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Perfida Albione!: Come l’Inghilterra ci derubò della sovranità nazionale (1934-45
Perfida Albione!: Come l’Inghilterra ci derubò della sovranità nazionale (1934-45
Perfida Albione!: Come l’Inghilterra ci derubò della sovranità nazionale (1934-45
E-book357 pagine3 ore

Perfida Albione!: Come l’Inghilterra ci derubò della sovranità nazionale (1934-45

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Info su questo ebook

Tra il novembre 1934 e il dicembre 1935 l’élite inglese maturò la cinica decisione di distruggere la nascente potenza italiana con una guerra preventiva.
Tra Roma e Londra divampò così uno scontro senza esclusione di colpi per l’egemonia nel Mediterraneo, che sfociò infine in un conflitto armato nell’ambito della seconda guerra mondiale.
Il fattore chiave per comprendere questi avvenimenti è la posizione geostrategica della penisola italiana, la “quasi isola” che come tale è una minaccia diretta all’egemonia britannica sui mari.
La classe dirigente inglese aveva sempre considerato il Regno d’Italia come un’entitàda utilizzarsi nell’ambito della politica dell’equilibrio tra le grandi potenze europee, e utile nell’ambito del contenimento della Russia. Per Londra era intollerabile che l’Italia assurgesse al rango di potenza mondiale: bisognava costringerla alla capitolazione, dopo aver distrutto la sua potenza navale, sfruttando le numerose connivenze garantite dai legami massonici, dall’ambiguità della Monarchia Sabauda e del Vaticano e dell’opposizione interna al regime fascista...
LinguaItaliano
Data di uscita15 apr 2020
ISBN9788898891597
Perfida Albione!: Come l’Inghilterra ci derubò della sovranità nazionale (1934-45

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    Anteprima del libro

    Perfida Albione! - Enrico Montermini

    Perfida Albione!

    Settembre 2019

    © Enrico Montermini

    Edizioni Sì - www.edizionisi.com

    Coedizione digitale (eBook) 2020 a cura di MABED Edizioni Digitali

    Adattamento eBook: Mabed

    ISBN: 9788898891597

    www.edizionisi.com

    www.mabed.it

    info@mabed.it

    Il libro

    Tra il novembre 1934 e il dicembre 1935 l’élite inglese maturò la cinica decisione di distruggere la nascente potenza italiana con una guerra preventiva.

    Tra Roma e Londra divampò così uno scontro senza esclusione di colpi per l’egemonia nel Mediterraneo, che sfociò infine in un conflitto armato nell’ambito della seconda guerra mondiale.

    Il fattore chiave per comprendere questi avvenimenti è la posizione geostrategica della penisola italiana, la quasi isola che come tale è una minaccia diretta all’egemonia britannica sui mari.

    La classe dirigente inglese aveva sempre considerato il Regno d’Italia come un’entitàda utilizzarsi nell’ambito della politica dell’equilibrio tra le grandi potenze europee, e utile nell’ambito del contenimento della Russia. Per Londra era intollerabile che l’Italia assurgesse al rango di potenza mondiale: bisognava costringerla alla capitolazione, dopo aver distrutto la sua potenza navale, sfruttando le numerose connivenze garantite dai legami massonici, dall’ambiguità della Monarchia Sabauda e del Vaticano e dell’opposizione interna al regime fascista...

    L’Autore

    Enrico Montermini è uno storico e ricercatore particolarmente attento e interessato ai retroscena degli avvenimenti del XX secolo. Fa dello scrupolo e dell’attendibilità delle fonti la sua cifra distintiva. Volto noto della Rete, collabora con l’associazione culturale Accademia della Libertà e con alcune riviste occupandosi di massoneria, società segrete e apparati di intelligence, è autore di Mussolini e gli Illuminati (Edizioni Sì, 2017).

    Enrico Montermini

    PERFIDA ALBIONE!

