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Tutti insieme assassinatamente
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E-book365 pagine5 ore

Tutti insieme assassinatamente

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Info su questo ebook

Narrativa - racconti (283 pagine) - Antologia di racconti del Premio Toscanaingiallo.it. Prefazione di Massimiliano Lachi, assessore alla cultura del comune di Castiglion Fiorentino.


Tutti insieme assassinatamente, insomma! Storie di morti ammazzati e di padelle. Un viaggio che si sviluppa come un puzzle attraverso delitti, tradimenti, ossessioni e turbamenti ma sempre e solo consumati a tavola. Perché è il cibo il fil rouge di questa straordinaria succulenta antologia toscana che accomuna gli autori armati di fantasia e di cattiveria (coltelli e stricnina q.b.) che hanno partecipato al premio Toscanaingiallo.it.

Alimentare Watson! direbbe Sherlock Holmes, anzi lo dice, dato che spetta a lui apporre in postfazione la parola fine.


Lucio Nocentini è un istrionico personaggio nato a Castiglion Fiorentino nel giorno di Halloween del 1954. Quando non scrive, non dipinge e non fa il giornalista, fa il dentista! Ha scritto tanti libri per vari editori, prevalentemente gialli.

Luigi Pachì, nato a Milano nel 1961, è consulente editoriale per Mondadori e la collana da edicola mensile Il Giallo Mondadori Sherlock. Ha curato diverse antologie ed è inoltre editor di molteplici collane tra cui SherlockianaSherlockiana SaggiCrime & CriminologyInnsmouth e TechnoVisions.

LinguaItaliano
Data di uscita19 lug 2022
ISBN9788825420531
Tutti insieme assassinatamente

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    Anteprima del libro

    Tutti insieme assassinatamente - Luigi Pachì

    Prefazione

    Massimiliano Lachi, assessore alla cultura del comune di Castiglion Fiorentino

    Non posso che dire grazie di cuore all’eclettico Lucio Nocentini che ha guidato con mano esperta e mai tremolante, come si addice a un bravo dentista, questa neonata edizione del concorso Toscanaingiallo.it e a Paolo Novembri, amico e coordinatore eccezionale. Grazie all’affabile presidente della giuria, Laura Nocentini Cesarini, che fu mia insegnante negli anni del liceo e grazie ai singolari signori giurati: le castiglionesi Simonetta Ciappi, Patrizia Gagliardi, Luigina Polvani e Morena Vestrini, coadiuvate in esterni da Polo Piccioli, della redazione di Retequattro, Diego Mattiello, direttore del teatro Parenti di Milano, Patrizia Romoli, dirigente Asl di Prato, Emanuele Aliotti Visdomini, vicepresidente Vhernier, e dall’intramontabile Wilma De Angelis! Mica poteva mancare una patatina in questa bella antologia infarcita di ricette!

    Il testo di Lucio è fuori concorso, dato che è il curatore di questa antologia assieme all’esperto giallista Luigi Pachì. I racconti da premiare con la pubblicazione avrebbero dovuto essere dieci, ma grazie alla qualità degli elaborati che ci sono pervenuti, abbiamo fatto uno strappo alla regola che spero vi sarà gradito.

    I dolci dolci sposini della Rufina

    Ivan Cattaneo

    Immagine

    Ivan Cattaneo può essere considerato un artista geniale a tutto tondo e non basterebbe un libro intero per decantare tutte le sue doti istrioniche.

