Antichità - La civiltà romana - Scienze e tecniche: Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 17
Di Umberto Eco
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In possesso di conoscenze approfondite sui materiali impiegati, sugli equilibri strutturali che dovevano reggere arditi ponti, templi e anfiteatri e sul più vasto insieme di operazioni che richiedono capacità di calcolo e di astrazione, i Romani non si impegnarono mai in un’ampia e dettagliata trattatistica, fatto salvo il De Architectura di Vitruvio. Eppure il mondo romano fu caratterizzato da una grande fioritura di tecniche e da una pluralità di figure professionali altamente specializzate descritte in questo ebook, con tutte le innovazioni di cui ancora oggi verifichiamo quotidianamente gli ampi benefici.
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Anteprima del libro
Antichità - La civiltà romana - Scienze e tecniche - Umberto Eco
Antichità - La civiltà romana - Scienze e tecniche
Storia della civiltà europea
a cura di Umberto Eco
Comitato scientifico
Coordinatore: Umberto Eco
Per l’Antichità
Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Lucio Milano (Storia politica, economica e sociale – Vicino Oriente) Marco Bettalli (Storia politica, economica e sociale – Grecia e Roma); Maurizio Bettini (Letteratura, Mito e religione); Giuseppe Pucci (Arti visive); Pietro Corsi (Scienze e tecniche); Eva Cantarella (Diritto) Giovanni Manetti (Semiotica); Luca Marconi, Eleonora Rocconi (Musica)
Coordinatori di sezione:
Simone Beta (Letteratura greca); Donatella Puliga (Letteratura latina); Giovanni Di Pasquale (Scienze e tecniche); Gilberto Corbellini, Valentina Gazzaniga (Medicina)
Consulenze: Gabriella Pironti (Mito e religione – Grecia) Francesca Prescendi (Mito e religione – Roma)
Medioevo
Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Laura Barletta (Storia politica, economica e sociale); Anna Ottani Cavina, Valentino Pace (Arti visive); Pietro Corsi (Scienze e tecniche); Luca Marconi, Cecilia Panti (Musica); Ezio Raimondi, Marco Bazzocchi, Giuseppe Ledda (Letteratura)
Coordinatori di sezione: Dario Ippolito (Storia politica, economica e sociale); Marcella Culatti (Arte Basso Medioevo e Quattrocento); Andrea Bernardoni, Giovanni Di Pasquale (Scienze e tecniche)
Età moderna e contemporanea
Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Umberto Eco (Comunicazione); Laura Barletta, Vittorio Beonio Brocchieri (Storia politica, economica e sociale); Anna Ottani Cavina, Marcella Culatti (Arti visive); Roberto Leydi † , Luca Marconi, Lucio Spaziante (Musica); Pietro Corsi, Gilberto Corbellini, Antonio Clericuzio (Scienze e tecniche); Ezio Raimondi, Marco Antonio Bazzocchi, Gino Cervi (Letteratura e teatro); Marco de Marinis (Teatro – Novecento); Giovanna Grignaffini (Cinema - Novecento).
© 2014 EM Publishers s.r.l, Milano
STORIA DELLA CIVILTÀ EUROPEA
a cura di Umberto Eco
Antichità
La civiltà romana
Scienze e tecniche
logo editoreLa collana
Un grande mosaico della Storia della civiltà europea, in 74 ebook firmati da 400 tra i più prestigiosi studiosi diretti da Umberto Eco. Un viaggio attraverso l’arte, la letteratura, i miti e le scienze che hanno forgiato la nostra identità: scegli tu il percorso, cominci dove vuoi tu, ti soffermi dove vuoi tu, cambi percorso quando vuoi tu, seguendo i tuoi interessi.
◼ Storia
◼ Scienze e tecniche
◼ Filosofia
◼ Mito e religione
◼ Arti visive
◼ Letteratura
◼ Musica
Ogni ebook della collana tratta una specifica disciplina in un determinato periodo ed è quindi completo in se stesso.
Ogni capitolo è in collegamento con la totalità dell’opera grazie a un gran numero di link che rimandano sia ad altri capitoli dello stesso ebook, sia a capitoli degli altri ebook della collana. Un insieme organico totalmente interdisciplinare, perché ogni storia è tutte le storie
.
Introduzione
Introduzione alla scienza e tecnologia di Roma
Pietro Corsi
La domanda: Perché la civiltà greca non riuscì a sviluppare tecniche all’altezza della sua scienza?
