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I corrotti
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E-book261 pagine3 ore

I corrotti

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Info su questo ebook

Chi è corrotto? Chi si fa pagare per fare quello che non dovrebbe a scapito della collettività, più o meno.
Così si legge tutti i giorni sui quotidiani e si ascolta nei telegiornali.
E chi non fa le scelte che dovrebbe, trattenuto da paure e convenienze, non è anche lui corrotto dalla consuetudine e traditore della propria vocazione, facendo ancora più danni del primo perché il suo agire è celato nella innocua abitudine?
Si direbbe proprio di sì.
E questa convinzione gli si fa così prepotente, che il maresciallo Maggio non riesce più a distinguere se non sia in effetti più reale di tanta brutta cronaca.
Ma il caso vuole che abbia appena sciolto il nodo che lo aveva tenuto a lungo legato e progetti ormai la sua nuova vita con Sandra, e che un colonnello dei Servizi lo contatti per un motivo molto preciso proprio all'ultimo istante: rintracciare la ragazza, sì, proprio lei, quella che tentò di farlo fuori appena tre anni prima, perché lei è ancora al soldo degli stessi mandanti e lui non ne è affatto al sicuro.

Dello stesso autore, nella serie "I Racconti della Riviera":

#1: Doppio Omicidio per il Maresciallo Maggio (Italiano, English, Français, Español)
#2: C'è Sempre un Motivo, Maresciallo Maggio! (prequel) (Italian, English, Español)
#3: Gioco Pericoloso, Maresciallo Maggio!
#4: Affari Sporchi, Maresciallo Maggio
#5: L'Eroe
#6: I Corrotti
La Scelta (romanzo storico)
Qualcuno che ti protegga (romanzo di formazione)
L'assassino invisibile e altri racconti (impossibili possibilità I)
Calciopoli ovvero l'Elogio dell'Inconsistenza (graphic-novel)

LinguaItaliano
Data di uscita12 set 2017
ISBN9781370990788
I corrotti

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    Anteprima del libro

    I corrotti - Francesco Zampa

    Capitolo 1

    Il cadavere

    L’erba era verde nonostante il terreno fosse asciutto. La bandierina rossa con la scritta 12, come uno spiedo, aveva due arance infilate in cima ed era stesa al suolo lontano dalla buca. Impronte di scarpe andavano e venivano lì intorno ma sembravano, al massimo, di due persone diverse.

    La ragazza giaceva carponi, gli occhi e la bocca semiaperti, irrigiditi nella morte. Il corto vestito dozzinale aragosta era spiegazzato e, senza alcun rispetto, le lasciava il sedere quasi del tutto scoperto. Di fianco, all’altezza del fegato, si intravedeva appena una macchia di sangue, piccola, ma intensa, al centro della quale due brevi linee parallele e più scure indicavano i punti dove la lama era penetrata. Le calze scure strappate lasciavano intravedere un violento graffio sulla pelle bianca variata da alcune vene varicose e un po’ di cellulite. La ragazza non era più una ragazza da un po’, ma ancora doveva lavorare per strada e cercare clienti per mantenere un figlio da qualche parte o solo se stessa, chissà.

    Maggio la guardava pietoso. Quella donna non aveva fatto nulla di male, o forse sì: in un’altra vita, però. Quale poteva essere la colpa per arrivare fino a quella stradina neanche tanto nascosta ed essere uccisa da un balordo o un ubriaco con due coltellate all’addome? Forzò su un ginocchio dopo l’altro e si sollevò dalla scomoda posizione. Teneva la borsetta nelle mani guantate. La aprì. Dentro, alcuni profilattici, due banconote da venti euro e un cellulare privo di valore. La zona era già circoscritta, i colleghi del reparto investigativo avevano già cominciato i rilievi.

    Si guardò intorno. La donna giaceva al centro di una piccolissima boscaglia al margine di un campo di golf. La buca numero dodici era a una cinquantina di metri. Dalla parte opposta, il prato lasciava il posto a una macchia più estesa, sovrastata in lontananza da una collina sulla quale si intravedeva una villetta. Poteva far parte dell’impianto sportivo oppure no. Si incamminò.

