La guerra. È in gioco la nostra vita
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La guerra. È in gioco la nostra vita - Manlio Dinucci
Manlio Dinucci
La guerra
è in gioco la nostra vita
Autore: Manlio Dinucci
Pubblicato da
Byoblu Edizioni
Via Deruta 20
20132 – Milano
Copyright© Byoblu Edizioni
Tutti i diritti riservati.
ISBN: 9791280657237
Prima edizione: aprile 2022
Editing e coordinamento editoriale: Federica Prestifilippo
Tutti i diritti sono riservati ove non diversamente specificato. Nessuna parte di quest’opera può essere riprodotta in alcuna forma senza l’autorizzazione scritta dall’editore, a eccezione di brevi citazioni destinate alle recensioni.
LA GUERRA
è in gioco la nostra vita
PERCHé È IN GIOCO
LA NOSTRA VITA
Queste pagine vanno in stampa in gran fretta poiché non c’è tempo da perdere. La guerra avanza, ma non è quella che il mainstream politico-mediatico dell’Occidente fa apparire ai nostri occhi. È qualcosa di diverso, molto più complesso e pericoloso. Per capirlo non si può restare al fermoimmagine di ciò che accade in questo momento in Ucraina. Occorre guardare il docufilm della sequenza di eventi che hanno portato all’attuale situazione: quello che l’orwelliano Ministero della Verità ha già distrutto per riscrivere la storia.
Possiamo così vedere che la guerra è diretta contro tutti noi. Essa provoca una crisi economica che si ripercuote sulle nostre condizioni di vita, rendendo sempre più precario il lavoro e incerto il futuro dei nostri figli.
La guerra ci priva ancora di più, in nome dell’emergenza, delle libertà democratiche fondamentali per la nostra vita sociale.
La guerra avvelena le nostre menti privandoci del piacere della vita.
La guerra fa incombere su di noi la minaccia che un giorno, per scelta o per errore, siano usate quelle armi nucleari che possono spegnere la vita sul Pianeta Terra.
L’intento di queste pagine è di far parlare i fatti, di mostrare la realtà che viene nascosta o mistificata, così che sempre più numerosi siano coloro che rifiutano di essere semplici spettatori e che vogliono essere artefici delle scelte da cui dipende la nostra vita.
M. D.
Capitolo 1
La Guerra fredda
Gli Usa escono rafforzati
dalla Seconda guerra mondiale
mentre l’Urss ne esce in gran parte distrutta
La Seconda guerra mondiale (1939-1945) – che provoca oltre 55 milioni di morti, tra cui circa 31 milioni civili – è una vera e propria guerra globale, che coinvolge direttamente o indirettamente i popoli di ogni continente e di quasi ogni paese. A differenza della prima, che era stata prevalentemente una guerra di posizione, essa è una guerra di movimento con impiego congiunto di forze terrestri, aeree e navali. È una guerra in cui vengono impiegate tecnologie molto più avanzate: dalle bombe volanti e dai primi missili balistici tedeschi alle superfortezze volanti e le bombe atomiche statunitensi. Decisiva, più del numero di soldati, è la capacità produttiva che sostiene le forze armate.
I danni materiali sono molto maggiori a causa dei bombardamenti aerei. Intere città sono rase al suolo: tra queste, Amburgo e Dresda in Germania; Coventry in Inghilterra; Rotterdam nei Paesi Bassi; Tokyo in Giappone. Le città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki sono spazzate vie dal bombardamento atomico statunitense del 1945. Alla fine del conflitto l’Europa è pressoché paralizzata. Tutte le più importanti città, industrie e infrastrutture hanno subìto danni gravissimi. Le flotte mercantili sono quasi interamente distrutte, gli investimenti esteri liquidati, i mercati sconvolti. L’Unione Sovietica esce dalla guerra in gran parte distrutta, dopo essere stata attaccata e invasa nel giugno 1941 dalla Germania nazista con 201 divisioni, comprendenti 5,5 milioni di soldati pari al 75% di tutte le truppe tedesche, 3.500 carrarmati e 5.000 aerei, più 37 divisioni dei paesi satelliti (tra cui l’Italia).