    Come l’Inghilterra ci derubò

    della sovranità nazionale (1934-45)

    _____________

    logo-coedizione_si-mabed.psd

    Ringraziamenti

    Desidero ringraziare pubblicamente il professor Giorgio Giorgerini, che con grande pazienza ha visionato e discusso con me i contenuti del libro.

    Ringrazio il dottor Giacinto Mascia, la cui tesi di laurea pubblicata on line si è rivelata per me una ricca fonte di informazioni sulle attività dell’AGIP in Iraq, e il professor Guido Giacomo Preparata, con il quale ho avuto modo di confrontarmi su diverse tesi esposte in questo libro.

    Critiche e suggerimenti preziosi mi sono stati forniti anche dall’ammiraglio Pier Paolo Ramoino, dal comandante Marco Gemignani e dal professor Lorenzo Greco.

    Sono debitore a Massimo Petruzzi per l’aiuto fornitomi nella traduzione di molti dei testi citati.

    Questo saggio è dedicato alla memoria del giornalista Franco Bandini, che per primo smascherò le trame inglesi per soggiogare l’Italia nel capolavoro Tecnica della sconfitta.

    Prefazione

    Il secondo conflitto mondiale pone – a chi si accinga a studiarlo imparzialmente - una serie di problemi storiografici normalmente inusitati. Il motivo di ciò si trova su di un duplice piano – morale e materiale. Da un lato, proprio l’esito di quel conflitto informa ancora oggi l’assetto geopolitico-istituzionale dell’Europa. Ovvero gli ordinamenti dell’Europa contemporanea, nati per la maggior parte dopo la fine della guerra e che furono il frutto di decisioni politiche prese in un contesto di occupazione militare.

    Questo - sia ad occidente che a oriente – ne influenzò certamente la gestazione, secondo logiche di geopolitica pragmatica, che ben poco ebbero a spartire con qualsiasi forma di autodeterminazione. Se ciò risulta pur comprensibile alla luce dell’eterno vae victis, nondimeno ne seguì uno strascico di conseguenze che – oltre il piano della realpolitik – ha condizionato la memoria del conflitto.

    Per più di qualche decennio, la storiografia generale relativa al secondo conflitto mondiale è stata – con rare eccezioni – piegata alle esigenze di propaganda dei contrapposti blocchi della Guerra fredda: NATO da una parte, Patto di Varsavia dall’altra. Questo ha rappresentato una pesante ipoteca su quanti si proponessero di fare una storia non schierata delle cause e dello svolgimento della guerra. In altre parole, per logiche di imperium continentale, la storiografia sul secondo conflitto è stata condizionata da pesanti, diciamo così, fattori di contorno. La presenza di una diffusa vulgata contrapponente alleati e forze democratiche buoni a totalitarismi nazi-fascisti malvagi – finanche puerile – ne ha falsato in senso morale una comprensione polemologicamente scientifica. Circa le cause del conflitto, l’altrettanto diffusa reductio ad Hitlerum ne ha semplificato all’inverosimile il quadro, dando credito alla fantasmagorica nozione che il pazzo dittatore nazista volesse lanciarsi alla conquista del mondo. Anche il sequestro, lo smembramento, la secretazione e l’occultamento di moli immani di documenti politici, amministrativi, diplomatici, bellici e d’intelligence, tedeschi e alleati – che perdurano – pregiudicano la fattibilità materiale di una ricerca completa ed esaustiva. Tutto ciò in funzione di una vulgata moraleggiante in sostegno alle suddette esigenze geopolitiche che – vae victis – ancora informano lo scacchiere geopolitico europeo.

    Chi, invece di credere, voglia capire – troverà in questo libro un aiuto illuminante. Montermini – in modo piano e semplice – restituisce giustizia e statura alla comprensione scientifica del contesto del secondo conflitto mondiale. Trattando i rapporti anglo-italiani, esso restituisce una parte del coevo contesto geopolitico europeo – nel quale essi si intrecciano a doppio filo con le politiche dei suoi altri attori di maggior scala: Germania nazionalsocialista e Russia sovietica. Questa ricognizione non considera solamente le relazioni diplomatiche canoniche, svolte a livello di ministeri e ambasciate – ma mette in luce anche il peso capitale delle trattative extrapolitiche ed extraistituzionali.

