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Covid-19: Un'epidemia da decodificare. Tra realtà e disinformazione
Covid-19: Un'epidemia da decodificare. Tra realtà e disinformazione
Covid-19: Un'epidemia da decodificare. Tra realtà e disinformazione
E-book288 pagine3 ore

Covid-19: Un'epidemia da decodificare. Tra realtà e disinformazione

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Info su questo ebook

L'emergenza nata con l'epidemia da Covid-19 sembra poter giustificare ogni arbitrio, pretendendo di basarsi sul possesso di verità scientifiche incontrovertibili. Ma chi crede di possedere la verità è nemico del dubbio, del dialogo, della discussione. Esperti e autorità stanno finalmente riconoscendo che qualcosa non torna nel bilancio di morti e positivi su cui hanno costruito una narrativa funzionale alla instaurazione di un regime di emergenza continuata. Ma dietro tutto questo – partendo da come è nato il virus tra le nebbie di Wuhan fino a come ci si è attrezzati per affrontarlo – crescono dubbi e preoccupazioni. Nel frattempo, mentre l'epidemia procede per suo conto sfornando varianti meno aggressive, stanno emergendo dati nuovi che suscitano inquietudine circa gli effetti avversi da vaccino, in special modo se riferiti alle fasce più giovani della popolazione, quelle che – per definizione – meno hanno da temere dall'infezione da Covid-19. Qualcuno dovrà risponderne. Dovrà decodificarne ogni aspetto. Ci attende un vero e proprio tsunami di disperate razionalizzazioni, faticose negazioni, spudorati tentativi di modificare le responsabilità e altre forme di inverosimili tentativi di difesa dell'indifendibile. Ma alla fine, la verità salterà fuori.
LinguaItaliano
Data di uscita17 giu 2022
ISBN9791280657190
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    Anteprima del libro

    Covid-19 - Mariano Bizzarri

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    Mariano Bizzarri

    Covid-19: Un’epidemia da decodificare

    Tra realtà e disinformazione

    Con un saggio di Massimo Cacciari

    Autore: Mariano Bizzarri

    Pubblicato da

    Byoblu Edizioni

    Via Deruta 20

    20132 – Milano

    Copyright© Byoblu Edizioni

    Tutti i diritti riservati.

    ISBN: 9791280657190

    Prima edizione: marzo 2022

    Editing e coordinamento editoriale: Federica Prestifilippo

    Tutti i diritti sono riservati ove non diversamente specificato. Nessuna parte di quest’opera può essere riprodotta in alcuna forma senza l’autorizzazione scritta dall’editore, a eccezione di brevi citazioni destinate alle recensioni.

    Covid-19: Un’epidemia da decodificare

    Tra realtà e disinformazione

    Con un saggio di Massimo Cacciari

    La debolezza del sovrano genera paure le paure alimentano soluzioni improvvisate e sproporzionate, prive di strategia scientificamente fondata. L’assenza di strategia conduce all’emergenza perenne l’emergenza perenne allo Stato di Eccezione.

    Lo Stato di eccezione è l’anticamera della fine dello Stato di diritto. è tempo ora di spezzare il circolo vizioso e di annunciare che il Re è nudo.

    Mariano Bizzarri e Massimo Cacciari

    C’era una volta un virus a Wuhan

    Cronistoria di una pandemia annunciata

    Un evento inatteso?

    La pandemia da Covid-19 – sostenuta dalla diffusione del virus a RNA SARS-CoV-2 – ha colto i governi impreparati. Si è parlato di epidemia inaspettata, emergenza assoluta, dai contorni vaghi e confusi. Questa vera e propria leggenda metropolitana va da subito sfatata se si vuole collocare la diffusione del Covid-19 nella sua giusta prospettiva.
    L’assenza di consapevolezza circa la probabile evenienza di pericolose epidemie dimostrata da molti governi – incluso quello italiano – non va confusa con la mancanza di previsioni e dati che, nel corso degli ultimi vent’anni, sono stati puntualmente elaborati dalla comunità scientifica e prefigurati a livello di cultura di massa da un numero considerevole di romanzi e film ambientati in un futuro distopico¹. In realtà, «such a global pandemic might not be as unlikely as it seems – some would even go so far as to say that it is a certainty, with the only uncertainties being what pathogen will cause it, when it will happen and how well the world will cope […]. For too long, preparedness strategies for public-health emergencies have been neglected, and communities remain ill-equipped to face a sudden epidemic, let alone a global pandemic. Perhaps the looming spectre of a potentially devastating H5N1 pandemic will kill off this false sense of security, and concentrate the minds and budgets of both governments and research communities towards preventing another superbug scourge»

    ².