    Il cancello di ferro era chiuso e sul campanello non c’era scritto nulla. Quasi tutte le serrande erano abbassate. Una tenda si mosse appena, e un’ombra passò impercettibile all’interno. Il porticato era ben custodito ma non si vedeva anima viva. Non c’era un vaso di fiori, né una bicicletta, un paio di scarpe sporche o una maglia stesa ad asciugare. Sembrava che la vita reale non avesse mai irrotto nell’abitazione.

    Suonò, attese. Una voce gracchiò dal citofono.

    «Sì?»

    «Se potesse aprire, o scendere, sarebbe meglio. Si può affacciare, prima.» Maggio era sicuro che il tizio sconosciuto avesse già sbirciato, altrimenti non avrebbe neanche risposto. Sentì riappendere, un click e un ronzio. Il cancello si aprì. Entrò. In fondo, in penombra, c’era un portoncino. Qualcuno si affacciò.

    «Prego, venga.» L’uomo era alto, snello, con capelli brizzolati e corti ed era vestito di nero. Il colletto della camicia era slacciato e il cravattino bianco allentato. Gli porse la mano a metà tra orizzontale e verticale.

    «Maresciallo Maggio.» Lo costrinse a una stretta verticale, e ne sentì il vigore. In quel momento si accorse che il cravattino era in realtà un collarino.

    «Padre Karradis.».

    Maggio lo osservò. Più che un prete sembrava un attore che ne impersonava la parte. Sentì un lieve odore di alcool e, da vicino, notò un rossore diffuso negli occhi e due profonde occhiaie.

    «Sono stati qui i suoi colleghi questa mattina. Hanno anche scritto un verbale. Ho il sonno profondo, ma credo che avrei lo stesso sentito urlare, se qualcuno lo avesse fatto.» Maggio si guardò intorno. L’appartamento era arredato con mobili moderni. Alle pareti bianche erano appesi quadri astratti. Non c’era polvere né un oggetto fuori posto ma, sul tavolino basso davanti alla tv, c’erano due arance accanto al telecomando. «Quando mi sono affacciato c’erano già le vostre auto.»

    «Affacciato?»

    «Sì, ero sopra.»

    «Mi vuol far vedere, per cortesia?»

    L’uomo lo guardò. «Mi segua.»

    Salirono fino allo studio al piano superiore. Qui l’ambiente era molto meno asettico. C’era un divanetto consunto appena sotto al davanzale, una scrivania con computer, penne e fogli e alcune cartelle portadocumenti aperte e uno scaffale in legno con molte altre cartelle dello stesso tipo. La vetrata ampia dava sul campo da golf scoprendo la visuale di almeno quattro buche tra la boscaglia. I ragazzi si stavano dando da fare a fotografare e cercare qualsiasi cosa diversa dall’erba nei dintorni del cadavere, e ne avrebbero avuto ancora per un bel po’. Più il tempo passava, più gente arrivava e più diminuivano le possibilità di trovare qualcosa, ma era per forza così. Per cercare occorreva muoversi e toccare.

    «Questa notte ha dormito qui?»

    «Sì, maresciallo. Mi hanno assegnato questa casa, finché rimarrò a Roma.»

    «C’è solo lei?»

    «In questo momento, sì.»

    «E non ha sentito nulla, ha detto.» Da lì, la dodici distava circa duecento metri. Anche senza altri rumori, era plausibile che le voci potessero non essere udite. «Per caso, ieri sera, prima di andare a dormire, ha visto se stavano giocando?»

    «L’impianto chiude alle otto, poi c’è il personale di servizio. Non ci faccio molto caso.»

    «Non ci ha fatto caso o non ha controllato?»

    Il prete lo guardò attento. «Non ho controllato, certo.» Sul davanzale della vetrata c’erano una bottiglia di whiskey quasi vuota e due bicchierini; accanto, un posacenere colmo di cicche. Sulla metà c’erano segni di rossetto.

    «C’era qualcun altro in casa con lei questa notte?»

