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La disfatta del Terzo Reich
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E-book324 pagine4 ore

La disfatta del Terzo Reich

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La battaglia di Stalingrado

Storia dell'assedio che decise la fine di Hitler

Se c’è una battaglia che ha compromesso in modo definitivo il sogno di gloria di Hitler, è senza dubbio quella di Stalingrado. Dal 23 agosto 1942 al 10 marzo 1943 la VI Armata tedesca, condotta da Paulus, fu inchiodata dal tenace attaccamento dei russi alla città che portava il nome del loro leader. Uno scontro senza esclusione di colpi, con due fronti che si battevano all’ultimo sangue con una sola direttiva: annientare il nemico. Vincitori in estate, i tedeschi vennero però decimati dal terribile inverno russo e dalla strenua opposizione del popolo sovietico. Costretti da Hitler a resistere fino alla morte, la loro guerra di conquista si trasformò così gradualmente in un’insensata carneficina. Mentre la produzione bellica tedesca arrancava, piegata dalla mancanza di materie prime e dai bombardamenti alleati, quella russa migliorava a vista d’occhio, sfornando un numero crescente di carri armati, aerei, cannoni. E a Natale del 1942, a Berlino si parlava degli uomini di Paulus come se fossero già morti. Passo dopo passo, Andrea Marrone ripercorre una delle battaglie che hanno cambiato il corso della storia.

La prima grande sconfitta dei nazisti
La sanguinosa battaglia che decise le sorti della Seconda guerra mondiale


Andrea Marrone

ha vissuto e lavorato per vent’anni in Estremo Oriente. Collabora con testate giornalistiche italiane ed estere. Ha scritto i romanzi Lettera a un archivista fedifrago e Kaffir, ambientato in Afghanistan. Per la Newton Compton ha pubblicato il saggio I Mille. La battaglia finale e La disfatta del Terzo Reich.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854147713
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    Anteprima del libro

    La disfatta del Terzo Reich - Andrea Marrone

    77

    Le illustrazioni delle tavole fuori testo

    sono di Giorgio Albertini

    Prima edizione ebook: settembre 2012

    © 2012 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-4771-3

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Gag srl

    Andrea Marrone

    La disfatta del Terzo Reich

    La battaglia di Stalingrado

    Newton Compton editori

    A Betty, la tessitrice dei miei sogni

    Ringraziamenti

    Per questo testo, difficile ed emotivamente coinvolgente, come sempre devo ringraziare Betty, che con la sua vicinanza, il suo amore e la sua comprensione ha reso possibile tutto ciò. Voglio altresì ringraziare l’amico Andrea Frediani per il supporto, l’incoraggiamento e la fiducia. Uno speciale ringraziamento va all’editor della Newton Compton, Olimpia Ellero, che ha saputo conciliare le esigenze di precisione dei dettagli con la leggibilità del testo.

    «L’ora del coraggio è scoccata sull’orologio».

    Anna Achmatova

    «Resistete perché il Führer vi tirerà fuori».

    General maggiore Arthur Schmidt,

    capo di Stato Maggiore della VI Armata

    «Ogni sette secondi un tedesco

    muore sul Fronte Orientale».

    Slogan propagandistico sovietico

    Nota dell'autore

    Dovendo trattare nel libro argomenti e temi complessi, e dovendo utilizzare fonti storiche molto eterogenee, nella stesura ho scelto di adottare i seguenti criteri:

    Poiché la grafia dei nomi russi varia tra testi in inglese e in italiano, ho cercato di usare quella più accreditata, soprattutto per i nomi meno noti.

    Per non creare confusione, ho indicato le formazioni militari tedesche con i numeri romani e quelle sovietiche con gli arabi.

    I gradi tedeschi e sovietici spesso non coincidono con quelli italiani, specialmente per i generali. Ho semplificato chiamando tutti con il grado di generale senza specificare se si trattasse di tenenti generali, generali delle truppe corazzate, di artiglieria ecc.