    Ovvero, ad essere sottolineato è il ruolo che – nel dipanarsi delle strategie belliche e prebelliche – giocarono le lobby economiche internazionali, le fronde interne agli apparati, gli abboccamenti e le infiltrazioni dei gruppi di pressione trasversali agli schieramenti, finanche le singole relazioni personali tra intermediari e kingmaker.

    Questo approccio toglie la morale dalla storia e le restituisce la sua propria sostanza. Analizzando la balance of power navale delle potenze, la geopolitica del Mediterraneo e i trade-off energetici dei singoli attori – di volta in volta risulterà chiaro come questo sia – grazie al suo insolito sguardo un libro per i nostri tempi. In un momento storico come quello corrente, un’Unione Europea in crisi d’autorità e di prestigio fatica a serrare le fila del suo corpo sovranazionale. Spinte e controspinte a più livelli espongono il continente al cannibalismo geopolitico di USA e Russia eurasiatica. Contro l’Unione, taluni rivendicano il ritorno all’era degli stati nazionali – sotto il nome di Sovranismo. A loro detta, le singole nazioni europee dovrebbero svincolarsi dai trattati comunitari e tornare a svolgere una politica autonoma – quasi autarchica, di un tipo rassomigliante a quello precedente il Concerto europeo. Ora, se di sovranità nazionale si tratta, questo libro è un’ottimo strumento per metterne a punto la definizione. L’Europa prebellica non era ancora inclusa stabilmente in sistemi di alleanze transcontinentali, ma nondimeno risulta chiaro come il mondo della prima metà del XX secolo fosse tanto economicamente globalizzato quanto quello attuale. La sovranità nazionale in Europa subì uno scossone giuridico dopo il conflitto, ma circa il periodo precedente è lecito parlare di una lotta per la sovranità continentale. Ciò deriva da un duplice fattore: singole nazioni si impegnarono ad estendere la loro sfera di dominio, terrestre e marittima, a scapito di altre. Ma alcune in particolare (USA, URSS) si adoperarono per affermare una loro sovranità extracontinentale, ovvero imperialista. Così qui si entra nei dettagli del coacervo multidimensionale di politiche e relazioni che prepararono e informarono il secondo conflitto mondiale.

    Lettura consigliata a chi, ammaliato da facili revival, non scorga la sfaccettatura e la globalità che già allora caratterizzavano l’Europa. Non si creda che le decisioni irrevocabili – in geopolitica come in economia – siano il frutto di aneliti moraleggianti o di decisioni istituzionalmente collegiali. L’infiltrazione dei circoli politici e decisionali giocò – e gioca – negli avvenimenti il ruolo principale. Una chiara comprensione di queste dinamiche restituirà consapevolezza storica e con ciò – cosa importante, nell’odierna società liquida – sovranità personale.

    Mattia Grazian

    Introduzione

    Il tema della sovranità nazionale mi sembra di particolare attualità in un momento in cui all’idea di sovranismo viene opposta la retorica dell’europeismo.

    L’8 settembre 1943 dovrebbe essere ricordato come un giorno di lutto nazionale. Fu in quel momento che l’Italia perse definitivamente la sua sovranità nazionale – ammesso e non concesso che ne abbia mai avuto una.

    Settanta anni dopo l’Italia è ancora sottoposta a occupazione militare attraverso gli obblighi contratti con la NATO.

    La rete delle telecomunicazioni in Italia è sorvegliata dal sistema di spionaggio elettronico Echelon, che è gestito dalle agenzie d’intelligence americane e inglesi.

    Il 52% delle riserve auree della Banca d’Italia è conservato presso la Federal Reserve, la Bank of England e la Banca per i Regolamenti Internazionali. La nostra sovranità monetaria è stata appaltata alla Banca Centrale Europea. Una grossa parte del debito pubblico è controllato dai mercati, vale a dire dai grandi fondi di investimento americani e inglesi. La Borsa di Milano è di proprietà del London Stock Exchange, che determina il valore sul mercato delle nostre aziende e delle nostre banche.

