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E-book354 pagine5 ore

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Info su questo ebook

Un uomo si sveglia su una spiaggia deserta, su di un’isola inospitale, con la netta sensazione di non conoscerla affatto... è un attimo, e subito si rende conto di non ricordare nulla, neanche la propria identità. In preda al panico, si vede presto costretto a scappare da una bestia feroce che lo attacca, un animale mostruoso mai visto prima. Unica certezza, una voce nella sua testa... una minaccia spaventosa per le sorti dell’universo... ma quale universo? Quando la situazione sembra ormai essere precipitata, ecco che una donna gli salva la vita e inizia per lui una drammatica avventura alla ricerca di sé stesso, e non solo. Il romanzo di Erika Codecà è capace di tenere viva l’attenzione del lettore con un ritmo narrativo sostenuto e calzante, e attraverso una riflessione sulle azioni che compiamo in nome del bene e del male, per nulla scontate. Appassionante, intrigante e persino sconcertante... in una parola, imperdibile!

Erika Codecà è nata il 14 agosto del 2001 a Milano e vive a San Giuliano Milanese. Attualmente studia Scienze geologiche all’Università Statale di Milano. Questa è la sua prima pubblicazione.
LinguaItaliano
Data di uscita19 ott 2023
ISBN9791220147699
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    Anteprima del libro

    Connection - Erika Codecà

    Parte 1

    Senza Identità

    Risveglio

    Maggio 2020...

    "Questo è un messaggio per tutti voi. Abbiate paura perché verrò a cercarvi. Temetemi perché sarò brutale. Non cercate pietà perché non ne avrò esattamente come voi non ne avete avuta per me, per la mia famiglia, per la mia gente, per la mia città, per il mio pianeta.

    Siete venuti qui e avete distrutto tutto. Noi vi abbiamo accolti e voi ci avete traditi. Avete massacrato innocenti, dissacrato templi, raso al suolo le nostre città, spodestato il nostro imperatore. Ci avete resi schiavi e avete distrutto tutto ciò che per noi contava.

    Vi credevate i padroni. Beh, ho una notizia bomba per voi: non lo siete mai stati né mai lo sarete. Avete bisogno di qualcuno che vi faccia capire che siete solo feccia e che il vostro bel pianeta sta per subire il destino del mio. Tremate perché è solo questione di tempo prima che vi raggiunga. Quando questo accadrà, vi giuro che vi sterminerò e non mi fermerò finché di voi non ne rimarrà neanche uno in tutto l’Universo...

    Ma prima che questo avvenga sentirete già il mio nome echeggiare tra le galassie... Sinclair..."

    La sua voce mi riecheggia nelle orecchie facendo vibrare i timpani. È come uno stimolo. Un impulso elettrico che mi dà la forza di svegliarmi...

    Riemergo all’improvviso, sputando acqua dalla bocca in grande quantità. I miei muscoli sembrano non rispondere ai comandi e i miei occhi fanno fatica a mettere a fuoco l’ambiente che mi circonda. Sono stanco, tremendamente stanco... Riesco a tenermi a galla il tempo necessario per inquadrare malamente una sponda lontana. Cerco allora di calmarmi e inizio a muovermi in quella direzione.

    Non so quanto tempo ci impiego. Probabilmente delle ore. Raggiunta la riva cammino per qualche metro poi mi accascio stremato nella sabbia, con i piedi ancora lambiti dalle calde onde. Non riesco quasi a crederci... Lascio scivolare la sabbia tra le dita e ne sento la consistenza. Rimango lì per diversi minuti ad ammirarla poi la verità mi colpisce come un fulmine a ciel sereno: non mi ricordo niente.

    Come mi chiamo?! Chi sono?! Quanti anni ho?! Cosa ci faccio qui?! Da dove vengo?! A queste semplici domande non saprei rispondere. L’unica cosa che mi è rimasta impressa nella memoria è quel nome: Sinclair. Non ricordo chi sia però. Non ricordo nulla del mio passato né del mio presente. Ricordo solo il buio. Un terribile e freddo buio, un buio che faceva venir voglia di dormire e che all’improvviso era stato squarciato da una luce abbagliante. Il mio corpo si era mosso da solo e l’aveva raggiunta, poi mi ero risvegliato in acqua, con la voce di Sinclair nelle orecchie. E ora mi trovo qui, nel bel mezzo del nulla sotto il sole cocente.

