Il management come missione: La storia professionale di un top manager che ha vissuto con passione il suo impegno nella gestione di imprese private, aziende pubbliche, associazioni di rappresentanza e organizzazioni di volontariato
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Anteprima del libro
Il management come missione - Giuseppe Truglia
PRESENTAZIONE
di Flavio Sangalli,
Docente all’Università di Milano Bicocca
e all’International Master of Sport Management di Bruxelles
Questo libro scritto da Giuseppe Truglia è un’altra bella storia positiva che arricchisce la nostra collana.
Molte sono le lezioni di comportamento personale e organizzativo che si possono trarre dalla lettura del testo perché l’Autore racconta un percorso professionale ricchissimo di esperienze manageriali in primarie aziende private, imprese pubbliche, associazioni di rappresentanza e organizzazioni di volontariato.
Una vita ricca e bilanciata nel perseguimento dei risultati organizzativi, nell’interesse per lo sviluppo delle persone, per la tutela dei colleghi manager e infine per la solidarietà sociale verso chi è in difficoltà, senza perdere l’affettuosa attenzione verso la famiglia.
Interessante è il riconoscimento che Giuseppe Truglia ha verso i suoi maestri nel lavoro e nella vita, confermando la centralità di queste figure nella crescita personale e professionale. A ciò si collega l’impegno costante per l’apprendimento da perseguire per tutta la vita. Figure di riferimento per la propria crescita e la capacità di apprendere continuamente sono linee guida per l’eccellenza personale, come ho scritto nel mio recente libro (Alta prestazione, Mursia, 2020).
Un’altra lezione che dobbiamo trarre è quella del valore dell’innovazione organizzativa del lavoro, che nel terziario è cruciale, e dell’innovazione non solo tecnologica ma soprattutto culturale.
Risulta quindi particolarmente significativa l’attenzione da lui posta per tutta la vita professionale alle persone vissute non come costo, ma come individui da rispettare e da riconoscere pieni di potenzialità. È questa una lezione che molti manager, magari efficienti ma non efficaci, dovrebbero apprendere.
Sempre nella stessa direzione va l’importanza che l’Autore assegna alla virtù dell’ascolto, del confronto, della determinazione e del coraggio nelle scelte personali e professionali. Le difficoltà maggiori si superano infatti con la cooperazione, con il rispetto delle controparti per giungere ad accordi in grado di generare valore per tutti.
La passione per l’attività manageriale si è sommata a una profonda attenzione valoriale e la migliore conferma viene dalla sua vita professionale che in oltre cinquant’anni ha associato l’impegno nel settore privato, nel pubblico, nel sindacato di categoria per concludersi con il mirabile volontariato nella gestione della Fondazione San Patrignano.
In sintesi una vita ben vissuta e bella da leggere.
PREFAZIONE
di Mario Mantovani,
Presidente di Manageritalia
e della Confederazione Italina Dirigenti d’Azienda
Giuseppe è una delle tante persone da cui ho imparato tanto. Appartiene a quella categoria di maestri senza cattedra, che insegnano raccontando, lasciando trasparire una visione del mondo, in modo apparentemente semplice, con la loro vita.
Qui si racconta con stile lineare, logico e appassionato, facendo scorrere gli eventi e fermandosi a spiegare le sue scelte, così chiare nei suoi ricordi da poter essere presentate con freschezza, come se fossero avvenute ieri.
Sotto il suo sguardo lucido scorre la storia di un settore, la grande distribuzione in Italia, che ha trainato l’evoluzione del nostro Paese e ancora oggi mostra tassi di crescita della produttività in linea con i partner europei (ed è ahimè un’eccezione). Una storia manageriale in cui la curiosità informata e l’investimento sulle competenze emergono come leve fondamentali della crescita, non solo personale, ma di ogni organizzazione.
