Pharmacon 716
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Da poco il commissario Bosco è pensionato. Il suo rientro a Venezia da Roma non è stato semplice e solo dopo alcuni mesi recupera il senso di appartenenza alla città.Il suo ritrovato equilibrio è messo in discussione da una lettera a lui indirizzata da un certo “Tiziano” che gli comunica che il presunto suicidio di un giovane capo ricercatore della ditta farmaceutica Chemifar di Modena, è in realtà un omicidio. Bosco apprende che il giovane e il suo team stavano realizzando un farmaco di vitale importanza. Il commissario Bosco è perplesso. Una successiva lettera lo convince a indagare. In mezzo a mille difficoltà riesce a scoprire che “Tiziano” fa parte del CDA di una ditta concorrente della Chemifar, la Farmit di Bologna. Bosco dopo aver interrogato i presidenti delle due aziende crede di essere giunto a una logica conclusione, ma un’improvvisa serie di avvenimenti annulla ogni ipotesi faticosamente costruita.Il commissario convinto di non sapere più condurre un’indagine cade in una profonda depressione, ma il suo istinto, l’esperienza e l’aiuto di “Diogene”, un eccentrico amico filosofo, lo condurranno alla felice conclusione della complessa vicenda.
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Anteprima del libro
Pharmacon 716 - Giacinto Monari
Giacinto Monari
PHARMACON 716
Prima Edizione Ebook 2022 © Damster Edizioni, Modena
ISBN: 9788868104825
Immagine di copertina su licenza
Adobestock.com
Damster Edizioni è un marchio editoriale
Edizioni del Loggione S.r.l.
Via Piave 60 - 41121 Modena
http://www.damster.it e-mail: damster@damster.it
catalogo su
www.librisumisura.com
Giacinto Monari
PHARMACON 716
Romanzo
INDICE
17 novembre 2012 - dintorni di Bologna
2 dicembre 2012 - Venezia
6 dicembre 2012 - Venezia
8 dicembre 2012- Bologna
8 dicembre 2012, pomeriggio - Modena
9 dicembre 2012 - Questura di Bologna
9 dicembre 2012 - Venezia
9 dicembre 2012 - Bologna
9 dicembre 2012 - Modena
10 dicembre 2012, pomeriggio - Questura di Bologna
11 dicembre 2012, prima dell’alba - Bologna
11 dicembre 2012 - Bologna
11 dicembre 2012, pomeriggio - Venezia
12 dicembre 2012, mattina - Venezia
12 dicembre 2012, pomeriggio - Bologna
13 dicembre 2012, mattino - Modena
13 dicembre 2012, pomeriggio - Bologna
13 dicembre 2012, sera - Venezia
14 dicembre 2012 - Questura di Bologna
14 dicembre 2012, pomeriggio - Venezia
15 dicembre 2012, sera - Modena
16 dicembre 2012, mattina - Venezia
16 dicembre 2012, pomeriggio - Venezia
17 dicembre 2012 - Bologna
18 dicembre 2012 - Modena
19 dicembre 2012 - Firenze
20 dicembre 2012 - Venezia
21 dicembre 2012 - Venezia
22 dicembre 2012 - Como
23 dicembre 2012 - Venezia
23 dicembre 2012, primo pomeriggio - Bologna
24 dicembre 2012 - Venezia
26 dicembre 2012 - Como
27 dicembre 2012 - Modena
28 dicembre 2012 - Firenze
29 dicembre 2012 - Firenze
30 dicembre 2012 - Bologna
31 dicembre 2012 - Venezia
2 gennaio 2013 - Venezia
3 gennaio 2013 - Venezia
4 gennaio 2013 - Bologna
5 gennaio 2013 - Venezia
L’AUTORE
CATALOGO
A Gigi Taddei
"La salute non è tutto,
ma senza salute tutto è niente."