    Per Fronte Orientale i tedeschi intendevano tutta l’area dell’Est europeo e l’Unione Sovietica, mentre per i russi il termine Fronte esprimeva sostanzialmente un Gruppo d’Armate; a scanso di equivoci, tutte le volte che la parola Fronte è maiuscola ed è seguita dal nome di una località – per esempio, il Fronte di Bryansk, il Fronte di Stalingrado – si tratta di Gruppi d’Armate sovietici. Quando la parola fronte è minuscola si riferisce invece al senso comune del termine e cioè la linea dove un esercito è schierato.

    La catena di comando tedesca era, come tutte le strutture burocratiche del Terzo Reich, inutilmente complicata. Hitler, come ogni dittatore, cercava sempre di far sì che le competenze si sovrapponessero in modo da non accentrare il potere in mano a pochi uomini. Il Führer era convinto di essere l’unico genio militare del Reich e si arrogava il diritto di avere l’ultima parola in qualsiasi decisione. L’Alto Comando si divideva in OKW e OKH, Oberkommando Wehrmacht e Oberkommando Heer. Marina e aviazione avevano altri Alti Comandi. In sostanza, l’OKW aveva una certa precedenza sull’OKH, ma spesso Hitler prevaricava la catena di comando e questo creava insicurezza e confusione, condizioni poco auspicabili in tempo di guerra.

    Anche Stalin si considerava un grande condottiero, ma nel corso della guerra progressivamente lasciò che i suoi generali, perlomeno quelli di cui si fidava come Zhukov, agissero in maniera più o meno autonoma. All’inizio delle ostilità, ristabilì un Alto Comando unificato già in funzione nell’era zarista, chiamato Stavka, ma poi gli affiancò una pletora di comitati politici e militari, ottenendo come risultato una situazione insicura e confusa nella condotta bellica.

    1

    Due dittature troppo vicine

    In geologia le faglie sono fratture della crosta terrestre che, spinta da forze opposte, si solleva e si spacca. La battaglia di Stalingrado, l’odierna Volgograd, è una faglia nella storia dell’umanità. Qui, due tra le più nefande dittature della storia hanno cozzato come arieti il 23 agosto 1942 e hanno continuato a farlo fino al 3 febbraio 1943, quando la forza di una di esse si è esaurita e una tragica battaglia di attrito è terminata in una di annientamento.

    Analizziamo brevemente i protagonisti del conflitto: nonostante la vocazione internazionalista dell’Unione Sovietica, nelle sue politiche persisteva il vecchio sogno zarista di un panslavismo che radunasse sotto di sé tutti i popoli dell’Est per arrivare alle coste del Mediterraneo e ai suoi porti sempre liberi dai ghiacci.

    Il nazional-socialismo, invece, non aveva nessuna ambizione internazionalista. Si basava, al contrario, sull’assunto che la razza germanica meritasse di dominare sulle altre e, se tendeva a includervi ancora scandinavi ed elementi residuali germanici dell’Est europeo, propugnava l’allontanamento degli altri popoli dal Lebensraum, lo spazio vitale germanico, o il loro asservimento per utilizzarli come bassa manovalanza.

    Interessi largamente contrapposti, dunque, ma non tanto da impedire che tra i leader delle due ideologie, Adolf Hitler e Josef Stalin, venisse stretto un patto scellerato per lo smembramento e la divisione della Polonia. I fatti che seguirono l’invasione tedesca del 1° settembre 1939 sono noti: la dichiarazione di guerra da parte di Francia e Regno Unito alla Germania; la Blitzkrieg – la guerra-lampo tedesca – che mise fuori combattimento la Francia con l’invasione del Belgio e dei Paesi Bassi; l’ingresso dei tedeschi in Danimarca e Norvegia.