    Karradis strinse appena la mascella e le palpebre. «Nessuno che abbia attinenza con tutto questo, no.» Indicò il campo da golf.

    Maggiò guardò fuori. «Già.»

    La domanda successiva era talmente ovvia che Karradis rispose prima che Maggio gliela formulasse. «Lei sa che ho un compito delicato qui a Roma.»

    «No, non lo so.»

    «Glielo dico io. Qualsiasi notizia o voce o sussurro che mi coinvolga in una questione nella quale non ho alcun coinvolgimento, perché è così, tutto può essere manipolato dai nemici della Chiesa.» Lo guardava fisso. «La Chiesa ha molti nemici, sa.»

    «Anche molti amici, padre Karradis. Ma vorrei solo parlare con la signora per sapere se avesse notato qualcosa lei. Sa, potrebbe averlo fatto senza averglielo detto.»

    L’uomo teneva le mani dietro la schiena e si avvicinava a piccoli passi. «Se avessi avuto qualcosa da nascondere, non l’avrei fatta salire, maresciallo.»

    Maggio si irrigidì. «Qualcosa da nascondere… ma chi ha detto… perché non parla apertamente…»

    «Apertamente? È tutto sotto i suoi occhi, tutti sanno tutto… è così… è così…» Maggio si toccò la testa. «Ma cos’ha? Non si sente bene?» Il prete allungò un braccio verso di lui. Maggio gli vide la mano ingrandirsi, mentre la testa rimaneva lontana e sempre più piccola. «…mi ascolti… mi ascolti… mi ascolti…»

    Maggio scansò quel braccio enorme a fatica. Tentava di respirare ma non riusciva a prendere aria a sufficienza. Allentò la cravatta. Si voltò per cercare l’uscita, ma si accorse di avere la vista annebbiata e non riusciva a trovare la porta. Le parole gli giungevano lontane e confuse. Si appoggiò al davanzale della finestra, la spalancò, aprì la bocca e, con un lungo energico sforzo, riempì i polmoni.

    Sbarrò gli occhi. Con lieve affanno, continuò a respirare. Si alzò seduto sul letto. Si stropicciò gli occhi, prese la sveglia sul comodino, mise a fuoco le lancette. Le sei e trenta. Fuori, il rumore di passi frettolosi lo richiamò infine alla rassicurante realtà. Considerato cosa lo aspettava, aveva dormito abbastanza bene. Era ora di muoversi.

    Capitolo 2

    I corrotti

    L’inviato sostava sul marciapiede opposto alla porta del Tribunale. Il microfono in mano, cambiava gamba di appoggio con movimenti sempre più percettibili e aveva il bavero del cappotto tirato su. Folate irrispettose gli sollevavano il riporto sulla sua insistita calvizie.

    Si è appena conclusa la quindicesima udienza del processo di appello contro la cosiddetta banda Basilico. Ricordo che i quattro fratelli superstiti sono stati condannati in primo grado all’ergastolo, anche se con diversi distinguo, con pene accessorie quali l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e con la prescrizione di scontare parte della pena in isolamento. Dall’inizio del secondo atto, però, la Corte è continuamente investita di questioni procedurali evidentemente ritenute molto spinose, visto che costringono i giudici a lunghe camere di consiglio per valutare ogni istanza della difesa. Oggi, il collegio difensivo ha sollevato la questione di legittimità riferita allo scambio di colpi avvenuto durante la notte della cattura, se cioè il tiratore scelto fosse stato autorizzato a sparare visto che il membro della banda colpito a morte, era in apparente fuga. Da tre ore, quindi, la corte si è ritirata ed è prevedibile dire che, una volta comunicata la decisione, l’udienza verrà rinviata a venerdì prossimo, come consueto, o addirittura a dopo il ponte. Abbiamo chiesto ad alcuni cittadini e curiosi cosa pensano di tutto questo e le risposte sono state unanimi: scoramento, sfiducia e incredulità. Vi facciamo vedere alcuni contributi e poi ritorniamo in diretta…

    Il presidente Pugliesi, già segretario del Primo Partito, spinse il tasto sul telecomando e lo schermo divenne nero. Si alzò pensieroso, infilò le mani in tasca e si avvicinò alla finestra chiusa. Il traffico romano verso piazza Navona era intenso come al solito. «Allora?»