Arthur Schopenhauer
17 novembre 2012 - dintorni di Bologna
Nei pressi della stazione di Anzola Emilia un operaio sta affannandosi per rimediare un guasto a uno scambio che rischia di compromettere la regolare viabilità ferroviaria. Costantemente in contatto con la sala transiti il capostazione gli ha appena comunicato di poterli lasciare soltanto altri quindici minuti prima di decidere per una strada alternativa all’interregionale diretto a Piacenza e di passaggio nei successivi venti minuti. Il solerte ferroviere assicura di riuscire a dare l’ok al transito avendo già trovato l’origine del guasto e la possibilità di porvi rimedio in pochi minuti.
Il capostazione è tranquillo, conosce l’operaio e la sua serietà, ma il buon capo sa che nelle fredde sere di novembre lavorare a quei diabolici binari congelati in mezzo alla nebbia, che non manca di salire al primo calar del sole, non è per niente facile e, a volte, si rischia la disperazione.
«Tutto ok capo.»
Sono trascorsi meno di dieci minuti quando giunge l’ok riportando tranquillità nella stazione.
Il solerte operaio raccoglie gli attrezzi che aveva sparso qua e là e li ripone nell’apposita cassetta di lavoro. Sfregandosi le mani, indossa il pesante giubbotto di pelle foderato di lana alzandosi il collo del giaccone deciso a tornare in stazione senza perdere tempo. Quella notte il freddo è davvero pungente, ha percorso poche decine di metri quando ode, da est, il sopraggiungere del fatidico rapido. Gli pare più prepotente del solito e, quando sente il perforante sibilo della frenata, sulle prime non pare stupirsi. Solo lo straziante urlo umano che segue gli fa raggelare il sangue. Da uomo generoso qual è, lascia cadere la cassetta degli attrezzi e inizia a correre nella direzione di quell’urlo convinto di dover soccorrere qualcuno. Quando vede le condizioni di quell’uomo, si getta a terra inginocchiandosi e prendendosi il volto tra le mani. Lo spettacolo che gli si presenta è a dir poco agghiacciante, un paio di gambe staccate da un tronco umano, distanti tra loro e a loro volta distanti dal resto. Non ce la fa a resistere, deve fermarsi più volte per vomitare mentre corre come un pazzo verso la vicina stazione.
2 dicembre 2012 - Venezia
Da pochi mesi il dottor Ermenegildo Bosco è pensionato. L’estate precedente aveva concluso la carriera di poliziotto presso il prestigioso commissariato di piazza Venezia a Roma. Lì nella capitale aveva trascorso quattro anni d’intenso lavoro. Durante quel periodo si era spesso trovato in difficoltà pur non mancandogli soddisfazioni e momenti felici. Ricordava ancora con affetto le persone della sua squadra e con piacere gli encomi ricevuti dal Ministero alla felice conclusione delle indagini sugli assassini ai Fori Imperiali. Da quel giorno era rimasto a lungo indeciso se prendere la residenza a Roma, dove nel frattempo si era creato diverse amicizie, o rientrare a Venezia. Alla fine prevalse l’idea del ritorno nella città lagunare, dopotutto in quel luogo aveva vissuto la maggior parte della sua vita. A questa scelta contribuì non poco la destinazione di Giuliana Peretti, con la quale aveva un’intensa relazione sentimentale. La Peretti era stata il suo vice commissario a Venezia per poi essere trasferita a Nettuno proprio quando Bosco aveva assunto la responsabilità di commissario a Roma. La destinazione di Giuliana alla sede Nato a Bruxelles aveva compromesso il loro rapporto. A onore del vero la relazione si era già incrinata mesi prima perché lei aveva iniziato a frequentare un onorevole romano eletto al parlamento europeo. Bosco non seppe mai se lei si fosse invaghita dell’uomo o se le fosse servito per fare carriera, ma un giorno, poco prima del trasferimento, al termine di un weekend a Nettuno, lei gli comunicò che non era più il caso di continuare la loro relazione. Alla richiesta di una motivazione Giuliana rispose semplicemente che non era adatta a lunghi e impegnativi rapporti sentimentali.