    L’entrata in guerra dell’Italia al fianco della Germania causò un’altra serie di occupazioni: Grecia e Jugoslavia furono invase fino a creare uno Stato croato filonazista; la Cecoslovacchia era già stata parzialmente annessa alla Germania insieme all’Austria e un’altra parte andò a formare uno Stato semi-indipendente alleato dei tedeschi. Anche Ungheria e Romania scelsero di aderire a un patto con i tedeschi, come la Bulgaria che, dopo un periodo di neutralità, entrò svogliatamente nell’alleanza militare e partecipò all’occupazione ellenica. Invece la Spagna, reduce da una sanguinosa guerra civile, declinò prudentemente i pressanti inviti tedeschi, lasciando aperto il corridoio navale di Gibilterra, cruciale per lo sforzo bellico inglese. Infine la Finlandia approfittò dell’Operazione Barbarossa, l’attacco tedesco all’Unione Sovietica, per cercare di recuperare parte del territorio perso durante la precedente guerra russo-finnica.

    In questo orizzonte, l’URSS rimase fedele al suo impegno tra alleati senza cercare di intervenire in nessun modo, se non iniziando un forzoso programma di riarmo in previsione di un futuro conflitto con il suo vecchio complice.

    Il patto Molotov-Ribbentrop – dai nomi dei ministri degli Esteri delle due dittature, firmato il 23 agosto del 1939 – non sanciva esclusivamente la non aggressione: era un piano criminale di ripartizione delle nazioni limitrofe tra i due alleati. Una situazione che si ripresenterà nella conferenza di Yalta, dove Stalin otterrà con poca fatica di poter estendere l’egemonia politica sovietica ai Paesi occupati dall’Armata Rossa durante l’inseguimento dell’esercito tedesco in ritirata. In quella sede, l’URSS annetterà – oltre al dieci percento del territorio nazionale finlandese – gli Stati baltici di Estonia, Lituania e Lettonia, e anche la Romania verrà obbligata a cedere la Bessarabia, Hertza e parte della Bucovina.

    Ma torniamo al clima che precedette l’attacco tedesco alla Russia. Pare che le scarse prestazioni dell’Armata Rossa contro l’esiguo esercito finlandese avessero convinto Hitler della debolezza militare dell’Unione Sovietica, portando così all’Operazione Barbarossa. Un altro motivo alla base della strategia tedesca risiedeva nella terribile purga che lo spietato e paranoico Stalin inflisse ai quadri delle forze armate sovietiche. Le purghe militari del 1937 – causate tra l’altro da informazioni ricevute, guarda caso, dal Sicherheitsdienst, il servizio di sicurezza delle SS – falcidiarono a tal punto i quadri militari sovietici che, all’inizio della guerra russo-finnica del 1939-40, la metà degli ufficiali sovietici era costituita da allievi dell’accademia militare che non avevano concluso nemmeno gli studi. Una delle vittime più illustri fu il maresciallo Tuchačevskij che, oltre a essere un deciso avversario della Germania nazista, fu anche un brillante innovatore. A lui, infatti, si deve lo sviluppo di quelle tattiche che – coordinando esercito e aeronautica a sostegno di attacchi in profondità delle truppe corazzate, appoggiati da artiglieria meccanizzata preceduta da lanci di aviotruppe – sarebbero poi state impiegate dai tedeschi proprio sotto il nome di Blitzkrieg.

    C’era inoltre, negli ambienti politici e militari del Terzo Reich, la percezione, rivelatasi poi tragicamente distorta, che l’Unione Sovietica non possedesse una tecnologia e una capacità produttiva paragonabili a quelle tedesche, e che quindi potesse essere battuta facilmente anche sul piano della qualità degli armamenti e della loro efficacia.

    Al momento dell’invasione, Wilhelm Keitel, il principale stratega tedesco e capo dell’OKW, informò Hitler di poter contare, sul Fronte Est, su 121 divisioni (contro le 155 che i sovietici avevano a disposizione nella Russia europea) e su seicento carri armati (contro i 2.400 dell’URSS). Ma questi dati non impensierirono il Fürher, convinto com’era della superiorità sia del soldato tedesco che del suo armamento.

    A fronte di tutte queste considerazioni, inoltre, il dittatore voleva rendere autosufficiente la Germania in termini di risorse, e l’unico modo per farlo senza valicare gli oceani era muoversi verso est. Questo, più che l’antagonismo politico, rappresentò il motivo principale dell’attacco all’Unione Sovietica: la Germania non doveva più correre il rischio di essere strangolata e privata delle risorse dal blocco navale degli Alleati, com’era successo durante la prima guerra mondiale.

