Credere all'impossibile: Una storia personale che dimostra quanto il carattere e il comportamento possano cambiare una vita
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Anteprima del libro
Credere all'impossibile - Andrea Devicenzi
COLLANA STORIE POSITIVE
Testimoniare i vissuti migliori
per costruire le vite future migliori
L’innovazione continua nelle strutture pubbliche, nelle imprese e nelle organizzazioni sociali è necessariamente una leva per la loro sopravvivenza e il loro sviluppo. Occorre selezionare con cura i prodotti / servizi da realizzare per rispondere a bisogni e aspettative dei clienti e utenti. È poi necessario migliorare continuamente i processi decisionali e operativi per essere efficaci facendo bene le cose giuste
.
Per questo scopo diventano sempre più importanti le decisioni ed i comportamenti organizzativi di responsabili e collaboratori, anche attraverso la disponibilità di modelli di riferimento e di vissuti esemplari di persone che hanno attivato il loro talento, le conoscenze, l’impegno e la passione sia in campo sociale che pubblico che nel mondo delle imprese.
Testimoniare i vissuti migliori per costruire le vite future migliori
. La collana STORIE POSITIVE
raccoglie le storie di persone i cui tracciati di vita possono essere un punto di riferimento per giovani, e non solo, alla ricerca di esempi utili ad un processo di apprendimento fondato su visioni, valori e comportamenti coerenti meritevoli di essere seguiti.
La collana è diretta da Flavio Sangalli, scrittore di libri di management e docente di Leadership e Comportamento Organizzativo presso l’Università di Milano Bicocca.
Nella stessa collana:
#١ Carlo Stelluti - Il coraggio di vivere i valori
#٢ Silvia Bignamini - Sentieri della diversità e dell’uguaglianza
#٣ Federico Golla - La bussola dei valori
#٤ Marco Arosio - Una vita in moto
#٥ Rita Pavan - Dalla loro parte
CREDERE ALL’IMPOSSIBILE
Una storia personale che dimostra quanto il carattere e il comportamento possano cambiare una vita
In copertina: Andrea Devicenzi durante un’escursione a Capo Nord nel ٢٠١٧
©2021 Edizioni Homeless Book
www.homelessbook.it
ISBN: 978-88-3276-232-7 (brossura)
978-88-3276-233-4 (eBook)
Pubblicato in dicembre 2021
PRESENTAZIONE
di Flavio Sangalli,
Docente all’Università di Milano Bicocca e all’International Master of Sport Management di Bruxelles
Andrea Devicenzi ha scritto un bel libro perché descrive una buona vita.
La sua storia personale è segnata da un grave incidente stradale che lo porta fin da giovanissimo a confrontarsi con la disabilità che sempre presenta un bivio con due possibilità, quella della depressione e della sconfitta o quella del coraggio e della vittoria.
L’Autore ha scelto la seconda via migliorando così il proprio futuro e, fatto bellissimo, preparandosi ad aiutare gli altri.
È infatti diventato mental coach da operaio piastrellista quale era prima grazie alle coraggiose esperienze sportive e non solo in cui si è impegnato, raggiungendo livelli agonistici internazionali. Ha inoltre studiato e letto per crescere intellettualmente grazie all’impegno personale, alla passione e a un profondo e fecondo interesse per la vita.
Dalla sua esperienza narrata nel libro possiamo raccogliere numerose lezioni, molte delle quali coincidono con quanto scritto nel mio ultimo testo di sviluppo personale e organizzativo (ALTA PRESTAZIONE, Ed. Mursia,2020)
Andrea Devicenzi ci insegna con l’esempio personale che è importante avere una visione futura di sé positiva, che può anche includere il credere all’impossibile se questo significa voler andare oltre i limiti al momento percepiti, grazie alla coraggiosa attivazione dei propri potenziali.
Una lezione centrale nell’educazione attuale dei giovani che li allontana da quel vuoto che parecchi di loro sentono perché non hanno fiducia in sé stessi e non vedono esempi di coraggio e di fondata autostima che possano costituire da modello di riferimento, come invece questa collana di Storie Positive intende proporre.
Un esempio quello di Andrea reso ancor più significativo da un sostanziale altruismo che gli ha fatto vivere la sua condizione come condizione di tanti da aiutare anche con l’impegno di consigliere provinciale dell’Anmic di Cremona, l’associazione che promuove la tutela delle disabilità.