Una storia in cui la sua esperienza in Manageritalia accompagna la vita professionale, arricchendola: il lavoro in azienda era molto impegnativo, gli impegni si potevano conciliare
è la migliore risposta a chi ritiene incompatibili la carriera in azienda e l’impegno in un’associazione di rappresentanza. Conciliare
significa dilatare l’orizzonte, comprendere il proprio ruolo, imparare a focalizzarsi su ciò che è essenziale. Il tempo che Giuseppe mette a disposizione di Manageritalia, anche oggi, non è mai di presenza passiva, reca sempre un messaggio e un contributo.
E come in tutte le grandi storie, quando sembrano avviarsi a una tranquilla conclusione, appare una nuova sfida, differente per l’ambito, per i problemi, per la drammaticità delle vite che s’incontrano a San Patrignano. È sorprendente la serenità, la modestia e la linearità con cui Giuseppe racconta la fase di trasformazione della più nota Comunità di recupero italiana, riuscita al di là di molte aspettative, oggi così diversa da quando fu fondata eppure viva nello stesso spirito di speranza e volontà. E credetemi, in questo successo c’è tanto della visione di vita, dello stile, della volontà e della passione di Giuseppe. Andare a Sanpa per credere.
1. I primi lustri
Sono nato nella prima metà dell’ultimo secolo dello scorso millennio, il secolo breve e precisamente nel novembre del 1942, uno scorpione.
Erano anni difficili anche per Bari, dove i miei genitori già con tre figli avevano deciso di trasferirsi dalla Calabria per ampliare le prospettive ed opportunità da offrire alla famiglia.
Avevano deciso di seguire un fratello più giovane di mia madre che aveva sposato una barese e viveva in una villa nel quartiere San Cataldo.
Da qui partono i miei ricordi di quei primi anni in famiglia trascorsi in questo quartiere molto vicino al centro della città.
Uno stupendo lungomare circondava il porto molto affollato in quel periodo di guerra sia da navi mercantili che da parecchie navi militari della flotta italiana. L’intero quartiere era circondato dal mare e attraversato da tante stradine ed una sola grande arteria, poche le abitazioni e tante le ville di diverse dimensioni con un decoroso assetto urbanistico ed architettonico.
Noi abitavamo nella Villa Cozzi
che disponeva di modesti spazi interni ed ampi spazi esterni, poche le auto e tanti i ragazzi che animavano il quartiere con i loro giochi, le corse, le partite di calcio, la costruzione di semplici giocattoli e la vita all’aria aperta.
Il ricordo più forte di quella casa è il suono delle sirene che annunciavano i bombardamenti e bisognava correre tutti verso i rifugi che si trovavano nelle cantine dei pochi fabbricati del quartiere o verso particolari locali destinati alla protezione, sicurezza, difesa militare.
Nei mesi invernali vento e pioggia coinvolgevano il quartiere che essendo molto vicino al porto godeva di particolare attenzione da parte degli aerei da bombardamento ed in una delle corse notturne verso il rifugio sono caduto, sono rimasto indietro rispetto al resto del gruppo e mia madre ha dovuto ripercorrere la strada per recuperarmi, portarmi in salvo e superare difficoltà e pericoli. Questa era la guerra in quei tempi nella mia città. Non mi dilungo sui dettagli che dopo tanti anni non interessano più ma io desidero solo ricordare questo episodio che non mi ha mai abbandonato sia negli anni della crescita che in quelli successivi.
Abbiamo cambiato altre case durante il periodo scolastico ma siamo rimasti sempre nel quartiere, prima in via del Faro molto vicina alla scuola elementare Marconi, che ho frequentato per tutti i cinque anni e potevo raggiungere da solo senza pericoli e senza accompagnatori. Entrano nella mia vita questi fabbricati importanti del quartiere. Il Faro vero riferimento del quartiere tutto bianco si ergeva sulla punta di San Cataldo al lato ovest del porto sul mare Adriatico. È alto ٦٧ metri, aperto nel 1869 a forma ottagonale, 380 scalini, abbellito da un grande giardino ed alberi da frutta. Un vero guardiano del mare che per oltre centocinquanta anni ha regolato il traffico navale di avvicinamento al porto con i suoi lampi di luce ad intervalli di venti secondi intercettati dalle navi già a ventitré miglia dalla costa.
