata meta turistica, non affollatissima, ma nel periodo che va da maggio a ottobre ci sono fino a cinquemila presenze in più al mese. Dopo il disagio iniziale, dovuto alla completa mancanza di strutture turistiche, i gineprini si sono cominciati ad adeguare, da principio affittando qualche camera o rimettendo a posto vecchie cabine sul mare, poi in poco tempo è nato il primo albergo e ai tre piccoli ristoranti se ne sono aggiunti altrettanti, un locale che somiglia a un pianobar e qualche negozio in più.

    Il benessere di Ginepre era dato dalla campagna, dal mare e da due piccole imprese che sviluppavano alta tecnologia per il prodotto siderurgico. Il sindaco che c’era nel 1982 scrisse sul giornalino del comune che Ginepre era l’unico luogo d’Italia a disoccupazione zero! Il reddito pro-capite era notevolmente sopra la media nazionale dell’epoca, almeno così sosteneva lui.

    La giornata di Nero scorreva lenta, anzi quasi immobile se confrontata a quella romana, dove il poco tempo libero era facile da inventare.

    A Ginepre andava la mattina a fare una visita al babbo, che puntualmente gli diceva di non aver bisogno di lui. Verso le dieci arrivava in ufficio, dove Brigante aveva lasciato l’abitudine di comprare i quotidiani sportivi, per nutrire la sua passione per il calcio. Nero non condivideva tale passione, ma considerava il calcio una sorta di stupidaggine senza alcun valore sportivo: "Tutto un tour di soldi, interessi e pubblicità, dov’è il gioco… lo sport? chiedeva a chi lo ascoltava sull’argomento. Il calcio sta rovinando anche gli altri sport, e quelli che non rovina li estingue!" aggiungeva categorico.

    Nero di rado si schierava così apertamente, calcio a parte. Una delle prime disposizioni che dette fu di comprare un paio di quotidiani normali, uno nazionale e uno con la cronaca di Ginepre. Sempre la mattina verificava i rapporti del turno di notte, organizzava una breve riunione nel suo ufficio per fare il punto della situazione. Le poche segnalazioni erano sempre per incidenti stradali, il furto di un motorino o atti vandalici opera dei soliti ragazzi. Verso l’ora di pranzo Nero tornava all’ospedale dal babbo, poi mangiava qualcosa anche lui e rientrava in commissariato, magari a sonnecchiare in poltrona o a navigare su internet, un po’ alla ricerca di viaggi in posti sempre sognati e mai raggiunti e ovviamente qualche sbirciatina nei siti porno, non a pagamento.

    Nel pomeriggio le cose non erano diverse, si leggeva un po’ di corrispondenza, si organizzavano le macchine, una, a volte due da mandare in giro. Capitava di fare dei rilevamenti di un incidente, ma casi da risolvere non ce ne erano, se non alcuni davvero singolari come il furto di:

    centocinquanta metri di tramaglio con piombi e galleggianti;

    due confezioni di razzi da segnalazioni per natanti da diporto;

    tre grossi sacchi di segatura da trenta chili ciascuno;

    cinquecento chili di sabbia.

    Il massimo per il commissariato di

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