    Proprio in coincidenza con il centenario dell’influenza Spagnola (1918-1920), ricordata in questi anni con la pubblicazione di libri e rapporti³, va lamentata la contestuale sottovalutazione del pericolo rappresentato dal risveglio periodico di epidemie su base simil-influenzale, peraltro già anticipate dalla triste esperienza della SARS nel 2003, anche questa partita da un focolaio sviluppatosi inizialmente in Cina. La rivista Lancet ha giustamente stigmatizzato tale incompetenza da parte delle autorità politiche parlando apertamente di «trained incapacity»⁴. Nel settembre del 2019, il prestigioso Johns Hopkins Center for Health Security⁵ diffondeva un lungo documento (Preparedness for a High-Impact Respiratory Pathogen Pandemic) in cui veniva sottolineata l’imminenza di una prossima pandemia influenzale, resa sempre più probabile in ragione dei fenomeni correlati alla globalizzazione e alla manipolazione degli animali (per motivi alimentari o di ricerca scientifica), con conseguente rischio di trasmissione di zoonosi all’uomo. Un assaggio di questi pericoli lo abbiamo avuto con l’epidemia della Encefalopatia Spongiforme Bovina (BSE, nota anche come malattia della mucca pazza)⁶, nel 2001, e successivamente con le epidemie di SARS, MERS, e Aviaria dal 2003 a oggi. L’attuale epidemia non è propriamente un evento inatteso a cui le autorità si sarebbero trovate a far fronte in modo inaspettato. Questa è una fake news⁷, dato che scienziati e tecnici dell’amministrazione statale sapevano benissimo che ciò non solo poteva avvenire, ma in un certo senso ritenevano questa evenienza come imminente. Il giorno 11 marzo 2019 La Repubblica scriveva: «Non è una questione di se, ma di quando [la Pandemia, N.d.R.] arriverà. Il Global Influenza Strategy è il programma appena varato per affrontare il rischio. Con due obiettivi: investire nella ricerca e migliorare i sistemi di sorveglianza e di intervento»

    ⁸.

    Un ventennio di incidenti

    Prima del 2019, a partire dai primi anni 2000, sono stati identificati sei distinti ceppi di coronavirus (CoVs) capaci di infettare gli esseri umani:
    i ceppi HCoV-229E, HCoV-OC43, HCoV-NL63 e HKU1, associati a forme di sindrome influenzale delle vie aeree superiori;
    i ceppi della SARS-CoV e della MERS-CoV, associati a patologie polmonari e a sindromi di insufficienza respiratoria acuta (ARDS, spesso esitanti in polmoniti di tipo interstiziale), che hanno dato luogo – rispettivamente nel 2003 e nel 2012 – a due epidemie gravate da significativa mortalità, pur avendo interessato un numero modesto di persone

    ⁹.