    Cerco di non farmi prendere dal panico. Guardo in basso incapace di tollerare oltre la forte luce solare. Cerco di riflettere: so che la superficie su cui mi trovo si chiama sabbia. So che quello dietro di me si chiama mare. Ma non ricordo nulla che riguardi me stesso. Passeggio un po’ nell’acqua bassa e mi specchio: sono un uomo. Ho capelli ricci castani, occhi verde chiaro, tendenti al grigio. Un po’ di barbetta sul mento e baffetti appena accennati, lineamenti marcati. Sono alto e slanciato, con un fisico tonico. Indosso una camicia bianca strappata e dei jeans. Sono scalzo. E tutto questo non mi dice niente. Né il volto né i vestiti. Non mi riconosco.

    Non riconoscere la mia faccia mi fa precipitare nell’agitazione più totale. Mi guardo intorno e vedo che sono circondato da un muro verde che costeggia la spiaggia. Cerco di associarlo a qualcosa, qualsiasi cosa, ma il mio cervello è bianco. Non c’è niente. Solo il nome, Sinclair, che però è solo un nome. Non ricordo chi sia Sinclair, che faccia possa avere, quanti anni abbia o cosa centri con me.

    Ho mal di testa e nausea. In alcuni punti noto che la mia pelle è scottata dal sole. Decido di spostarmi all’ombra per riflettere meglio quando all’improvviso un ruggito scuote la terra, facendo tremare tutta la giungla. Degli strani uccelli mai visti prima si alzano in volo starnazzando. Mi si accappona la pelle. Mi chiedo che razza di mostro possa esserci dietro quell’intricato muro verde.

    Calma... calma e sangue freddo... penso. Interrogarmi su quello non fa altro che aumentare la mia paura. Il battito accelera e inizio a sudare. Fa veramente caldo, più caldo di quanto io possa ricordare... fa così caldo da svenire.

    Mi accascio a terra stremato sollevando un nugolo di sabbia.

    Mi risveglio sul far della sera, con il sole semi-scomparso all’orizzonte. L’ambiente è rimasto completamente oscurato dalle ombre e solo la cima di una montagna ricca di vegetazione è ancora illuminata dai pochi raggi rimasti. Sento i crampi della fame. Mi gira la testa per la disidratazione. Durante il mio stato di incoscienza non ho sognato e non mi sono ricordato niente. Rimane sempre e solo Sinclair.

    Cerco di resistere ma la fame e la sete diventano implacabili. So benissimo che l’unico modo per non soffrire è addentrarsi nel fitto della vegetazione ma non mi fido della bestia che ha emesso quel ruggito. E se fosse in agguato?! Se mi stesse già osservando?! Mi alzo in piedi a fatica e muovo dei passi incerti, sbirciando oltre una palma. Non vedo nulla. L’oscurità aumenta a causa delle folte chiome degli alberi. Non ricordo di averne mai visti così... ma forse è solo la mia memoria completamente resettata. La notte intanto continua a calare e dal fitto della foresta provengono ruggiti, stridii, ululati e altri versi di chissà quali creature. Per quanto io li tema in questo momento devo farmi forza perché se non mi addentrerò nella giungla morirò di fame e di sete. Così decido di oltrepassare quella palma e addentrarmi nell’oscurità.

    Mi sembra di camminare da ore, ma potrebbero benissimo essere cinque minuti. Sono stanco e vorrei solo dormire ma non mi azzardo a farlo: i ruggiti continuano. La foresta è così intricata che mi costringe a procedere lentamente, in modo estenuante. L’odore di umidità è veramente pungente e come se non bastasse i rovi si incastrano nei vestiti e nei capelli. I piedi scalzi mi fanno male e già molti legnetti si sono conficcati nella pelle. Sto per gettare la spugna quando vedo una pozza d’acqua. Mi ci fiondo famelico, bevendo a grandi sorsate e non mi accorgo della spaventosa creatura che mi sta proprio di fronte. L’animale apre la bocca e tenta di azzannarmi. Scatto all’indietro con una velocità che non pensavo di possedere e scampo al suo morso letale. Mi volto e inizio a correre. La bestia parte all’inseguimento sibilando. È parecchio veloce nonostante la stazza. All’improvviso mi afferra il piede e lo stringe tra le fauci, strappandomi un grido di dolore. Mi fa cadere a terra e inizia a trascinarmi. Mi aggrappo istintivamente a una grossa radice per impedirglielo e inizio a prenderla a calci sul muso ma non accenna a mollare la presa.

