La rinascita del debitore: Le regole sul sovraindebitamento per risolvere le crisi.
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Anteprima del libro
La rinascita del debitore - Niccolò Nisivoccia
Prefazione
di Jean Marie Del Bo
Molti libri parlano di diritto. Molti di questi libri sono di buona qualità perché hanno il merito di rendere comprensibili concetti complessi o perché affrontano un tema dal punto di vista dottrinale, illuminandolo di una nuova luce.
Pochi libri provano invece a percorrere la strada impervia di raccontare il diritto come parte della nostra vita, tessuto connettivo di relazioni che sono economiche e sociali, ma prima di tutto personali.
Questo libro – La rinascita del debitore – opta per la strada impervia, la percorre e riesce nell’intento, conciliando l’analisi delle norme con la necessità di comunicare una certa idea del diritto: quella di uno strumento tecnico, ma innervato da valori, speranze e dolori di una comunità. Scelta quanto mai opportuna per il tema trattato, così attuale e così delicato.
Nelle pagine che seguono si esaminano e si spiegano le procedure di sovraindebitamento e di esdebitazione. Quelle procedure, cioè, che proiettano le difficoltà economiche del privato cittadino o del piccolo imprenditore da una dimensione puramente individuale a quella di un fenomeno sociale disciplinato dal diritto. Che ha preso atto, per parafrasare l’autore, della fragilità economica e ha voluto offrire una via di uscita a chi finisce nella morsa del debito.
È facile comprendere come nei prossimi mesi saremo costretti a fare i conti sempre di più con situazioni di sofferenza economica. Tanto che, se si è già deciso di rinviare a lungo termine l’entrata in vigore delle nuove regole del Codice della crisi d’impresa, considerate forse troppo rischiose per gestire le conseguenze di una pandemia, le regole sul sovraindebitamento potrebbero essere, invece, anticipate.
Ma la caratteristica di questo libro che più colpisce e convince è la capacità di spaziare dal rigoroso approccio giuridico, che non può mancare a un allievo di Edoardo Ricci, alla visione d’insieme che è propria di chi crede, per fare solo un esempio, che la letteratura «riesce sempre a dare anima e sangue alle cose, ai concetti».
La lettura delle norme si lega allora a tanto altro, con incursioni nella filosofia e nella sociologia, nella poesia e nell’interpretazione religiosa. Honoré de Balzac dialoga con Giovanni Giudici e con Gabrio Forti. Per aiutarci a comprendere il significato e lo scopo delle regole sul sovraindebitamento e sull’esdebitazione che, con effetto combinato, consentono di far superare al consumatore o al piccolo imprenditore la notte del debito permanente per avere una seconda opportunità.
E questo ci porta al punto di arrivo. Il diritto non è che un modo per rispondere alle esigenze di una società. E se la fragilità è uno degli elementi caratterizzanti di una comunità, il diritto non può che prenderne atto e studiare i rimedi per limitarne le conseguenze negative. Si parli di crisi economica o tutela dei minori, garanzie per le vittime dei reati oppure opportunità da offrire alle giovani generazioni.
In una delle sue più recenti interviste sulle conseguenze della pandemia l’intellettuale francese Edgar Morin ha sottolineato come «non si può conoscere l’imprevedibile, ma se ne può prevedere l’eventualità. La vita è una navigazione in un oceano di incertezze attraverso isole di certezze. Anche se celata o rimossa, l’incertezza accompagna la grande avventura dell’umanità, ogni storia nazionale, ogni vita individuale». Al miglior diritto, come del resto a tante altre discipline, il compito di accompagnare, con caparbietà e sapienza, le scelte per il futuro.
Capitolo 1
Oltre i confini del diritto fallimentare
La fragilità che è in noi è il titolo di un libro, bellissimo e prezioso, del grande psichiatra Eugenio Borgna. E cosa ci dice, cosa ci insegna Borgna, fin dal titolo del suo libro? Che la fragilità è una condizione ineludibile della vita, alla quale tutti siamo esposti. Della vita, dell’esistenza, della condizione umana, la fragilità è un elemento non accidentale, non eventuale, ma costitutivo, fondante. Che lo si voglia o non lo si voglia, che lo si accetti o lo si rifiuti, che se ne sia consapevoli o inconsapevoli, la fragilità è un’esperienza inevitabile che ci riguarda tutti, nel bene come nel male (perché la fragilità è anche una ricchezza, un valore).
