Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

UNITÀ, MOLTEPLICITÀ E SISTEMI VIVENTI Una visione della complessità biologica
UNITÀ, MOLTEPLICITÀ E SISTEMI VIVENTI Una visione della complessità biologica
UNITÀ, MOLTEPLICITÀ E SISTEMI VIVENTI Una visione della complessità biologica
E-book518 pagine7 ore

UNITÀ, MOLTEPLICITÀ E SISTEMI VIVENTI Una visione della complessità biologica

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Il libro sviluppa una filosofia dei sistemi sulla base di una concezione dinamica di “essere”, per la quale ogni componente “è” in quanto si diversifica in una dialettica interna di un sistema. Questo moto interno si realizza sotto forma di interrelazioni che determinano un’unità.

La multiforme complessità dei sistemi biologici offre il campo di applicazione di un nuovo modello teorico per i sistemi viventi.
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2019
ISBN9788831631839
UNITÀ, MOLTEPLICITÀ E SISTEMI VIVENTI Una visione della complessità biologica

Correlato a UNITÀ, MOLTEPLICITÀ E SISTEMI VIVENTI Una visione della complessità biologica

Ebook correlati

Matematica e scienze per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su UNITÀ, MOLTEPLICITÀ E SISTEMI VIVENTI Una visione della complessità biologica

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    UNITÀ, MOLTEPLICITÀ E SISTEMI VIVENTI Una visione della complessità biologica - Gian Luigi Dojmi Di Delupis

    me

    PREFAZIONE

    Quando lavoravo alla composizione di questo studio, avevo davanti a me un albero che guardavo di tanto in tanto attraverso una finestra; aveva una sua affascinante bellezza per le foglie, che oscillavano leggermente al vento e in mille modi mostravano verdi riflessi alla luce del sole. Erano forse migliaia, ma traevano tutta la loro vita da rami che si dipartivano da un unico tronco: un essere vivente come tanti, tuttavia un capolavoro, che appariva ai miei occhi come immagine di un’unità molteplice, secondo un’espressione usata dal filosofo Edgar Morin.

    Suscitare problemi è l’intenzione principale che si profila in questo lavoro: passare dall’emozione suscitata da questa immagine a una presa di coscienza dei problemi della complessità biologica può aiutare a mettere distanza da una mentalità puramente meccanicistica, che in parte ancora investe la biologia con una visione che tende a ridurla in modo monotono solamente a particelle e molecole con le loro rigide concatenazioni causali. Cercare di completarla con un’altra visione, in cui la complessità e la dinamica mutevolezza proprie degli organismi viventi, abbiano come fulcro un’unità che si possa conciliare con il molteplice è questo che ho intrapreso. Per percorrere la strada segnata da questo intento occorreva esplorare in profondità il concetto di totalità, vedendolo alla base di ogni unificazione del molteplice. Questo cammino comunque aveva già coperto un percorso, iniziando in modo incisivo per merito di Ludwig von Bertalanffy nella General System Theory nel 1967. Comunque, in sintonia con una sua precedente intuizione, proseguire in questo cammino significava addentrarsi in una filosofia dei sistemi: già, infatti, egli nel 1950 considerava un sistema come un’unità e gli appariva problematico o addirittura paradossale il concepire in esso una competizione delle parti.

    Esplorare il concetto di totalità nei sistemi viventi ha necessariamente comportato di imbattermi in altri concetti, come quelli di relazione, identità, incompletezza, dipendenza, autonomia, similarità, conflitto, cooperazione, integrazione; di questi concetti ho cercato di analizzare i reciproci rapporti, tentando poi di rappresentarne una dinamica mediante un modello concettuale che è offerto come proposta. Nei limiti del possibile ho cercato di accompagnare gradualmente il lettore nell’acquisizione di questi concetti, il cui apparire uno dopo l’altro nasceva dai problemi, che di volta in volta emergevano da una rilettura dei fenomeni biologici secondo un’ottica dettata da un pensiero olistico e sistemico. Alcuni tra questi concetti per amore di chiarezza e di completezza sono stati ripetuti in più capitoli in diverse forme di espressione o sotto vari punti di vista, oppure hanno talora ricevuto un completamento o una rifinitura in alcune note in fondo ai capitoli. Ho cercato di compiere questo cammino in modo aderente alla realtà dei fenomeni, nel frattempo ispirandomi a vari autori, scienziati e filosofi, sia celebri sia poco conosciuti ma di altrettanto utile aiuto. Per queste ragioni l’addentrarsi in una filosofia dei sistemi ha conferito a questo studio un carattere filosofico sotto una veste scientifica. D’altra parte mi rendo conto che il progresso scientifico, come alcuni scienziati e filosofi hanno capito e suggerito, man mano che avanza e scava in profondità, ha in fondo bisogno di interrogare la filosofia e l’epistemologia in merito ad alcuni concetti e, per quanto riguarda i sistemi, con l’intento di giungere perfino ad un’ontologia del sistema, come ha auspicato Bertalanffy. A maggior ragione pertanto devono essere avvertite queste necessità in uno studio sulla complessità biologica, condotto secondo una linea che approfondisca una problematica riguardante la possibilità di coesistenza e accordo tra molteplicità di fenomeni e l’unità di un sistema vivente, quale si presenta ai nostri occhi e ai nostri studi.

    Lo studio della complessità, presentata da fenomeni sia fisici che biologici, rappresenta un campo di ricerca fecondo e interdisciplinare, che secondo me attende un’ulteriore  applicazione in specifiche e nuove problematiche che riguardano il tema dell’unità e la molteplicità, visto fondamentalmente come rapporto tra totalità e parti.