    Nel 1975 esordisce grazie a Nanni Ricordi con l’album UOAEI, per l’etichetta indipendente Ultima Spiaggia. Due anni dopo ci riprova con un progetto discografico ironico, Primo, secondo e frutta (Ivan compreso). Qui inventa la teoria TATTOUDITOVISTAOLFATTOGUSTO. Cavalca il punk creando una prima immagine ad Anna Oxa al Festival di Sanremo del 1978, ma sono gli anni Ottanta che lo vedono trionfare dapprima in CGD con l’album Urlo dal quale viene estratto il brano di punta Polisex, poi con i progetti di archeologia moderna in cui riarrangia e stravolge i maggiori successi italiani degli anni Sessanta, dal Geghegè a Bang Bang, passando per Una zebra a pois e a Nessuno mi può giudicare. Album di successo tra gli altri diventano 2060 Italian Graffiati, Ivan il terribile, e Bandiera Gialla. Stanco della musica revival, essendosi allontanato troppo dalla originaria idea di fare il cantautore, trascura il mercato discografico e si dedica visceralmente alla pittura. È del 1989 la sua mostra 100 Gioconde Haiku che viene esposta in tutta Italia, soprattutto in varie discoteche di punta. Le opere le regala agli amici sparsi in tutto il mondo per creare intorno a sé una gigantesca ragnatela protettiva. Ancora un disco prorompente, Il cuore è nudo… e i pesci cantano che anticipa atmosfere e tematiche New Age, e Ivan diventa magistralmente a tutto spessore artista multimediale, forte anche del fatto di essere stato il primo a creare videoclip di grande forza interpretativa in cui da sempre mescola originali effetti visivi, musicali e digitali (vedi Mister Fantasy, 1981). Nel 2010 ancora un progetto discografico di cover, 80 e basta! Nel 2014 a Genova gli viene assegnato da CAPAM il premio Italia alla Carriera alla FIM, fiera internazionale della musica. Tra le mille attività e partecipazioni è senz’altro da segnalare il suo brano bellissimo inciso dalla mitica Patty Pravo, La carezza che mi manca. Aspettando l’uscita di un annunciato nuovo album di inediti, Eiaculazione da Tiffany, Ivan cavalca con successo il mondo dell’arte, di galleria in galleria. Non si sa dove abbia trovato il tempo per regalare al Comune di Castiglion Fiorentino questo geniale racconto che di sicuro stuzzicherà la vostra fantasia.

    Mirna Gandolfi e Giangilberto Giangi si conoscevano dalle elementari.

    Il classico amore di una ragazzina per il bel bambino del primo banco.

    Lui bravissimo a scrivere temi fantasiosi e poesie; lei già a otto anni bravissima ad aiutare la nonna nello storico negozio di pasticceria la Toscanina golosa.

    Fin da piccola Mirna riusciva a fare dei dolci meravigliosi e li portava a scuola nel panierino della merenda per donarli al suo grande amore Giangi-love. Così lei sempre lo chiamava.

    Lui godeva e gongolava nel sentirsi curato, coccolato e golosamente nutrito: la sua vita era una vera pacchia! Inevitabile che tra loro nascesse un amore a prima vista, anzi a prima gola!

    Crebbero così insieme sin dai quei primissimi anni Sessanta sino ad arrivare alle medie sempre insieme e lei, la dolce Mirna in tutti i sensi, tra ghiacce, farciture e zuccheri filati divenne sempre più brava e perfezionista. Appena finito di studiare fu assunta a tempo e di diritto pieno alla Toscanina golosa.

    La nonna la volle a tutti i costi in negozio alla preparazione di dolci raffinati di cui la nipote era fantasiosissima creatrice. Ogni giorno ne inventava uno nuovo se possibile più buono di quello del giorno precedente. L’esperienza aiuta, si sa.

    Mentre lei a sedici anni si mise seriamente a lavorare in negozio, lui il folcloristico Giangi-love riuscì a farsi assumere come apprendista in un grande salone di parrucchiere per signora a Firenze.

    La loro amicizia ma che dico, il loro amore, si consolidò sempre di più tant’è che, arrivati ai loro venti anni, decisero di fidanzarsi e di farlo sapere a tutto il paese. Fecero anche una bellissima festa nel negozio della nonna, brindando con i famosi vini della Rufina e con dolci sempre più straordinari, creati dalla neo fidanzatina toscana.