Ci troviamo quindi di fronte a una storia esemplare che non solo presenta un vissuto ma anche suscita le belle emozioni della condivisione, della stima e del rispetto di sé e degli altri.
PREFAZIONE
di Nazaro Pagano,
Presidente nazionale ANMIC
La storia associativa di Anmic nasce nel 1956 quando il boom economico investiva la nostra società facendola passare da una economia rurale ad una industrializzazione e che consentirà all’ Italia, nel corso dei decenni successivi, di essere annoverata tra le maggiori potenze economiche del mondo.
In quell’ anno, in quel di Taranto, undici uomini diedero vita, forse inconsciamente, a quella che sarebbe e che tutt’ora è la più grande associazione di tutela e di rappresentanza delle persone con disabilità.
La rappresentatività che oggi ANMIC interpreta nel panorama sociale della nazione si estrinseca sia in termini quantitativi che qualitativi; adesioni, partecipazione, organizzazione, ramificazione territoriale, tipologia di rappresentanza, alcune tra le peculiarità che fanno di ANMIC l’interlocutore principale del mondo politico, istituzionale e sociale della nazione.
Il merito dei padri fondatori di ANMIC fu quello di porre all’attenzione dell’opinione pubblica il tema della disabilità e dell’uomo e della donna con disabilità, che quasi nella totalità dei casi vivano reclusi o emarginati nelle loro modeste abitazioni.
L’impegno di ANMIC nel corso di tutti questi anni è stato stigmatizzare e combattere il concetto di disabilità quale malattia e rafforzare, invece, in modo deciso il concetto che la disabilità è una condizione
e pertanto la persona disabile al pari di ogni altro essere umano rappresenta una risorsa per la società.
Da quel lontano 1956 tanta strada è stata percorsa, certamente è cambiato il concetto di disabilità, l’attenzione che la società rivolge alle persone con disabilità ha raggiunto livelli significativi ma ancora bisogna lottare e combattere per giungere ad una piena società inclusiva.
È cambiata la società, sono cambiate le condizioni di vita, sono cambiati gli obiettivi che oggi ANMIC si pone per la piena e giusta tutela delle persone con disabilità, non è cambiato lo spirito di lotta per evitare che lo stato sociale, costruito in questi anni, venga depauperato in ragione di un mero concetto economicistico.
In questo nuovo millennio la mission di ANMIC resta ancorata a quella dei padri fondatori è, invece, necessariamente mutata la sua vision relativa ai temi della disabilità e che guarda alle persone con disabilità come parte attiva del processo di evoluzione sociale della nazione.
Sempre più le persone con disabilità sono attori ed interpreti di primissimo piano di tutta la vita sociale mondiale ed esempi emblematici sono annoverabili tutti i giorni.
Basti pensare alle imprese sportive, impensabili fino a qualche decennio orsono, che caratterizzano la vita di tante donne e uomini con disabilità e che al di là del riscatto sociale rappresentano, laddove ve ne fosse ancora bisogno, che non esistono differenze e che la disabilità è solo una condizione.
La storia, le imprese di Andrea Devicenzi sono la dimostrazione più significativa che le persone con disabilità al di là della condizione possono cimentarsi in qualsiasi impresa e che nulla è precluso alla volontà delle donne e degli uomini con disabilità.
La storia di ANMIC è stata la storia del movimento della disabilità in Italia, la nostra associazione ne sente il peso e la responsabilità nei confronti di milioni di donne e di uomini e delle loro famiglie, per rappresentarne sempre al meglio un pieno diritto di partecipazione.
Capitolo 1
Il judo a cinque anni
Difficile ricordare cosa sia accaduto esattamente nei primi anni di vita, ma la prima volta che entrai nella palestra di judo a cinque anni rimane uno dei ricordi più vividi nella mia testa.
Una mattina venne a far visita nella scuola un insegnante di questa disciplina raccontandoci aneddoti, la storia della disciplina, tutto interessante ma che ancora non aveva conquistato la mia attenzione fino a quando, ad un tratto, apre la cerniera del borsone e ne tira fuori una sorta di accappatoio tutto bianco, assieme ad una cintura nera.
Il modo che ha avuto nell’indossarlo, con rispetto ed attenzione mi ha fulminato.