    Benché questo tema meriti sviluppi e considerazioni con ampie possibilità e prospettive filosofiche, questo saggio tuttavia si limita a un’area ristretta, riguardante i sistemi viventi e vede nella molteplicità con particolare preferenza quelle parti di una totalità che presentano una spiccata individualità (cellule, organismi…) Le difficoltà concettuali che esso cerca di superare, consistono così nell’acquisire una visione del problema del rapporto tra unità e molteplicità, collocandola in un’ontologia del sistema: è da ritenere che in questo modo ci si possa aprire a una particolare visione della complessità biologica, la quale possa offrire un punto d’incontro tra scienza e filosofia. 

    La totalità è vista sulla base di un’unificazione profonda delle parti condotta da relazioni diverse dalla relazione di causa-effetto, senza escludere la partecipazione di quest’ultima. Questa visione della totalità richiede uno studio ontologico e appare inoltre non avere una valenza generale e immutabile ma dipendente dalle caratteristiche del singolo sistema vivente nel quale trova applicazione: ogni sistema vivente  è complesso, ossia viene visto come un tutto, quale risultato di una dinamica quanto specifica integrazione  di parti componenti, che rappresentano una molteplicità; in ciò inoltre viene tenuto conto di un ventaglio di situazioni che vanno da una contrapposizione delle parti intesa come conflitto a una loro cooperazione in un tutto. Tuttavia, pur se in una multiforme articolazione, tutti i sistemi viventi alla fine appaiono immersi in una visuale ad ampia prospettiva, poiché sono, sia pure in diversa misura, interdipendenti a vari livelli organizzativi e sono inoltre dipendenti dalla parte abiotica del pianeta, come si può notare in alcune riflessioni conclusive nei capitoli XIV e XV. Io penso che un atteggiamento, che tende a prediligere un’unitaria e nel contempo multiforme visione conforme alle odierne sfide della complessità, ponga una certa distanza da un modo di vedere meccanicistico o utilitaristico e somigli più a una ricerca e contemplazione di un modo di essere dei sistemi complessi che si manifesta come un moto del molteplice in seno ad un’unità. 

                Gian Luigi Dojmi Di Delupis

    I.  TOTALITÀ E PARTI: SVILUPPI CONCETTUALI NELLA BIOLOGIA

    Con la Teoria generale dei sistemi  del biologo Ludwig von Bertalanffy (1950 e 1968), che fa perno sull’idea di sistema, è stato possibile mettere a fuoco i concetti di totalità, organismo, finalità, globalità, prima ignorati o sottovalutati in campo scientifico. Potevano in tal modo questi concetti essere adeguatamente considerati in una  transizione  nell’area scientifica (Agazzi, 1978). Questa teoria segna una tappa molto importante nell’evoluzione di un pensiero, che fin dai primi anni del secolo scorso ha portato a considerare che un atteggiamento rigidamente riduzionistico comportava seri problemi. Ciò deve soprattutto essere inteso nel senso di mettere in dubbio la validità della tendenza a spiegare sotto l’influenza di una visione riduzionistica e meccanicistica tutti i fenomeni naturali in termini delle loro parti o particelle più piccole. Un’interpretazione dell’analisi, che conduceva alla tendenza di ridurre tutto alla fisica e alla chimica, ha provocato per quanto riguarda i fenomeni della vita discussioni e reazioni, che sono sfociate man mano in un nuovo pensiero già a iniziare dai primi anni dello scorso secolo, periodo in cui si andava sviluppando il concetto di organizzazione, o di totalità organica con l’organicismo. Questa concezione, sorta già nell’ultimo quarto del diciannovesimo secolo, ebbe una parte importante in queste discussioni (Phillips, 1976): l’idea centrale stava nel forte dubbio sulle spiegazioni meccanicistiche dei fenomeni biologici e il loro orientamento analitico; l’organicismo si è caratterizzato in modo nettamente distinto da altre reazioni al metodo analitico e  meccanicistico,  come il vitalismo, che per la spiegazione dei fenomeni biologici ricorreva ad entità immateriali (entelechia di Driesch), e come la teoria dell’evoluzione creatrice, che invocava spinte vitali all’interno degli organismi (ad esempio in L’évolution créatrice di Bergson). Phillips, che, confrontando le proposte di tipo analitico con quelle di tipo globalizzante,  delinea la storia e il contenuto dell’organicismo, vi ravvisa cinque tesi olistiche¹ che riguardano le totalità organiche . Queste tesi olistiche sono, secondo l’autore, raggruppabili in una forma di olismo che chiama olismo 1, che sostanzialmente mette in discussione il metodo analitico: la sua capacità predittiva viene sminuita, cioè, se si conoscono solo le parti, ci sono delle proprietà dei sistemi che non possono essere predette; a questa forma di olismo se ne affiancherebbero altre due (olismo 2 e olismo 3). Comunque secondo Phillips uno degli elementi comuni che legano le varie forme di olismo è l’opposizione al riduzionismo, visto come la tendenza a spiegare le caratteristiche di ogni entità complessa in termini delle sue parti con in più delle leggi importanti, che coprano le lacune  fra le proprietà stesse.

    V’è nel riduzionismo – come evidenzia Evandro Agazzi – un elemento metodologico  dettato da una concezione secondo cui una realtà complessa può essere spiegata analizzandola, cioè scomponendola nei suoi elementi costitutivi e guardando secondo una prospettiva che in modo unilaterale va dal tutto alle parti. La questione esige comunque molta attenzione. Jacques Monod (1970), che occupa un posto importante nella schiera dei biologi molecolari, insiste molto sulla potenza del metodo analitico; riconosce che il successo di questo metodo si è ampiamente manifestato nel progresso scientifico. Inoltre alcuni concetti come ad esempio quelli riguardanti le teorie di campo, come pensa Phillips, conducono a ritenere che …né la scienza analitica, né quella riduzionistica sono in contrasto col progresso ed il rinnovamento concettuale.² In effetti ciò che può veramente essere discutibile e generare perplessità  dovrebbe riferirsi più  ad un’eccessiva enfasi data all’analisi e a non aver delineato certi limiti e condizioni di fronte ai fenomeni complessi, che non alla sua validità.