    Il loro però, a dire il vero, non era un rapporto poi così classico fra uomo e donna; ormai erano arrivati a ventisette anni e direi che dopo sette lunghissimi anni di fidanzamento un bilancio lo si doveva pur fare.

    Ancora niente matrimonio, ma neanche un contatto fisico!

    Mirna desiderava tanto, ‘na pasticciatina, ma carnale stavolta e non planetaria. Ogni tanto, insomma, le sarebbe davvero piaciuta.

    Lui, il Giangi non voleva proprio saperne. Diceva che era meglio arrivare puri e casti al sacro evento! L’amore di certo c’era ma i baci erano più da fratello e sorella che non da amanti focosi, magari perché si conoscevano da cosi tanto tempo. Forse il desiderio si era assopito o del resto non era mai nato nel giusto senso biblico.

    Fatto sta, o sicché, come dicono a Firenze, Mirna premeva per arrivare all’abito bianco e ai fiori d’arancio.

    Finalmente a trent’anni suonati i due convolarono al bramatissimo, al meno da lei, sposalizio.

    Si fece una gran festa e quasi tutta la Rufina vi partecipò. Superfluo dire che il piatto forte del banchetto nuziale furono le montagne di dolci sopraffini creati dalla stessa Mirna e dalla ormai novantenne nonna Patrizia che col passar del tempo era venuta sempre più a somigliare alla Regina Elisabetta. Come lei soleva spesso indossare curiosissimi cappellini colorati, ricchi di fiori e frutta di marzapane, che sembravano più torte di panna pastello, che non cappelli veri e propri.

    Il giorno del matrimonio la nonna era più radiosa e più felice della sposa, del resto col passar del tempo si era affezionata sempre più a quel ragazzo di sani principi morali che pretendeva assoluta castità e purezza sino alla soglia del talamo nuziale.

    Ma varcata appunto la soglia della prima fatidica notte… quella prima notte fu un vero disastro. Giangi si era talmente abbuffato di dolci preparati dalla sua Mirna che accusò un mal di pancia fortissimo, e una spaventosa diarrea a tutto andare.

    La notte intera la passò a correre avanti e indietro dal gabinetto al talamo, e la Mirna rimase seduta sul letto ad aspettare la sua famigerata rottura di imene. Ma nulla di nulla, né quella notte né in quelle a venire.

    Dal canto suo per il Giangi-love l’amore per la sua sposa rimaneva invariato, ma di certo quello per i dolci che gli preparava era sempre più avvolgente e insaziabile. Per quelli il desiderio non si spegneva mai!

    E lo si vedeva anche dal suo fisico ormai notevolmente appesantito infatti il ragazzone pesava ormai sui centoventicinque chili. Lei invece sempre minuta, esile magrissima. Di dolci ne creava tanti, ma mica se li trangugiava! Li assaggiava giusto per motivi d’amor professionale, e per giudicarli all’altezza oppure no.

    Lui poi divenne sempre più preso dal suo lavoro a Firenze. Da apprendista in pochissimi anni divenne proprietario e maitre di uno dei più grandi saloni di coiffeuse del centro città. Sotto di lui la bellezza di sette aitanti giovanotti dediti chi alla messa in piega, chi alle manicure e chi ai massaggi al viso e altre diavolerie estetiche.

    Passavano i mesi e ormai la coppia si consolidava sempre più, anche dentro le molte anomalie del caso. Per esempio Mirna aveva imparato a convivere con la castità del marito ma il suo desiderio era più vivo che mai; proprio non si spegneva né si attenuava.

    E almeno una volta ci voleva provare, fosse stato anche solo per dare un erede, un pronipotino, alla ormai vecchia nonna Patrizia.

    Ma nulla, nulla di nulla! Il corpo proprio un si trastulla… mai!

    Nessun desiderio da parte di lui, unica voglia mai assopita dai tempi delle elementari era quella di assaggiare sempre dolci nuovi e sempre più gustosi.

