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Una vita in moto: Un’esistenza sempre attiva e le riflessioni sui valori e i comportamenti personali e professionali che l’hanno caratterizzata
Una vita in moto: Un’esistenza sempre attiva e le riflessioni sui valori e i comportamenti personali e professionali che l’hanno caratterizzata
Una vita in moto: Un’esistenza sempre attiva e le riflessioni sui valori e i comportamenti personali e professionali che l’hanno caratterizzata
E-book103 pagine1 ora

Una vita in moto: Un’esistenza sempre attiva e le riflessioni sui valori e i comportamenti personali e professionali che l’hanno caratterizzata

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Info su questo ebook

"Non ho mai capito perché quando arrivi ad un certo punto ti costringono a tirare le somme. Evidentemente lo si fa per convenzione: io amo pensare di non essere mai arrivato... Chi mi sta vicino sa che quando si parte per andare in un posto, poco tempo dopo l’arrivo io sto già pianificando la ripartenza. “Concludere” è una parola che toglierei volentieri dal vocabolario, perché secondo il mio modo di vedere significa finire, spegnere la luce». Tanti anni passati nel mondo del lavoro come pure in quello della passione per un marchio di motociclette e in quello per l’amore verso il mondo animale. Prestare attenzione a tutto ciò che ci circonda significa osservare e riflettere. Sono una infinità gli scenari o i modelli disponibili, ma operare le scelte non è facile: gli errori sono sempre dietro l’angolo, ma non bisogna mai fermarsi, bisogna restare perennemente in moto." Mario Arosio
LinguaItaliano
Data di uscita28 lug 2021
ISBN9788832762174
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    Anteprima del libro

    Una vita in moto - Mario Arosio

    PREFAZIONE

    di Flavio Sangalli, Università di Milano Bicocca

    Mario Arosio è un manager internazionale, imprenditore, presidente del Moto Guzzi World Club e un appassionato di animali. Una persona quindi che ha raggiunto importanti risultati professionali e di crescita personale con un lungo percorso di vita.

    È infatti partito da una realtà artigiana di provincia, tuttavia ricca di insegnamenti come si vede nell’esposizione del testo che inizia con una bella rappresentazione di ricordi, di usi e di vissuti dell’infanzia, che sono stati per me piacevoli avendo condiviso quei tempi e quei luoghi.

    Il testo che presentiamo è perfettamente coerente con il concept della collana Storie positive in cui lo pubblichiamo. Infatti la narrazione del vissuto personale è densa di esempi e valutazioni che riconducono a un comportamento che può essere un buon esempio da conoscere.

    L’imprinting iniziale, potremmo dire di tipo antropologico culturale, è quello della cultura della Brianza dove il lavorare e il lavorare bene era innanzitutto un criterio di valutazione sociale delle persone.

    Ne segue una lezione fondata sulla capacità di scegliere con forza la propria strada anche superando le aspettative altrui per seguire la propria vocazione esistenziale. Seguono poi una serie di considerazioni nate dall’esperienza manageriale che mettono in evidenza fattori considerati primari da Mario Arosio quali il rispetto delle persone e l’umiltà di osservare per realizzare una leadership coinvolgente in grado di portare una squadra, e non un singolo individuo, a importanti successi.

    Interessante è la rivisitazione della metafora del bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno per vederlo invece complessivamente come una opportunità che include dei vantaggi e ovviamente qualche rischio. E per coglierla occorre, come l’autore scrive, avere capacità di decisione, volontà di azione e riconoscimento del valore del merito nella valutazione delle persone e dei risultati. Insomma, la leva vincente diventa la determinazione e la forza di non mollare.

    Presentiamo quindi un’esperienza di leadership professionale e anche personale che corrisponde molto ai profili di comportamento eccellente indicati nel mio ultimo libro di managenemt (ALTA PRESTAZIONE, Ed. Mursia, 2020).

    Posso concludere significativamente questa prefazione richiamando una bellissima ed educativa affermazione che Mario Arosio scrive con convinzione e cioè che guardare il futuro da soli è difficile. Una lezione di vita che vale per tutti.

    1. OSSERVARE E IMPARARE

    Non erano passati tanti anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, ero piccolo, ma certi ricordi rimangono impressi nella memoria per tutta la vita.

    A Natale si aveva un solo regalo, nella calza della Befana c’erano dei dolci e un mandarino. Se avevi fatto qualcosa di negativo meritavi anche il carbone che era quello vero a forma di ovetto e se non sbaglio lo chiamavano coke, usato nelle moderne stufe Warm-Morning: ottimo sistema per far aumentare di volume la calza a costo zero, soprattutto perché avvolto in un foglio di carta.

    Natale era comunque il giorno più importante dell’anno.