L’Urss aveva chiesto ripetutamente agli alleati di aprire un secondo fronte in Europa, ma Stati Uniti e Gran Bretagna lo avevano ritardato, mirando a scaricare la potenza nazista sull’ Urss per indebolirla e avere così una posizione dominante al termine della guerra. Il secondo fronte viene aperto con lo sbarco anglo-statunitense in Normandia nel giugno 1944, quando ormai l’Armata Rossa e i partigiani sovietici avevano sconfitto le truppe tedesche assestando il colpo decisivo alla Germania nazista. Il prezzo pagato dall’Unione Sovietica è altissimo: circa 27 milioni di morti, per oltre la metà civili, corrispondenti al 15% della popolazione (in rapporto allo 0,3% degli Usa in tutta la Seconda guerra mondiale); circa 5 milioni di deportati in Germania; oltre 1.700 città e grossi centri abitati, 70.000 piccoli villaggi devastati; 30.000 fabbriche distrutte.
Pesantissimo è anche il prezzo pagato dalla Cina. Ridotta negli anni Trenta a uno stato coloniale e semicoloniale soprattutto da Giappone, Gran Bretagna, Stati Uniti, Germania e Francia, viene invasa dal Giappone che nel 1931 trasforma il Nord-Est del paese in un suo Stato fantoccio (Manchukuo). Mentre l’esercito nipponico attacca Shanghai e altre città, il Guomindang di Chiang Kai-shek – che aveva preso il potere nel 1927 con un sanguinoso colpo di stato ed è sostenuto sia dagli anglo-americani che da Hitler e Mussolini, alleati di Tokyo – continua a concentrare i suoi attacchi contro le basi rurali dall’Esercito rosso, diretto dal Partito comunista. Questo è costretto nel 1934 a una disastrosa ritirata che Mao Tse-tung trasforma in una delle più grandi imprese politico-militari: la Lunga Marcia. Il Giappone scatena la guerra di aggressione all’intera Cina nel 1937, occupando Pechino e Tianjin, quindi Shanghai e Nanchino. Qui le truppe nipponiche compiono il grande massacro, uccidendo nei modi più orrendi oltre 300.000 civili. Oltre dieci città cinesi vengono attaccate dai giapponesi con armi biologiche. A questo punto, per iniziativa del Partito comunista, nasce il Fronte unito antigiapponese con il Kuomintang. Nei successivi otto anni di guerra l’esercito del Kuomintang, armato dagli Usa, da un lato combatte gli invasori giapponesi, anche se in modo discontinuo; dall’altro, sottopone le zone liberate dall’Esercito rosso al blocco economico e militare, attaccando in diversi casi le forze popolari, e fa sì che si concentri contro di esse l’offensiva giapponese. Dal 1937 al 1945 il Partito comunista, cresciuto da 40.000 a 1,2 milioni di membri, guida le forze popolari in una guerra che logora sempre più l’esercito nipponico, estendendo le zone liberate.
Con la sua Resistenza, costata oltre 35 milioni di morti, la Cina contribuisce in modo determinante alla sconfitta del Giappone che, battuto nel Pacifico dagli Usa e in Manciuria dall’Urss, si arrende nel 1945 dopo il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki. Subito dopo, secondo un piano deciso a Washington, Chiang Kai-shek tenta di ripetere quanto aveva fatto nel 1927.