è stata accompagnata, e per diversi secoli, da una domanda assolutamente simmetrica: Perché la civiltà romana non sviluppò conoscenze scientifiche all’altezza delle proprie competenze tecniche?
Al pari della questione sollevata a proposito della scienza greca, la domanda concernente la scienza romana pecca di anacronismo. Preconcetti di ordine storiografico ed epistemologico hanno a lungo impedito una corretta valutazione delle molteplici fonti testuali e archeologiche a nostra disposizione.
Non vi è dubbio che, al pari della civiltà egizia, la civiltà romana abbia lasciato monumenti che sono sopravvissuti al tempo e alle distruzioni della storia. Contrariamente agli Egizi, che per la maggior parte utilizzavano il fiume Nilo per i loro spostamenti, i Romani hanno lasciato una rete di strade e di acquedotti, città e fortificazioni sparsi su un territorio che comprendeva l’Europa Occidentale, il Nord Africa, il Medio Oriente. Per alcuni secoli, le tecnologie militari, dall’organizzazione e amministrazione degli eserciti, sino alle tecniche di combattimento, conferirono ai Romani una supremazia indiscussa nel controllo del loro vasto impero. Non mancavano certo limiti importanti alle capacità di intervento sui fenomeni naturali. Per esempio, le tecnologie navali romane non riuscirono mai a risolvere il problema dell’insabbiamento dei porti e di come contrastare il lento accumularsi di detriti e sabbie fluviali in porti spesso situati in prossimità o direttamente all’interno di foci di corsi d’acqua.
L’ammirazione per i risultati raggiunti dall’ingegneria e dall’architettura romane si unisce ad un certo stupore per le scarsissime notizie che ci sono pervenute sulle figure professionali cui erano affidate imprese di tale rilievo finanziario e strategico. Un solo trattato di architettura ci è stato tramandato, il De Architectura di Marco Vitruvio Pollione, forse il più famoso teorico dell’architettura di tutti tempi – anche a ragione della ammirazione che ha circondato la sua opera a partire dall’umanesimo – su cui tuttavia ben poco si sa, e quel poco lo si deduce da scarni cenni autobiografici inseriti nella sua opera. Al pari di centinaia se non di migliaia di ingegneri-architetti attivi a Roma e nei territori dell’impero, anche Vitruvio è un autore senza volto, di cui ignoriamo la data e il luogo di nascita e di morte, come pure le vicende della sua vita. Il che illustra probabilmente lo scarso peso sociale di cui tali figure godevano nella società romana, anche se le eccezioni erano ovviamente possibili: lo stesso Vitruvio potrebbe infatti aver goduto di una pensione elargita dall’imperatore Augusto. Vitruvio descrive nel suo testo le competenze professionali dell’architetto, che oggi sarebbero ripartite tra ingegneri, esperti in tecnologie militari e idriche, architetti e ingegneri ambientali. Di enorme importanza sono le sue descrizioni di macchine belliche e civili, che offrono un panorama esaustivo del livello tecnico raggiunto dalla civiltà romana. Di particolare importanza il suo soffermarsi sui mulini ad acqua, la cui presenza in diverse località dell’impero, dall’Inghilterra all’Algeria di oggi, dalla Germania alla Francia e a Israele, suggerisce una loro integrazione nel sistema di approvvigionamento idrico e alimentare di diverse aree rurali e urbane.
La storiografia antica e recente non ha mai dubitato delle grandi capacità tecniche dei Romani, anche se solo negli ultimi tre decenni l’integrazione di reperti testuali e archeologici ha permesso di apprezzare con dovizia di dettagli le grandi competenze sviluppate dagli ingegneri-architetti Romani. Si è invece dubitato, e molto, sul contributo dei romani allo sviluppo delle scienze. Non vi è stato, in parole povere, un Euclide romano, e il grande Tolomeo era un egiziano imbevuto della grande cultura scientifica del mondo ellenistico. Come per il mondo greco, anche se all’opposto, interrogarsi sul perché i Romani non abbiano lasciato un contributo scientifico al livello delle loro grandi competenze tecniche serve solo a mettere in rilievo la persistenza dell’approccio anacronistico con cui si guarda al passato. Come se, in primo luogo, le grandi imprese edilizie romane non avessero richiesto conoscenze approfondite sui materiali impiegati, sugli equilibri strutturali che dovevano reggere arditi ponti, templi e anfiteatri, su un insieme di operazioni, in breve, che avranno sicuramente richiesto capacità di calcolo e di astrazione. Competenze che non si tradussero in trattati, come l’eccezione costituita da Vitruvio sembra confermare, ma che debbono essere state presenti e trasmesse di generazione in generazione in modo uniforme e standardizzato per tutto l’impero, probabilmente attraverso sistemi di apprendistato a livello di botteghe e più probabilmente di strutture militari.