    «Ehi aiutatemi!!!» mi metto a urlare anche se so benissimo che nessuno può sentirmi... «Qualcuno mi aiuti vi prego!!!».

    La creatura stringe la presa e continua a tirare, strappandomi dei gemiti di dolore. Afferro un sasso e glielo tiro in testa ma non molla.

    «Mollami stronzo mollami!!!».

    La creatura molla la presa sul piede solo per affondare i denti nella tenera carne del polpaccio. Urlo a squarciagola quando sento la carne strapparsi. Mollo la presa sulla radice e mi lascio trascinare per qualche metro, poi tento di aprirle la bocca con le mani, tagliandomi le dita e i palmi con i suoi denti affilati.

    «Ho detto lasciami!!!» urlo e all’improvviso la bestia molla la presa. Si volta dalla parte opposta alla mia ed emette un sibilo minaccioso. Emette qualche guaito prima di accasciarsi al suolo con un tonfo. Da dietro un albero appare una figura snella con in braccio un fucile dalla canna ancora fumante. Lo abbassa appena mi vede.

    «Tutto bene?!» mi chiede.

    Non rispondo. Rimango incantato a guardarla. La sua treccia castana ondeggia leggermente mentre si muove verso di me.

    «Ehi... dobbiamo fare in fretta. Forza alzati!!» dice cercando di sollevarmi di peso. Le dò un aiuto, dandomi una spinta con la gamba sana, ma lo scatto mi fa girare la testa. Per poco non rischio di cadere. La ragazza mi aiuta a reggermi in piedi e mi porta fino a quello che sembra un quad. Mi ci carica sopra e mette subito in moto. Parte a tutto gas, sfrecciando attraverso un piccolo sentiero nella boscaglia.

    «Ehi non dormire okay?! Ascolta la mia voce» urla lei. Non riesco a risponderle. Sento la debolezza invadere le mie membra.

    In un lasso di tempo indefinito lei mi porta in una specie di villa in mezzo alla giungla. Mi aiuta ad alzarmi e mi trascina all’interno, fino a una specie di infermeria. Vengo preso dalle convulsioni e lei cerca di trattenermi. Urla qualcosa e altri accorrono.

    L’ultima cosa che vedo è il volto di colei che mi ha appena salvato la vita.

    L’ARC

    Quando mi sveglio sono ancora stordito, ma non come ieri. Ho un forte mal di testa. Mi tasto la faccia per asciugarmi il sudore e scopro di essere collegato a una mascherina per l’ossigeno. Mi guardo intorno e vedo che mi trovo in una stanza bianca con dei lettini. Sono collegato a una flebo. A un tratto lei entra nella stanza. È la ragazza che mi ha salvato.

    Ora posso osservarla meglio: è alta e slanciata, ha dei lunghi capelli castano chiaro e occhi scuri, la carnagione olivastra e un bel sorriso. È bellissima. Indossa un completo mimetico dalle molteplici tasche e cinture a cui sono collegate varie fondine con al loro interno le più diverse armi.

    «Ti senti meglio?!» chiede.

    «Diciamo di sì» rispondo.

    «Mi piacerebbe sapere come hai fatto ad arrivare qui».

    «Piacerebbe anche a me lo sai?!» la battuta mi esce d’istinto, senza che io possa fermarla. La ragazza mi guarda con un misto di confusione e irritazione così mi affretto a precisare: «Mi sono risvegliato sulla spiaggia ieri e non so perché ma non mi ricordo niente. Non so chi sono, come mi chiamo o da dove vengo».

    La ragazza rimane interdetta per qualche secondo, ma prima che possa rispondere un uomo in camice bianco fa il suo ingresso nella stanza. Si dirige subito verso di me. Mi afferra il mento e mi impedisce di allontanarmi quando mi punta la luce di una torcetta negli occhi.

    «L’antidoto ha sortito l’effetto sperato» commenta con un sorriso.

    «La parola delicatezza non fa parte del tuo DNA vero Carter?!» commenta la ragazza.

    L’uomo sorride e mi molla la faccia. Lo guardo per qualche secondo. È biondo, ha i capelli corti, gli occhi azzurri e il fisico tonico. Non è neanche molto alto.

    «Tranquilla, sarò delicato quando gli cancellerò la memoria» dice.