    E poi diciamola tutta, era più il tempo che Giangi passava con la nonna che non con la moglie.

    Anche la Toscanina-golosa, grazie alla clientela numerosa, si era ingrandita. E la nonna seppur vecchia, riusciva a fare da supervisore al tutto, sempre seduta sulla sua sedia a dondolo in un angolo del famoso negozio dove osservava tutto e nulla le scappava.

    Rimaneva sempre padrona, senza risparmiare di criticare la nipote per come conduceva il negozio o come trattava con ormai assoluta indifferenza il proprio consorte, che a letto rimaneva sempre con le braccia consorte.

    Insomma non vi era molto amore e corrispondenza ormai fra nonna e nipote mentre per Giangi, Patrizia stravedeva sempre. Lui portava sovente strumenti di lavoro dal suo negozio di Firenze e le praticava splendide permanenti e tinte color violetto Balmoral.

    Un giorno mentre Giangi era a lavorare in negozio a Firenze, si presentò un ragazzo molto effeminato e curioso. Disse che aveva deviato dall’autostrada perché bloccata; era uscito a Barberino ed era stato obbligato a passare per la Rufina.

    Espresse il desiderio di fare un regalo a sorpresa al suo amore che aveva un bellissimo salone coiffeur a Firenze e che amava davvero tanto i dolci. Mirna, un po’ curiosa, chiese al ragazzo come si chiamava il suo amore e lui candidamente, poiché non aveva mai avuto alcun problema a manifestare la sua tendenza sessuale e non teneva alcun segreto disse quel nome: Giangilberto!.

    – Giangilberto? – balbettò lei mentre accomodava le paste sul vassoio.

    – Sì, Giangilberto o Giangi, ma io lo chiamo bombolone mio. Lo amo davvero tantissimo. È sempre pieno di attenzioni per me. È tanto focoso in ogni momento della giornata, tra un cliente e l’altro nel suo lussuoso atelier di parrucchiere. Sempre sesso vorrebbe fare! Un vero mandrillone toscano, signora mia – e concluse con una risata sonora armoniosa e quasi musicale.

    Mirna non fece una mossa. Preparò con cura tutte le paste prescelte, ma le avvolse in una carta anonima dove non stava scritto Toscanina-golosa. Se ne stette zitta zitta senza proferir parola e salutò cortesemente il forestiero.

    Primo finale:

    La sera quando Giangi-love (ma sarebbe più consono chiamarlo anoressico-love), tornò a casa, tutto sembrava assolutamente normale. La solita frugale cena a due. Vino da pasto del posto, cognachino finale e poi finalmente a letto stanco morto.

    Come sempre pochissimo dialogo e solito bacetto in fronte prima di andare in bianco.

    Mirna però, prima di adagiarsi su quel talamo inviolato da anni, mentre il marito purissimo e casto se ne stava già sotto coperta, gli annunciò: – Giangi mio, ho dimenticato di farti assaggiare un nuovissimo dolce che ho preparato nel tardo pomeriggio. Prima che tu ti addormenti voglio assolutamente il tuo parere di esperto assaggiatore goloso. Non vorrei che durante la notte la crema di cioccolato e mandorle si guastasse!

    Il maritino non poteva di certo sottrarsi a un invito cosi acchiappante. Dispostissimo ancora una volta a sacrificarsi come assaggiatore goloso, e a fare da cavia per una prelibatezza annunciata.

    Era un dolce di cioccolato e mandorle tritatissime, mescolate a rosolio di Agrigento, con punte di garofano.

    Giangi, solo a guardarlo, non stava più nella pelle. Dopo aver divorato la leccornia, non stava più nemmeno nel suo corpo poiché la sua anima fedifraga se ne volò subito via in altri pascoli ultraterreni! Insomma il poveretto morì avvelenato.

    Mirna aveva mescolato la sua vendetta con rosolio, cioccolato, garofano e mandorle sì, ma con una bella dose di cianuro che si sa, di mandorle sa!