Il guardiano del faro aveva la responsabilità di alimentare la lampada, issare ed ammainare la bandiera; era una figura mitica per tutto il quartiere e di grande reputazione. Nella stessa area nel 1904 era stato inaugurato il primo collegamento radiotelegrafico via etere, per scopi commerciali, con la città di Antivari in Montenegro sulla costa opposta ad opera di Guglielmo Marconi che negli anni successivi diede il nome alla scuola elementare che io frequentavo. Episodio straordinario, pioneristico, di valore nazionale e non solo, che contribuì a sviluppare opportunità commerciali nuove e rinforzare la vocazione mercantile del territorio. Per completare la descrizione del quartiere e comprendere gli elementi che hanno accompagnato la mia adolescenza desidero evidenziare che oltre al faro ed alla scuola Marconi in aree adiacenti il porto erano state costruite Casematte
in pietra a protezione del territorio e diventate dopo la guerra luoghi di gioco per tutti i ragazzi.
Continuando il racconto dei miei primi lustri di vita nel quartiere San Cataldo di Bari mi piace evidenziare che furono anni molto belli e che il faro, la scuola elementare, il lungomare, le botteghe commerciali ed artigiane, i giardini e gli ampi spazi erano diventati luoghi di incontro, giochi e frequentazione con i tanti compagni di scuola ed amici e gli anni 50 sono stati anni di animazione, innovazione, di grandi discussioni che impegnavano le nostre ore libere e le lunghe passeggiate quotidiane. Anche lo sport e non solo il calcio impegnò le nostre ore libere grazie alla presenza in zona di un Centro Universitario Sportivo specializzato per il canottaggio, la vela ed altri sport. Un piccolo quartiere circondato dal mare, con pochi abitanti e con tante infrastrutture che per quegli anni potevano certamente essere considerate una grande opportunità. Il porto con i suoi traffici mercantili, il faro con il suo secolo di vita, la scuola Marconi con la sua gloria scientifica, il CUS con le sue attività sportive, la Fiera del Levante luogo di incontri per valorizzare tutta l’economia meridionale e porta verso Oriente, le acciaierie pugliesi, i mercati generali per la frutta e la verdura con le loro grandi aree di movimentazione e commercio, lo stadio.
Nel 1953 venne inaugurato il CTO centro traumatologico ortopedico, ospedale specializzato nella cura di malattie che erano conseguenti ad incidenti del lavoro. Era dotato di strutture innovative e personale di grande qualità che ne fecero subito una eccellenza con ampie e benefiche ricadute su tutto il quartiere. Era dotato inoltre di servizi straordinari che, nati per i malati, furono dopo resi disponibili per i dipendenti e per i residenti, in particolare i ragazzi del quartiere: parlo di cinema, teatro, palestra, piscina, parco giochi, giardini, chiesa con gesuiti e suore straordinarie che in breve tempo divennero punto di riferimento per i ragazzi della mia età.
Non posso dimenticare che in questo quartiere si correva dal 1947 e sino al 1956 il gran premio automobilistico di Bari per circa cinque chilometri e mezzo attraverso la urbana via Napoli, il lungomare, la fiera. Vi partecipavano scuderie molto prestigiose come Maserati, Alfa Romeo e la piccola Ferrari con piloti che già all’epoca erano famosi come Ascari, Nuvolari, Taruffi, Fangio, Villoresi, Stirling Moss. Ricordo tutto con molta chiarezza, era una grande festa, tutti aspettavamo questo evento e ci si preparava a seguirlo non dalle tribune ma dalle terrazze delle case che fiancheggiavano il percorso. Si seguivano le prove ufficiali e le gare con la strumentazione necessaria per misurare tempi, graduatorie provvisorie e classifiche. Certo le velocità non erano quelle dei circuiti attuali ma si girava a medie