Ecco: in un ideale lessico necessario, la parola fragilità
non dovrebbe mancare. Accanto potrebbero esserle collocate, ad esempio, parole quali fratellanza
, alterità
, memoria
, futuro
, dubbio
, pazienza
, connessione
. Ma la parola fragilità
ha una caratteristica tutta sua, che la distingue da moltissime altre e che consiste in una sua ampiezza semantica che quasi non ha confini, in una dotazione di significati ogni volta diversi nelle infinite aree tematiche nelle quali la vita si declina e si realizza. Psichiatria, psicologia, psicoanalisi, religione, diritto, politica, economia, sociologia, filosofia: non esiste area tematica nella quale la fragilità non abbia o non possa avere una propria ragion d’essere – ad ogni area corrispondendo, o potendo corrispondere, un senso diverso, una sfumatura nuova.
Quanto all’economia, la sua esposizione alla fragilità è stata clamorosamente confermata, o svelata, dalla pandemia del 2020. È bastato pochissimo perché i sistemi economici mostrassero, ovunque, le prime crepe. Per quanto riguarda l’Italia, uno studio pubblicato dall’Istituto Treccani dà atto che appena due settimane dopo l’attivazione delle misure di confinamento (il cosiddetto lockdown
, disposto per decreto del Presidente del Consiglio l’11 marzo 2020) risultavano già chiuse circa due milioni e mezzo di imprese, su un numero complessivo di quattro milioni e trecentomila, presso le quali erano occupate quasi nove milioni di persone, contro i sette milioni e settecentomila occupati nei settori rimasti attivi, per un fatturato pari più o meno alla metà di questi ultimi. E la disoccupazione riguardava soprattutto i giovani: l’Istat ha certificato che, solo due mesi più tardi, nel maggio 2020, il tasso di disoccupazione giovanile aveva raggiunto il 23,5%, contro un tasso complessivo comunque alto, del 7,8 per cento. «Metà dei posti di lavoro distrutti da Covid-19», riassumeva Tito Boeri, «coinvolgeva persone con meno di 35 anni, nonostante gli occupati di quella fascia d’età siano appena un quarto del totale»; e le cronache giornalistiche parlavano, all’unanimità, di una «condanna inappellabile per intere generazioni della classe dirigente».
Tutto questo, poi, senza considerare l’enorme voragine dell’economia sommersa, cioè di quell’economia invisibile ma concretissima che poche altre volte nel passato aveva preso e mostrato consapevolezza di sé stessa com’è invece riuscita a fare, forse non a caso, proprio durante la pandemia – nel luglio del 2020, a Roma, attraverso gli Stati popolari promossi dal sindacalista ivoriano, naturalizzato italiano, Aboubakar Soumahoro. Ma ha ragione il celebre latinista Ivano Dionigi, quando scrive che «c’è un inganno, un’ipocrisia, una non-verità nelle nostre parole»: diciamo economia sommersa
ma è un eufemismo, in realtà si tratta di lavoro nero
, e lo sappiamo bene.
Insomma, anche l’economia è fragile, perché fragile è il suo equilibrio, aldilà dei modelli di riferimento (più o meno liberisti, più o meno dirigisti); e la crisi d’impresa rappresenta la manifestazione più tipica di questa fragilità.
Sul piano giuridico, alla crisi d’impresa corrisponde, storicamente, il diritto fallimentare, essendo il diritto fallimentare quel settore del diritto destinato, quantomeno negli ordinamenti latini, a regolamentare appunto le situazioni di crisi dei soggetti che esercitano attività commerciali. Come sottolineava Edoardo Ricci, uno dei fallimentaristi più insigni degli ultimi decenni, questa destinazione del diritto fallimentare alla sola impresa commerciale non è il frutto di una scelta che risponda a speciali esigenze di carattere ontologico, e lo dimostra il fatto che in altri ordinamenti, sia di area anglosassone che di area germanica, il fallimento è da molto tempo una procedura