    Il poveraccio giaceva ora lì nel suo letto purissimo, dove mai aveva consumato pasti di carne femminile. L’indomani lei, fresca vedova, avrebbe denunciato il caso come infarto causato dall’obesità per via della golosità irrefrenabile. Mi sono svegliata e a sorpresa ho trovato il mio maritino adorato freddo stecchito! Glielo avevo detto di non abbuffarsi di dolce prima di dormire! avrebbe raccontato al medico di guardia.

    E mentre pensava fra sé e sé a tutta questa messinscena da farsi si ricordò che sul tavolo del salotto aveva notato una scatola ben confezionata con un dolce che la nonna le aveva preparato. Sì perché la maestra Patrizia, nonostante la veneranda età, si dilettava ancora in preparazioni nuove, e ci teneva tantissimo al parere della nipote. Si trattava di una confezione viola e oro bellissima da vedere. All’interno si trovava il prototipo di un nuovo manicaretto con nocciole e pasta frolla con su un biglietto con scritto Queen Lillibeth Pastry.

    Mirna, data la situazione, non aveva molta voglia tantomeno fame, ma sapeva che la nonna di prima mattina ci avrebbe tenuto al suo parere. Se lo avesse lasciato in frigorifero lei lo avrebbe considerato come una specie di affronto.

    Dato che l’armonia fra nipote e nonna negli ultimi tempi era andata scemando, agguantò e ingurgitò Lillibeth tanto per gradire.

    E tanto per morire se ne andò pure lei al creatore.

    Ora giaceva in salotto stecchita.

    La nonna aveva intuito tutto. Era vecchia ma l’udito, grazie ad Amplifon, le funzionava benissimo. Le confidenze del ragazzo effeminato sommate alla insolita bramosia della nipote a preparare a tutti i costi un dolce per il marito decisamente fuori orario e il barattolo del veleno per i topi riposto nella mensolina sbagliata.

    E così, come accade quasi sempre fra marito e moglie, la favola si concluse

    Eh no, signori miei! Non vissero felici e contenti. Ma chissà, da morti forse sì…

    Secondo finale:

    Mirna scrutò con sospetto il Queen Lillibeth Pastry nella sua bella scatolina viola e oro e capì immediatamente che la nonna, appollaiata come un piccione sulla sua sedia a dondolo, con il suo apparecchio acustico sofisticato, aveva capito tutto. A dire il vero il sospetto le venne dal momento che mai, una donna attenta e intransigente qual’era, le avrebbe proposto un assaggio a fine giornata, quando le papille linguali erano stanche per tutte le prove affrontate cucinando.

    Mise il dolce su un piattino, salì le scale che portavano alla camera della nonna e bussò con vigore alla porta. Quella l’Amplifon se lo toglieva di notte, e metteva a ricaricare le pile.

    Patrizia, alla debole luce dell’abat-jour sembrava davvero una romantica donna inglese. Manco a farlo apposta stava leggendo un giallo di Agatha Christie, Un delitto avrà luogo.

    Senza neanche distogliere lo sguardo dal suo romanzo poliziesco mormorò: – Hai capito tutto, non è vero?

    – Sì, nonnina e credo che sia arrivata la tua ora. L’ora di affrontare il sonno più lungo che c’è – le rispose porgendole lo squisito dessert.

    Due grosse lacrime solcarono il volto grazioso e grinzoso della vecchietta mentre allungava un braccio verso la leccornia che lei stessa aveva avvelenato.

    – Lasciane un pezzetto per me. Non tanto grosso.

    Così anche Patrizia se ne volò via di colpo, magari negli stessi pascoli ultraterreni dove avrebbe incontrato l’adorato e squisito nipote acquisito.

    Mentre una veloce ambulanza chiamata d’urgenza permise a Mirna di sopravvivere grazie a una gorgogliante lavanda gastrica.