    Questa problematica è stata a volte sentita e riconosciuta dagli stessi fisici, quando talvolta si sono interessati dei problemi degli organismi viventi. Era già sentita nel lontano 1927 da Percy W. Bridgman, sostenitore dell’importanza delle operazioni empiriche che sono e devono essere alla base dei concetti della fisica. Nell’ultimo capitolo della sua opera The Logic of Physics si interroga sulla possibilità di descrivere compiutamente la natura in termini di analisi: qui egli si pone diversi dubbi su questa possibilità, esponendo degli esempi precisi proprio nel campo della fisica, che danno adito a domande e pongono problemi: il problema fondamentale secondo lui consiste nel fatto che in alcuni casi invece di trovare che l’effetto di un insieme di elementi sia la somma degli effetti considerati separatamente, possono apparire effetti nuovi. Con notevole acutezza mentale si rende conto della mancanza di un adatto apparato matematico per spiegare questi casi, anticipando così un problema di cui si prenderà coscienza molto più avanti. Trasferendola alla complessità dei fenomeni biologici, questa problematica naturalmente è destinata ad amplificarsi. Il fisico Walter Heitler (1962) sostanzialmente ritiene insoddisfacenti le basi fondate  solamente sugli aspetti quantitativo e causale su cui si sono sviluppate le scienze esatte e che ciò appare specialmente, anche se con modalità diverse, nell’indeterminismo che compare nella meccanica quantistica e nella problematica presentata dai fenomeni biologici: per quanto riguarda questi ultimi l’apparire di un tutto unico come nella cellula e la divisione cellulare che porta ad una forma definita  organi e organismi richiedono  nuove vie da percorrere.

    Il grande fisico (ed epistemologo) Werner Heisemberg afferma che l’organismo appare, dal punto di vista dell’attuale teoria atomica, come una struttura estremamente improbabile. Se sappiamo di avere davanti a noi una cellula vivente questa conoscenza dischiude una serie di proprietà di questa struttura che noi non potremmo probabilmente dedurre soltanto dal suo comportamento fisico

    Secondo  Bertalanffy (1967) una procedura analitica, tradizionalmente intesa, la quale significhi che una certa entità va risolta in parti e che può essere ricostituita a partire da esse, è agevolmente applicabile dove le interazioni tra le parti non esistono o sono trascurabili e dove le equazioni descriventi il comportamento delle parti siano lineari. È un  problema questo, che è ulteriormente complicato dalla visione di una divisione in due mondi, uno della fisica e l’altro della vita.⁴ Questa separazione secondo il fisico Mario Ageno (1994) ha dato luogo a due descrizioni della natura diverse, contemporaneamente in uso nella fisica e nella biologia, originate non solo da differenze metodologiche, ma dalle particolari caratteristiche del mondo vivente. In effetti, in questo pesa molto il fatto che le descrizioni nella biologia spesso incontrano limitazioni e difficoltà a causa di una complessità che Careri (1982) definisce irriducibile.

    Secondo l’impostazione di  Bertalanffy è necessario studiare sì le parti, ma anche risolvere i problemi che si trovano nell’organizzazione dove vengono unificate, essendo il comportamento delle parti ben diverso, quando è studiato entro il complesso, da quando è studiato in isolamento.   

    Occorre comunque mettere in evidenza i problemi che sorgono quando si tenta di ridurre in modo semplicistico la biologia alla fisica: Le parti di un organismo - come pensa Theobald (1967) – hanno un significato come parti di un tutto vivente, e il tentativo di ridurre la biologia alla fisica equivarrebbe ad eliminare il concetto di cosa vivente che non ha posto nella fisica. Poco più avanti di fronte al problema se un organismo possa essere considerato come un tutto biologico oppure come una raccolta di parti fisiche, così risolve: "… Ma non è l’una o l’altra cosa, così che si debba trovare quale sia. È entrambe le cose. E una riduzione è una falsa filosofia".⁵ Questa idea appare equilibrata: non radicalizza le posizioni, anche se comporta complessità quando si va a sondare il terreno per scorgerne le radici.

    Tornando a  Bertalanffy, nella sua idea  vi sono due possibilità: la sommabilità fisica e la globalità. Quest’ultima  implica di non poter comprendere il comportamento del tutto, sommando parti isolatamente considerate, ossia senza tener conto delle relazioni, a differenza dei complessi di elementi dove le variazioni di un dato elemento non dipendono dalle variazioni di tutti gli altri. Per  Bertalanffy un sistema si comporta come totalità in quanto le variazioni in ciascun elemento dipendono da tutti gli altri elementi e ciò è esprimibile con equazioni matematiche.  L’una e l’altra idea, sommabilità fisica e globalità possono comunque coesistere, ad esempio per quanto riguarda i sistemi biologici: globalità e sommabilità, secondo  Bertalanffy, apparentemente antitetiche, rivelano in realtà una graduale transizione tra un comportamento di tipo globale a un comportamento di tipo sommabile. Notevole importanza comunque assume che Bertalanffy  abbia messo l’accento sul ruolo delle relazioni⁶ tra gli elementi componenti di un sistema; è da esse che dipende la dinamicità interna del sistema.