    Ciò nonostante, quando Hitler annunciò l’intenzione di attaccare la Russia, i suoi generali lo sconsigliarono: l’apertura di un secondo fronte era considerata pericolosa. Ma, come al solito, fece di testa sua: era convinto che l’Unione Sovietica sarebbe crollata, analogamente alla Polonia, dopo una campagna intensa e brutale ma non troppo lunga. Una vittoria veloce sembrava possibile. Il generale Kleist ricorda nelle sue memorie: «Non c’erano piani per una lotta prolungata. Tutto era basato sull’idea di un risultato decisivo prima dell’autunno 1941»¹.

    Le prime fasi della campagna, in effetti, diedero ragione a Hitler e, fino al settembre del 1941, l’OKW stimava che fossero stati fatti prigionieri due milioni e mezzo di uomini e che almeno cinque milioni fossero stati uccisi o messi fuori combattimento. Erano stati eliminati diciottomila carri armati e ventiduemila bocche da fuoco. Quattordicimila aerei erano stati distrutti. Leningrado era assediata, Mosca era a un soffio e tutta l’Ucraina in mano ai tedeschi. I successi iniziali furono tali da spingere l’OKW a redigere piani per il ritiro di ottanta divisioni dal Fronte Orientale.

    2

    Il miraggio di Mosca

    La prima battuta d’arresto per i tedeschi si verificò a dicembre alle porte di Mosca, proprio quando l’inverno russo si manifestava in tutta la sua inclemenza. Qui gli invasori si scontrarono con le difese esterne della città: erano fortificazioni estese in profondità e, benché preparate in tutta fretta, si dimostrarono ostacoli insormontabili da superare per la Wehrmacht, già fiaccata dal clima rigido. Improvvisamente, i lubrificanti di motori e armi si ghiacciarono, centinaia di soldati patirono il congelamento degli arti, non avendo vestiti e calzature adeguati. Approvvigionare i reparti più avanzati divenne un inferno e, arrivati in vista delle torri del Cremlino, ai tedeschi non rimase altro da fare se non ripiegare.

    La ritirata non fu delle dimensioni di quella napoleonica del 1812 solo a causa della crudele determinazione di Hitler nel fermarla: impose ai suoi generali di tenere le linee a tutti i costi. La mattina del 18 dicembre il Gruppo d’Armate Centro ricevette gli ordini del Führer: «I generali comandanti, i comandanti e gli ufficiali devono intervenire personalmente per spingere le truppe a una resistenza fanatica nelle loro posizioni senza che si preoccupino dei fianchi o delle retrovie»².

    Nel dicembre del 1941, era emerso un nuovo fattore: per la prima volta dall’inizio della guerra, la macchina militare tedesca non era stata in grado di gestire una crisi. In passato aveva sempre avuto a disposizione nuove riserve, materiali, abilità tattica e strategica per rispondere a mutate esigenze militari, ma non era questo il caso dell’improvviso rovesciamento dei rapporti di forza di fronte a Mosca.

    Prima di tutto, l’equipaggiamento invernale dei tedeschi – vestiario e dotazioni adatti al clima – era riuscito ad arrivare ai terminal ferroviari, eppure c’erano ancora delle difficoltà per la distribuzione alle truppe, tanto che alla fine dell’anno ne sarebbe stato consegnato ai reparti appena un terzo. Si cercò anche di sopperire con requisizioni di abbigliamento pesante – pellicce e stivali di feltro – ai danni della popolazione dei territori conquistati. Oltre a questo fattore non secondario, anche la disparità negli armamenti era sotto gli occhi di tutti: la II Armata Corazzata di Guderian aveva solo settanta carri funzionanti e centosessantotto in riparazione, e da giugno a dicembre ne aveva preso in carico novecentosettanta. La superiorità del sovietico T-34 sui carri tedeschi era netta e l’unica arma in grado di contrastarlo era l’artiglieria campale o il micidiale cannone antiaereo da 88 mm. Fortunatamente per la Germania, i russi potevano schierare pochi T-34 in quel periodo, ma sufficienti a far arretrare ancora Guderian, il 25 dicembre, nonostante gli ordini perentori di Hitler. Quello stesso giorno, il generale chiese di essere sostituito al comando e fu trasferito alla riserva. Il nuovo comandatte della II Armata Corazzata divenne Rudolf Schmidt.