    L’epidemia di SARS – il cui serbatoio naturale è costituito dai pipistrelli¹⁰ – si ritiene che abbia avuto inizio nel novembre 2002 nella regione di Guandong (Cina)¹¹, dove si è verificato il primo caso, nella provincia di Foshan. La Cina sembra aver adottato alcune misure parziali, senza tuttavia curarsi di darne tempestiva comunicazione all’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization, WHO), se non dopo la denuncia del dr. Urbani. L’opacità nella puntuale trasmissione di informazioni attendibili e il ritardo accumulato hanno determinato conseguenze negative sulla gestione dell’epidemia (che assumerà caratteri di massa nel gennaio 2003)¹² e ha alimentato sospetti e rimostranze da parte della comunità internazionale. La Cina si è trovata nella necessità di doversi scusare ufficialmente a causa dell’inadeguata gestione di tale emergenza¹³. Anche la comunità scientifica internazionale ha rilevato con ritardo la progressione dell’epidemia.
    È solo a fine novembre 2002 che la Global Public Health Intelligence Network (GPHIN) del Canada – una rete per la sorveglianza epidemiologica integrata nell’ambito del sistema di allarme e risposta alle epidemie (GOARN) del WHO – segnala l’esistenza di focolai di influenza anomala in Cina, individuati per lo più attraverso il monitoraggio eseguito sulla rete internet cinese¹⁴. Nonostante le reiterate richieste, la Cina non ha mai risposto, fino a quando il WHO – per sua autonoma iniziativa – non ha assegnato un nome all’epidemia, attivando nel contempo una risposta coordinata per contenerla¹⁵. L’allarme sollevato dalla SARS va letto nel quadro più generale della preoccupazione per la diffusione delle malattie infettive che è venuta emergendo agli inizi del 2000 – a ridosso delle conclamate epidemie di colera in America Latina, di peste polmonare in India, e dell’esplosione della febbre emorragica (Ebola) nella Repubblica Democratica del Congo – preoccupazione che avrebbe spinto il WHO a definire procedure rigorose per il monitoraggio costante e in tempo reale di nuove possibili epidemie/pandemie¹⁶. Nei primi mesi del 2003, la SARS aveva causato oltre 500 decessi, con circa 2.000 casi infetti al di fuori della Cina¹⁷. È tuttavia solo tra marzo e aprile, dopo l’allarme lanciato da Urbani, la coraggiosa denuncia del medico cinese Jiang Yanyong¹⁸ e la morte di un importante professore americano avvenuta a Hong Kong¹⁹, che la Cina modifica drasticamente il proprio atteggiamento, fornendo informazioni e consentendo al WHO di svolgere un’accurata inchiesta²⁰. I risultati di quegli studi hanno messo in luce l’inadeguatezza del sistema sanitario cinese e la mancata trasparenza nelle comunicazioni scientifiche e amministrative fornite dal colosso asiatico. In questa contingenza un ruolo decisivo è stato quello del clinico italiano – il dr. Carlo Urbani – tra i primi a riconoscere il pericolo e a informarne il WHO, prima di soccombere, egli stesso, a causa dell’infezione contratta²¹. Prima della comparsa della SARS, i coronavirus erano stati riconosciuti come responsabili di un buon numero di influenze lievi, mai associate a forme letali o a polmoniti atipiche (ARDS, Acute Respiratory Disease Syndrome). È inquietante rilevare che la SARS non sembra essere correlata a nessun coronavirus fino ad allora conosciuto, al punto tale da spingere gli scienziati a ritenere che fosse emersa dal nulla: leggiamo, infatti, titoli come «Is SARS from Mars? UK scientists say maybe. Could SARS have come from Mars? Or elsewhere in the vast reach of outer space? Unlikely, say earthbound microbiologists. But some scientists from UK aren’t so sure»²². Solo a distanza di tempo sarebbe poi stato accertato che l’ospite intermedio della SARS era costituito dagli zibetti della palma, spesso esposti nei wet markets del Guangdong, e che l’infezione poteva trasmettersi tramite contagio interumano. La SARS, esplosa tra il novembre del 2002 e il luglio 2003, con una breve ripresa tra 2004 e 2005, coinvolse 29 paesi, soprattutto Cina, Hong Kong, Taiwan, Singapore, Vietnam e Canada. Nonostante il drammatico tasso di letalità (10,88%), è stata fin troppo velocemente rimossa dalla consapevolezza dei governanti; complice, forse, la perimetrazione geo-temporale e il numero relativamente basso di casi (8096) e di decessi (774).
    L’epidemia SARS ha fatto emergere due fondamentali evidenze:
    le implicazioni di ordine sanitario di patologie a elevata diffusibilità (in particolare delle epidemie) non possono più essere comprese e gestite nell’ambito di una singola nazione; la globalizzazione del commercio e delle culture ha spianato la strada alla globalizzazione delle patologie infettive, così come alla diffusione di quelle su base degenerativa in relazione alla condivisione acritica di stili di vita e abitudini alimentari (incongrue).
    La condivisione trasparente e tempestiva delle informazioni mediche e biologiche è un presupposto irrinunciabile non solo per il controllo della patologia, ma altresì per rafforzare la coesione e il clima di reciproca fiducia che in un mondo globalizzato dovrebbero informare le relazioni tra nazioni.
    L’epidemia di SARS del 2003 non sarà la prima – e neanche l’ultima – delle emergenze sanitarie che nascono in Cina e finiscono con il diffondersi nel resto del mondo. Ed è perlomeno inquietante che, ogni volta, l’epicentro dell’evento si collochi nelle regioni del Guandong e/o dello Hubei, la cui capitale è Wuhan, sede di uno dei più importanti laboratori per lo studio dei virus patogeni di tutta la Cina.
    Il Guandong presenta condizioni climatiche ideali per lo sviluppo di una lussureggiante vegetazione e una ricca fauna che favorisce a sua volta una intricata commistione tra specie diverse, molte delle quali si ritrovano poi nei wet market (i già citati mercati umidi di animali esotici) delle città. L’elevata presenza di numerose specie di uccelli migratori in queste aree facilita la diffusione interspecie di microbi e virus (spillover, salto di specie) e le inevitabili mutazioni correlate a queste trasmigrazioni, particolarmente frequenti quando si ha a che fare con virus costituiti da acido ribonucleico (RNA). Le rotte migratorie di questi uccelli attraversano la regione dello Hubei e si dirigono verso la Corea e il Giappone, finendo con il sovrapporsi con le aree rivelatisi epicentro delle epidemie da virus influenzale a elevata patogenicità (HPAI) H5N1²³. È generalmente accettato – soprattutto per merito della scuola di virologia cinese guidata da Shi Zheng-Li – che il principale serbatoio naturale di questi virus sia costituito dai pipistrelli che lo trasmettono a un ampio ventaglio di ospiti intermedi con cui l’uomo, necessariamente per il tramite di un altro animale, viene successivamente a contatto²⁴. È verosimile che più ospiti intermedi possano essere interessati dallo spillover, ma tutti, in qualche modo, comprendono un passaggio assicurato dagli uccelli migratori.
    In ordine di tempo, la prima epidemia di virosi associata a questo scenario viene registrata nel 1957, con la comparsa nello Hunan – la regione confinante a sud con lo stato del Guandong (Fig. 1) – di un nuovo ceppo influenzale che diffusosi in Cina, avrebbe poi scatenato una pandemia protrattasi fino al 1968²⁵. In quell’anno la virosi venne soppiantata da una nuova epidemia che, emersa nel Guandong e dalla regione di Hong Kong, si sarebbe poi velocemente propagata nel mondo²⁶. Nel 1996 fa la sua comparsa il Goose Guandong Virus (Virus dell’oca del Guandong), identificato come appartenente al ceppo H5N1 HPAI (influenza di tipo A, sottotipo H5N1), geneticamente affine al virus dell’influenza aviaria.
    Per cercare di trovare rimedio a questa calamità che colpiva gli allevamenti zootecnici della regione, il dr. Liu Janlun, cimentandosi con esperimenti di ricombinazione genetica partendo da virus corona²⁷, ha finito (involontariamente) per produrre in laboratorio il virus della SARS di cui, tristemente, sarà anche una delle prime vittime²⁸. Curiosamente, il primo paziente cinese accertato come affetto dalla MERS (Middle East Respiratory Syndrome coronavirus) – una grave virosi diffusasi a partire dall’Arabia – proveniva anch’esso dalla stessa regione del Guandong. Anche la MERS è dovuta a un ceppo mutato di coronavirus – il MERS-CoV²⁹ – e ha nei pipistrelli il proprio serbatoio naturale, trasmesso all’uomo tramite il contatto con cammelli infetti.
    Fig.1. Regioni della Cina in cui si sono verificate epidemie virali nel corso degli ultimi cinquant’anni.
    Non è probabilmente un caso che due delle tre pandemie del secolo scorso (le pandemie influenzali del 1957 e del 1968) provengano sempre da quest’area e che il precursore dei virus dell’influenza aviaria H5N1 attualmente in circolazione (HPAIV) sia stato identificato negli animali allevati nella Cina meridionale, spesso in condizioni molto lontane dagli standard di sicurezza e di igiene richiesti³⁰. Per questo, come sottolineato già dal 2011, «long-term and systematic surveillance programmes should continue to be implemented in Southern China»