Non sentivo più nulla di ciò che accadeva attorno, i miei occhi erano tutti per lui.
Ci racconta della storia del Kimono, del significato della cintura nera e delle varie colorazioni e francamente poteva dire qualsiasi cosa, oramai me ne ero innamorato.
Quando si mise in posa, cambiò l’espressione sul suo volto, comunicando che da quel momento, si feceva sul serio.
Comunicando da quel momento si fece sul serio ed iniziò pian piano a muoversi con dolcezza ed una precisione nei movimenti elevatissima, segno evidentemente della sua ottima preparazione. Tranne qualcuno, l’attenzione dei presenti in aula è tutta per lui.
Ricordo che fu una mezz’ora intensa, in cui non vidi l’ora di tornare a casa a raccontare l’accaduto ai miei genitori, ma soprattutto non capii in quel momento di quanto per la mia vita fosse importante avvicinarsi, anzi, incollarsi per sempre al mondo dello sport.
Raccontato a casa, non lasciai molto spazio di decisione ai miei genitori, la scelta era presa.
L’indomani andammo subito nella palestra a recuperare informazioni.
Parcheggiammo poco vicino ed appena scesi dall’auto sentii un rumore nuovo che fino a quel momento non avevo mai sentito, come un corpo che sbatteva violentemente sul materassino.
Più camminavamo, più il rumore si avvicinava, fino a quando mio padre aprì la porta e davanti a me vidi con sorpresa un gruppo di atleti che a due a due se la menavano con mosse strane per me in quel momento ma che poi avrei imparato.
Per la mia bassissima statura, alla vista di quella grande palestra, mi sembrava come entrato in un palazzetto.
Costeggiamo il fianco del tappeto per raggiungere l’ufficio.
Quota di iscrizione, acquisto del Kimono con cintura bianca e potevo essere anche io tra di loro.
Il maestro sorride, ero piccino e non ho mai avuto il coraggio di chiedergli il perché, ma a mio avviso era nel guardare quel piccoletto e la luce che aveva negli occhi, con indosso il Kimono, mentre lottava contro i suoi avversari.
Iniziai il giorno dopo, imparando le regole di base, il saluto ed altre caratteristiche basilari.
Arrivarono poi in pochi mesi prima la cintura gialla e poi arancione e per conquistarle bisognava affrontare un esame, davanti a tutti gli altri di categoria, in cui il maestro ti chiedeva le tecniche imparate in quell’ ultimo periodo.
Mi ricordo la disciplina, l’educazione, il rigore e l’impegno per fare ogni singola posizione nel miglior modo possibile, alla ricerca della perfezione.
Ricordo anche la mia prima gara in cui mia madre e mia zia, gridavano dalle tribune vergogna
, siccome il mio avversario era il doppio di quello che ero io. Ho tentato in più modi di difendere la mia gara, ma non ci riuscii.
Non gareggiai più dopo quel breve periodo di gare, evidentemente non ne ero portato, ma continuai ad allenarmi.
Mi piaceva confrontarmi con gli altri, avere il contatto fisico, ammirare ogni volta la bravura del mio maestro e chiudere la giornata con una attività sportiva.
Quattro anni di attività che porto nel cuore.
Arrivai alla cintura marrone della quale oggi ricordo ben poco ma che visto ciò che è accaduto negli anni successivi, in qualche modo è riuscita a plasmarmi.
I Giochi della Gioventù
Anni importanti quelli trascorsi alle scuole elementari di Casalmaggiore (Cr) assieme alla maestra Adriana, che solo negli anni successivi, mi accorsi della sua straordinaria persona che era. Amava i suoi alunni ed amava ancora di più il suo Andrea.
La sezione era la A, e molto probabilmente doveva esserci stato in quella annata del 1973 una grande mutazione perché eravamo, per altezza e vitalità, fuori dal comune.
Lo sport era praticato da quasi tutti noi, chi il calcio, chi l’atletica, chi la danza e tanti altri.
A scuola si faceva quello che si poteva, chi studiava tanto, il secchione, chi invece faceva lo stretto necessario perché a metà pomeriggio c’era il pallone all’oratorio che aspettava di essere calciato.
Ricordo le attività di artistica in cui si incollava, strappava, costruiva ma ricordo ancor di più le ore di ginnastica,