«Gildo, non te la prendere, lo sapevi fin dall’inizio che la pensavo così, spero comunque che resteremo buoni amici...»
«Non mi interessa rimanere tuo amico e non accetto queste assurde spiegazioni, la verità è che ti avevo sopravvalutato. Sei una donna mediocre e mi hai profondamente deluso, addio» le aveva urlato livido di rabbia.
Da quella sera di un anno prima non l’aveva più vista né sentita.
Il ritorno a Venezia non era stato comunque facile. La città stava morendo, con gli ultimi due fenomeni di acque alte consecutivi di novembre il mare l’aveva di nuovo attaccata al cuore. Dopo nove anni di scandali ed errori il sistema di barriere Mosè
non era ancora attivo e nessuno poteva sapere quanto la città avrebbe resistito. Bosco era quasi pentito della scelta fatta, Roma, nonostante l’evidente decadenza, era caotica ma piena di vita. A peggiorare la situazione nei mesi successivi soffrì di vari acciacchi, in particolare un forte mal di schiena i cui sintomi erano iniziati a Roma ma che il clima umido della laguna aveva aggravato. In realtà era l’età che cominciava a pesare su di lui. Aveva messo su un po’ di chili e una folta barba quasi completamente bianca lo faceva sembrare più vecchio di quello che non fosse. Solo lo sguardo con i profondi occhi azzurri era rimasto quello di una volta e incuteva ancora nelle persone una sorta di rispetto. Avvertiva sempre di più la mancanza di una famiglia, scelta che per altro aveva fatto per ragioni professionali, e di un vero affetto dopo la fine della relazione con la Peretti. Questi eventi lo avevano precipitato in una sorta di pericolosa apatia dominata dai rimpianti che gli affollavano i pensieri. Solo grazie alle vecchie amicizie veneziane con fatica riuscì a uscirne. Fra le poche note positive era riuscito ad affittare un bilocale mansardato con terrazzino su Canal Grande simile a dove aveva abitato per molti anni. Però ciò che lo aiutò di più a integrarsi nella realtà veneziana fu l’interesse per l’arte alla quale si era riavvicinato grazie a Vittoria, la vedova dell’amico pittore Giorgio Molin, con la quale s’impegnò a realizzare rassegne per giovani artisti. Nonostante avesse compreso di non avere talento iniziò a dipingere e continuò a cercare a Venezia scorci da poter affrescare sulla tela.
Seduto davanti al cavalletto amava ritrarre i volti che gli ricordavano le persone con le quali aveva condiviso momenti importanti della vita. Era questo il suo modo di combattere il trascorrere del tempo e una vecchiaia che la mente non voleva ancora accettare. La realtà lo spaventava, sapeva di avere tra le mani solo briciole di un futuro che non poteva più permettersi di sprecare. In quegli istanti rimpiangeva le tante occasioni perdute per vigliaccheria o, peggio ancora, semplicemente per pigrizia. Per fortuna la mente umana concede delle pause d’indifferenza che aiutano a superare i momenti dolorosi e poter così continuare a tirare avanti. Gli giunse anche la buona notizia che Paolo Sartor, il suo vecchio amico titolare del bacàro Arte e Vin, venduto anni prima ai cinesi, aveva appena riaperto un pub vicino al teatro La Fenice e per questo chiamato Araba Felice. Paolo aveva la sua stessa età ma, nonostante la morte della moglie e una grave malattia da cui solo ultimamente si era ripreso, aveva conservato il suo carattere gioviale. Così, grazie agli incontri con l’amico, ritrovò l’empatia con una parte del passato e il senso di appartenenza alla città. Paolo un giorno gli chiese della relazione con Giuliana, Bosco con una smorfia gli confessò che era tutto finito.
