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Riflessioni divergenti: I veri problemi della nostra società
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Riflessioni divergenti: I veri problemi della nostra società
E-book481 pagine5 ore

Riflessioni divergenti: I veri problemi della nostra società

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Questo libro offre una rivisitazione obi­ettiva, senza pregiu­dizi, di situazioni ed eventi, direttame­nte coinvolgenti la nostra vita, che va oltre la mummificata rappresentazione uf­ficiale.

Angelo Casella, laureato in Giurisprudenza con medaglia e massimo dei voti, assegnatario di premi e borse di studio, anche all'estero, è  autore di molteplici pubblicazioni su riviste scientifiche e di apprezzate opere letterarie (L'Uomo e il Capitale, Lo Straniero). Ha lavorato prevalentemente nel settore finanziario.
LinguaItaliano
EditoreBokness
Data di uscita4 mag 2022
ISBN9791254890288
Riflessioni divergenti: I veri problemi della nostra società

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    Anteprima del libro

    Riflessioni divergenti - Angelo Casella

    A.A.A. Nuove direttive per i processi alle imprese

    Lo stravolgimento della funzione giudiziaria

    INCIVILTÀ GIURIDICA

    1.- Costituisce collaudata prassi trasformare in verità assoluta e indiscussa una qualunque affermazione, apodittica e deviante che sia, semplicemente declamandola da qualche pulpito occasionale, per poi, occasionalmente, ripeterla più volte in sedi diverse, per farla diventare un dato acquisito. È una forma di orientamento surrettizio dell'opinione pubblica, molto seguita dal mondo politico.

    2.- È forse di ciò sconcertante esempio un articoletto (Giustizia e Impresa, Corriere della Sera, 5 luglio 2015) opera di Legnini vicepresidente del CSM.

    Nell'articolo si afferma che il Magistrato deve oggi adottare un nuovo modo di giudicare (!?). E questo nuovo modo deve essere basato su di una inedita valutazione delle conseguenze delle proprie decisioni sulla vita delle imprese.

    L'autore richiama esplicitamente i recenti casi Ilva e Fincantieri sostenendo che la velocità dei cambiamenti (quali?) degli scenari economico-sociali, apre nuovi spazi che il Giudice sarebbe chiamato (da chi?) a coprire.

    E questo nuovo Giudice dovrebbe cogliere e prevedere le conseguenze delle decisioni e tenere conto della previsione e degli effetti del proprio rendere giustizia, anteponendo (!) le ragioni di una soluzione concreta (cioè difforme dalla previsione di legge).

    In realtà, dunque, si pretenderebbe che il nuovo Giudice si guardasse bene dal rendere giustizia, se ciò si traduce in un disturbo dell' attività di impresa.

    3.- Del tutto secondario, dunque, che l'impresa inquini, intossichi e devasti l'ambiente, distruggendo la salute di intere generazioni. Il Giudice non deve fermarne l'attività, applicando la legge, bensì deve trovare una soluzione concreta che dia licenza all'impresa di violarla impunemente.

    L'autore si chiede, infatti, in modo decisamente salomonico, ad esempio, era proprio sicuro (?) che il diritto alla salute nel caso Fincantieri risultasse veramente prevalente (!!!) sul diritto al lavoro e sul diritto (?) alla libertà d'impresa.

    Una domanda che dovrebbe essere posta ai numerosi cadaveri che l'incuria di molte imprese provoca.

    In ogni caso, è ovvio che il diritto al lavoro (la cui stessa esistenza, in altre occasioni, viene negata esplicitamente) presuppone che il lavoro stesso non ammazzi il lavoratore, altrimenti non è un lavoro ma una condanna a morte.

    Quanto alla c.d. libertà d'impresa, non è certo più rilevante della libertà di vivere, possibilmente non aggrediti da veleni e tossine industriali, (dentro e fuori le fabbriche).

    4.- Probabilmente qui si intende quella stessa libertà d'impresa grazie alla quale la Union Carbide nel 1984, a Bhopal, in India, ha potuto ammazzare circa 20 mila persone.