    Mentre la Wehrmacht lottava per la sopravvivenza, cominciarono a essere distribuiti ai reparti dei nuovi tipi di munizionamento anticarro. Erano i cosiddetti Rotkopf, testarossa, perché la punta del proiettile era colorata. Si trattava dei primi proiettili a carica cava in grado di perforare le corazze dei carri armati sovietici, più spesse di quelle tedesche. Il nuovo munizionamento funzionava benissimo ma, all’improvviso, Hitler ordinò che se ne cessasse la distribuzione e che venisse ritirato dai reparti che l’avevano già ricevuto. Il motivo era che il Führer temeva che i micidiali Rotkopf cadessero in mano ai sovietici e che venissero copiati, con conseguenze ancor peggiori sulla corazzatura più leggera dei blindati tedeschi. Per qualche settimana i Rotkopf sparirono, ma poi, com’era logico, tornarono a disposizione delle armi controcarro tedesche.

    Il 14 gennaio, mentre lo slancio offensivo dei sovietici cominciava a risentire del prolungarsi delle operazioni, Hitler ordinò una ritirata generale sulla cosiddetta linea Königsberg, che andava da Rzhev a Gzhatsk e da Orël a Kursk. Una decisione che gli costò molto, al punto da ripromettersi di non doverne mai più prendere una simile: fu un altro tassello nella preparazione della tragedia di Stalingrado. Questa decisione segnò la salvezza del Gruppo d’Armate Centro. L’offensiva sovietica continuò. A nord fu chiesto al feldmaresciallo Von Leeb di resistere. Ma quando questi chiese di potersi ritirare o di essere sostituito, fu destituito, e al suo posto fu inviato il feldmaresciallo Georg Von Küchler. Alla fine di gennaio i sovietici, anche se ancora in grado, in qualche caso, di isolare e circondare dei reparti tedeschi, avevano esaurito le possibilità di sfruttare il loro vantaggio strategico a causa della scarsità di approvvigionamenti e della stanchezza degli uomini, quindi le operazioni, nel nord, si spensero quasi del tutto.

    A Demyansk centomila tedeschi, completamente circondati dall’Armata Rossa, furono riforniti dal cielo dall’ancora potente Luftwaffe, un precedente che costituirà un altro tassello per la costruzione del disastro di Stalingrado. Demyansk – inizialmente ribattezzata Kessel, calderone, dai tedeschi – per la prima volta dall’inizio della guerra fu denominata Festung, fortezza, un termine che implicava l’intenzione di resistere a oltranza. La prossima fortezza sarebbe stata Stalingrado e poi, nel corso della guerra, ve ne sarebbero state molte altre, tutte con conseguenze tragiche.

    La crisi militare dell’inverno del 1941 aveva messo fuori gioco una parte importante dei comandanti in campo della Germania. Il feldmaresciallo Von Reichenau, a capo del Gruppo d’Armate Sud, aveva avuto un infarto. E i suo colleghi Von Leeb, Von Rundstedt, Brauchitsch e Strauss e i generali Guderian e Höpner erano stati messi da parte perché avevano contrariato Hitler. Per sostituire Von Reichenau, il Fürher designò il feldmaresciallo Von Bock, immediatamente inviato a Poltava, dove era in corso un attacco sovietico contro un saliente tedesco sul fiume Don chiamato la testa di ponte di Izyum. Il lato nord del saliente, difeso dalla VI Armata del generale Friedrich Paulus, riuscì a reggere all’attacco salvaguardando l’integrità del fronte. Per questa azione, Paulus venne decorato e ricevette le congratulazioni da parte del Führer: un onore che lo legò al dittatore in un rapporto di subordinazione eccessivo perfino per un militare tedesco.

