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Corruzione, fino a quando...?: Expo e Mose riaccendono la fantasia dei media e l’interesse dei lettori ma non siamo di fronte a una novità quanto piuttosto al riemergere di un fenomeno endemico.
Corruzione, fino a quando...?: Expo e Mose riaccendono la fantasia dei media e l’interesse dei lettori ma non siamo di fronte a una novità quanto piuttosto al riemergere di un fenomeno endemico.
Corruzione, fino a quando...?: Expo e Mose riaccendono la fantasia dei media e l’interesse dei lettori ma non siamo di fronte a una novità quanto piuttosto al riemergere di un fenomeno endemico.
E-book175 pagine2 ore

Corruzione, fino a quando...?: Expo e Mose riaccendono la fantasia dei media e l’interesse dei lettori ma non siamo di fronte a una novità quanto piuttosto al riemergere di un fenomeno endemico.

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La corruzione non è solo un volgare passaggio di denaro di mano in mano e neanche solo la violazione delle regole ma è piuttosto lo strutturarsi di un certo tipo di influenza all`interno di una dinamica di influenze, con la straordinaria crescita dell`"industria della lobby" e l`asservimento di amministrazione e politica al denaro.
Non si tratta di un problema che riguarda solo i giudici e il diritto ma anche la politica, la Pubblica Amministrazione, le imprese e, naturalmente, la scuola e le agenzie formative riguarda tutti noi e la società in cui viviamo.
Per questo è urgente restituire a ogni cosa il suo nome e togliersi dalla testa l`idea che la prassi possa sostituirsi all`etica: una responsabilità che è di tutti! Questa raccolta di saggi suggerisce una chiave di lettura in linea con i principi fondamentali di qualunque ordinamento moderno, ovvero l`idea che, anche per le patologie dei corpi sociali, prevenire sia meglio che curare, essendo la sanzione penale, come l`intervento del chirurgo, un`extrema ratio.
LinguaItaliano
Data di uscita29 ott 2014
ISBN9788832409277
Corruzione, fino a quando...?: Expo e Mose riaccendono la fantasia dei media e l’interesse dei lettori ma non siamo di fronte a una novità quanto piuttosto al riemergere di un fenomeno endemico.

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    Anteprima del libro

    Corruzione, fino a quando...? - Alberto A. Vannucci

    1. L'ordinaria emergenza della corruzione: leggi, giudici, autorità

    Maria Agostina Cabiddu

    1.1 Partiti per la tangente

    Una mattina di febbraio del 1992, Milano, la capitale economica e morale d'Italia, si sveglia e scopre di essersi trasformata: Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, storica istituzione rappresentativa della laica generosità meneghina, viene arrestato in flagranza di reato … ed è l'inizio della fine. Isolato in carcere e abbandonato dagli amici di partito (un mariuolo, si dirà), collabora con i magistrati, lacerando il velo di ipocrisia di cui si ammanta la scintillante Milano da bere: ne emerge una realtà parallela, un mondo sotterraneo, un termitaio in cui si agitano faccendieri e mezzani ma anche abitanti del mondo di sopra (pubblici funzionari, imprenditori, politici) intrappolati in un contesto di corruzione diffusa dove il mercimonio dei doveri inerenti alla pubblica funzione non esaurisce la sua portata lesiva nella pretesa o nell'accettazione di un compenso non dovuto ma è, in quanto appunto riduzione della funzione o del servizio a merce, negazione del valore della cosa in sé, erosione dell'aura di sacralità connessa al pubblico ufficio, annientamento della sua essenza.

    All'inizio, sembra l'ennesimo fatto di ordinaria corruzione, il ciclico ricorrere di uno scandalo che coinvolge anche i piani alti della politica (per restare alle vicende repubblicane, basti pensare ai fondi neri dell'Iri ai petroli e alle carceri d'oro fino al caso Sindona e al Banco Ambrosiano). Ben presto, tuttavia, complici una serie di circostanze (il raggiungimento di un livello, per così dire sopra soglia del deficit pubblico, che non consente più di scaricare sulle pubbliche finanze il costo delle tangenti; la reazione del mondo imprenditoriale, costretto a subirne i contraccolpi; l'intolleranza sempre più diffusa nei confronti della malamministrazione e della malapolitica, che vede nella via giudiziaria l'unica possibilità di efficace contrasto; l'affermarsi di movimenti e partiti che cavalcano la protesta), le cose prendono una piega inattesa, rafforzata, sul fronte investigativo, dall'immediata consapevolezza che il caso non sia isolato ma sistemico.

    Da qui, il ricorso a tecniche già sperimentate nella lotta alla criminalità organizzata e la costituzione di un pool fortemente coeso, guidato dallo stesso Procuratore della Repubblica; l'applicazione rigorosa degli strumenti codicistici - e, specialmente, della custodia cautelare - fa il resto. Tenuti separati e, dunque, non in grado di comunicare, come nel celebre dilemma del prigioniero (1), molti arrestati collaborano e, anzi, si registrano casi di confessioni ultra petita. Qualcuno, addirittura, si presenta in Procura prima ancora di essere sospettato.