    E che, per Legnini, avrebbe sicuramente dovuto fruire di una soluzione concreta da parte dei Giudici indiani. (Procede in questa direzione anche il nuovo Trattato TTPI in preparazione, che avrebbe probabilmente consentito alla Union Carbide di chiedere i danni al governo indiano per aver approvato norme che vietano l'inquinamento).

    5.- Poiché non si ha il coraggio (per motivi elettorali) di sfidare l'opinione pubblica con leggi che stabiliscano esplicitamente un diritto delle imprese di intossicare l'ambiente a danno della popolazione, si aggira il problema utilizzando chi le leggi esistenti deve farle rispettare. Ed ecco le ragioni del tentativo di spingere il Magistrato a violare i propri doveri giuridici e morali: pervenire allo stesso risultato senza emettere leggi abbiette, che susciterebbero decise reazioni contrarie dell'elettorato.

    È noto che, da tempo, i centri economici mondiali cercano, con la globalizzazione, gli accordi commerciali ed altro, di trasformare il pianeta in un luogo massimamente favorevole alla produzione di profitti. Da ciò, pressioni di ogni tipo affinché siano cambiate le normative essenziali: quelle sul lavoro, sul fisco, sulle società, sulla (non) protezione dell'ambiente, sulle (demenziali) privatizzazioni, ecc., ecc. In questo ambito, si cerca anche di neutralizzare l'azione della Magistratura nei confronti del potere economico.

    Non è un caso che la c.d. Europa abbia preteso dalla Grecia la riforma del codice di procedura civile, che con i bilanci ha ben poco a che fare, ma che mira a facilitare le procedure esecutive contro i debitori (sacrificando i diritti della difesa...).

    6.- a. E la formazione di questo nuovo Giudice che viene presentato all'opinione pubblica come una felice evoluzione, passa attraverso il ricatto.

    Esterna infatti il Legnini che occorre sviluppare (!) una cultura della giurisdizione sempre più moderna (termine che compare sempre quando si vuole gabellare qualche regressione come una splendida acquisizione).

    Prescindendo dal fatto che non esiste e non deve esistere alcuna cultura della giurisdizione, il cui unico riferimento deve essere la legge, ci si chiede quale debba essere tale improvvisata novità.

    Ed ecco la perla del nostro che, rivolgendosi ai Magistrati con una sorta di minaccia, li avverte che il CSM intende riformare i percorsi di carriera e gli incarichi direttivi per formare (e qui esce allo scoperto) un nuovo profilo di Giudice che sia in sintonia con le aspettative del Paese (per Paese intendendosi ovviamente lui stesso ed i suoi suggeritori).

    In sostanza, è come se stesse dicendo: caro il mio Giudice, se vuoi fare carriera ed avere incarichi direttivi devi tener primariamente in considerazione le conseguenze delle tue decisioni sui profitti delle imprese, ben al di là dell'inconveniente collaterale di qualche morticino casuale. Altrimenti scordati di fare carriera.

    b. Si tratta di sciocchezze colossali, inaccettabili.

    Improponibile anche qualsiasi graduatoria tra i diritti. I diritti non si pesano come le patate. Come tali, sono concettualmente eguali ed esistono e trovano tutela nelle norme che li precedono.

    Perché poi ci si preoccupa delle conseguenze delle decisioni solo con riferimento alla vita delle imprese e non anche a quella dei singoli cittadini?

    Infatti, mettere in galera un criminale potrebbe creare gravi problemi di sussistenza alla di lui famiglia. Meglio dunque lasciarlo fuori.

    E perché poi costringere un debitore a saldare i suoi debiti quando ciò potrebbe provocargli una depressione? Una crudeltà inammissibile. Siamo proprio sicuri che il diritto del creditore debba prevalere sul diritto alla felicità del debitore?

    7.- Neppure è il caso di richiamare il principio cardine stabilito dalla Costituzione (art. 101) a guida della funzione giurisdizionale: I Giudici sono soggetti soltanto alla legge.

    Ciò che significa, ovviamente, che il solo ed unico criterio che deve ispirare la decisione del Giudice è il rispetto della norma.

    E le conseguenze di questa applicazione non sono di competenza del Giudice.

    Il dettato costituzionale fornisce l'unica garanzia di obbiettività della pronuncia giudiziaria: la conformità alla legge.