    «Cancellare cosa?!» chiedo spaventato.

    «Lascia che ti spieghi una cosa: questo è un posto top secret e come suggerisce la parola gli idioti come te non dovrebbero riuscire ad arrivarci, ma nel caso in cui accade gli cancelliamo la memoria» spiega Carter.

    «Ah beh... – mi scappa una risata – allora buona fortuna, perché non c’è niente da cancellare. La mia memoria è sparita. Non ricordo niente. Zero, tabula rasa. Ho il cervello completamente in bianco».

    «Mi credi forse un’idiota?!» chiede Carter irritato.

    «Non ho detto questo» ribatto tranquillamente, senza scompormi.

    «Vuoi forse farmi credere che sei arrivato qui per caso, senza sapere nulla di noi né di questo posto?!».

    «È quello che è successo» insisto.

    Carter riflette per qualche secondo prima di concludere il discorso:

    «Ti sottoporremmo alla macchina della verità. Se menti, ti spedirò dritto in galera».

    «Okay».

    Sono tranquillo. Non sto mentendo. Non ricordo davvero nulla a parte la voce di Sinclair, che per qualche motivo è rimasta congelata nella mia mente.

    Carter e la ragazza mi sottopongono alla macchina della verità, che supero con relativa facilità e dopo mi portano in una stanza con altri apparecchi elettronici, dove ci attende un altro ragazzo. È moro con occhi scuri e indossa occhiali da vista e un berretto. Sbadiglia.

    «Comunque io sono Claudia» dice la ragazza.

    «Piacere di conoscerti Claudia» rispondo.

    Carter parla con l’altro ragazzo per qualche minuto poi mi dice di infilarmi senza vestiti dentro un tubo di metallo che chiama TAC. Lo faccio abbastanza riluttante. Mi sottopongono a diversi esami encefalici ma nessuno di questi rivela qualcosa. Non ho danni fisici eppure per qualche motivo la mia corteccia cerebrale è innaturalmente gonfia, i neuroni più grandi e i miei lobi temporali sono come bloccati, non illuminati sullo schermo del computer che stiamo guardando.

    «Beh avevi ragione: la tua memoria è completamente resettata» dice il ragazzo con gli occhiali.

    «Resta comunque il fatto che hai visto quest’isola e cosa c’è dentro, perciò te la cancellerò comunque» dice Carter dirigendosi verso di me.

    «Carter aspetta!!» urla Claudia.

    Carter mi mostra una specie di penna, preme un pulsante e vengo momentaneamente accecato da una luce.

    «Che dovrebbe succedere?!» chiedo appena i miei occhi riacquistano la capacità di vedere.

    «Dovresti dimenticare» risponde Carter.

    «Dovrei dimenticare cosa?! Di aver visto quest’isola e la bestia che mi ha aggredito ieri notte o te che cerchi di cancellarmi la memoria che non ho?!». Carter preme il pulsante un’altra volta. Attendo qualche secondo prima di dirgli: «Non mi cancellerai l’unica memoria che mi rimane rassegnati».

    «Porti le lenti a contatto per caso?!» Carter pare molto irritato. Mi osserva attentamente ma non trova quello che cerca.

    «Dovremmo parlarne con James non credete?!» chiede il ragazzo col berretto.

    «Sì, forse sì... vado ad avvisare Nina» dice Claudia.

    Nel pomeriggio i membri della squadra che mi hanno salvato mi fanno salire su un elicottero. Claudia mi presenta Tim, il ragazzo col berretto e poi Nina, la ragazza bionda che era andata a chiamare poco prima. Quando incrocio il suo sguardo, per la prima volta ho come la sensazione di averla già vista...

    «Sarà che ho un volto familiare. Me lo dicono spesso» commenta lei con un sorriso. È molto carina: piccola, magra e biondissima, con due grandi occhi nocciola che esprimono dolcezza. Dice che non c’è problema se rimane qui da sola e aggiunge che cercherà sulla spiaggia se la marea ha trasportato qualche oggetto che mi appartiene. La ringrazio e partiamo. Non riesco a levarmi di dosso il suo sguardo, a metà tra gioia e tristezza.

    Claudia deve accorgersi della mia confusione perché comincia a spiegarmi che ci troviamo su un’isola e che stiamo per volare alla volta della capitale dell’Indonesia: Giacarta. Durante il viaggio non posso fare a meno di ammirare il panorama. Ci sono miriadi e miriadi di isole incastonate nell’oceano e vari vulcani ancora fumanti.