In realtà, il vero anacronismo è legato alla questione della definizione di cosa costituisca una scienza. Siamo talmente – sebbene da non più di un secolo – convinti che scienza sia in primis tutto ciò che si esprime in termini matematici, o prende a modello le scienze fisico-matematiche, da ignorare completamente tutta una serie di discipline scientifiche e di pratiche umane che sono scienza
allo stesso titolo, si costituiscono cioè in corpi testuali, in forme di intervento sul mondo che ci circonda, in dibattiti su mutamenti di prospettive e di pratiche. Ad esempio, la sottovalutazione delle scienze agricole romane, solitamente trattate come una irrilevante appendice nelle storie della letteratura latina, e come prova della scarsa attitudine alle scienze dei Romani in molte storie delle scienze, non è giustificabile né a livello della tradizione testuale disponibile, né a livello della lunga influenza che tali discipline esercitarono nella cultura occidentale. I paragrafi del presente volume dedicati a questo aspetto della scienza romana forniranno i dettagli necessari alla comprensione di questo importante settore delle attività scientifiche e produttive del mondo romano.
Credo tuttavia sia interessante citare un solo esempio della lunga fortuna delle scienze agricole romane e di come per secoli le Georgiche, il grande poema di Publio Virgilio Marone, continuò ad essere letto per le informazioni che forniva sulla agricoltura romana e la conduzione di una tenuta modello. Nel corso degli ultimi due decenni del XVIII secolo William Petty, marchese di Lansdowne, eminente politico Whig e grande proprietario terriero, amava riunire i suoi amici per leggere e commentare Virgilio. I suoi importanti investimenti per migliorare la conduzione delle proprie tenute si ispiravano direttamente all’ideale virgiliano, sia per quel che concerneva i doveri e le competenze del buon proprietario, sia per la consapevolezza delle competenze tecniche da mobilitare per migliorare la produzione. Lansdowne ebbe la fortuna di rendersi conto, grazie a geologi quali William Smith (autore della prima carta geologica d’Inghilterra, e forse della prima carta geologica moderna
) che sotto le sue terre si celavano immensi giacimenti di carbone. Non a caso Lansdowne fece parte di quella fazione dell’alta aristocrazia che favorì lo sviluppo dell’industria, propugnando forme di liberalizzazione dei commerci e dei traffici interni e con l’estero. La trasmissione del testo virgiliano non conobbe praticamente soste nella tradizione occidentale, e probabilmente da più di un secolo siamo noi moderni
a non comprenderne più la portata conoscitiva.
Il mondo romano fu caratterizzato da una grande fioritura di tecniche e dalla presenza di una pluralità di figure professionali altamente specializzate di cui riusciamo appena a intravedere i contorni, molto raramente a scorgere qualche volto. Per quel che concerne le scienze, occorre prestare maggiore attenzione a quelle forme di saperi che la civiltà romana coltivò con continuità e successo, scienze
a pieno titolo, anche se la nostra visione della scienza è spesso talmente limitata da non permetterci più di apprezzare il contributo delle scienze naturali, dell’agricoltura, della silvicoltura e delle tecniche di allevamento allo sviluppo di grandi civiltà del passato remoto e recente.
La matematica in età greco-romana
La nascita della trigonometria
Paolo Del Santo
Nella prima metà del IV secolo a.C. Eudosso di Cnido elabora il primo modello geometrico dei moti celesti, il cosiddetto sistema delle sfere omocentriche. Ingegnoso ed elegante, ma incapace di rendere conto di alcune importanti evidenze empiriche, esso sarà soppiantato dalla teoria epiciclica, ideata Apollonio di Perga nel secolo successivo. La nuova teoria condurrà alla nascita di quella branca della matematica, oggi nota come trigonometria, che consentirà di esprimemerne tutte le potenzialità.
La nuova architettura del Cosmo
Alla scienza greca spetta non solo il grande merito di aver fatto della matematica quella disciplina deduttivo-dimostrativa che oggi conosciamo, ma anche quello di aver impresso all’astronomia una svolta altrettanto epocale.