    Insinuare che il Giudice debba valutare le conseguenze della applicazione della legge significa introdurre nel processo decisionale un insondabile fattore di discrezionalità, che è assolutamente letale per la sua corretta gestione.

    Si prospetta, in sostanza, una sorta di doppio binario giudiziario di fatto, uno per le imprese (alle quali è riservata una valutazione concreta del caso), ed uno per i comuni mortali (per i quali rimane la previsione astratta della legge). Superfluo ogni ulteriore commento.

    Si tratta di una deviante deformazione della funzione giurisdizionale, che ne altera l'essenza medesima, abbattendone l'obbiettività e, con essa, il sacro principio di eguaglianza dei cittadini.

    8.- In realtà, questa deformazione dei principi di base della cultura giuridica e della civiltà in generale, sottende l'intendimento (che occhieggia del resto da tutte le c.d. riforme che si stanno introducendo nel nostro ordinamento) di modificare pesantemente l'ordine sociale, creando una casta dominante di privilegiati, facilitata nel perseguimento dei propri interessi da un nuovo sistema, fortemente gerarchizzato e accentrato, costruito su misura per il loro specifico vantaggio.

    II

    Alla ricerca della democrazia perduta

    L'Italia è una Repubblica democratica... (art. 1 Cost.).

    Democrazia, come è ben noto, significa potere del popolo e, infatti, la disposizione prosegue precisando che la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme … stabilite dalla Costituzione. Vediamo se è vero.

    • I principi

    • Significato e portata del voto

    • Il dettato costituzionale

    • Le deviazioni

    • L'impossibilità del contributo personale

    • I rappresentanti non rappresentano

    • Anomalie legislative

    • Il ruolo del partito

    • Le devianze

    • I semi del declino

    • La fabbrica del consenso

    • Il ruolo degli intellettuali

    I principi

    Parimenti noto che la democrazia può essere diretta o rappresentativa.

    Poichè i costituenti non avevano a che fare con una bocciofila, hanno previsto quella rappresentativa, più adatta a un popolo di oltre 40 milioni di persone.

    La rappresentanza politica, requisito primario della democraticità di un sistema istituzionale, è concretamente realizzata con la elezione di un Parlamento formato da soggetti scelti dal popolo perchè amministrino la cosa comune in sua rappresentanza.

    Detto meccanismo dovrebbe condurre alla approvazione di leggi e regole conformi alla volontà del c.d. popolo. Nella realtà, accade esattamente il contrario. Vediamo perchè.

    Significato e portata del voto

    Il cittadino, con il suo voto, conferisce, più che un mandato o un incarico in senso proprio, una legittimazione a decidere per suo conto in ordine alla gestione della collettività. Non è previsto che questa autorizzazione abbia un contenuto. L'elettore, nella scheda apposita, può solo indicare un candidato sulla base degli elenchi predisposti da un partito di cui, orientativamente, condivide valori e principi guida; anche questi, peraltro, assai genericamente esplicitati.

    L'elettore, dunque, nella pratica, si limita con il voto ad esprimere un orientamento sostanzialmente ideologico, (o, spesso, di semplice passionalità occasionale), nel quale la persona del candidato assume una dimensione del tutto secondaria.

    Il termine mandato è perciò semplicemente utilizzato come figura retorica ad indicare la vera fonte del potere esercitato dal candidato.

    Il dettato costituzionale

    Questa valenza del voto è indicata dalla Carta costituzionale, (e confermata dai relativi lavori preparatori). All'art. 67, infatti, è specificato che il parlamentare esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.

    Il senso di questa disposizione è di agevole lettura: si vuole formare un organo decisionale composto da soggetti autonomi, svincolati da centri di interesse particolare di qualunque tipo e quindi in grado di affrontare ogni problematica senza posizioni precostituite, allo scopo di realizzare una risposta obbiettiva all'interesse della nazione nel suo insieme.

    La Costituzione, in concreto, impone al parlamentare una precisa responsabilità etica, imponendogli il dovere morale di assumere decisioni che siano il solo frutto di un percorso razionale personale, libero ed autonomo, assolutamente svincolato da direttive o influenze esterne, (che - tra l'altro - se fossero operanti, svuoterebbero anche di significato la stessa sua presenza nel consesso).