    Miller nel 1965 in tre articoli su Behavioral Science e nella Teoria generale dei sistemi viventi (1978) riprende questi concetti: quello di totalità, implicito nel concetto di sistema e quello di interrelazioni che comprende le relazioni che sono da lui indicate come spaziali, temporali, spazio-temporali e causali. In un universo, che comprende una gerarchia da intendere come sistema composto di sottosistemi interconnessi, ciascuno dei quali, a sua volta ha una struttura gerarchica, sino a cui si giunge al livello più basso del sottosistema elementare, si configurano per il settore vivente vari livelli  di cellule, organi, tessuti, organismi, gruppi, ecc. Caratteristiche emergenti possono apparire, passando da un livello all’altro. Molto interessanti (e importanti) sono tra i criteri per distinguere un livello dall’altro la vicinanza fisica delle sue unità costituenti e la loro somiglianza. Il concetto di totalità compare sotto forma di sistema (concreto e reale), che egli intende come una concentrazione non casuale di materia-energia, in una regione dello spazio-tempo fisico, che è organizzata in sottosistemi o componenti interagenti e interdipendenti. Fissato un sistema di riferimento, sovrasistema è il sistema di livello immediatamente superiore, al quale appartiene, mentre un sottosistema giace in un livello immediatamente inferiore (ad esempio se si prende una cellula come sistema di riferimento, i suoi organuli sono dei sottosistemi).

    L’idea di globalità  implica che si debba concepire il tutto come avente delle proprietà emergenti nuove rispetto ai componenti; si stabiliscono così dei livelli di organizzazione a differente complessità. I due concetti tra di loro connessi, concernenti i livelli di organizzazione e proprietà emergenti, hanno trovato posto sotto varie forme, oltre che nelle teorie di Bertalanffy  (1950, 1968) e di Miller, nel pensiero di vari ricercatori a cominciare prima ancora della teoria di Bertalanffy, come ad esempio Novikoff (1945). Quest’ultimo e Feibleman (1954), nella cui ricerca vi è un sottofondo filosofico, sono da ricordare per le considerazioni sui livelli integrativi. Il nocciolo di questo concetto sta nel considerare che le caratteristiche di una totalità sono più della somma delle caratteristiche delle parti e che delle entità che hanno delle relazioni reciproche assumono nuove caratteristiche. Novikoff, esponendo il concetto dei livelli integrativi, sostiene che la conoscenza delle leggi di un livello inferiore è necessaria per una piena conoscenza del livello più alto, ma che tuttavia certe proprietà dei fenomeni che in esso avvengono non possano essere predette in base alle leggi del livello inferiore, in quanto appaiono quando  gli elementi costituenti si combinano insieme. Infatti,  la loro emergenza costituisce almeno in alcuni casi per il metodo analitico un notevole problema, come ad esempio nel caso dell’acqua, dove dalle proprietà degli atomi di idrogeno ed ossigeno non si possono dedurre le proprietà che effettivamente si osservano nell’acqua stessa. Feiblemann nella sua "Theory of Integrative Levels riprende il tema: secondo quanto egli indica, i livelli integrativi sono cumulativi andando verso l’alto a causa dell’aggiungersi di volta in volta di qualità emergenti e la loro complessità man mano aumenta; così, non è possibile ridurre un livello più elevato a uno più basso; il tempo occorrente perché si verifichino mutamenti nell’organizzazione di un livello diminuisce quanto è più elevato il livello e così via: sono messe a punto queste e altre regole. Margaleff (1968) afferma che il riconoscere differenti livelli di organizzazione sta alla base dell’ecologia. Eugene P. Odum (1977) pensa ad una nuova ecologia considerata come nuova disciplina integrativa, che tratta di livelli organizzativi al di sopra degli individui; il suo carattere olistico l’ha affrancata dall’essere semplicemente una sottodisciplina della biologia. Il libro Fundamentals of Ecology del 1971 di questo autore non è solo un libro introduttivo all’ecologia, ma costituisce un esempio di approccio olistico a questa disciplina. Il carattere olistico delle concezioni di Odum si nota in particolar modo in Strategy of the Ecosystem Development", pubblicazione del 1969: lo sviluppo di un ecosistema è visto come unitario e direzionale, costituisce, infatti, un processo ordinato nel quale le variazioni che avvengono nelle comunità biotiche seguono un determinato schema; questo processo deriva dalle modificazioni dell’ambiente fisico prodotte dalla comunità in modo da renderlo favorevole ad altre popolazioni e, dopo aver attraversato vari stadi in cui le comunità si sostituiscono l’una con l’altra,  termina con un sistema stabile dove viene raggiunto un equilibrio tra componenti biotici e abiotici. Si nota inoltre nell’importanza che egli con la sua scuola dà ai flussi di energia (con le loro trasformazioni), che si possono rappresentare mediante modelli, ai cicli dei nutrienti e ai cicli biogeochimici.

    L’ecologia è chiamata da Margaleff (1968) biologia degli ecosistemi: …è una disciplina – dice - che studia dei sistemi dove gli elementi, che sono alla base delle interazioni, sono gli organismi e i sistemi sono  ecosistemi. L’ecologia inoltre ha vari rapporti con altre scienze che spaziano di là dalla biologia, come la chimica, la geologia, la climatologia, l’oceanografia, le scienze sociali e perfino con l’economia. Per tutto questo è potenzialmente feconda per uno studio delle relazioni che le parti possono manifestare in un tutto. MacMahon et al. (1978) considerano un ecosistema come un insieme di organismi ed entità inanimate connessi da scambi di materia ed energia. Le interazioni più forti avvengono tra componenti spazialmente più vicini (per il presente studio quest’ultima osservazione ha più importanza di quanto a prima vista si possa pensare). Le interazioni appartengono a una di quattro serie di relazioni biologiche che sussistono tra gli organismi e che sono di tipo fisiologico-anatomico, filogenetico, coevolutivo (vedi nota1, cap. VI) e di tipo scambi di materia-energia.