Le due grandi civiltà potamiche, quella egizia e quella babilonese, si erano dedicate con sistematicità all’osservazione del cielo, finalizzata essenzialmente alla formulazione di pronostici e di oroscopi, senza tuttavia giungere mai a concepire una teoria esplicativa dei moti celesti, ad andare cioè oltre l’elaborazione di semplici modelli aritmetici, consistenti in tavole predittive basate sulla periodicità di alcuni fenomeni astronomici. All’inizio del IV secolo a.C., da poco terminato quel periodo straordinariamente fecondo che va talvolta sotto il nome di età eroica
della matematica greca, Eudosso di Cnido, il maggior matematico del suo tempo, elabora il primo modello geometrico dei moti planetari, che diverrà in seguito noto come il sistema delle sfere omocentriche.
Nonostante i perfezionamenti successivamente introdotti da Callippo di Cizico e l’autorevole avallo di Aristotele, l’ingegnoso ed elegante sistema di Eudosso, incapace di render conto di alcune importanti evidenze empiriche, viene presto soppiantato dalla teoria epiciclica, introdotta da Apollonio di Perga, il matematico celebre per le sue ricerche sulle sezioni coniche, e da Ipparco di Nicea, considerato il massimo astronomo osservativo dell’antichità.
Nel nuovo modello ciascun pianeta si muove su un cerchio, detto epiciclo, il cui centro, a sua volta, si muove attorno alla Terra lungo un cerchio più grande, che, molti secoli dopo, come indica il suo etimo latino, diverrà noto come deferente. Nel II secolo d.C. Claudio Tolomeo introduce alcuni ingegnosi cinematismi che, se da un lato salvaguardano solo formalmente il plurisecolare assunto dell’uniformità dei moti celesti, dall’altro rendono la teoria molto più aderente ai fenomeni osservati. Sarà in questa forma, esposta da Tolomeo nell’Almagesto, che essa giungerà, pressoché immutata, fino a Copernico. Il titolo originale dell’opera, che si compone di 13 libri, è Mathematike syntaxis (Raccolta matematica
), ma i commentatori successivi, per distinguerla dai trattati minori di argomento astronomico, genericamente raccolti sotto il titolo di Piccola astronomia, erano soliti riferirsi ad essa come Megale syntaxis (Grande raccolta
, da cui Magna Compositio, titolo frequente nelle edizioni in lingua latina). Per questo motivo presso gli Arabi la Raccolta era comunemente detta al-Magisti, corruzione del greco e Megiste (la più grande
), da cui appunto Almagesto, titolo con il quale divenne in seguito universalmente nota.
A partire dal III-II secolo a.C. gli astronomi dispongono dunque di un modello teorico dei moti planetari relativamente semplice sotto l’aspetto geometrico (poiché sostanzialmente basato sull’uso di due soli cerchi) e, al contempo, capace di prevedere con inedita esattezza le posizioni degli astri. Per esprimerne tutte le potenzialità, era però necessario elaborare, in una qualche forma, quella branca della matematica che va oggi sotto il nome di trigonometria.
La trigonometria prima di Tolomeo
All’epoca di Tolomeo la trigonometria greca, sia piana, sia sferica, ha ormai raggiunto la sua forma matura. Oltre ad aver rappresentato, per un millennio e mezzo, l’indiscusso punto di riferimento per l’intera astronomia, l’Almagesto costituisce infatti anche la più completa e importante opera di trigonometria di tutta l’antichità. Non v’è dubbio però che, sotto questo aspetto, Tolomeo debba molto ai suoi predecessori, anche se la scarsità delle opere sopravvissute e la lacunosità delle altre fonti non consentono di stabilire con esattezza l’entità di tale debito.
Sin dal V secolo a.C., infatti, vari autori hanno approfondito le diverse proprietà del cerchio e della sfera, molte delle quali di immediata applicazione in campo astronomico, e redatto manuali di matematica per l’astronomia. Tra questi Autolico di Pitane, che è il più antico autore greco di cui ci siano pervenute le opere e che, oltre ad un testo intitolato Sulle levate e sui tramonti, scrive un trattato di geometria sferica ad uso astronomico dal titolo Sulla sfera mobile. L’opera, all’epoca largamente utilizzata dagli astronomi (ed è probabilmente questa la ragione principale per i cui lo scritto è giunto sino a noi), non presenta particolari tratti di originalità, ma è interessante sotto il profilo storiografico perché attesta che, oltre un secolo prima degli Elementi di Euclide, la