    Le deviazioni

    Nella pratica, però, questa essenziale esigenza di autodeterminazione è minacciata da diversi fattori condizionanti. E i meccanismi della rappresentanza politica evidenziano diverse importanti alterazioni.

    Innanzitutto, il cittadino non è libero di dedicarsi autonomamente alla attività politica: è costretto a bussare alla porta di un partito che lo accetti e lo inserisca nelle sue liste elettorali. Allo stato, il sistema non consente la possibilità di candidature ad iniziativa individuale, se non nel Movimento 5S. Ciò costituisce una gravissima limitazione, poiché colui che non condivide la linea di alcun partito, è escluso per ciò stesso dall'accesso alle cariche rappresentative.

    Di regola, avviene che il partito sottoponga l'aspirante ad accurata valutazione. In primo luogo in base alla sua notorietà sociale, (cioè alla quantità di voti che può procurare), e ne verifichi poi la disponibilità ad adeguarsi allo schema di consenso interno (cioè a rinunciare a pensare con la propria testa).

    L'impossibilità del contributo personale

    Questo percorso determina nell'aspirante una sorta di debito di riconoscenza nei confronti dell'apparato, della quale quest'ultimo non manca di avvalersi. In pratica, il partito, che è caratterizzato da una forte struttura gerachico-verticistica, impone al candidato (che considera cosa propria) un inedito dovere di fedeltà in base al quale egli deve presentare i progetti di legge e gli emendamenti che gli vengono consegnati, avanzare le interrogazioni che gli sono state preparate, leggere gli interventi che gli sono stati affidati, essere presente in aula se occorre, votare come e quando gli viene richiesto, ripetere gli slogan predisposti, dichiarare ciò che gli è stato precisato, esternare come gli è stato indicato. Deve cioè diventare uno strumento del partito.

    Questo obbligo di adeguarsi in toto e senza tentennamenti agli ordini di scuderia è presentato come normale espressione della devozione dovuta. In realtà, il parlamentare dovrebbe comportarsi in modo del tutto diverso, cioè pensare e agire autonomamente, esprimendo liberamente le proprie opinioni o critiche.

    Come abbiamo visto infatti, al parlamentare la Costituzione impone di votare in modo autonomo, secondo scienza e coscienza. La fedeltà pretesa dal partito, non solo trasforma invece un essere umano pensante (si spera) in un eterodiretto robot, schiacciabottoni a comando, ma addirittura altera il senso stesso del criterio per il quale le scelte legislative sono state rimesse ad un Collegio, cioè ad una entità formata da più persone.

    Il dissenso, come la semplice diversità di opinione, non è soltanto un valore assoluto ed irrinunciabile per l'uomo come individuo, (e, per esso, un diritto costituzionalmente tutelato), ma costituisce la ragione stessa del suo inserimento in una realtà collegiale. Il senso medesimo della pluralità di un organo collettivo (nel nostro caso, il Parlamento), risiede proprio nella necessità di voler rispondere alla esigenza di disporre di molte opinioni individuali, affinchè la decisione collettiva rifletta l'interesse di tutti.

    Sul piano concettuale, la differenza di giudizio, di modo di vedere, di pensiero, è uno stimolo essenziale per l'approfondimento della tematica in discussione, e per ampliare e allargare i dati considerati e le argomentazioni presentate. Ogni parere fornisce un contributo, e per ciò stesso, deve essere accolto ed esaminato dal gruppo.

    Sul piano giuridico, la difformità dei pareri in un consesso decisionale non solo è ammissibile ma addirittura dovuta, sia per attribuire legittimità democratica alle decisioni stesse, sia per consentire una rimeditazione che tenga conto di tutti i vari interessi e posizioni coinvolte. Imporre un pensiero unico, significa cancellare lo scopo dell'organo collegiale, scelto e costituito perché, per l'appunto, raccolga una pluralità di opinioni ed il loro confronto, per la messa a punto di un orientamento comune, che tenga conto di tutti i punti di vista. L'ovvietà è di fronte agli occhi: perchè ci sono centinaia di parlamentari?

    Per come funziona oggi il Parlamento, basterebbe che fosse formato dai soli capi dei partiti.