    «Mi sembra che tutto vada come previsto.» Oliviero Mezzini, il nuovo segretario, si grattò appena un sopracciglio, lo sguardo ancora sul monitor scuro.

    Erano stati investiti da una bufera spaventosa e, questa volta, avevano temuto di non farcela. Lo scandalo bancario e quell’omicidio commissionato forse troppo in fretta, avevano rischiato di mandare tutto all’aria. Chi agisce, chi si carica di responsabilità, può sbagliare. Il Presidente alzò il mento. Poi, come spesso succede, le acque si erano placate ed era stato più facile ricucire, dichiarare, precisare, ritrattare e, infine, negare con sdegno. Le dimissioni del suo predecessore gli erano state d’aiuto, perché avevano portato fuori da quelle stanze i dubbi dell’opinione pubblica e di certi giornalisti ficcanaso che pensavano di essere i portabandiera della verità. Per non parlare della Giustizia, quella cosa che fa andare le persone a Messa la domenica, tanto è improbabile trovarla nella vita comune. E quello stupido Maggio? Il don Chisciotte della Riviera. Idiota. Aveva quasi pensato di portarlo in Parlamento per levarselo di torno ma Odisensi l’aveva anticipato, addirittura cercando di farlo fuori. Un altro idiota, aveva perso il controllo. Per fortuna che lo descrivevano come uno tutto d’un pezzo! E poi, di nuovo la tempesta di questa banda incontrollata di criminali da strapazzo, a un passo dal rischio che qualcuno scansasse la tenda e vedesse chi c’era dietro. Ma anche qui, ormai, sembrava tutto blindato. I banditi non avrebbero parlato. Per quanto dementi, non l’avrebbero fatto perché avevano capito che l’unica possibilità di cavarsela era il silenzio assoluto. E poi, a loro piaceva continuare a recitare la parte del Mucchio Selvaggio, godevano delle riprese televisive e il Presidente avrebbe scommesso che, pur di mantenere quell’immagine nell’opinione pubblica, sotto sotto avrebbero rinunciato volentieri anche a un bel po’ di libertà. Tentennò la testa lentamente, era sempre lui a dover intervenire e mettere a posto, non a caso era il presidente.

    «Dovremo comunque rivedere tutte le… strategie e rivalutare di chi ci serviamo e come.» Disse Pugliesi.

    «Questo sistema ci è tornato utile molto spesso. Ha i suoi rischi, ma è comunque molto efficace.»

    «Non ci possiamo alzare tutti i giorni preoccupandoci se andremo o non in galera.» Entrambi si irrigidirono. Solo pronunciandola, quella parola divenne un terribile presagio. Insieme, strinsero le mascelle mentre gli sguardi cercarono angoli lontani per fuggire quella consapevolezza, l’uno negli occhi dell’altro. «Ci sono altri metodi più convenienti per tutti. Basta pagare e tutti diventano amici e contenti. Questo non ci garantisce l’immunità, anzi; ma i problemi sono molto minori e meno traumatici. Senza cadaveri e sparatorie ci si difende meglio.»

    «Già.» Mezzini si grattò la punta del naso. «Infatti. Staremo più attenti, vedrai.» Controllò il dito. «Appena chiusa questa storia.»

    L’altro si girò. La curiosità traspariva dal suo sguardo nonostante gli occhiali spessi. «E come la vuoi chiudere?»

    Si strofinò le mani. «La ragazza.» Trattenne un momento il fiato. «Deve sparire.» Incrociò le dita delle due mani, si stirò. «O tutto questo va a compimento.» Indicò lo schermo nero. «Lei è attaccata a Odisensi, lui alla banda e noi a lui. Odisensi non c’è più, ma lei è ricercata per il tentato omicidio di quel maresciallo e un paio di altri andati a termine, se non erro. Rimane solo lei. È troppo rischioso attendere gli eventi.» Valutò l’ora sul lussuoso Rolex. «Devo andare.» Uscì.