    La nostra sovranità è limitata inoltre dall’adesione all’ONU, dove non ha diritto di veto – a differenza degli Stati vincitori – e all’Unione Europea.

    In tali circostanze il margine d’azione di qualunque governo, indipendentemente dal colore politico, è davvero limitato.

    Tutto ciò è la conseguenza della resa senza condizioni firmata a Cassibile dal generale Castellano in nome e per conto di re Vittorio Emanuele III e del maresciallo Badoglio.

    La storia dell’Italia unitaria è in gran parte la storia di un’esperienza neocoloniale. Il Regno d’Italia nacque nel 1861 come un paese satellite dell’Impero britannico e tale rimase fino al 1922. Non stupisce, quindi, che il regime fascista abbia ricevuto, in principio, appoggi da parte dei politici conservatori inglesi e delle banche di Wall Street. Poi, però, intorno alla metà degli anni Trenta, questi rapporti si incrinarono in modo irreversibile. In questo saggio si indagano i motivi di tale rottura.

    Il problema viene affrontato sotto il triplice punto di vista della politica estera, energetica e navale del fascismo.

    Dopo aver rafforzato la posizione internazionale dell’Italia in Europa, Mussolini promosse una politica filo araba che si incuneava nelle tensioni generate dalle politiche neocoloniali delle grandi potenze occidentali in Medio Oriente e dal sionismo.

    L’azione della nostra diplomazia, in principio pacifica, mirava ad aprire nuovi mercati ai produttori italiani e rendere il Paese autonomo dalle costose importazioni di greggio provenienti dall’America e dalla Gran Bretagna. Per proteggere gli interessi nazionali oltremare il dittatore ordinò il massiccio potenziamento della marina militare. I circoli politici e finanziari londinesi, preoccupati per il rapido declino militare ed economico del loro impero globale, interpretarono le mosse di Mussolini come il tentativo di svincolare l’Italia dalla sua condizione di vassallaggio. Come questo libro dimostrerà, tra il novembre 1934 e il dicembre 1935 l’élite inglese maturò la cinica decisione di distruggere la nascente potenza italiana con una guerra preventiva.

    Fu allora che tra Roma e Londra divampò uno scontro senza esclusione di colpi per l’egemonia nel Mediterraneo, che sfociò infine in un conflitto armato nell’ambito della Seconda guerra mondiale.

    Il fattore chiave per comprendere questi avvenimenti è la posizione geostrategica della Penisola.

    La classe dirigente inglese aveva sempre considerato il Regno d’Italia come al Regno di Napoli esteso verso Nord,( 1 ) da utilizzarsi nell’ambito della politica dell’equilibrio tra le grandi potenze europee. Oppure come una propaggine marginale della massa continentale eurasiatica, utile nell’ambito del contenimento della Russia.( 2 )

    Dopo la fondazione dell’Impero italiano in Africa Orientale i circoli politici e finanziari londinesi si convinsero che le nostre comunicazioni trasversali nel Mediterraneo non possono coesistere con le comunicazioni nord-sud italiane.

    Ciò imponeva, apparentemente, una drastica soluzione: costringere l’Italia ad una capitolazione dopo aver distrutto la la potenza navale italiana nel Mediterraneo.( 3 ) In realtà la pacifica convivenza dell’Inghilterra e dei suoi alleati – USA e Francia – con l’Italia fascista era teoricamente possibile, ma ciò avrebbe avuto un costo politico: riconoscere il nostro paese come una potenza coloniale con interessi oceanici. A Londra, a Parigi e a Washington non si volle nemmeno prendere in considerazione l’ipotesi, perché gli interessi economici e politici in ballo erano troppo grandi per essere messi in discussione. Perciò si sarebbero dovute annientare, una volta e per tutte, le velleità italiane di essere uno Stato sovrano. Questo concetto fu espresso senza reticenze da Winston Churchill al delegato apostolico William Godfrey nel 1945:

    "[…] Churchill ha risposto che l’Italia godrà di eccellenti condizioni di pace e che le sarà fornita una concreta assistenza per la ricostruzione. Ciò è garantito, dal momento che Stati Uniti e Unione Sovietica considerano la questione italiana di competenza della Gran Bretagna. L’Unione Sovietica acconsentirà a lasciare in assoluta pace l’Italia, mentre gli Stati Uniti forniranno tutto il possibile sostegno morale e spirituale nell’ambito degli interessi britannici.