    Parlo un po’ con Claudia, Tim e Carter che mi spiegano che mi stanno portando dal loro capo: James Lang.

    Arrivati a destinazione mi lascio sfuggire un fischio d’ammirazione: credo di aver sempre amato la frenesia urbana.

    Tim, che pilota l’elicottero, atterra su una piattaforma contrassegnata da una grande H bianca sul tetto di un grosso grattacielo. Scendiamo ed entriamo all’interno. Tim mi mette in guardia dal far irritare James, che a quanto pare è un tipo molto irascibile che non ama le sorprese. Dice anche che ha una specie di rivalità con Carter.

    Mi domando come mai... penso ironicamente, visto che da quando ci siamo visti il fighetto non ha fatto altro che darmi contro.

    Mentre procediamo qualche persona ci saluta. Claudia, Tim e Carter rispondono al cenno: «Ciao Abby, ciao Connor».

    «Ciao ragazzi» rispondono i due che ci passano a fianco.

    Mi guidano fino a un attico nell’ultimo piano. Le pareti sono da una parte in vetro, e permettono di avere una vista della città, che sembra stendersi fino all’orizzonte, dall’altra invece hanno incastonata nel muro una specie di serra. Ci sono dei divani grigi, con alcuni cuscini verdognoli, su cui è seduto un uomo che legge un giornale. C’è anche un tavolino al centro con appoggiati sopra degli appunti e dei fiori.

    Appena ci vede, l’uomo lo lascia cadere sul piano del tavolo.

    «Ehi James» Carter gli fa un cenno.

    «Ero sicuro che voleste stare in mezzo alla natura per almeno tre settimane. Così mi avevate detto... chi è questo e che cosa ci fa qui?!» chiede James già irritato. Immagino che lo faccia incazzare la sola presenza di Carter.

    «Lo abbiamo ripescato sull’isola. È impossibile cancellargli la memoria. Non porta lenti a contatto o altri dispositivi che possano rifrangere l’onda elettromagnetica. Abbiamo fatto degli esami ed è risultato che i suoi lobi temporali sono come disattivati, neuroni e corteccia ingrossati. Mai vista una cosa del genere. Non si ricorda nulla ed io non so proprio che fare» spiega Carter.

    «Tu che non sai cosa fare oltre che una cosa nuova è davvero preoccupante...» James mi squadra da capo a piedi cercando di capire cosa c’è che non va, ma anche lui non trova disagi in me. «A questo punto non ci rimane altro che tenercelo».

    «Ma James...» Carter prova a protestare ma James lo interrompe subito.

    «È una decisione che non ammette repliche. È un rischio, lo so, ma dobbiamo correrlo. Siamo a corto di personale e non possiamo lasciarlo andare in giro senza memoria. Per quanto ne sappiamo potrebbe essere un killer... Inoltre ormai ha visto tutto».

    «È un rischio troppo grosso, senza contare che lo manderemo al macello» Carter conclude comunque la sua frase.

    «Non se voi lo addestrerete prima».

    «Scusate!!» mi intrometto «Non fate come se non ci fossi e ditemi che cazzo succede. Sono senza memoria non senza neuroni...».

    Claudia fa un sorrisino: «Non avrai memoria ma hai carattere...».

    James mi guarda intensamente prima di rispondere: «Siediti che è meglio...» faccio come mi ha detto.

    «Attendo spiegazioni».

    James prende un respiro profondo prima di continuare: «Io sono James Lang e sono l’amministratore delegato dell’ARC, cioè l’Anomalies Research Center. Siamo un’organizzazione governativa con sedi in tutto il mondo obbligatorie. La gente apprezza il nostro lavoro ma non vuole averci a che fare per via del panico che potrebbe causare. In pratica siamo quelle persone che si occupano del benessere pubblico e del mantenimento dell’equilibrio scientifico. Vedi, a volte passato, presente e futuro coesistono in un unico luogo definito campo magnetico alternativo. Si crea una corrente, che dà origine a un campo magnetico, che però si origina in senso inverso rispetto al normale per motivi che ancora non conosciamo e dà origine a quella che più semplicemente viene detta porta spazio temporale. Queste possono essere di tre tipi: solo temporali, stesso luogo epoca diversa, solo spaziali, stessa epoca ma luogo diverso, e infine sia spaziali che temporali, con sia luogo che epoca diversi dal luogo di origine. Queste porte hanno apertura e grandezza variabile. I nostri scienziati si impegnano per studiarle e prevederne l’apertura in modo da contenerla. Da queste porte però a volte fuoriescono creature che non dovrebbero stare nella nostra epoca, come dinosauri, creature futuristiche, aliene o altro. Il nostro compito è quello di riportarle indietro, senza però ucciderle per evitare di cambiare il flusso del tempo. Le porte rimangono aperte per un lasso di tempo limitato, perciò se qualche creatura non riesce a tornare indietro la portiamo sull’isola che hai visto in attesa che la porta si riapra. Questo ti sembrerà in qualche modo assurdo ma ti posso garantire che è così».