«Xe la vida, vecio... l’amor fa pasar el tempo, e el tempo fa pasar l’amor.»
Paolo cercò di consolarlo abbracciandolo.
Una sera passeggiando nei pressi del teatro Goldoni incontrò Brisighella un suo ex informatore ai tempi delle indagini sulla morte della giovane irlandese. Costui, di cui non ricordava più il vero nome, era un personaggio spesso coinvolto in truffe di falsi d’arte. In passato gli aveva perdonato qualche marachella in cambio di preziose informazioni. Brisighella lo invitò nel suo night Settimo Senso che con alcuni compari aveva appena inaugurato, un nome davvero un po’ pretenzioso per una vecchia cantina illuminata da luci rosse che si rivelò agli occhi di Bosco. Tuttavia il luogo era piacevole per la presenza di belle e allegre ragazze. Al commissario le donne erano sempre piaciute, ma alla sua età in quella specie di night cominciò ad ammirare con più attenzione la bellezza e i corpi armoniosi delle giovani. Comprese che nella vita aveva cercato soprattutto il piacere fisico senza soffermarsi ad ammirare la grazia e l’essenza della donna. Anche se di rado continuò a frequentare quel luogo dove, saltuariamente, non disdegnava avere rapporti sessuali. Era sempre stato contrario a pagare una donna e ora si meravigliava di come fosse facile comprare la gioventù e la bellezza di una ragazza per pochi euro. La maggior parte delle volte però trascorreva la serata in silenzio con un bicchiere di vino in mano osservando, preda dei ricordi del passato, le ragazze ballare. Qualche notte usciva dal Settimo Senso un po’ alticcio. Camminava canticchiando per calli dove incontrava ubriaconi tiratardi che barcollando si univano a lui. Per loro fortuna a Venezia non circolano automobili e l’unico rischio è cadere in un canale. Quando finalmente riusciva a rientrare nel suo appartamento, si buttava sul letto esausto addormentandosi vestito. La vita di pensionato aveva preso così un trend non esaltante, ma sopportabile. Poi, finalmente, un giorno, mentre passeggiava da Rialto a Piazza San Marco, riuscì ad avvertire nell’aria umida quell’odore che solo a Venezia era possibile percepire. Era l’olezzo dell’acqua salmastra che saliva dai canali accarezzando i vecchi muri dei palazzi. In quel momento si fermò e girando lo sguardo attorno capì di appartenere per sempre a quella città. Si convinse che scegliendo di ritornare aveva fatto la giusta scelta di vita. Da quel momento trascorsero un paio di settimane e Bosco recuperò una tale tranquillità da riuscire quasi ad annoiarsi. Un giorno però trovò nella cassetta delle lettere una busta, cosa che non capitava da molto tempo. La aprì con una certa curiosità.
All’attenzione del commissario Bosco
Ci siamo conosciuti molto tempo fa in circostanze particolari. So che lei è una brava persona oltre che un valente poliziotto. Sono disperato e a volte penso di farla finita perché questo è forse l’unico modo di salvare i miei familiari. Mi rivolgo a lei come ultima ancora di salvezza perché, e un giorno ne capirà la ragione, non posso recarmi alla polizia. La mia tragedia ha avuto inizio una decina di giorni orsono quando una giovane persona a me cara è morta travolta da un treno nei pressi della stazione di Bologna. Sui giornali è stata data scarsa rilevanza a questa notizia, per cui credo che anche lei non ne sia a conoscenza. La polizia ha già archiviato il caso come presunto suicidio pur senza, a mio parere, aver svolto delle serie indagini. In realtà io sono SICURO che si tratta di omicidio, ed è proprio questa certezza che espone la mia famiglia a terribili rischi, anche se al momento non posso fornirle le prove della mia affermazione. Il giovane, nativo di Venezia,