    Il 12 febbraio 1942 il feldmaresciallo Von Kluge ritenne che, per la prima volta in due mesi, la situazione del Gruppo d’Armate Centro fosse di nuovo sotto controllo, dal momento che si era rovesciata di nuovo a causa della testardaggine di un dittatore: in questo caso si trattava di Stalin, che aveva insistito per un’insostenibile offensiva generale. E proprio nel momento in cui la vittoria sembrava a portata di mano per i sovietici, il loro attacco si era esaurito per mancanza di uomini e materiali.

    Hitler, in una conferenza militare, affermò che «il pericolo del panico come nel 1812 era stato sventato»³, riferendosi all’infelice campagna di Russia di Napoleone, quando la ritirata si era trasformata in una rotta.

    Nonostante l’avanzata germanica si fosse arenata nel dicembre 1941 davanti a Mosca, i tedeschi continuarono a dilagare per un anno e mezzo, infliggendo perdite sempre più gravi ai russi, fino a quando non si trovarono di fronte un ostacolo che avrebbero potuto tranquillamente ignorare: Stalingrado. La storia della battaglia per la conquista di questa città è la storia dell’avvenimento più importante sul Fronte Orientale in tutto il conflitto. Prima di Stalingrado, la Germania nazista aveva la possibilità di vincere. Dopo non più.

    3

    La fine dell’offensiva sovietica e la ripresa militare tedesca

    A metà febbraio del 1942, i tedeschi erano fermi sulla linea Königsberg, dove si stavano riorganizzando. Stalin, che aveva rimesso in funzione il comando militare unificato Stavka, chiese al generale Zhukov un nuovo sforzo: il Fronte Ovest e il Fronte di Kalinin dovevano attaccare ancora per ottenere la distruzione totale del Gruppo d’Armate Centro. Occupando Vyazma entro il 5 marzo 1942, per poi proseguire, avrebbero permesso alle altre forze sovietiche alla sinistra della città di liquidare i tedeschi nell’area di Bryansk. Per portare a termine tale compito, Zhukov ottenne qualche riserva, ma si trattava di truppe non adeguatamente addestrate. I veterani degli Urali e della Siberia erano stati decimati in due mesi di combattimenti nel micidiale clima dell’inverno russo e ora il materiale umano a disposizione di Zhukov era composto da operai, contadini, studenti frettolosamente chiamati alle armi e dai superstiti delle unità distrutte durante la prima fase del conflitto.

    Anche il cambio climatico influiva sulla possibilità di eseguire gli ordini dei due dittatori. Il disgelo e la stagione delle piogge primaverili si avvicinavano e, con essi, l’incubo del mare di fango che avrebbe trasformato le strade in pantani invalicabili. Questo evento – chiamato rasputitza – è causato dallo scioglimento dello strato superiore di neve e ghiaccio. Si viene così a creare una patina melmosa che poggia sullo strato inferiore di terreno ancora ghiacciato; finché il processo di disgelo non è completo, l’acqua derivante dallo scioglimento dello strato superficiale non viene riassorbita dal terreno e quindi continua a formarsi del fango.

    Il 25 marzo 1942 la temperatura superò gli zero gradi e iniziò il disgelo, anche se a Vyazma una bufera di neve tardiva seppellì le forze tedesche sotto la neve per parecchi giorni. Zhukov fu raggiunto da nuove disposizioni di Stalin: proseguire l’offensiva per altri trenta giorni e respingere i tedeschi su una linea a metà strada tra Vyazma e Smolensk. Zhukov, tuttavia, non aveva le forze per ottemperare all’ordine ricevuto. Inoltre, la sua 33ª Armata si era spinta troppo oltre ed era stata circondata e distrutta dai tedeschi: solo pochi uomini erano riusciti a scappare e il suo comandante, il generale Mikhail Grigorievich Yefremov, si era suicidato.