    «Si fidi Lang, l’assurdità è qualcosa di veramente superfluo per me».

    «In ogni caso ora tu ne farai parte, per cui scegli pure dove vuoi stare. Abbiamo sezioni di tutti i tipi: sicurezza militare e informatica, ricerca e sviluppo e il Team Progetti Speciali, di cui fanno parte i tuoi nuovi amici qui».

    «Posso scegliere qualsiasi cosa?!» chiedo.

    «Sì certo» risponde James.

    «Allora credo proprio che sceglierò il Team Progetti Speciali».

    Mi volto verso Claudia, Tim e Carter con un gran sorriso, poi vedo le loro facce sgomente e quasi mi pento di aver fatto quella scelta... anche se non ne capisco ancora il motivo.

    ULTERIORI ESAMI

    Data la mia ultima scelta vengo portato in un ambulatorio dove questo ragazzo di nome Connor inizia a farmi una serie di esami che prevedono: prelievi di sangue, urine, tamponi alle mucose nasali e orali e visita oculistica. Esamina anche le lastre che gli ha portato Carter. Devo attendere i risultati qualche ora e nel mentre Connor mi fa una serie di domande mediche del tipo: «Qualche allergia? Mai avuto malattie infettive?», a cui però devo sempre rispondere «Non me lo ricordo».

    Quando arrivano i risultati e Connor li esamina, rimane sorpreso.

    «Allora, a giudicare dalla quantità di carbonio nel cristallino dovresti avere all’incirca 27 anni. Hai completamente smaltito il veleno del megalania, risultato notevole per chiunque... però ho delle cattive notizie: non so se la memoria possa tornarti. I neuroni del tuo lobo temporale sono come atrofizzati, in stato di quiescenza. Capisci quello che dico?!».

    «Più o meno...».

    «I tuoi neuroni sono come dormienti» Connor fa le virgolette con le dita «Gli impulsi che dovrebbero passare tra di loro non passano per qualche motivo, ma sarebbe troppo rischioso sottoporti a un intervento per verificarlo. Non so cosa possa svegliarli. Potrebbero svegliarsi da soli come no. Io spero per te che lo facciano ma non ho proprio idea di quanto potrebbero impiegarci. Non ho mai visto niente del genere, capisci?! E dalle lastre che mi ha dato prima Carter io non vedo nessun danno fisico».

    «Beh fantastico...» commento sbuffando. È una notizia che mi devasta non sapere se riavrò i ricordi. Forse non saprò mai come mi chiamo, da dove vengo e come sono arrivato su quell’isola.

    «E inoltre... – Connor mi mostra una boccetta ripiena di liquido nero –questo è il tuo sangue. Non so perché abbia questo colore, ma probabilmente è perché sei stato a contatto con una porta spazio temporale. Questo spiegherebbe anche il perché il tuo sistema nervoso sia infiammato, con neuroni e corteccia ingrossati. A volte se le attraversi senza protezione rischi di inalare sostanze tossiche. Tu non ne hai traccia, quindi le devi aver smaltite, però gli effetti possono persistere per qualche giorno».

    «Capito» rispondo.

    «Ah! A proposito: spero che James non ti abbia spaventato troppo con il suo essere criptico...» commenta Connor per sdrammatizzare la situazione.

    «No, mi è parso un gran cucciolone...» commento ridendo.

    «Meglio così. Quando ha visto me per la prima volta mi ha terrorizzato».

    «Sei qui da tanto?!» chiedo.

    «Sei anni e mezzo – risponde Connor – ora perché non lasciamo da parte la scienza per un po’ e ti troviamo una stanza?!».

    «Una stanza?!» chiedo.