    ³¹.

    Il deflagrare della pandemia da SARS-CoV-2 costituisce quindi un evento di cui si può dire di tutto fuorché che fosse inatteso. La probabilità che nuovi virus respiratori possano ingenerare epidemie gravi è stata infatti dibattuta sulla stampa specializzata³², e ampiamente descritta in alcuni pregevoli testi di divulgazione che tuttavia nessuno legge³³. Un forum internazionale tenutosi nell’ottobre del 2019 – promosso da Bill Gates, insieme al Johns Hopkins Center for Health Security in partnership with the World Economic Forum – ha realizzato una simulazione su una possibile pandemia influenzale sostenuta dai coronavirus e attesa, particolare imbarazzante, proprio per il 2020. L’evento «simulates an outbreak of a novel zoonotic coronavirus transmitted from bats to pigs to people that eventually becomes efficiently transmissible from person to person, leading to a severe pandemic. The pathogen and the disease it causes are modeled largely on SARS, but it is more transmissible in the community setting by people with mild symptoms»³⁴. La simulazione ha destato scalpore e gli organizzatori si sono sentiti in dovere di specificare che non aveva nulla a che fare con gli eventi successivamente verificatisi

    ³⁵.

    Gli sviluppi successivi hanno mostrato in tutta la loro drammaticità i ritardi e l’inadeguatezza dei principali attori nel saper far fronte alla pandemia annunciata. Questo è vero, in primo luogo, proprio per la Cina e il WHO. La Cina ha responsabilità evidenti sulla nascita dell’epidemia, sulla sua diffusione nel mondo e sui ritardi accumulati dagli altri paesi nel fronteggiarla³⁶. Ma le responsabilità del WHO non sono da meno e andrebbero affrontate direttamente in sede ONU, chiedendo che su questo tema venga avviata una specifica indagine. Ed è una iniziativa che può essere sollecitata proprio dal Consiglio di Sicurezza o dai 193 Stati membri del WHO

    ³⁷.

    Una nuova missione è stata condotta nel 2021, ma anche qui i risultati sono risultati largamente inconcludenti ed è stata ribadita la necessità di una ricerca approfondita e indipendente³⁸. Difficilmente potremo attenderci risposte nel breve periodo, anche se questo «initial trip offers real hope that the mystery of the virus’ origins, which has become a political powder keg and the subject of countless conspiracy theories, will finally be investigated more thoroughly and transparently […]. Questions range from hunting for animals that might harbor the virus to examining the possibility that it came from a laboratory. There are plenty of details to investigate, and it could be a long road»

    ³⁹.

    La missione si propone comunque traguardi ambiziosi, scanditi da una serie di domande cui difficilmente le autorità cinesi potranno (o sapranno) sottrarsi: a quali risultati hanno condotto le investigazioni svolte sul mercato di Wuhan (e i cui risultati sono ancora secretati)? Di quali informazioni dispongono le autorità cinesi in merito ai primi casi di infezione e ai contatti che hanno avuto nel periodo precedente l’esplosione dell’epidemia? E soprattutto, «what experiments with bat coronaviruses took place at WIV [Wuhan Institute of Virology, N.d.R.]? This is the mother of all questions for those who suspect SARS-CoV-2 came out of the facility»⁴⁰. Speriamo di ottenere risposte.

    Cronistoria dell’epidemia da Covid-19

    Nel dicembre 2019, i servizi segreti americani diedero l’allerta circa una epidemia influenzale che stava interessando la provincia di Wuhan, in Cina. La notizia è diramata da Fox News e dall’Adn-Kronos⁴¹. Il primo malato di Covid-19 risulta essere stato ricoverato in un ospedale di Wuhan l’8 dicembre 2019 a seguito di una polmonite atipica, di origine misteriosa. Da quel momento, fino alla decisione di imporre la quarantena il 31 gennaio 2020, da Wuhan partiranno verso il resto del mondo circa 30 mila persone al giorno. Nei primi di dicembre 2019, il dr. Li Wenliang, un oftalmologo dell’ospedale di Wuhan, registra un inusuale numero di polmoniti atipiche tra i suoi pazienti e le correla con una epidemia virale associata a congiuntivite. Ne parla in chat con colleghi e pazienti e subito dopo viene arrestato dal regime. Verrà riabilitato solo tardivamente, dopo la morte, avvenuta il 6 febbraio a causa delle conseguenze del Covid-19. Circa altri 40 medici cinesi subiranno la stessa sorte: prima emarginati e silenziati, quindi riabilitati⁴². Il 27 dicembre 2019, Zang Jixian, un medico dell’Ospedale provinciale dell’Hubei segnala alle autorità sanitarie di Wuhan che l’infezione è causata
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