    Strane vicende, che - si sostiene - mettono a dura prova le garanzie dello stato di diritto, quasi a ignorare che, come sempre, gli individui collaborano con gli inquirenti in quanto «impegnati a massimizzare la loro utilità e continuano a farlo anche quando in gioco ci sono questioni di cooperazione» (2) … Tutti sappiamo com'è andata a finire quella vicenda: contrariamente alla vulgata mirante a screditare, minimizzandoli, i risultati di Manipulite, i dati del Casellario giudiziale dimostrano come le inchieste di quegli anni si siano tradotte - nei distretti di Corte d'appello interessati (3) - in un significativo picco del numero delle condanne (e dei patteggiamenti) per reati di concussione e corruzione. D'altro canto, come insegna la teoria dei giochi, il dilemma del prigioniero produce buoni risultati per gli inquirenti solo quando le persone coinvolte non siano più chiamate a interagire tra di loro. Quando, invece, le stesse persone sono coinvolte ripetutamente nel gioco, la strategia migliore non può che essere cooperativa, un equilibrio strategico che sottintende una norma spontanea (4): se oggi tu non cooperi con me, domani sarò io a non cooperare con te, dunque … silenzio!

    Se si guarda, da questo punto di vista, alle vicende più recenti e si considera come, più di qualche volta, corrotti e corruttori ritornino, si capisce facilmente come, nei loro confronti, il dilemma del prigioniero non serva più: hanno mangiato la foglia e forse anche il ramo sul quale sedevano, posto che, secondo il dilemma del pizzo di Massarenti, pagare le tangenti può essere razionale ma non è detto che convenga.


    (1) Secondo cui, dati due soggetti coimputati ed entrambi detenuti ai quali si prospetti uno sconto di pena in caso di collaborazione con gli inquirenti, il comportamento razionalmente orientato porta ciascuno dei due a fare, per suo conto, il seguente ragionamento: se non parlo e neppure l'altro parla, siamo liberi entrambi, sia pure dopo un certo periodo di carcerazione preventiva; se accuso l'altro, otterrò lo sconto. Ma cosa farà l'altro? Se lui parla e io no, faccio la figura del fesso: lui sarà libero e io mi beccherò il massimo della pena. Dunque, mi conviene confessare e accusarlo. Almeno avrò uno sconto. Se poi a fare il fesso (tacendo) è lui, avrò subito la libertà.

    Così entrambi, agendo razionalmente, si faranno un certo numero di anni di galera, mentre se nessuno dei due parlasse e adottassero entrambi una soluzione cooperativa, sconterebbero solo la custodia cautelare.

    Il punto è che la soluzione cooperativa presuppone che i due detenuti possano comunicare, accordarsi e soprattutto fidarsi l'uno dell'altro. Cosa improbabile, se non impossibile, dato il vantaggio per l'uno a ingannare l'altro: il furbo verrebbe liberato subito, mentre all'onesto toccherebbe quella che tecnicamente si chiama ricompensa del fesso, cioè il massimo della pena.

    (2) Così, A. Massarenti, Perché pagare le tangenti è razionale ma non vi conviene, Parma, 2012, 21-22.

    (3) Sul punto, amplius, P. Davigo, G. Mannozzi, La corruzione in Italia. Percezione sociale e controllo penale, Bari-Roma, 2007, 16 ss.

    (4) Sul punto, R. Aumann, Game Theory, in J. Eatwell, M. Milgate e P. Newman (a cura di), The New Palgrave. A Dictionary of Economics, London, 1987.

    1.2 I rischi e i benefici: un rapporto sbilanciato

    Dunque, anche nel paese dei gattopardi, più di vent'anni da Tangentopoli non sono passati invano. Al contrario, molte cose sono cambiate, compreso il prezzo della tangente: i sette milioni di lire intascati dal mariuolo nel 1992 erano il 5 per cento dell'appalto. Scontata la condanna e rientrato nel mondo del lavoro, nel 2009 viene nuovamente arrestato, come Mister 10%, per corruzione nel settore dei rifiuti … poi, come raccontano le cronache, la crisi colpisce anche questo settore e oggi le percentuali tornano a scendere mentre il rischio di essere scoperti sale, come accade - regolarmente - quando la circolazione del denaro si fa più difficoltosa.