    Lovelock (1981) trasferisce all’intero pianeta la considerazione dell’insieme di interrelazioni con la teoria di Gaia: l’intero pianeta Terra dovrebbe essere considerato come un sistema, che comprende sia la vita che il suo ambiente ed è capace di autoregolazione.  Con il nome di Gaia (dea greca della terra) intende una complessa entità che comprende la biosfera della Terra, l’atmosfera, gli oceani e il suolo: un sistema cibernetico tende a creare un ambiente fisico e chimico ottimale per la vita.

    L’ecologia ha rappresentato nella prima metà del secolo scorso un campo nel quale alcuni ricercatori si sono svincolati da una concezione meccanicistica e riduzionistica,  rimanendo però in questo periodo un fenomeno a parte, mentre in altre branche della biologia permaneva una concezione meccanicistica (Goldsmith, 1996). A questi ecologi si deve il concetto secondo cui gli organismi viventi sarebbero organizzati in comunità, assumendo perciò importanza la loro interrelazione. Secondo Goldsmith l’olismo dei primi ecologi è tuttavia inconciliabile con il paradigma della scienza, in base al quale il mondo è considerato casuale, atomizzato e meccanicistico.⁷ Per cui così Goldsmith di seguito osserva: Purtroppo, è quest’ultima visione del mondo l’unica capace di produrre manufatti industriali basati sulla scienza necessari a soddisfare scopi commerciali (pesticidi, antibiotici e microorganismi prodotti dall’ingegneria genetica, per esempio). In seguito l’ecologia riprese negli anni quaranta per opera di alcuni autori la tendenza a spiegare i fenomeni su base meccanicistica e riduzionistica. Contemporaneamente ricomparve tuttavia la necessità di tener conto del tutto laddove compaiono i fenomeni che caratterizzano gli ecosistemi: partendo da queste opposte esigenze, si è man mano cercato di prendere in considerazione ambedue gli aspetti e di tentare di conciliarli (Odum, 1977), cioè quanto aveva già nel 1945 espresso Novikoff ,  e da Odum ricordato, trovando però aiuto in questo tentativo in tempi più recenti da nuovi metodi adatti allo studio quantitativo di sistemi grandi e complessi. Ciò poi si è man mano verificato in particolar modo in alcune tra le applicazioni dell’ecologia, quelle che miravano alla soluzione di problemi in campo umano, pensando di ricorrere ad una "stress ecology (Lemons, 1986), che prendesse in considerazione le perturbazioni degli ecosistemi. Così, poi con il contributo della tossicologia si è tentato di affrontare l’emergenza e lo sviluppo dei problemi dell’inquinamento dell’ambiente acquatico e terrestre e, di conseguenza, aereo. Ciò ha necessariamente richiesto la ricerca di adatte metodologie, soprattutto per il fatto di trovarsi davanti a grandi e complessi sistemi, nella cui analisi il concetto del tutto fa sentire il suo peso. Si possono eseguire, ad esempio, indagini direttamente su campo per riconoscere ad esempio gli effetti e il percorso della sostanza inquinante in un ambiente acquatico (mare, fiumi, laghi); ma occorre contemporaneamente eseguire un’analisi dei fenomeni: il grandissimo numero di fattori e di variabili, che possono anche essere tra loro strettamente correlati, costringe a ricorrere a particolari metodi. Questi possono  dare una caratterizzazione dei fenomeni d’inquinamento, se si considerano in un loro reciproco completamento. Per dare un’idea di cosa significa affiancare dei metodi per capirne la capacità di completamento a titolo di esempio si può immaginare di prendere in considerazione due metodi, che si possono eseguire in laboratorio: da una parte saggi di ecotossicità  su effetti letali o subletali riferiti ad organismi acquatici di una sola specie animale o vegetale, dall’altra microcosmi acquatici di laboratorio: nel primo si estrae dal tutto, ossia dall’ecosistema solamente una specie di organismi animali o vegetali e  vengono presi in considerazione come condizioni solo dei fattori fisico–chimici prefissati, nel secondo viene posta una maggiore attenzione alla totalità, osservando il comportamento dell’ecosistema riprodotto, ma a scapito di un esame dei fenomeni particolari. Due tipi di problemi devono essere messi in conto a causa da una parte dell’esigenza di una riproducibilità sperimentale dall’altra della necessità di approssimarsi il più possibile alla complessa realtà dei fenomeni studiati. I saggi di ecotossicità, che hanno per base gli effetti letali, benché siano facilmente riproducibili con condizioni di laboratorio standardizzabili, non sono in grado però di dare informazioni sulle interrelazioni tra individui  di specie diverse e sulla dinamica delle popolazioni; se si può con questi saggi definire la potenziale tossicità di una sostanza su alcuni organismi, non si può però secondo Kimball e Levi (1985) in questo modo predire un comportamento sulla base del comportamento di subunità. Le proprietà emergenti non possono essere conosciute in base a proprietà di un livello più basso: in questo modo questi autori  sintetizzano il problema, rendendosi bene conto che uno dei fondamentali problemi dell’ecotossicologia" consiste nell’estrapolazione dei dati ottenuti in laboratorio alle situazioni del campo. Essi si riallacciano riguardo a questo concetto a Cairns (1983) e ad altri autori, dicendo che un ecosistema comporta una complicata rete di interazioni tra specie e di relazioni tra esse e le parti abiotiche del sistema e fanno intendere che non c’è molto da sperare che  si possa conoscere il sistema studiando le sue parti in isolamento: ciò equivale ad una forte presa di coscienza dell’importanza delle relazioni, nelle quali sono coinvolte le parti. Kimball e Levi inoltre ricordano a quale drammatica sottovalutazione possono condurre i semplici saggi di tossicità acuta su una specie, come nei casi di trasformazione della sostanza tossica per opera di metilazione microbica su campo: questi casi riguardano il mercurio e l’arsenico