    Pugliesi osservò la porta chiudersi. «Lo so.» Si guardò intorno. Proprio un bello studio. Lì passavano tutti i ministri, passati e futuri; lì decidevano imboscate, rovesciamenti degli esecutivi e omicidi politici. Non solo politici, da un po’. Da quando gli avversari erano diventati così caparbi? Non cedevano, non si dimettevano, non si toglievano di mezzo da soli. E lui doveva sempre decidere. Fece una specie di conta. Alzò il pollice sinistro tra due dita dell’altra mano. Mezzini era con lui, forse per fedeltà ma di certo per convenienza. Passò all’indice, e non gli venne in mente nessuno, se non persone che, lì fuori, anche in quel momento, stavano tramando per prendere il suo posto. Non aveva alleati, ma solo sodali. Non se ne rammaricò neanche per un istante, conosceva le regole del gioco. Di bande armate non se ne parlava, era già troppo alta la posta in ballo e andare a riorganizzarsi in quel modo gli apparve irto di trappole. Aveva bisogno di qualcuno da allettare col denaro o con una promozione. Portò le mani davanti alla faccia, appoggiò le cinque dita una sull’altra corrispondente, cominciò a fletterle avanti e indietro. C’era il tal generale ai Servizi, un vero uomo d’esperienza. Da quanto aveva l’incarico? Almeno tre anni, sì. Ne aveva viste, tra pagamenti di riscatti sulla spinta dell’opinione pubblica e consegne di armi in medio oriente per evitare attentati sul suolo patrio. Ligio, abituato alla disciplina, consapevole dell’importanza dei superiori interessi dello Stato e soprattutto calato nella realpolitik. Quante volte il generale aveva chiamato per diventare presidente della Commissione Difesa. Ma era affidabile? Come tutti. Per interesse, lo sarebbe diventato con la nomina, bastava fargli credere che c’era quella possibilità per renderlo esecutore diligente. In quel momento, sarebbe stato un buon aggancio, addirittura quello giusto in quella giungla fittissima. Lì dentro poteva agire con più libertà e con minor rischio di dover rendere conto alle leggi. Si sedette alla scrivania, martellò con le dita vicino al telefono. Non c’era molto tempo, sollevò la cornetta.

    Pugliesi allargò il suo miglior sorriso. «Comandante carissimo!»

    Non potevano vedersi, ma il Generale riuscì a fare meglio. «Eccellente Presidente, non comando più nulla, ormai!»

    Il colloquio fu breve, convenevoli a parte. Quando finì, il generale Carlo Carli aveva capito tutto, ma non aveva chiesto nulla, come consuetudine. Bisognava afferrare e comprendere tra le righe, tra il non detto, e lui non era stupido, visto che era diventato prima uno dei quattro massimi graduati nazionali e poi, una volta in pensione, consigliere di Stato, membro della Commissione Difesa della Camera fino all’incarico ai Servizi. Il Presidente doveva temere molto quella ragazza, per volerla a tutti i costi… come aveva detto? Fuori dai giochi, sì. Se fossero stati in uno dei corridoi della Camera o di Palazzo Chigi, la richiesta lapidaria avrebbe avuto un significato politico, ma riceverla dopo la nomina ai Servizi con tanto di carta bianca, aveva un solo scopo. Non si sentì usato neanche un po’, era una condizione reciproca. Aveva accettato, non poteva non esserne consapevole. Lo Stato deve potersi muovere in autonomia quando è necessario, lo sanno tutti, perché tutti hanno servizi segreti a fare il lavoro sporco e a nasconderne le ceneri sotto il tappeto. Perché dovrebbero essere segreti, altrimenti? Siamo tutti inquinati e tutti giochiamo alle regole del gran ballo. Anche questa ragazza, ne era sicuro, si muoveva nella zona grigia e ne conosceva i rischi.