    I rappresentanti non rappresentano

    Si deve prendere atto, poi, che la funzione che il parlamentare è teoricamente chiamato a svolgere è, di fatto, inesistente.

    Nell'ultima legislatura, solo un quarto circa delle leggi approvate (80 su 290) risulta di iniziativa parlamentare. Dominante l'iniziativa governativa, pur in presenza di migliaia di progetti di legge predisposti dai parlamentari, ma giacenti in attesa.

    Anche qui, è determinante l'influenza negativa esercitata dal partito.

    La coalizione al governo elabora e impone le disposizioni di legge in funzione delle richieste provenienti dai centri di interesse dai quali ha ricevuto supporto (e con i quali intreccia relazioni d'affari).

    Per qualcuno (Gatti, Il sottobosco, Chiarelettere), i partiti sono rifugio di camarille, intrallazzi, sporchi affari. Se ciò è esatto, dobbiamo riconoscere che ai partiti, allo stato, viene lasciata una preoccupante, piena, libertà d'azione, senza che sia predisposta alcuna cautela, neppure prudenziale ad evitare che queste deviazioni si verifichino, anche per escludere che scelte, che spettano al Parlamento, vengano invece prese dal governo, e cioè dai capi partito.

    Si verifica, infatti, che qualche soggetto assuma in proprio decisioni che sono state affidate ai Collegi legislativi proprio perchè siano il frutto di un esame e di un confronto ampio ed approfondito, che rifletta e condensi le varie posizioni e interessi presenti nel Paese.

    In ogni caso, è comunque sconcertante quanto emerge da una recente clamorosa inchiesta giornalistica (de Il Fatto quotidiano) che ha evidenziato come sia del tutto normale che qualunque lobbista (nel nostro caso, un provocatore), possa - dietro pagamento - ottenere precisi provvedimenti di legge a favore di determinati privati.

    La rappresentanza, e la difesa, dell'interesse collettivo, appare in questo contesto, del tutto negletta . Ed è significativo, in proposito, che gli stessi membri del Parlamento (on. Walter Tocci, citato nella indagine giornalistica ora richiamata) sottolineino come la legge, oggi, abbia in Italia assunto aspetti di specificità e di occasionalità, del tutto contrari alla sua intrinseca natura di astrattezza e genericità, conformemente all'esigenza di disporre regole attinenti problematiche generali.

    Purtroppo, i casi di provvedimenti riguardanti interessi specifici sono molto frequenti come, da ultimo, l'alleggerimento fiscale disposto per gli acquisti di … francobolli da collezione. Una norma che interessa solo chi li vende.

    Anomalie legislative

    Diversi altri fenomeni evidenziano delle significative alterazioni nella attività legislativa. Così, risulta sovente che la funzione normativa venga delegata al governo senza la preventiva determinazione di principi e criteri direttivi imposta, non a caso, dalla Costituzione (art. 76) proprio per escludere una impropria libertà d'azione del governo (cioè del o dei partiti di maggioranza).

    Il decreto legge governativo è poi, di regola, emanato (con troppa frequenza...) senza che minimamente ricorrano oggettivamente - i previsti "casi straordinari di necessità e urgenza" che debbono legittimarli (art. 77 Cost.). Una carenza che ne inficia la validità fin dall'origine e che dovrebbe essere rilevata d'ufficio dal Magistrato chiamato ad applicarne le disposizioni.

    Capita poi sovente che il governo faccia ricorso a diversi espedienti per imporre i testi di legge ricorrendo al voto di fiducia, blindando il testo con pressioni varie sui parlamentari, o richiedendo tempi troppo brevi per un effettivo esame. Fenomeno, anche questo, reso possibile dalla influenza dominante esercitata dai partiti sul Parlamento.

    I regolamenti interni per il funzionamento di Camera e Senato, rafforzano tali devianze imponendo tempi ridotti e percorsi ristretti, che riducono obiettivamente le possibilità per il parlamentare che, in ipotesi, volesse intervenire su qualsiasi provvedimento.

    Una corretta procedura per l'approvazione di un testo di legge dovrebbe ovviamente prevedere che il proponente ne esponesse in modo dettagliato il contenuto in aula, specificandone motivazione e ricadute attese. Una adeguata discussione dovrebbe essere consentita, con tempi idonei e massima apertura, per interventi di ogni membro del Parlamento.