    Ai carabinieri avrebbe raccontato che per errore del cianuro destinato ai ratti era finito nel barattolo delle mandorle tritate.

    Avrebbe recitato:

    – Quando si ha a che fare con polverine dolcificanti ed essenze concentrate può capitare, perché no, di scambiare un flacone con un altro. Specie se si devono tenere i luridi topi alla larga dalla pasticceria. La mia dolce nonnina e il mio maritino goloso hanno trangugiato il dessert con voracità, mentre io, che vuole, maresciallo, alla siluette ci tengo tanto e ne ho assaggiato solo un pezzetto. Perché la nonna ci teneva sempre tanto al mio parere…

    Terzo finale:

    Il Giangi era tondo. Era tanto ma di certo non era tonto e soprattutto sulle scopate del suo compagno Luigino, che affettuosamente chiamava Gingi, ogni giorno ci poteva rimettere l’orologio. Era strano che alle tre del pomeriggio non fosse ancora comparso all’orizzonte, lui e il suo culo ghiotto da mandolino che tutti gli uomini sia etero che omo gli invidiavano. Alla radio avevano parlato di un blocco autostradale a Barberino. Vuoi dire che impiccione com’era, passando per La Rufina, era andato a curiosare alla pasticceria della Mirna?

    Stava tagliando la frangia fucsia della contessa Biondi Nelli Gattai quando lo vide comparire in negozio, con un pacchetto in mano.

    – Oi oi che palle – sbuffò. – L’autostrada era bloccata e ci hanno fatto prendere la statale. Accidenti a quel tratto maledetto. Ogni giorno c’è una coda e dovrebbero pagarcela loro l’autostrada. Anziché noi.

    – Che ttu c’hai li dentro?

    – Un pensierino dolcissimo per farmi perdonare. – Poi con aria allusiva aggiunse:

    – E da un’altra parte c’ho un altro pensierino, tu lo vedrai… che poi è un bel pensierone. Come dicono di Rocco, di ventotto ce n’è uno…

    – Accidenti a voi finocchi! – protestò la contessa che da anni era a corto di manico. – I più belli ce li prendete sempre voi, e a noi ci lasciate i vecchi sporcaccioni sposati che per metterli in pista gli ci vòle una flebo di viagra!

    Quando anche l’ultima ciocca della nobildonna fu ben fonata e pettinata a dovere, Giangi poté approfittare nel retrobottega di una sveltina e subito dopo di quei dolci pensieri incartati.

    Appena aprì l’involucro, per via della carta anonima, capì tutto quello che era successo. Tutto.

    I manicaretti erano inequivocabilmente della Mirna. Lui, di lei, sapeva distinguere anche le lingue di gatto. Figurati i cannoli, le cassatine e le bombe meringate! Se li aveva incartati così voleva dire che Gingi, ingenuamente, le aveva raccontato della loro relazione, e lei, per restare anonima aveva evitato di usare la carta del negozio. Mirna era tanto brava a svolgere il suo lavoro, ma diciamocelo, a furia di assaggiare dolciumi non aveva tempo per mangiare pane e volpe.

    Allora alla fine della giornata, stanco e spompato, prima di chiudere bottega si infilò in tasca un bel rasoio, il più affilato che c’era, per prepararsi ad affrontare ad armi pari la mogliettina furibonda.

    Quando entrò in casa e la vide, ritta come un carabiniere, con lo sguardo farcito di odio non lo salutò nemmeno. Non era furibonda. Era di più.

    – Casto e puro, stronzo che non sei altro – sibilò imbestialita. – Ora però ti mangi quella bella pasta che ti ho preparato – aggiunse indicando un gran bignè di mandorle e crema dal profumo invitante che aveva servito su un piattino d’argento, al posto della solita pastasciutta.

    – Non sono mica scemo! – rispose pronto il Giangi.

    Allora lei scomparve nella stanza attigua e ricomparve armata con un fucile a pallettoni che era appartenuto a nonno Vieri.