Le sue forze, armate e sostenute dagli Usa, si trovano però ora di fronte l’Esercito popolare di liberazione di circa un milione di uomini e una milizia di oltre due milioni, forti di un vasto appoggio popolare. L’esercito del Kuomintang, composto da circa 8 milioni di soldati, viene sbaragliato e Chiang Kai-shek fugge a Taiwan sotto protezione Usa. Il 1° ottobre 1949, dalla porta di Tien An Men, Mao Tse-tung proclama la nascita della Repubblica Popolare Cinese. Il paese, appena liberatosi dal dominio coloniale, è in quel momento a uno stato di sottosviluppo aggravato dalle perdite e distruzioni subite nella guerra.
Gli Stati Uniti escono invece dalla Seconda guerra mondiale più forti che mai. Essi non hanno subìto distruzioni, dato che il conflitto si è svolto lontano dal loro territorio. L’industria e l’agricoltura statunitensi non solo sono rimaste intatte, ma hanno tratto vantaggio dalla forte domanda di prodotti industriali (soprattutto bellici) e agricoli proveniente dai paesi alleati. Gli Usa hanno perciò accresciuto la propria capacità produttiva e si sono tecnologicamente ammodernati.
Nel luglio 1944, quando la Seconda guerra mondiale sta volgendo al termine, le potenze vincitrici, compresa l’Urss, si riuniscono a Bretton Woods (Usa) per stabilire le regole del futuro assetto economico e monetario.
La Conferenza di Bretton Woods consacra il dominio dell’economia statunitense in quella mondiale del dopoguerra. All’epoca gli Stati Uniti detengono i due terzi dell’intero stock mondiale di oro. Su tale base viene istituito un sistema monetario imperniato sulla convertibilità del dollaro in oro (35 dollari l’oncia) e il dollaro diviene la moneta di riferimento per i pagamenti e le riserve valutarie internazionali. Contestualmente vengono istituiti il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo, meglio conosciuta con il nome di Banca mondiale, ambedue con sede a Washington. L’anno seguente, nel 1945, le tre potenze alleate – Stati Uniti, Unione Sovietica e Regno Unito – si riuniscono nella persona dei loro massini rappresentanti (Roosevelt, Stalin e Churchill) a Yalta in Crimea per discutere, in base al principio delle sfere d’influenza
, i piani per la conclusione della guerra contro le potenze dell’Asse – Germania, Italia e Giappone – e le procedure per la Conferenza di San Francisco che, il 26 giugno 1945, avrebbe istituito l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Nella Conferenza di Yalta l’Urss si impegna, dopo la sconfitta della Germania, a entrare in guerra contro il Giappone.
Il mondo entra nell’era delle armi nucleari
Mentre Truman è alla Conferenza di Potsdam (17 luglio - 2 agosto 1945) insieme a Stalin e Churchill, gli viene segretamente comunicato che, il 16 luglio, è stata fatta esplodere nel New Mexico la prima bomba atomica.
Il Progetto Manhattan, condotto nel massimo segreto dal giugno 1942, ha raggiunto la sua meta. Truman ha ora la possibilità di concludere la guerra contro il Giappone nel modo più favorevole agli Stati Uniti, impedendo che l’Unione Sovietica partecipi all’invasione del Giappone, decisa a Yalta, ed estenda in tal modo la sua influenza alla regione del Pacifico.
Per questo, Truman ordina segretamente che sia al più presto impiegata la bomba atomica. Il 24 luglio, due giorni prima della Dichiarazione di Potsdam in cui si intima al Giappone la resa incondizionata, vengono segretamente scelte come possibili obiettivi quattro città giapponesi: Hiroshima (oltre 250.000 abitanti), Nagasaki (circa 200.000), Kokura e Niigata (ciascuna con circa 150.000). Le condizioni meteorologiche più favorevoli, il 6 agosto, fanno cadere la prima scelta su Hiroshima. Tre giorni dopo la scelta cade su Nagasaki. La bomba atomica all’uranio di 15 kiloton (pari alla potenza esplosiva di 15.000 tonnellate di tritolo) sganciata su Hiroshima, scherzosamente chiamata Little Boy (ragazzino), uccide immediatamente e nei mesi successivi circa 140.000 persone, in stragrande maggioranza civili. Molte altre moriranno negli anni successivi in seguito agli effetti delle radiazioni, mentre molti dei sopravvissuti, gli hibakusha, ne subiranno gli effetti biologici a lungo termine. Il numero totale di vittime della bomba di Hiroshima, nei decenni successivi, viene stimato in oltre mezzo milione.