    Tutto ciò evidenzia uno squilibrio istituzionale che confina il Parlamento in un ruolo marginale: una inaccettabile inversione dei ruoli, insanabilmente contraria al dettato costituzionale (ed ai principi democratici più elementari). Di fatto, l'Esecutivo è diventato l'organo decisionale, cioè è diventato il Parlamento, mentre quest'ultimo esegue.

    È evidente che si vuole anestetizzare la funzione del Parlamento per poter approvare provvedimenti estranei all'interesse generale, per favorire soggetti e situazioni particolari, che stanno a cuore, anzi, a portafoglio, dei partiti.

    Il ruolo del partito

    Nei meccanismi istituzionali, si è infatti inserito il partito, il veicolo del mondo degli affari che, al di fuori di tutte le regole e di ogni controllo, ha acquisito una tanto vasta quanto anomala influenza.

    Il partito è diventato un centro di potere autoreferenziale, non il canale di trasmissione della volontà dei cittadini, bensì un congegno strutturato in modo da impossessarsi illegittimamente di un potere vastissimo, che può essere utilizzato senza controlli, anche a scopi personali. Sotto certi aspetti, è normale ed umano che ciò accada, mentre inusuale ed irregolare che non siano state predisposte misure per evitarlo.

    Il partito seleziona ed alleva fedeli addetti, che - grazie ai meccanismi elettorali - posiziona nel Parlamento, così da poter gestire direttamente il massimo potere: quello legislativo. In queste condizioni, tutti i centri di potere presenti nella società, (quelli economici, la criminalità organizzata, ecc.), bussano alla sua porta per ottenere l'emanazione di norme che ne favoriscano gli interessi. Naturalmente... dona ferentes. E la politica si trasforma in un suk.

    Questo stato di cose costituisce una surrettizia sovversione della Costituzione. Il Parlamento è esautorato: decisioni normative ed orientamenti su tematiche emergenti vengono assunti dai capi dei partiti sulla base di convenienze di bottega. I meccanismi costituzionali previsti per garantire il rispetto della volontà popolare, sono stati cancellati.

    La struttura del partito

    I partiti, giuridicamente, sono associazioni non riconosciute che gestiscono e monopolizzano tutto il processo politico. Un potere enorme, che si estende anche alle strutture della società, con conseguenze paradossali. Si verifica normalmente, infatti che, per ottenere incarichi universitari o posizioni di vertice, anche negli ospedali, sia preliminarmente necessaria l'approvazione del partito di maggioranza. Per tacere, poi, di scelte riguardanti appalti, grandi lavori, e nomine negli enti pubblici.

    Le devianze

    Emergono poi altre rilevanti criticità già nei meccanismi di formazione della rappresentanza politica.

    a.- Innanzitutto, la diffusa pratica del voto di scambio ovvero della compravendita del voto. In alcune regioni è stabilito addirittura un tariffario. Sembra che a Palermo un voto costi 25 euro. Se tale prassi è dominante, il sistema, da repubblicano, si muta in plutocratico. Dove non basta il denaro, subentrano spesso le minacce. Secondo l'Istat, mediamente al 3,7% degli elettori è stato esplicitamente chiesto di scegliere un certo candidato. Percentuale che, in alcune province, sale quasi al 10.

    Ma le disponibilità finanziarie, come è noto, sono una caratteristica anche della criminalità organizzata. Nella palude dove regnano corruzione e compromesso, quest'ultima ha così assunto posizioni del tutto eminenti. Oggi avviene addirittura che non è più la mafia a rivolgersi ai candidati, come accadeva un tempo, ma sono questi ultimi a sollecitarne l'aiuto e il supporto.

    Si è determinata una approfondita commistione tra politica e criminalità per la gestione in comune delle opportunità economiche che il potere offre, (e che è ampiamente documentata dalle cronache pressochè giornalmente). Le organizzazioni mafiose hanno assunto, non solo a livello locale, un ruolo determinante per far prevalere determinate forze politiche gradite e, in particolare, per la scelta degli amministratori locali.