    – Non ho bisogno di prendere la mira, grosso come sei, bombolone mio. Mangia!

    Lui alla vista dell’arma imbracciata diventò un agnello. Agguantò il piattino con il grosso bon bon farcito, fece l’atto di assaggiarlo, e con una mira formidabile glielo tirò in faccia.

    Poi le fu dietro e in un attimo la immobilizzò e con il rasoio affilatissimo la sgozzò. Aprì la cassaforte, buttò una manciata di gioielli e di soldi sul tavolo e chiamò i carabinieri.

    Purtroppo toccò a nonna Patrizia, a funerale eseguito, a riaprire bottega, a tirarsi su le maniche e a rimettersi di buzzo buono a fare la pasticcera mattina giorno e sera.

    Gingi, che non aveva uno straccio di lavoro da un pezzo, fu assunto come aiutante in cucina. E piano piano, vedendo come si facevano quei miracoli di alta pasticceria, si appassionò tra un cencio fritto e una frittella tanto sapeva che il suo Giangi, come ricompensa, prima di addormentarsi, avrebbe girato lui, come una frittella!

    Quarto finale:

    Giangi bombolone, quando aprì l’incartamento capì immediatamente che quelle paste traboccanti di crema pasticcera e chantilly erano opera di sua moglie. La Mirna. Che siccome le aveva incartate con una carta anonima, voleva dire che aveva scoperto la tresca. Rigirò tra le mani un rasoio affilato, fece per metterselo in tasca. Poi decise che la vita era bella e non ne valeva la pena di passare il resto della sua esistenza in una cella fredda e buia, mangiando minestre insipide, fagioli e patate bollite.

    Anzi, aprì il computer e si mise a cercare un posto lontano nel mondo in cui nessuno avrebbe potuto disturbarli, lui e il Gingi dal culo a mandolino. Bora Bora, Bali, Kathmandu, Acapulco…

    Due biglietti solo andata.

    Alla povera Mirna, tradita e abbandonata, quando si rese conto che il suo grande ed eterno amore non sarebbe mai più tornato a casa, non rimase altro da fare che preparare un bel bignè alle mandorle corrette al cianuro. L’ultimo manicaretto della sua vita.

    Quinto e ultimo finale

    Gingi non era scemo e neanche tanto effeminato ma era stufo da un pezzo di essere l’amante di un ragazzone che non trovava il coraggio di confessare le sue tendenze sessuali alla moglie.

    Stava procedendo spedito per l’autostrada proprio all’altezza dell’uscita della Rufina e per pura coincidenza alla radio stavano passando Sono bugiarda, di Caterina Caselli, ma nella versione spiritosa di Ivan Cattaneo.

    Era stufo di bugie. Arcistufo e aveva una voglia matta di imboccare la rampa di uscita per andare a raccontare tutto a quella moglie stupidella che non aveva ancora capito niente.

    Caso volle che ci fosse un blocco per incidente quindi fu costretto a farlo.

    La pasticceria la trovò in un battibaleno, aiutato da google map. Comunque il paese era piccolo e l’avrebbe trovata anche senza le indicazioni del navigatore.

    Ora bastava sculettare un po’ e recitare la parte dell’amante gay, ghiotto di sesso e svampito.

    Entrò in bottega, salutò con una specie di inchino la sosia della regina d’Inghilterra e declamò:

    – Vade retro Satana! Qui si ingrassa solo a guardare! Ma che bontà, ma che bontà, ma che cos’è questa robina qua. Cacca? – e si produsse in una risata roboante.

    – Desidera? – chiese Mirna con un sorriso bonario.

    – Un bel cannolo ma non per me. Per il mio Giangi-bombolone. Magari lo conosce perché abita da queste parti… E sarà anche un suo cliente, immagino.

    Appena quel ragazzo effeminato uscì dalla Toscanina-golosa, Mirna corse in bagno a fare la pipì e a sciacquarsi il capo con l’acqua gelida. Poi si guardò nello specchio e non capì più se le sue belle guance erano bagnate di acqua o di lacrime.