    L’unica cosa che mancherà all’Italia è un’assoluta libertà politica. La Santa Sede dissentirà in parte da questa umiliante valutazione psicologica, che determinerà uno stato di discordia permanente e che provocherà la debolezza dei futuri governi italiani. […] Tuttavia Churchill ha aggiunto che il controllo politico sarà effettuato con la massima discrezione possibile e, comunque, sempre nell’interesse dell’Italia. […]

    Sentendosi libera di scegliere il proprio destino (come gli statisti italiani amano dire), l’Italia avrebbe sollevato l’odio e l’antipatia degli Alleati. Nessuno l’avrebbe aiutata e, alla fine, sarebbe piombata nell’anarchia e nella povertà. […]"( 4 )

    Malgrado le parole inequivocabili di Churchill gode tuttora di grande credito la favola della Liberazione. Secondo questa narrazione gli Alleati hanno combattuto non contro l’Italia e gli Italiani, ma contro il nazifascismo e per l’affermazione dei valori democratici. Ebbene, quanto i Liberatori fossero ansiosi di esportare la democrazia in Italia è spiegato dall’ambasciatore presso la Santa Sede, Sir D’Arcy Osborne, in questi termini:

    I principi e le regole della democrazia sono estranei alla natura del popolo italiano, che non si interessa di politica e le cui esperienze in questo campo hanno sortito l’unico risultato di accrescere il suo innato scetticismo. La gran massa degli italiani è individualista e politicamente irresponsabile e si preoccupa soltanto dei suoi problemi economici più urgenti. Mussolini aveva ragione a dire che gli italiani sono sempre stati povera gente. L’unità nazionale è ancora in una fase embrionale ed è subordinata a interessi locali e personali.( 5 )

    L’analisi dell’ambasciatore Osborne, per quando cruda, era fondamentalmente corretta. Purtroppo la Storia non ci ha insegnato nulla. Anche nell’Italia di oggi tante, troppe persone si lasciano abbindolare dalla propaganda dell’invasore straniero.( 6 ) Mentre il golpe giudiziario di Mani pulite spazzava via l’intera classe politica della Prima Repubblica e l’indignazione del popolo contro gli sprechi e la corruzione, sapientemente montata dai mezzi di informazione, cresceva, sul panfilo Britannia un pugno di tecnocrati non eletti consegnava l’Italia ai rappresentanti della City di Londra.( 7 ) La formidabile industria manifatturiera di Stato creata da Mussolini – l’IRI – fu svenduta e gli impianti produttivi furono poi delocalizzati.

    Il declino economico del nostro paese iniziò così.

    Nel momento in cui questo libro vede la luce, la stampa italiana attacca quotidianamente il governo Conte giocando di sponda con il presidente francese Macron, l’Europa e i mercati. Non è certo per difendere l’ideale europeista dal populismo e dal sovranismo che Macron è entrato in rotta di collisione col governo italiano, ma per proteggere gli interessi economici dell’asse franco-tedesco all’interno dell’Unione Europea e per tutelare gli affari della City di Londra e di Wall Street. Se la Storia non ci ha insegnato nulla, forse sarebbe il caso di studiarla con un po’ più di attenzione. Scopriremmo allora che certi fattori immutabili determinano un moto circolare negli avvenimenti storici del nostro Paese. Il fattore energetico è uno di questi elementi ed è forse il più importante.