    Da tempo, sono emersi stretti e stabili rapporti della malavita con logge massoniche e alcune frange imprenditoriali. Lo scenario disegna dunque la formazione di un magma complesso, una gang predatoria, profondamente inserita nella società, e in grado di elaborare e gestire progetti illegali a livello non solo locale.

    b.- Egualmente riduttivo del ruolo del parlamentare l'insieme delle regole che demandano molti disegni di legge al solo esame in Commissione senza passaggio in aula, escludendo fin dall'origine la possibilità di un esame ampio e approfondito.

    c.- Ormai, come accennato, pressoché normale la prassi della compravendita, non solo di leggi specifiche ma addirittura di parlamentari. Singoli o di intere formazioni.

    Non esattamente nello spirito del rispetto della volontà popolare.

    d.- Deplorevole altresì la diffusa pratica dei lobbisti, già sopra segnalata, che sollecitano determinati provvedimenti di legge a favore di precisi interessi particolari. Una consuetudine non tanto da regolamentare quanto da abolire decisamente del tutto. Essa significa infatti non solo subordinare l'interesse pubblico a quello privato, ma sopratutto escludere, dalla possibilità di chiedere norme ad hoc, tutti coloro che non possono permettersi di elargire prebende a tali personaggi. Vale a dire la maggioranza degli elettori.

    e.- Indubbiamente necessario e urgente, poi, vietare in modo assoluto qualunque forma di finanziamento, diretto o indiretto, ai partiti. Qualsiasi somma versata alla politica sottende un preciso contraccambio. In alcuni casi, è possibile prevedere quali provvedimenti saranno adottati, semplicemente scorrendo l'elenco dei finanziatori dei partiti. Inconsistente, e mistificatoria, l'obiezione che eliminare i contributi favorirebbe l'accesso alla politica dei soli benestanti.

    Coperti finora da assoluto mistero i fondi che affluiscono alle decine di fondazioni create da tanti politici per sfruttare la relativa regolamentazione, improntata alla riservatezza. La recente legge 3/2019 ha cercato di imporre una certa trasparenza ai bilanci dei partiti e delle varie entità che ruotano intorno ad essi, finora beneficiari di totale segretezza. Ma il lavoro da fare è ancora lungo.

    Come libere associazioni, i partiti debbono autofinanziarsi solo con i contributi degli associati. In compenso, lo Stato, nell'ambito del processo di rilascio delle concessioni delle frequenze a radio e televisioni, dovrebbe disporre che, in determinati spazi temporali (non solo e necessariamente nelle fasi antecedenti le consultazioni elettorali), ad ogni formazione legalmente costituita (ma anche a singoli candidati, del caso) vengano forniti gratuitamente eguali spazi di presentazione e propaganda. Ciò consentirebbe anche di abolire la macchinosa e sempre poco trasparente procedura dei rimborsi elettorali, (la furbesca trovata per aggirare il divieto di finanziamento ai partiti, decretato dai cittadini.

    Le cause

    Responsabile di questo complessivo sovvertimento istituzionale, che riduce i parlamentari a semplici figuranti eterodiretti ed acefali, è il partito. E lo è sia direttamente, che indirettamente (quale centro di attrazione del malcostume che ruota intorno ad un potere concentrato in poche mani).

    Questa realtà anomala si è formata in un vuoto legislativo iniziale, che tale è poi rimasto per la libertà di manovra che consentiva (e che faceva comodo a tutti gli attori politici del momento). In questa assenza di regole, l'entità partito ha assunto rigide connotazioni gerarchiche e verticistiche, del tutto contrarie alla sua naturale funzione di palestra di idee e di fucina e confronto. Il partito - di fatto - è solo il suo segretario, il Capo, titolare di tutti i poteri.

    E gli incroci di convenienze, affari, intrighi e maneggi, che la posizione di dominanza acquisita dal partito permetteva, ha costituito un ghiotto invito per determinate consorterie ed un vasto sottobosco di famelici faccendieri di ogni risma e provenienza, che si sono inseriti nelle strutture e nella organizzazione dei partiti per scegliere e portare ai vertici l'esponente più promettente del momento, fornendolo dei mezzi, anche economici, più idonei.

    È sufficiente creare all'interno del partito un piccolo gruppo, e munirlo di adeguati mezzi di convincimento, per realizzare un nucleo in grado di portare avanti il personaggio prescelto, dotato delle caratteristiche ritenute più idonee alle circostanze.