e la loro metilazione produce composti molto più tossici delle sostanze in partenza. A proposito è da ricordare una precedente esposizione riassuntiva di Wood (1974) delle trasformazioni  che le varie sostanze tossiche possono subire, una volta disperse in un ecosistema, ad opera di microorganismi che possono portare a maggiore tossicità oppure ad una detossificazione, in base anche alle proprietà chimico-fisiche delle sostanze stesse: tener conto di ciò ha grande importanza nelle decisioni sul monitoraggio dell’ambiente. Proprio a causa della rete di relazioni che caratterizza un ecosistema assume importanza pure la scelta dei saggi di ecotossicità: quelli che puntano su effetti subletali, ossia che determinano  danni non letali, oltre ad essere abbastanza facilmente standardizzabili, possono in alcuni casi essere molto più sensibili nel rivelare gli effetti di una sostanza tossica ed essere nello stesso tempo aperti verso un contesto più ampio in quanto possono puntare su effetti che hanno influenza sulle relazioni interspecifiche, come ad esempio avviene nelle catene alimentari; se infatti un effetto (ad esempio sulla capacità riproduttiva) interessa un anello della catena, come ad esempio un predatore o un erbivoro, l’intera catena ne risente e la perturbazione o il danno si amplificano: vengono così ad interessare un livello organizzativo che sta più in alto dell’individuo. Un particolare esempio dell’impiego di questi saggi è dato dalla possibilità con abbastanza facile standardizzazione di impiegare il comportamento fototattico di alcuni invertebrati acquatici tra i quali ha particolare importanza Daphnia magna, piccolo crostaceo d’acqua dolce molto usato nei saggi. Il movimento verso la luce di questo crostaceo (fototassi positiva)  può essere alterato o inibito ad opera di sostanze inquinanti e l’effetto che ne risulta consiste nell’impossibilità di raggiungere gli strati d’acqua più luminosi e più ricchi di fitoplancton, di cui si ciba, e quindi in uno squilibrio ed in una destabilizzazione delle distribuzioni spaziali delle popolazioni (Dojmi Di Delupis e Rotondo, 1988; Miniero, Dojmi Di Delupis and Corrias, 1988). La scelta del comportamento alla luce segue anche il criterio di saggiare una caratteristica di questi animali che subisce la confluenza di vari fattori fisiologici che possono essere sensibili all’azione delle sostanze tossiche. Il secondo lavoro (1988) include dati sperimentali relativi all’influenza di un inquinante, prendendo in considerazione come stimolo oltre alla luce anche la gravità, le quali agiscono insieme. Dojmi Di Delupis (1996) inoltre specifica quali condizioni debbano seguire le modalità di illuminazione perché vi sia una risposta fototattica marcata e standardizzabile e conclude alla fine di una rassegna che un insieme di esperimenti visti in una connessione logica indica ad esempio che in questo caso l’inserimento in una comunità non comporta attenuazione o mascheramento del comportamento fototattico o la scomparsa del fenomeno, ma che anzi quest’ultimo incide sulla distribuzione spaziale della popolazione. Questi esempi indicano gli sforzi necessari per raggiungere un maggiore avvicinamento alla realtà ambientale pur fissando delle condizioni sperimentali. Quanto ai microcosmi essi sono costruiti in laboratorio in modo da simulare l’ecosistema in esame, cercando di ricrearlo in contenitori; essi sono riproducibili e vi si possono esaminare varie condizioni; costituiscono esempi di indagine olistica della funzione di un ecosistema (Hearth, 1979; Pritchard, 1982; Miniero e Dojmi Di Delupis, 1990): danno informazioni sugli effetti a livello di ecosistema, i quali inducono delle reazioni che sono proprie del sistema, come inerzia, elasticità, malleabilità, ampiezza, che si riferiscono rispettivamente alla resistenza al cambiamento, rapidità di ricupero, grado di differenza dello stato raggiunto rispetto a quello di origine, ampiezza della trasformazione massima che può essere subita con possibilità di ritorno (Westman, 1978); queste reazioni alla perturbazione appartengono all’ecosistema e non ai suoi componenti. Altri metodi, che sono basati sulla capacità riproduttiva, costituiscono ottimi esempi, dove sono presi in considerazione effetti sulla dinamica delle popolazioni. Tra vari metodi, descritti con i loro specifici vantaggi assieme alle loro problematiche, può comunque svolgersi una mutua trasmissione di informazioni, se impiegati in parallelo, così da aumentare la probabilità di un’approssimazione alla realtà. Sostiene Hearth (1979) che, poiché un procedimento analitico disgrega la configurazione della rete interattiva di un sistema e non si può così arrivare ad una completa conoscenza del sistema, allora …solamente accoppiando un’indagine olistica dell’unità intatta con studi di tipo riduzionistico possiamo sperare di capire le funzioni naturali di un ecosistema. La questione è molto complessa, poiché in un ecosistema oltre alla dinamica delle popolazioni vi sono numerosi fattori che influenzano sia gli effetti tossici che il destino della sostanza tossica, dovuti non solo alla struttura dell’ecosistema e il percorso che fa in esso, ma anche alle proprietà chimico–fisiche e alle trasformazioni della sostanza stessa. L’ecotossicologia perciò offre un campo in cui possono venire a confrontarsi diversi criteri e metodi, anzi esige questo confronto. Così per utilizzare una complementarietà che appare nella metodologia è sorta la necessità di un’integrazione di metodi, che nelle concrete applicazioni ai problemi dovuti a inquinamento viene effettivamente proposta da linee-guida internazionali finalizzate alla valutazione del rischio ambientale delle sostanze chimiche (Bro-Rasmussen, 1989; van Leeuwen and Vermeire, 2007): una valutazione del rischio costituisce un obiettivo, il quale comporta di doversi esprimere su una base di complementarietà metodologica.