    Si grattò la testa, il collo, poi si lisciò le parti grattate. Aveva l’uomo adatto per cercarla e quello adatto per farla fuori, e la scelta spettava a lui, perché altro non avrebbe avuto dalla politica. Se tutto fosse andato bene, ognuno avrebbe avuto il suo vantaggio immediato e tutti i motivi per tacere fino alla tomba. Se fosse andata male… beh, inutile pensarci. Lui era il primo interessato a che andasse tutto bene.

    Si alzò, passò davanti alla bellissima libreria in noce piena di codici bordati in oro mai sfogliati e classici finemente rilegati mai letti, e andò alla finestra. Bello il centro di Roma, bella la vita nella città eterna se hai le giuste conoscenze e ti muovi in certi ambienti. Era in pensione da ormai un anno, e da quel momento tutto era diventato veramente facile. Era entrato nell’Olimpo, godeva di prebende sontuose e una vita dorata, solo per dare pareri che non doveva spiegare a nessuno.

    «Carlo!» La moglie sfessurò la porta dello studio e parlò sottovoce. «Hai finito?»

    «Sì, cara.» Sorrise.

    «È in tavola.»

    Sua moglie Clara era rimasta come cinquant’anni prima, una popolana catapultata in un benessere inadeguato che neanche avrebbe potuto immaginare, tra feste, viaggi all’estero e inviti a ogni cerimonia possibile. In fondo, neanche lui l’avrebbe creduto quando varcò per la prima volta la soglia dell’Accademia Militare. Ora, finalmente, avrebbero potuto stare bene e godere della fortuna accumulata. Sentì delle voci allegre dall’altra stanza. Figlie viziate, generi inconcludenti e nipoti numerosi gli ricordavano in continuazione che non poteva mollare. Per fare cosa, poi? Meglio cercare qualcos’altro, qualcosa di meglio, qualcosa in più, facendo finta di non sapere che non sarebbe mai bastato. In fondo non aveva scelta, qualcuno l’avrebbe fatto in ogni modo. Accettò il destino con interessata rassegnazione. Si sarebbe fatto trovare pronto, pensando alle risorse illimitate alle quali avrebbe potuto ricorrere.

    «Arrivo.»

    Non c’era un bell’ufficio in mogano al piano alto del Ministero ad attendere il Generale. Lo immaginava, ma un po’ gli dispiacque lo stesso. Accarezzò i petali secchi di alcune rose nella saletta d’aspetto. Si chiese se anche lui, ora che era divenuto parte di quel corredo, non fosse un po’ passato. La segretaria arrivò in fretta con il funzionario. In silenzio percorsero un lungo corridoio. Al termine, l’uomo aprì la porta, lo fece accomodare e si allontanò con l’altra dopo essersi chiusi la porta alle spalle. Una finestra angolare con veduta sull’Eur, un mobilio metallico matricolato con le etichette stampigliate del carico e, al centro della scrivania, una cartellina con alcuni fogli sopra a un mucchio di quotidiani, l’unico segno di presenza recente nel vuoto lasciato dall’ultimo responsabile di quel dipartimento.

    Si sedette, sfogliò le comunicazioni classificate. Nomi, indiscrezioni, suggerimenti, focalizzazioni di interessi e situazioni, cose che poteva leggere anche nella cronaca dei quotidiani o con una ricerca su internet. C’era un appunto a penna in bella evidenza, Blasone, accanto era indicato un numero di telefono. Il colonnello Blasone era dunque l’uomo che lo avrebbe affiancato sul campo. Alla sua età non pretendeva di conoscere tutti gli ufficiali superiori come quando era in servizio ma era bene informato sulle persone giuste. Poteva essere una coincidenza, però era proprio quello a cui aveva pensato di rivolgersi. Carli non credeva al destino anzi, era consapevole del fatto che gli avessero detto solo ciò che era necessario allo scopo, e che la tal informazione, oltre tutto, non era necessariamente vera, proprio come avrebbe fatto lui stesso. Blasone doveva solo trovare la ragazza, non era necessario che sapesse i motivi di ciascuno. L’avevano indicato direttamente loro, poco male, non c’era da chiedersi perché e percome in un ambito dove tutti

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