    La linea filo-araba della diplomazia italiana e l’intraprendente attività dell’AGIP in Medio Oriente costarono la vita a Mussolini, il cui cadavere fu impiccato a una pompa di benzina della Standard Oil a piazzale Loreto a Milano.( 8 ) Lo stesso, tragico destino sarebbe toccato, successivamente, a Enrico Mattei e Aldo Moro. A Bettino Craxi andò un poco meglio: morì in esilio ad Hammamet. In tempi più recenti abbiamo assistito alla luna di miele di Silvio Berlusconi con Gheddafi e con Putin. Anche queste storie d’amore finirono male. Gheddafi fu assassinato, Berlusconi fu abbattuto da un complotto internazionale, mentre la Russia è ancor oggi vittima di inique sanzioni. L’attuale caos in Libia appare ingestibile a causa dei contrasti tra l’Italia, l’asse anglo-francese e l’Egitto (appoggiato a sua volta dagli Stati Uniti e dalla Russia) in merito alla redistribuzione delle concessioni che a suo tempo l’ENI ottenne dal regime dal Gheddafi. Anche sullo sfondo della triste vicenda di Giulio Regeni si stagliano ombre sinistre. La pista più accreditata indica nella fazione filo-britannica dei servizi segreti egiziani gli esecutori dell’omicidio del giovane ricercatore italiano dell’Università di Cambridge. Il movente? Provocare un incidente diplomatico tra Italia ed Egitto dopo la scoperta, da parte dell’ENI, del più grande giacimento di gas off-shore del Mediterraneo al largo delle coste egiziane. Anche queste concessioni fanno gola alle multinazionali anglo-americane. Il petrolio è dunque il filo conduttore di molte delle vicende storiche di questo paese.

    Il sogno mussoliniano di fare del Regno d’Italia una grande potenza navale si spense il giorno in cui la Regia Marina si arrese a Malta l’8 settembre 1943. Da allora i governi della Repubblica Italiana hanno mantenuto un basso profilo nel campo della politica navale. Su una linea ben diversa hanno continuato muoversi la Francia e la Gran Bretagna, che possiedono tuttora ragguardevoli forze navali e non esitano a servirsene per i loro obiettivi di politica estera.( 9 ) Quando Sarkozy annunciò pubblicamente la decisione di rovesciare il regime di Gheddafi,( 10 ) la flotta anglo-francese schierata al largo delle coste libiche aveva già iniziato i bombardamenti sulla Libia.

    Gli Stati Uniti si unirono agli aggressori all’ultimo momento. In queste circostanze il governo Berlusconi non poté far altro che allinearsi con i forti e con i prepotenti, sacrificando interessi commerciali ed energetici di proporzioni colossali. L’esempio proposto dimostra che il peso del potere navale anglo-francese è ancora condizionante per la politica estera italiana; e lo sarebbe ancor di più se l’Italia non fosse sotto la protezione americana. Studiare la politica navale del fascismo non è, quindi, una cosa inutile, se si riesce a rapportarla con la realtà odierna.

    L’affermazione di Mussolini, secondo la quale un popolo di quarantacinque milioni di anime non è veramente libero se non ha libero l’accesso all’Oceano ( 11 ) ossia al commercio mondiale, è ancora valida. E se il ricorso alla guerra non è un’opzione accettabile, non lo è nemmeno la supina accettazione dei diktat di potenze straniere.( 12 )

    La riconquista della sovranità nazionale deve essere l’obiettivo non solo dei governi presenti e futuri, ma anche delle nuove generazioni di italiani. Ne va dei diritti e del benessere di tutti. Se questo libro può stimolare il dibattito critico su tale argomento, scriverlo non sarà stato tempo perso.

    1 La definizione è dell’ambasciatore a Londra di Mussolini, il conte Dino Grandi.

    2 Secondo la lezione di Mackinder, il padre della Geopolitica anglosassone

    3 Cfr. Documento N. 4 in Appendice.

    4 Documento citato in Appendice come Documento N. 9.

    5 Nicola Tranfaglia, La Santissima Trinità, Bompiani, 2011, Nota N. 98 p. 277

    6 Dall’appello di papa Stefano II a Pipino il Breve, re dei Franchi, per difenderlo dai Longobardi (754 d.C.) la storia d’Italia è un interminabile elenco di appelli all’invasore straniero da parte di gruppi di potere minacciati nei loro interessi.