    «Beh sì, vedi ora sei dei nostri per cui dormirai con noi. Non è consigliabile avere una casa propria visto che passiamo la maggior parte del tempo in giro per il mondo» mi spiega «Quindi dai vieni».

    «Okay...».

    Seguo Connor verso un’altra sezione dell’edificio. C’è un lungo corridoio con dozzine di porte ai lati. Sul pavimento c’è un tappeto rosso. Connor si ferma davanti a una porta la 415, la apre con un badge e si scosta dalla soglia per farmi entrare. Fischio d’ammirazione. È una suite stupenda, che offre anche una bella vista sulla città. Ha un terrazzo gigantesco e... e c’è uno schermo appeso al muro tutto nero che non so cosa sia...

    «Quella si chiama TV» dice Connor, che deve essersi accorto della mia confusione. Gli faccio un cenno d’assenso mentre cerco di scavare nella mia mente alla ricerca della TV ma non mi sembra di averne mai vista una.

    «Io ti lascio da solo così ti sistemi un po’. Dopo prenderemo delle misure, così potrai avere dei vestiti decenti» dice Connor.

    «Okay... grazie...» mi guardo ancora intorno spaesato.

    Connor chiude la porta. Appena sento la serratura scattare mi sdraio sul letto cercando di ricordarmi come sia averne posseduto uno tutto mio, ma ancora una volta non salta fuori niente tranne il nome Sinclair.

    Cerco di concentrarmi su quello per spremere il maggior numero di informazioni possibili per basarmi almeno su qualcosa. Immagino che debba essere importante per me se è l’unica cosa ad essermi rimasta impressa. Prendo un bel respiro e chiudo gli occhi, cercando di rilassarmi per pensare meglio. Lui si chiama Sinclair. A giudicare dalla voce è un uomo. Ha capelli... No i capelli non riesco proprio a immaginarmeli... I suoi occhi... i suoi occhi non mi vengono in mente. Il suo volto non riesco a visualizzarlo. Nemmeno il suo aspetto fisico. Immagino che sia arrabbiato a giudicare dalle parole che lui ha pronunciato ma a parte questo... il nulla. Anche Sinclair è un punto cieco. Poi penso di chiedere a Claudia o Tim o Connor. Mi alzo e vado alla porta. La apro e mi ritrovo di fronte a Claudia con la mano a mezz’aria.

    «Stavo per bussare...» dice sorridendo.

    «E io stavo per venirti a cercare...».

    «Ah bene. Hai bisogno di qualcosa?!» chiede.

    «In effetti sì... non ricordo nulla a parte la voce di un tizio chiamato Sinclair. E mi chiedevo se voi conosceste qualche Sinclair» spiego.

    «Ah... allora io personalmente non conosco nessun Sinclair, e qui non lavora nessuno con quel nome. Se vuoi possiamo cercarlo nei database».

    «Sarebbe fantastico».

    «Allora vieni dai».

    Claudia mi guida attraverso i corridoi dell’edificio fino alla sezione informatica dove ritroviamo Tim davanti a uno schermo che gioca a qualche gioco online imprecando.

    «Ehi Tim, aiutiamo il nostro nuovo amico a cercare qualcosa sul suo passato» dice Claudia.

    «Arrivo subito... datemi mezzo secondo... eeeeeee... ho vinto di nuovo» dice Tim esultando «Allora amico mio, dimmi tutto».

    «Vorrei che mi aiutassi a ricordare un certo Sinclair».

    «Okay... nome o cognome?!».

    «In che senso?» chiedo confuso.

    «Sinclair può essere sia un nome che un cognome» dice Claudia.

    «Ah...» mi gratto la testa imbarazzato «Io non saprei... forse il nome».

    «Okay, e come si scrive?!» chiede ancora Tim.

    Mi mordo il labbro cercando di riflettere...

    «Veramente non lo so... ricordo solo la sua voce e lui che pronuncia il suo nome».

    «Così è un po’ troppo vago amico. È vero che siamo alle soglie del 2021 ormai, ma la tecnologia è quello che è, ed io non posso trovarlo a meno che non mi dici come si chiama» dice Tim.

    «Inizia con i social network – propone Claudia – avrai avuto Instagram no?!».

    «Non saprei...» rispondo. Quella parola non credo di averla mai sentita prima, ma come già detto potrebbe essere un altro degli scherzi della mia mancata memoria.

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