Phobia
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Una raccolta di racconti, brevi lampi di luce che illuminano gli angoli bui, dove si nasconde l'ignoto, curata da Cristian Borghetti, regala al lettore una visione inusuale dell'horror, narrata a due voci, una maschile ed una femminile.
E questo coro di terrore non ha che un nome: Phobia
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Anteprima del libro
Phobia - Cristian Borghetti - Kuchisake
Cristian Borghetti - Kuchisake
Phobia
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Indice dei contenuti
Intro
- Snowflake -
- WaLterproof -
- La strega di Salhem -
- Il male d'inverno -
- Coraggio -
- Zampette nere -
- Il corvo -
- Alla fine dell’estate -
- La folla -
- Ossa di vetro -
Note
Intro
Nè tu nè io siamo un libro,
per quanto bello e immortale ti sembri.
Siamo mille libri, mille storie, mille racconti
già scritti o ancora da vergare,
con penne di piuma o bisturi d'acciaio,
con un arcobaleno di inchiostri.
- Snowflake -
Mi si accoccolava sul petto ogni volta se ne presentava l'occasione e riempiva l'aria di quel suo ronzio, basso e profondo, che raccontava di tutta la sua felicità.
Era entrato nella mia vita un caldo pomeriggio di fine luglio.
Piccola, spettinata pallina di pelo sporco, con due occhioni azzurri che ne divoravano il
musetto aguzzo.
Ci eravamo studiati circospetti: una donna sola, stanca di aprire gli occhi e tuffarsi, ogni giorno, nella solita, trita, routine, lavoro, casa, libro...
Un piccolo felino randagio, già toccato dalla vita, da ritrarsi di fronte ad una mano tesa.
Mi era piaciuto quell'esserino tutto ossa.
Mi era piaciuta la voracità famelica nel bere il latte senza distogliere gli occhi da me;
mi era piaciuta la sua immediata indipendenza, il coraggio di esplorare ogni angolo della mia dimora con la coda ritta e le orecchie tese.
E così Snowflake era entrato nel mio mondo ed io nel suo.
Avevamo imparato a rispettare i nostri confini reciproci, a suon di graffiate e voli attraverso la stanza...
Riconosceva i miei momenti no ed io i suoi.
I mesi, gli anni si infilarono, veloci, uno dietro l'altro.
E noi diventammo una coppia di vecchi conviventi: non occorrevano parole o versi per capirci perfettamente.
Snowflake non perse mai la sua natura felina, sebbene amasse vivere in casa, aveva la sua vita segreta, che iniziava con il calar del sole e terminava, spesso, solo a mattina.
Aprivo la finestra della mia camera e lui appariva, niveo bagliore nella luce tenue.
Un veloce otto tra le gambe, una sosta alla sua ciotola e via, appallottolato tra il cuscino e il materasso, sulla mia parte di letto.
Detestabile abitudine di un animale, per altro, assolutamente ordinato e dedito alla toelettatura quotidiana con la pignoleria di un'istitutrice.
Una mattina, era il primo luglio, però, mancò il nostro appuntamento: aprii la finestra e non comparve, per la prima volta, nella nostra lunga convivenza.
Mi sporsi con lo sguardo rivolto al limite del bosco che lambiva il confine della mia proprietà, certa di cogliere il lampo candido del suo corpo snello.
Nulla.
Non si muoveva niente, né foglie né voli d'insetti, né uccelli...
Niente.
Un'immobilità sospesa ed aliena avvolgeva la natura.
Avverti il tocco lieve e ghiacciato del disagio sfiorarmi la nuca.
Passarono i giorni, due, tre, cinque...
Ormai disperavo di rivedere il mio agile coinquilino.
Tutte le mattine aprivo le persiane, con la speranza, frustrata, di vederlo comparire; dopo il caffè, prima di avventurarmi nel traffico dei pendolari, entravo nel bosco, un pacco di croccantini nella mano, agitato come una marachas, urlavo il suo nome tra i rami densi di foglie estive...
Nulla.
Snowflake era scomparso.
Mi accorsi di quanto la sua assenza mi violentasse nel confronto con la mia solitudine.
Una solitudine costruita negli anni, con attenzione e cura; una solitudine che credevo appagante...
«Basto a me stessa!»; quante volte mi sono ripetuta questo ritornello arrogante?
Fino a convincermene, fino a che la sparizione di uno stupido gatto bianco non mi ha mostrato il Re nudo...
La pochezza della mia vita...
Poi, una torrida mattina di un'estate senza pioggia, aprendo le persiane senza alcuna attesa, me lo trovai davanti.
Magro, arruffato, di un bianco abbagliante nella luce solare: Snowflake!
Non penso di aver mai provato un'emozione simile: il cuore a mille, gli occhi pieni di sciocche lacrime sentimentali, lo abbracciai affondando il naso nella pelliccia vibrante di vita, aspirando l'odore felino della sua pelle.
Sembrava stare benissimo, semplicemente smagrito e arruffato, con un orecchio intaccato da una qualche ferita di guerre lontane, ormai perfettamente cicatrizzata.
Divorò il pasto con voracità e si accoccolò al suo posto, sul letto.
Lo osservai compiere le sue operazioni di bellezza e mi accorsi che aveva i polpastrelli e il pelo tra essi intrisi di sangue.
Pensai si fosse azzuffato, o avesse, come spesso faceva, catturato qualche preda gustosa, divorandola prima di appoggiarla, come un trofeo, sulla porta di casa.
La nostra routine riprese, quasi non si fosse mai interrotta.
Eppure il sottile disagio che provai la mattina in cui, per la prima volta, non si presentò all'appuntamento, mi assaliva, a volte, quando coglievo il suo sguardo inseguire i miei movimenti.
Scomparve altre volte, quell'estate.
Ritornava due, tre giorni dopo, sempre con le zampe sporche di sangue rappreso, senza apparenti ferite o segni di violenza.
Non saliva più sul mio petto, per ronfare soddisfatto, ma faceva davvero caldo e la cosa non mi dispiaceva.
A volte mi inquietava quel suo muoversi furtivo e silenzioso, sembrava in allerta, pronto a colpire...
Ridevo tra me: è solo