    7 L’episodio avvenne il 2 giugno 1992.

    8 E. Montermini, Mussolini e gli Illuminati, Edizioni Si, 2018.

    9 Non a caso quando Fincantieri tentò di assumere il controllo degli importanti cantieri navali STX di Saint Nazaire, Sarkozy si attivò prontamente per sventare l’indebita ingerenza del rivale italiano nei meccanismi del potere navale francese.

    10 Annuncio dato nel corso della riunione della cosiddetta coalizione dei volenterosi a Parigi, il 19 marzo 2011.

    11 Cfr. Appendice, Documento N. 5.

    12 Domenico Bonamico (1846-1925), il padre della strategia navale italiana, era convinto che l’Italia non avrebbe dovuto aspirare al dominio del Mediterraneo, perché altre potenze avevano interessi altrettanto legittimi in questo mare e perché l’obiettivo era molto a di sopra delle possibilità italiane: tuttavia l’Italia voleva sentirsi sicura in casa propria e non subire sopraffazioni altrove. Questi propositi mi sembrano giuridicamente ed eticamente legittimi e concretamente realizzabili.

    Capitolo I

    L’Italia nella grande strategia dell’impero britannico

    Tra la metà dell’Ottocento e la metà del Novecento il Regno Unito dominava il più vasto impero che il mondo avesse mai visto. Nel 1922, quando Mussolini marciava su Roma con le sue camicie nere, re George V regnava su un quarto del pianeta ossia il 40% di tutte le terre abitabili. Questa era la taglia del nemico che l’Italia si trovò a combattere nel corso della Seconda guerra mondiale.

    La grande strategia dell’Impero britannico può essere definita come la cooperazione del potere finanziario globale, che aveva nella City di Londra il suo centro, con il potere militare globale, la cui massima concentrazione era nelle mani della Corona britannica. Il potere militare globale al quale mi riferisco era dato dalla Royal Navy e da una catena ininterrotta di basi che controllavano la maggior parte dei punti di passaggio obbligati delle rotte marittime, chiamati Choke points. Questi punti strategici sono lo Stretto di Gibilterra, lo Stretto di Malta, il Canale di Suez, il Bāb el-Mandeb, il Capo di Buona Speranza e lo Stretto di Malacca. La Corona inglese agiva come il braccio armato della City e di fronte ad essa qualunque paese doveva inchinarsi, se voleva commerciare liberamente col resto del mondo.

    L’interesse dell’Inghilterra per il Mediterraneo può essere fatto risalire al Trattato di Utrecht del 1713, che fruttò alla Corona britannica il possesso di Gibilterra. Tuttavia è solo con l’apertura del Canale di Suez che il Mediterraneo si trasformò nel baricentro della strategia britannica. Da quel momento, infatti, i collegamenti marittimi della Gran Bretagna con le sue colonie in Africa, in India, nel Sud Est asiatico e in Oceania passavano attraverso questo mare di cui, per nessuna ragione al mondo, la Corona inglese avrebbe tollerato la perdita.

    Con la scoperta del petrolio nel Golfo Persico, nei primi anni del Novecento, il Mediterraneo divenne ancora più importante.