La bomba atomica al plutonio di circa 22 kiloton, sganciata su Nagasaki (scherzosamente chiamata Fatman, grassone), uccide immediatamente e nei mesi successivi circa 75.000 persone, in stragrande maggioranza civili, cui se ne aggiungeranno tante altre negli anni successivi, mentre molti dei sopravvissuti ne subiranno gli effetti biologici a lungo termine.
La ragione ufficiale del bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki è che solo così gli Stati Uniti possono costringere il Giappone alla resa, senza dover pagare un alto prezzo in vite americane.
In realtà il Giappone è ormai allo stremo e non ci sarebbe bisogno di ricorrere all’atomica per imporgli la resa. La ragione reale è un’altra.
Gli Stati Uniti cercano di trarre il massimo vantaggio dal fatto che, in quel momento, sono gli unici a possedere l’arma atomica.
Dopo averla definita «la più grande conquista che la scienza organizzata abbia mai compiuto nella storia», Truman sottolinea nella dichiarazione del 6 agosto che «l’energia atomica può esercitare una potente ed efficace influenza per il mantenimento della pace mondiale». Con il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, in realtà, si conclude la Seconda guerra mondiale, ma si apre contemporaneamente un confronto ancora più pericoloso: quello che passerà alla storia col nome di Guerra fredda
.
Il 5 marzo 1946, il discorso di Winston Churchill sulla «cortina di ferro» apre ufficialmente la Guerra fredda. Ma già dal settembre 1945, appena un mese dopo il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki, al Pentagono già calcolavano che per attaccare l’Urss occorrevano circa 200 bombe nucleari.
Subito dopo, il 1° e 25 luglio 1946, gli Usa effettuano i primi due test nucleari (Able e Baker) nell’atollo di Bikini (Isole Marshall, Oceano Pacifico) per verificarne gli effetti su un gruppo di navi in disarmo e migliaia di cavie. Partecipano all’operazione, denominata Crossroads, oltre 40.000 militari e civili statunitensi, con oltre 250 navi, 150 aerei e 25.000 rilevatori di radiazioni.
Nel 1949 l’arsenale statunitense sale a circa 170 bombe nucleari. A questo punto gli Stati Uniti sono sicuri di poter avere, entro breve tempo, abbastanza bombe per attaccare l’Unione Sovietica. Esse possono essere trasportate dalle superfortezze volanti B-29, già usate per il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki. In quello stesso anno, però, svanisce il sogno americano di conservare il monopolio delle armi nucleari. Il 29 agosto 1949, l’Unione Sovietica effettua la sua prima esplosione sperimentale con un ordigno al plutonio. Ora anche l’Urss ha la Bomba. Comincia a questo punto la corsa agli armamenti nucleari tra le due superpotenze.
In quello stesso anno, il 4 aprile 1949, viene fondata la Nato, che comprende, durante la Guerra fredda, sedici paesi: Stati Uniti, Canada, Belgio, Danimarca, Francia, Repubblica Federale Tedesca, Gran Bretagna, Grecia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Turchia. Attraverso questa alleanza gli Stati Uniti mantengono il loro dominio sugli alleati europei, usando l’Europa come prima linea nel confronto, anche nucleare, col Patto di Varsavia. Questo, fondato il 14 maggio 1955 (sei anni dopo la Nato), comprende Unione Sovietica, Bulgaria, Cecoslovacchia, Polonia, Repubblica Democratica Tedesca, Romania,