    Tanto più difficile, allora, di fronte ai casi odierni, comprendere perché importanti manager, politici affermati, professionisti di successo, alti dirigenti siano disposti a giocarsi tutto, corrompendo o facendosi corrompere. Diversi approcci (sociologico, culturale, neistituzionalista) ipotizzano plausibili spiegazioni ma è, ancora una volta, quello della scelta razionale a risultare più convincente: a prescindere dalle motivazioni personali, laddove il rischio è inferiore al beneficio atteso, è probabile che il reato venga commesso e certamente, in una situazione di corruzione diffusa, il comportamento più razionale appare quello che fa il proprio interesse sulla base del comportamento degli altri - assecondando la regola o l'equilibrio in atto - anche qualora il singolo sia personalmente convinto che ciò non sia, eticamente, la cosa migliore.

    D'altra parte, il costo morale della corruzione, cioè il prezzo che un soggetto deve pagare per violare i valori morali, sociali, professionali e culturali del proprio contesto sociale e di comunità, sono nel nostro Paese, piuttosto esigui: basti pensare alla presenza di condannati - anche per reati contro la Pubblica Amministrazione - in Parlamento e alla necessità di fare appositi appelli o leggi che impediscano di candidare imputati o condannati per tali reati o alla debole protezione, nel nostro ordinamento, del whistleblower (c.d. vedetta civica), comunemente considerata una spia e quindi un pericolo per l'equilibrio consolidato (1).

    Spetta dunque all'etica e poi al diritto spostare l'equilibrio, facendo del comportamento cooperativo orientato all'interesse collettivo la norma prevalente.


    (1) Sul punto, F. Gandini, La protezione dei whistleblowers, in F. Merloni, L. Vandelli, La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi, Firenze, 2011, 165 ss.  

    1.3 Un reato evidentemente invisibile

    In questa direzione, occorre innanzitutto individuare la corruzione, fenomeno - come spiega Piercamillo Davigo - per molti aspetti paradossale, trattandosi di un reato evidentemente invisibile (1), dove la percezione che esso abbia permeato la vita politica, economica e sociale del Paese - con clamorosi aumenti dei costi, riduzione della qualità di prodotti e servizi, scarsa concorrenza - va di pari passo con la sua cifra nera, la difficoltà cioè di individuare le fattispecie in concreto, in ragione della natura consensuale del crimine; dell'assenza di vittime dirette; della distanza causale tra accordo e vittimizzazione; dell'ingegnerizzazione degli schemi criminali [la gift/relation economy che esige corrotti e corruttori smart (2)] e, infine, della commistione con altri fenomeni di malamministrazione e, più in generale, con l'inefficienza e l'inadeguatezza degli apparati tecnici dell'amministrazione, falcidiati da una malintesa privatizzazione che ha progressivamente esternalizzato tutto ciò che non appariva core.

    Al di sopra o, se si preferisce, al di sotto di tutto, il paradosso, già denunciato negli Annali di Tacito, secondo cui corruptissima re publica plurimae leges, a significare non solo l'inutile sforzo del legislatore di rincorrere l'inesauribile fantasia del reale e di coniugare ordini di valori confliggenti e tuttavia irrinunciabili (rigore, trasparenza, imparzialità, da un lato; flessibilità, informalità, celerità delle procedure, dall'altro) ma anche l'effetto perverso dell'eccesso di normazione (clamorosamente esemplificato dal farraginoso codice degli appalti), da cui - ennesimo paradosso - il ricorso agli strumenti emergenziali (leggi obiettivo, commissari, contraenti generali, concessionari unici ecc.) e, alla fine, la fuga dalla legge.

    Mentre il setaccio a maglia stretta del Codice dà filo da torcere alle imprese - con adempimenti burocratici, documenti e passaggi procedimentali inutilmente vessatori - negli appalti di piccole e medie dimensioni, le opere e gli eventi cosiddetti grandi sfuggono a ogni controllo, sul presupposto di una specialità di regime (82 deroghe, sembra, alla disciplina ordinaria del Codice dei contratti pubblici per il caso di EXPO), che spesso finisce per affidare al mero arbitrio di un commissario, concessionario o contraente generale, la gestione di ingenti risorse pubbliche.


    (1) Aspetto che accomuna - mutatis mutandis - la corruzione alla mafia, al pari della propensione di entrambi questi fenomeni a inabissarsi non appena il contesto glielo consenta senza tuttavia interrompere la propria operatività.

    (2) Le utilità, come insegnano le cronache, possono essere di varie genere: denaro, viaggi, case, consulenze, relazioni importanti e giri giusti … Particolarmente delicato il rapporto economia-politica, posto che il denaro sembra essere non un problema ma il problema delle moderne democrazie. Sul fronte giurisprudenziale, v. le decisioni della Corte Suprema degli Stati Uniti, Citizen United v. FEC del gennaio 2010 e la recentissima McCutcheon v. FEC del 2.4.2014, che riconoscono il diritto costituzionale di finanziare candidati e campagne elettorali senza limiti di spesa, opportunità formidabile per la corruzione e indubbio fattore di diseguaglianza.

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