La mia vita in 2D
Di Anna Ferrara
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Anteprima del libro
La mia vita in 2D - Anna Ferrara
Prefazione
Se dovessi dire cosa mi ha portato a scrivere questo libro, confesserei che è stato il desiderio di lasciare qualcosa di mio
al mondo. È la mia pietra d’inciampo. È sapere che sarò ricordata da qualcuno quando non ci sarò più. Che la morte non ha vinto. Che la morte è un passaggio. Che la nostra missione è contribuire alla formazione morale di coloro che vivono intorno a noi.
Ricordare ciò che è stato di noi, del mondo, e sapere che ci sono e ci saranno sempre dei punti fermi attorno ai quali costruire la nostra vita, dei valori inderogabili che ci tengono in piedi, che penetrano nello spirito con radici profonde e ci sospingono verso altezze sconosciute.
È il desiderio di semplicità, di rimanere nell’essenziale, di guardare il mondo e trovarci l’infinito.
Perché il passato c’insegni, perché il passato non vada dimenticato o distorto.
Perché la vita che abbiamo ha un senso al di là della vita stessa.
La consapevolezza
Era il 2009, e la novità dei film in 3D stava dilagando.
Con il mio fidanzato e con alcuni amici andai al cinema a vedere Viaggio al centro della Terra
, in 3D appunto. Era il mio primo
film in 3D, e già pregustavo il momento.
Fui fornita di occhialini e li indossai subito, sopra gli occhiali che già porto.
Comincia il film, e io sento le esclamazioni di stupore degli spettatori al rimbalzare delle palline, al movimento dello yo-yo, e non capisco … Cosa c’è da stupirsi? Per me è un film come un altro, non vedo nessun effetto particolare.
Massimiliano (il mio fidanzato) mi dice: Guarda lì!
, È bellissimo!
, Sembra che esca fuori dallo schermo!
; ma io non vedo niente di strano. È un film come tutti gli altri.
Poi, improvvisamente, ho una rivelazione: capisco che sono solo io che non vedo quelle cose, che c’è qualcosa che non mi permette di vedere come gli altri, e … comincio a piangere, mentre tutti si sbalordiscono e prorompono in esclamazioni di sorpresa.
Piango, mi levo gli occhiali 3D e guardo alcune scene senza, ma l’immagine è sdoppiata e con le lacrime negli occhi non vedo un bel niente.
Rimetto gli occhiali e continuo a piangere ma mi vergogno. Allora cerco di smettere e vedo la pellicola. Quando esco dal cinema non ricordo niente di quello che ho visto.
Il mio primo film in 3D mi ha rivelato una cosa di me che non sapevo ancora: io vedo in 2D.
La presa di coscienza del fatto che la mia visione del mondo sia sempre stata bidimensionale, oltre a gettarmi nello sconforto, mi ha rivelato una diversità di sguardo che, limitandomi da un lato, mi dà unicità dall’altro.
Cosa c’è di più drammatico che prendere coscienza di avere una visione del mondo ridotta
rispetto agli altri?
La causa
Dopodiché ho cercato di capire perché ho solo la visione bidimensionale.
Dipende dal fatto che sono strabica, ho un occhio che si sposta verso l’esterno.
Normalmente gli occhi coordinano il movimento dei muscoli oculari e si ha la convergenza dello sguardo su un unico obiettivo. Invece, nel mio caso, ogni occhio ha la sua visione e il cervello fa alternativamente prevalere l’una o l’altra o anche sempre quella dello stesso occhio (l’occhio dominante) a scapito dell’altro che diventa ‘pigro’ e più debole. Quindi io non ho la convergenza, l’orientamento sullo stesso obiettivo degli occhi e non ho il senso della profondità: la terza dimensione
.
Questa scoperta, a pensarci, è per me una menomazione (certamente esistono menomazioni ben più gravi) che mi fa sentire come un prigioniero a vita che sa che esiste una realtà più ampia della sua ma non la può mai raggiungere (quasi come il prigioniero liberato nel mito della caverna di Platone).
Il mio difetto visivo me lo porto dietro dall’età di due anni, quando, dopo la vaccinazione antipolio, ebbi una febbre altissima e l’insorgere dello strabismo.
Ho avuto un intervento correttivo a entrambi gli occhi, a nove anni, che non è stato risolutivo. In effetti mi dissero i dottori che avrei dovuto fare un’ulteriore operazione di correzione definitiva, ma non ho mai avuto il coraggio di farla, un po’ per paura