    La mattina si assisteva alla messa grande con un sostenuto numero di diaconi, che chiamavamo cereghett, vestiti con paramenti tutti rossi che scortavano l’officiante.

    L’organo, vanto della chiesa prepositurale di Lissone accompagnava ogni piccolo gesto dell’officiante e il coro sovrastava ogni altro rumore.

    Era strano, ma solo in quel giorno ti ricordavi di ammirare il campanile alto ben 75 metri.

    Grande soddisfazione era quella di poter accedere al locale dove si riunivano i campanari che tirando enormi funi facevano rintonare in tutto il paese un motivo natalizio.

    Il nonno paterno era uno di loro e io ero più che orgoglioso di essere suo nipote.

    Quando entravi in quel locale notavi subito l’alto soffitto in legno con dei fori da cui passavano le funi collegate alle campane e i campanari aumentavano il loro fascino tenendosi ben saldi alle funi e lasciandosi tirare verso l’alto con bambini e adulti a bocca spalancata per lo stupore

    Ricordo di aver visto il nonno l’ultima volta nel suo letto di morte: era vecchio perché allora un uomo a 56 anni aveva già fatto il corso della sua vita.

    Una volta si moriva di mal di pancia o perché non si respirava più e quanta strada è stata costretta a fare la medicina solo per dichiarare che si moriva di tumore o di malattie polmonari causate dall’ambiente di vita o di lavoro.

    Sarebbe bastato solo un po’ più di volontà, di caparbietà, di umanità da parte di chi aveva potere decisionale e invece si dimenticavano del rispetto dovuto agli altri esseri.

    Se confrontiamo con ciò che avviene ai giorni nostri notiamo grandi passi di miglioramento, ma c’è ancora strada da fare e tante teste da ravvedere.

    È una follia interpretare la voce sicurezza come un costo e non come un investimento perchè una sola vita umana ha un valore inestimabile e non misurabile in contabilità!

    La mattinata di Natale proseguiva con la visita ai parenti più stretti e in ogni casa c’era il presepe. Alcuni di loro addirittura partecipavano alla gara indetta nel paese per il presepe più bello che se non ricordo male si concludeva nel giorno dell’Epifania.

    Il resto dell’anno seguiva i soliti ritmi: mamma lavava i panni nel mastello di legno, il bagno lo si faceva nello stesso mastello una volta la settimana, di solito la domenica, con l’acqua riscaldata sulla stufa economica e d’inverno lo si faceva nel piccolo locale dove essa era posizionata.

    Non sono mai riuscito a capire come mai i cerchi in ferro che tenevano insieme il legname del mastello non arrugginissero mai: una volta riuscivano a fare certi lavori che ancora oggi sembrano eterni.

    Nel campo della meccanica sono stati fatti passi da gigante: macchinari che lavorano con una precisione millesimale particolari che forniscono prestazioni una volta inimmaginabili.

    E anche su questo punto non sono ancora riuscito a capire come certi motori fatti un centinaio di anni fa con le attrezzature di allora continuino a funzionare senza dare problemi, mentre nuovissimi motori ti consentono di percorrere qualche decina di migliaia di chilometri: non è che forse si corre troppo non godendo il panorama?

    Quelli che portavano il mio stesso cognome erano almeno un terzo della popolazione del paese, ma non è mai stato un problema: quelli sono gli Arosio Prà, quelli sono gli Arosio Buten…ciascuno aveva un soprannome.

    O un mio avo era piccolo e grasso come una botte, da cui il soprannome Buten, oppure costruiva botti, cosa molto probabile in quanto i lissonesi erano i portatori di acqua degli eserciti romani.

    Un soprannome che mi ha sempre affascinato era Impilizzabocc, letto con il finale della c di cielo.

    Nel dialetto del legnamè, cioè del falegname, il verbo italianizzato impillizzare ha il significato di impiallacciare, rivestire una superficie con una lamina sottile di legno, mentre bocc sta per boccia.

    Evidente che puoi rivestire una superficie più o meno piana con una lamina di legno, ma mai potrai riuscire a rivestire la sfera con cui si giocava a bocce: il soprannome era stato conferito a qualcuno che asseriva di saper fare cose impossibili.

    Ai giorni nostri se ne incontrano di tipi simili: il termine fanfarone o millantatore è molto più semplice, ma lo trovo poco preciso rispetto a impilizzabocc.

    Avevo una biciclettina ereditata non so da chi e imitavo il rumore di una motocicletta grazie ad una molletta e ad un pezzo di cartolina incastrata nei raggi della ruota: aspettavo solo che qualcuno ci scrivesse una cartolina o me la facevo regalare dai vicini.

    Avevo un cugino che abitava nello

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