    E così, avviene che al vertice dei partiti vengano posti i personaggi scelti da questi poteri esterni, con il compito di curarne gli interessi.

    Dopo l' effervescenza e la superficialità di un Berlusconi, ci voleva l'immagine positiva, rassicurante e sobria, di un Monti. Una volta logorato Monti, superata una breve parentesi con l'anonimo Letta, occorreva stuzzicare l'elettorato dal palcoscenico mediatico con la vivacità istrionica del rottamatore Renzi. L'uomo contro (a prescindere), piace sempre alle masse, che si sentono oppresse dal sistema perchè nutrono rabbia e risentimento per l'ineguaglianza sociale. Un facile successo, dunque, reiterato con il burbanzoso Salvini, il comunicatore de noantri, etichetta buona per ogni slogan, perfetto per stuzzicare i pruriti e le psico-fregole più superficiali delle masse.

    Personaggi diversi, per illudere di un sempre propagandato cambiamento. Ma tutti esecutori di un unico eterno programma: favorire il mondo degli affari. Puliti o sporchi.

    I veri problemi della gente sono altrove, ma di questi, è meglio non parlare, altrimenti potrebbe rendersene conto. E nessuno ne fa cenno. Il faro-guida del bene comune appartiene ad un altro mondo.

    Ed ecco che il partito, da centro e fermento di idee, proposte e programmi per il progresso della collettività, cioè da risorsa politica, è diventato il veicolo per la realizzazione di speculazioni particolari spesso inconfessabili, con incommensurabile danno per gli interessi del Paese, anche sul piano internazionale. I nostri partners esteri hanno infatti presto appreso che, per ottenere dall'Italia posizioni o provvedimenti vantaggiosi, a qualunque livello, e non solo per le aziende di casa, era sufficiente contattare le persone giuste, nel modo giusto.

    I semi del declino

    Purtroppo, allorquando in una società vengono a formarsi ed a stabilizzarsi delle forze dominanti in grado di controllare i meccanismi premianti, la società stessa è inesorabilmente destinata al declino.

    Si verifica infatti che tutti gli incarichi apicali (nella sanità, istruzione, ricerca, nelle amministrazioni pubbliche, centrali e locali, nelle aziende pubbliche, ecc.), vengano assegnati in base ai criteri della fedeltà e dell'ossequio a queste forze, (qualità che garantiscono la conservazione dello status quo). Capacità e qualità personali seguono in secondo piano. Di primaria e decisiva rilevanza sono conformità e obbedienza.

    Gli elementi migliori, in grado di fornire un apporto cruciale e determinante al miglioramento ed al progresso della collettività, vengono in tal modo accantonati e così quest'ultima affonda nella immobilità e nel regresso.

    La fabbrica del consenso

    Per l'intreccio politico-affaristico che si è costituito nel Paese, il problema di base è come assicurarsi il consenso della maggioranza degli elettori, pur realizzando politiche contrarie ai loro interessi, (riducendo drasticamente la spesa per sanità, assistenza, istruzione, pensioni, servizi, privatizzazioni, ecc.).

    La soluzione è stata di realizzare una imponente costruzione del consenso mediante i mezzi di comunicazione. Si può agevolmente constatare che giornali e televisioni sono tutti posseduti e gestiti dai grandi centri di interesse economico del Paese. Indipendente e libero è solo chi non riceve finanziamenti.

    L'esistenza di una televisione pubblica non è in alcun modo influente nella misura invasiva con cui il partito maggioritario ne controlla attualmente giornalisti e programmi: non si tratta di un mezzo di informazione obbiettivo ed autonomo.

    In un Paese democratico, indipendenza e libertà di espressione, dovrebbero essere gli attributi di tutti i media. Scoprire e riferire la verità dovrebbe essere il loro compito.

    In realtà, un possente apparato informativo guida l'opinione pubblica, mobilitando l'appoggio delle masse agli interessi della consorteria politico affaristica al potere, presentando gli avvenimenti, e le loro origini ed effetti, come è ritenuto utile per sostenerla e proteggerla.

    Si tratta di inculcare nelle masse valori,

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