    Qualcuno intanto aveva bussato alla porta sul retro. Era il mugnaio, quel bel ragazzone sano e sfacciato che tutte le volte che le consegnava la farina ci provava a stuzzicarla ostentando il suo pacco turgido di desiderio. Mirna si asciugò bene e si accorse dall’esteso rossore che le stava imporporando il viso, che era arrivato il momento di offrirgli una sfogliatella croccante e finalmente anche il momento di perdere la verginità.

    – Le sfogliatelle, quando le mangi devono cantare, non è vero Simone-love? – gli disse con tono invitante mentre si preparava a seguirlo da qualche parte, fosse stato anche in capo al mondo.

    Nonna Patrizia fece capolino in cucina appena in tempo per dirle che c’era un cliente da servire.

    – Pensaci tu, nonnina. E se torna a casa Giangi-love e non mi trova qui ad aspettarlo con la mia briosce ancora vuota, spiegaglielo tu che ho tanto di quel tempo perso, da recuperare, che ho deciso di andare a farmela farcire ben bene.

    Fra sei minuti esatti suonerà il timer del forno e dovrai togliere gli sformatini di cioccolato e mandorle dal cuore morbido, una mia ultima creazione. Mi raccomando. Un minuto di più sarebbe fatale!

    On top decora con crema di mandorle e violette zuccherate, quelle che si accompagnano ai marron glacé…

    Sformatini di cioccolato e mandorle con il cuore morbido

    ingredienti: 190 gr. di cioccolato fondente, 180 gr. di burro, 110 gr. di zucchero a velo, tre uova intere più quattro tuorli, 80 gr. di farina OO e 30 gr. di mandorle in polvere.

    Esecuzione: Sciogliete a bagnomaria il cioccolato e il burro separatamente, quindi amalgamateli assieme. Sbattete le uova con lo zucchero a velo, unite le farine e la crema di cioccolato e burro. Ungete di burro gli stampini in alluminio, versateci un bel po’ di composto e cuocete in forno già caldo a 180° per circa 8 minuti. Se invece preferite surgelarli e tenerli pronti da fare in qualsiasi momento, i minuti di forno saranno 11. Serviteli caldissimi e quando il vostro cucchiaino li aprirà, il cuore morbido interno si scioglierà e sarà una libidine per il palato. Fate molta attenzione ai tempi di cottura, eh!

    Patrizia Gagliardi

    Bomboloni, bomboloni caldi!

    Alberto Corda

    Immagine

    Ragazzo del 1965, Alberto è nato a Borgosesia, in Piemonte. Da venti anni e più lavora attivamente a Milano nel settore immobiliare. Non è la prima volta che si cimenta con la scrittura perché un suo inquietante racconto, Il condominio, venne pubblicato nell’antologia La minestra sul cortile, (Coniglio Editore, 2006) che comprendeva partecipazioni straordinarie come quella di Dario Fo, di Antonio Possenti, di Fabio Canino, di Mauro Coruzzi, di Lia Volpatti, di Franca Rame, di Paolo Limiti e di Andrea G. Pinketts. Ha frequentato per anni la Versilia e in quei luoghi di vacanza ha ambientato il suo bel racconto dal sapore decisamente vintage.

    Lo chiamavano Il ragazzo dei bomboloni, ma il suo nome era Libero. Con un carretto pieno di dolci dal profumo irresistibile, protetto dalle mosche da un telo di garza sottile, ogni giorno faceva la spola tra la darsena di Viareggio, da dove partiva, e la Lecciona, la lunga spiaggia bianca di Torre del Lago.

    Aveva sì e no diciotto anni, i capelli neri tagliati a spazzola, il fisico piuttosto massiccio e una voce potente che già dalle otto del mattino fendeva la quiete di tutta la pineta. Lo si sentiva strillare bomboloni, bomboloni caldi in lontananza

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