    Nel giovane e ambizioso Regno d’Italia Londra vide in principio un utile contrappeso alle mire imperialiste francesi in Africa e nel Levante.( 13 ) Tuttavia con l’Entente Cordiale (1904) la Francia riconobbe la supremazia britannica sui mari e nelle colonie. A quel punto per gli strateghi di Londra il nostro paese divenne una semplice appendice periferica della massa continentale eurasiatica, al centro della quale si erge un minaccioso Stato-perno: la Russia. Ciò fu spiegato perfettamente da Mackinder, il padre della geopolitica anglosassone, nel 1904: "Il rovesciamento dell’equilibrio delle potenze a favore dello Stato-perno, cioè la sua estensione sulle terre esterne eurasiatiche, garantirebbe a questo l’utilizzo delle grandi risorse continentali per un programma di costruzioni navali: sarebbe allora in vista il dominio del mondo. A ciò si arriverebbe se la Germania si alleasse con la Russia. La minaccia che rappresenterebbe un simile evento spingerebbe di conseguenza la Francia ad allearsi con le potenze d’oltremare; in questo caso Francia, Italia, Egitto, India e Corea diventerebbero altrettante teste di ponte sulle quali le flotte esterne sbarcherebbero degli eserciti con lo scopo di costringere gli alleati dello Stato-perno a mobilitare le proprie forze terrestri, impedendo quindi la concentrazione di tutta la loro potenza nelle flotte".( 14 )

    Mentre l’Inghilterra, la Germania, la Francia e gli Stati Uniti sviluppavano un pensiero geopolitico che forniva utili indirizzi agli uomini politici impegnati a difendere gli interessi nazionali, la nostra classe dirigente – assai più provinciale – amava sollazzarsi declamando i miti risorgimentali del Mediterraneo come Mare Nostrum e della missione civilizzatrice in Africa. Così l’espansione imperiale restava più nella retorica che nei fatti, in un momento in cui le potenze europee gareggiavano in una corsa per accaparrarsi le colonie. La fondazione di vasti imperi coloniali da parte di Gran Bretagna e Francia rese ancora più claustrofobico l’accerchiamento marittimo della Penisola.

    Si deve però ammettere che tra il 1861 e il 1918 i problemi più urgenti del giovane Regno d’Italia erano l’arretratezza economica, i disordini interni e una possibile con la guerra con potenti vicini come la Francia e l’Impero austro-ungarico. Per tali ragioni i nostri governi cercarono garanzie nell’alleanza con la Germania e nei buoni rapporti con l’Impero britannico, che però declinò sempre un’alleanza formale per evitare gli impegni che ne sarebbero derivati. Tuttavia quando scoppiò la Prima guerra mondiale, la classe dirigente nazionale fu costretta a porsi domande imbarazzanti sul ruolo dell’Italia nel mondo: domande che non potevano più risolversi con la retorica. Sarebbe stata necessaria un’analisi lucida e coraggiosa delle opportunità e dei rischi generati dalla nuova situazione venutasi a creare con la guerra tra la Germania e la Gran Bretagna.

    La prima e più importante domanda da porsi in quel frangente era decidere se l’Italia fosse virtualmente la potenza egemone del Mediterraneo oppure una ‘appendice periferica della massa continentale eurasiatica’, secondo gli schemi della geopolitica anglosassone. La risposta a questa domanda avrebbe risolto una volta per tutte l’annosa questione se l’Italia fosse l’ultima delle grandi potenze europee oppure la prima delle piccole potenze.

    Dal 1882 l’Italia era legata alla Germania e all’Impero austro-ungarico dalla Triplice Alleanza. Se nel 1914 avesse mantenuto fede agli impegni sottoscritti, avrebbe provocato una reazione a catena di proporzioni imprevedibili. Sono consapevole che la Storia non si fa con i se, ma è assai probabile che la Francia sarebbe crollata sotto i colpi dell’offensiva tedesca nel giro di pochi mesi.( 15 ) La nuova situazione venutasi a creare avrebbe assicurato alla Triplice Alleanza e ai suoi alleati minori il controllo del Mediterraneo centrale e dell’Egeo, oltre a rendere disponibili considerevoli forze navali con cui operare nel Mar Nero.( 16 ) Ciò avrebbe accelerato il collasso della Russia, per effetto del quale immense quantità di grano e materie prime si sarebbero rese disponibili per la coalizione, vanificando gli effetti del blocco navale britannico.( 17 ) L’insieme di tutti questi fattori avrebbe forse costretto le potenze navali anglofone a negoziare la pace. Si noti che, in questa ricostruzione, la Royal Navy non avrebbe giocato alcun ruolo attivo nel Mediterraneo a causa della sua debolezza.( 18 ) In una

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