    In un quadro così complesso, come si vede, le teorie e i concetti sui livelli organizzativi o integrativi riappaiono sotto altre forme e contribuiscono tutti ad affrontare un problema che nel suo fondo riflette nel tema del rapporto tra totalità e parti un aspetto gnoseologico: nello studio su questo tema vi è, infatti, il momento di una ricerca di una definizione della conoscenza in termini di sue possibilità e  giustificabilità.

    Un importante concetto, quello della valutazione di effetti ecologici, nel modo che è definito da Finn Bro-Rasmussen (1989), presuppone chiaramente che come principio gli effetti si riferiscano a tutti i livelli di organizzazione, ossia come individui, specie, popolazioni, comunità, ecosistema. Lo sviluppo di questa idea è esposto in modo particolareggiato da Moriarty (1999), per il quale la fondamentale differenza tra l’ecotossicologia e la tossicologia sta nel fatto che, mentre per quest’ultima hanno importanza semplicemente  gli organismi sui quali appaiono gli effetti tossici, nell’ecotossicologia le cose sono molto più complesse: assumono importanza la dinamica delle popolazioni, le comunità e il pool genetico (come succede ad esempio per quest’ultimo aspetto nello sviluppo della resistenza agli insetticidi suscettibile a vari fattori che riguardano le popolazioni, la mobilità delle specie, la dominanza dei geni, la fecondità).

    Comunque, nella problematica che affiora, quando si scende a varie applicazioni, come quelle che abbiamo visto nell’ecotossicologia, vengono in sintesi ad emergere due caratteristici problemi: a) le variabili sono numerose, b) le variabili sono fortemente interconnesse (problema quest’ultimo che in particolar modo ha a che fare con la complessità). Fondamentalmente per questi motivi, ossia a causa di una complessità che rende in pratica molto difficile la conoscenza delle varie situazioni, i punti di vista riduzionistico e olistico sembrano dover darsi dei limiti e necessariamente integrarsi.

    Secondo Goldsmith (1996) tuttavia ⁸ … ciò di cui abbiamo veramente bisogno è una teoria completamente non meccanicistica, e tale teoria per sua stessa natura, dev’essere olistica. Il suo pensiero si colloca quindi in una posizione piuttosto radicale. Così ancora continua: "Gli esseri viventi sono vivi perché fanno parte di un tutto"; ed espone il nucleo di questo concetto: "le principali caratteristiche degli esseri viventi – quelle che li rendono vivi : il loro dinamismo, la loro creatività, l’intelligenza , l’intenzionalità – non sono evidenti se li si studia isolandoli dalla gerarchia di sistemi naturali di cui fanno parte. In un senso molto importante del termine, gli esseri viventi sono vivi perché fanno parte di questa gerarchia. Nel mondo vivente Goldsmith vede un certo finalismo, ma si tratta di un finalismo del tutto particolare, poiché è da lui inteso come la tendenza degli esseri viventi a mantenere la totalità. Se perciò, secondo il suo pensiero, la totalità si disintegra, le parti cessano di tendere a un fine ed è allora che il loro comportamento può essere spiegato nei termini della teoria meccanicistica della causalità, definita da lui come rozza". I bioprocessi secondo Goldsmith raggiungono il loro fine, perché sono sotto controllo e l’ingrediente fondamentale di questo controllo è la retroazione negativa. L’importanza di quest’ultima è fortemente sottolineata, come regolatrice a livello molecolare nella materia vivente da Monod (1970), pur trovandosi questo autore in posizione pienamente antitetica rispetto a Goldshmith per quanto riguarda le considerazioni sul metodo analitico nella scienza.

    Comunque, il tentativo di conciliare opposte tendenze di tipo olistico e analitico con interesse al dettaglio ha importanza, poiché le parti, i componenti non si perdono quando si legano in un tutto e ciò è garantito dalle relazioni, con cui vengono uniti: esse danno vita e mantenimento sia al tutto che alle parti e ciò è mediato da una regolazione. Occorre vedere in quale modo.

    A livello ecologico Margaleff (1968) in "Ecosystem as Cybernetic System (in Perspectives in Ecological Theory) mette in evidenza come i feedback negativi (meccanismi che invertono la traiettoria di un processo), operano negli ecosistemi (ad esempio il classico feedback nel rapporto predatore-preda), generando stabilità in un ecosistema, premesso che per stabilità, in una delle definizioni (Odum, Barrett, 2005)⁹, si intende la capacità di un sistema di rimanere simile a se stesso malgrado la variazione di condizioni esterne, come ad esempio variazioni climatiche o di agenti esterni (sostanze) o di vari altri stress (stabilità di resistenza), oppure la capacità di rapido recupero (stabilità di resilienza"). Un concetto di regolazione, inteso in questo modo, il quale non esclude a priori il rapporto causale, appare avere dunque notevole importanza per capire, anche dettagliatamente, come le parti possano armonizzarsi nel tutto. La visione prodotta dalla cibernetica appare costituire una chiave di volta per capire la capacità di compensazione e di regolazione nei sistemi viventi sia che si tratti di ecosistemi, che di organismi pluricellulari o di minuscoli sistemi come le cellule (vedi più avanti al cap. IV).

    Un altro aspetto nel quale è possibile un tentativo per conciliare le tendenze olistiche con quelle riduzionistiche può essere trovato nella questione delle proprietà emergenti. Tre aspetti della teoria emergentistica (qualità emergenti come accennato sopra) – mette in luce Cirotto (2011)¹⁰ - sono la produzione di novità, la natura qualitativa e non meramente quantitativa di queste novità e l’imprevedibilità e sono questi tre aspetti ad entrare in contrapposizione con la spiegazione meccanicistico-deduttivistica. Tuttavia suggerisce che si può  effettuare un’analisi di diverse tipologie  di emergenza e modularne la loro collocazione. Uno tra gli esempi di questa possibilità posti da questo autore sta nella qualità durezza di un cristallo, la quale effettivamente a livello dei micro-componenti (atomi, ioni, molecole) non ha senso, tuttavia non presenta un’imprevedibilità; per i fenomeni viventi  invece avrebbe luogo un’emergenza in senso più completo.