    Negli ultimi giorni dell’inverno, sia i tedeschi che i sovietici fronteggiavano più le difficoltà di muoversi e approvvigionarsi che altro. Su vari fronti, i tedeschi erano stati circondati e assediati, e la loro situazione era piuttosto critica a Demyansk, come abbiamo ricordato, e a Kholm, dove trentacinquemila soldati erano rimasti sotto assedio per diverse settimane ed erano stati riforniti con un costoso ponte aereo. In un mese di operazioni, la Luftwaffe aveva perso quarantasei aeroplani e la città fu ben presto rifornita tramite alianti. Per approviggionare il II Corpo d’Armata germanico a Demyansk – composto da circa centomila uomini – erano necessarie trecento tonnellate di equipaggiamenti al giorno: ecco perché la Luftwaffe destinò metà dei suoi aerei da trasporto a quello che è stato il primo, massiccio aviorifornimento della storia. Gli Junker 52 volavano in formazioni da venti a quaranta aerei scortati dai caccia e, pur non riuscendo a soddisfare completamente le necessità degli assediati, almeno li misero in condizione di difendersi fino alla fine.

    Per tutto aprile, il fango impedì spostamenti significativi delle truppe, ma a maggio i sovietici organizzarono un’offensiva su Kharkov, alla quale i tedeschi risposero con una controffensiva. A prezzo di enormi sacrifici, Hitler era riuscito a mantenere la linea del fronte e a salvare una grande quantità di materiale bellico preziosissimo. E, con l’arrivo della primavera, i rinforzi che stavano affluendo avrebbero permesso ai tedeschi di riprendere l’iniziativa. La breve pausa nei combattimenti li aveva aiutati a rafforzarsi, tanto che il 17 maggio si mossero contro la sacca di Izyum con due divisioni corazzate della VI Armata del generale Paulus. Lo scontro finì il 28 maggio 1942 con la cattura di ventiquattromila prigionieri, milleduecento carri armati e duemilaseicento cannoni. Sembrava l’inizio di una nuova stagione di successi sfolgoranti per il Reich, invece era solo l’effetto dell’insistenza di Stalin: a furia di organizzare offensive per assecondarlo, le armate sovietiche erano ormai esauste e troppo esposte.

    4

    Operazione Blau: la preparazione

    Come abbiamo visto, per i tedeschi il 1942 non sarebbe stato propizio quanto il 1941. L’effetto sorpresa era svanito, la capacità produttiva dell’Unione Sovietica era palesemente maggiore di quella germanica e una risoluzione della guerra prima del devastante inverno era improbabile. Uno studio dell’OKW sulla situazione degli armamenti del marzo del 1942 mostrava che durante l’inverno erano stati persi, sul Fronte Orientale, settemila pezzi di artiglieria, dai piccoli cannoni anticarro da 37 mm agli obici da 210. Inoltre, dei settantacinquemila veicoli a motore persi era stato rimpiazzato solo il dieci percento, e altri venticinquemila potevano essere recuperati in Germania, riducendo così il deficit a più di quarantamila veicoli. Erano state consumate 390.000 tonnellate di munizioni con una drastica riduzione delle riserve strategiche tedesche. Ciò, secondo l’OKW, significava che «le carenze non potranno, per il momento, essere compensate dalle nuove produzioni o dalle riparazioni. Questo comporterà dei tagli e una forte enfasi sulle priorità in tutte le aree»⁴. In altre parole, ci si doveva arrangiare con quello che era rimasto.

    Per quanto riguarda gli uomini, le forze a disposizione del Fronte Orientale al 1° maggio del 1942 erano – in termini strettamente numerici – maggiori di quelle a disposizione a giugno: sette divisioni di fanteria e tre divisioni corazzate in più, e altre quattro divisioni erano previste per la fine di maggio. Eppure, anche se il Fronte Orientale aveva ricevuto dal 22 giugno 1941 un milione e centomila soldati come rimpiazzi, i tedeschi erano ancora in deficit di 625.000 uomini e non sarebbe

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