    Gli studi riguardanti l’emergere di nuove proprietà hanno comunque continuato a costituire  l’interesse di vari ricercatori anche in un passato recente ed in una forma nuova: in particolare l’emergenza di nuove proprietà e di nuove organizzazioni dal basso (bottom up) e non suscitata da piani organizzatori o impulsi superiori o centri di direzione  è stata negli ultimi decenni oggetto di studio da parte di diversi autori e messa in relazione con l’auto-organizzazione e con la complessità dei fenomeni collettivi, come appare in un saggio di Johnson (2001): l’auto-organizzazione sarebbe basata sulle reciproche informazioni (dovuta ad esempio a feromoni) che si danno organismi tra di loro vicini o cellule vicine nell’interno di un organismo: si tratta di un ordine globale prodotto da interazioni locali: vi è in questa visione un’assenza di considerazioni di ordine gerarchico. Ma ciò che sembra particolarmente importante in organizzazioni così concepite è il deviare dalla solita inesorabile modalità di cercare o immaginare necessariamente e solo catene causali o solo pressioni causali dall’alto o dall’esterno, o centri orientativi e direttivi per andare veramente alla ricerca di una concezione di interdipendenza, che in questo caso prende la forma di una comunicazione locale.  Johnson, dando risalto agli studi di alcuni ricercatori, mette a confronto il comportamento auto-organizzativo di organismi unicellulari primitivi, di insetti sociali  (Gordon, 1999, 2010) e perfino di persone entro agglomerati urbani (Krugman,1996)¹¹: egli scorge la possibilità di una nuova scienza, che tratti di sistemi emergenti, atta a impedire così che molti studi sull’argomento rimangano confinati e senza una correlazione. Secondo la biologa Deborah Gordon (2010) insetti sociali come le formiche … hanno molto da insegnarci sulle reti decentralizzate che operano in molti sistemi biologici, dove le interazioni locali producono un comportamento globale, senza la guida di qualsiasi intelligenza centrale o autorità. In Johnson, Gordon e Krugman il campo di lavoro per pensare a un’auto-organizzazione è insomma il comportamento, sia che si tratti di amebe, o di formiche o di uomini, in cui è in fondo la  comunicazione a condurre all’interdipendenza.

    Il concetto di auto-organizzazione, ha però un’origine lontana, perché risale al 1943 ad opera di uno  studioso di neuroscienze e di un matematico: Warren McCulloch e Walter Pitts. Questi due ricercatori  ebbero l’idea di occuparsi della logica di un comportamento: fissando delle regole, potevano costruire una rete; ispirati dalle reti neurali di un sistema nervoso e cercando di comporre dei modelli che potessero in qualche modo simularle,  crearono reti che presentavano nodi costituiti da elementi a commutazione binaria (di tipo acceso-spento) e facendo in modo da introdurre qualche regola che condizionasse l’accensione di un nodo in base a nodi adiacenti accesi nell’istante precedente. Studi successivi di diversi ricercatori, che usavano modelli che si andavano man mano perfezionando, dimostrarono l’emergenza di schemi di ordine. Lo studio dell’auto-organizzazione subì un’evoluzione per opera di  molti ricercatori, tra cui spicca Stuart Kauffmann. Quest’ultimo autore sintetizza bene l’importanza dell’auto-organizzazione, osservando che, se finora i biologi dopo Darwin attribuivano alla selezione il potere di essere la sola sorgente dell’ordine, con la scoperta dell’auto-organizzazione si deve aggiungere questa innata proprietà dei sistemi complessi (Kauffmann, 1991). Riguardo a questi ultimi, come nota Kauffmann, si trovano nella biologia notevoli esempi nei sistemi di migliaia di geni che si regolano reciprocamente, nelle reti di cellule e molecole che mediano una risposta immunitaria, nei milioni di neuroni che stanno alla base di un comportamento. Sistemi dinamici non lineari, a causa del caos, per quanto all’inizio ordinati, divengono con il tempo completamente disorganizzati: piccolissime differenze nelle condizioni iniziali possono influenzare grandemente i risultati. Il caos comporta limitazioni fondamentali alla nostra capacità di compiere previsioni; piccole indeterminazioni vengono amplificate, per cui il comportamento, prevedibile a breve scadenza, alla lunga risulta imprevedibile: così dicono in sintesi Crutchfield et al. (1987). Il caos - secondo questi autori - rappresenta una nuova sfida per il punto di vista riduzionistico, secondo cui un sistema può essere compreso scomponendolo e poi studiandone le singole parti. Un nuovo aspetto che fornisce il caos è dato dal fatto che in alcuni sistemi non è necessario che vi siano molti elementi componenti, come appunto sottolineano questi autori: … Il caos, tuttavia, dimostra che un sistema può manifestare un comportamento complicato come risultato di un’interazione non lineare semplice tra poche componenti soltanto. Tra le conseguenze del caos importanti possono essere quelle in campo biologico, come questi stessi autori ancora rilevano: Grazie all’amplificazione delle piccole fluttuazioni, esso può consentire ai sistemi naturali di accedere alla novità….L’evoluzione biologica richiede la variabilità genetica, e il caos offre un mezzo per la strutturazione delle variazioni aleatorie, fornendo così la possibilità di porre la variabilità sotto il controllo dell’evoluzione. Una rivoluzione che coinvolge varie branche della scienza secondo questi autori dipende dai vari nuovi aspetti tra cui il fatto che "…il caos ci consente di scoprire l’ordine in sistemi diversissimi

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1