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Nuove mappe dell'apocrifo
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E-book669 pagine9 ore

Nuove mappe dell'apocrifo

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Giallo - saggio (546 pagine) - Un percorso tra autori internazionali e nazionali di apocrifi sherlockiani – oltre duecento – proposto da uno dei principali cultori di questo argomento


Un libro studiato appositamente per tutti gli appassionati del grande detective di Baker Street e per chi voglia avvicinarsi agli apocrifi sherlockiani, sia per leggere quelli più meritevoli, sia magari per provare a scriverne. Un percorso tra autori internazionali e nazionali proposto da uno dei principali conoscitori di questo argomento: Luigi Pachì. Direttore da oltre vent'anni della Sherlock Magazine, editor di collane librarie come Odissea Mystery, Baker Street Collection, Sherlockiana, Sherlockiana Saggi, Sherlockiana Investigazioni e consulente editoriale fin dalla sua nascita del mensile Il Giallo Mondadori Sherlock, in questa sorta di vademecum Luigi Pachì propone i migliori autori e casi holmesiani da loro trattati nei romanzi e racconti apocrifi usciti in Italia negli ultimi anni. Non manca una sostanziosa parte iniziale dove si affrontano i seguenti temi: Il Canone sherlockiano e il suo universo; Arthur Conan Doyle e il ruolo dell’omicidio nel Canone; Sherlock Holmes: profilo del detective per antonomasia; Il professor Moriarty, la nemesi di Sherlock Holmes; La polizia e le forze dell’ordine ai tempi di Sherlock Holmes; La Londra vittoriana di Sherlock Holmes; La classifica personale dei casi canonici secondo Arthur Conan Doyle; La datazione dei casi canonici; Alcune regole basilari per chi scrive apocrifi sherlockiani.


Luigi Pachì, nato a Milano nel 1961 ma stresiano da circa vent'anni, è laureato in economia e possiede un Master of Science in Management. Si occupa di comunicazione in ambito ICT ed è anche editore. È stato dirigente di alcune importanti aziende multinazionali americane di informatica e telecomunicazioni ricoprendo, per un triennio a Londra, ruoli internazionali per i mercati di Europa e Sud Africa. Iscritto all’Ordine Nazionale dei Giornalisti, collabora con alcune testate tecniche del settore. Ha scritto diversi racconti di narrativa d'anticipazione e, nel 2002, anche un romanzo a quattro mani assieme a Franco Forte (Ombre nel silenzio, Solid editore e ripubblicato in eBook per la Delos Digital).

È cultore del giallo classico e dell'opera di Arthur Conan Doyle. Dal 2014 svolge il ruolo di consulente editoriale per la Mondadori per la collana mensile da edicola Il Giallo Mondadori Sherlock e dirige la rivista Sherlock Magazine, quadrimestrale che dal 2000 si occupa di tutti gli aspetti del mystery.

Ha curato diverse collane per molteplici editori e le antologie Le cronache di Sherlock Holmes (Fabbri/RCS), I nuovi casi di Sherlock Holmes (Fabbri/RCS), Sherlock Holmes in Italia (Mondadori), Sherlock Holmes: indagini quasi sovrannaturali (Delos Digital) e Sherlock Holmes – Donne, intrighi e indagini (Mondadori) e Casi paradigmatici per Sherlock Holmes (Delos Digital). Coordina lo Sherlock Magazine Award, dedicato ai racconti apocrifi sherlockiani e cura la collana settimanale di eBook intitolata Sherlockiana, oltre all'edizione inglese 221B e la collana di saggi Sherlockiana Saggi.

Tra le collane da lui dirette si segnalano anche Odissea Mystery, Baker Street Collection, Innsmouth, Crime & Criminology e TechnoVisions.

LinguaItaliano
Data di uscita30 mar 2021
ISBN9788825414813
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    Anteprima del libro

    Nuove mappe dell'apocrifo - Luigi Pachì

    9788825412888

    Esergo

    È un errore capitale teorizzare prima di avere i dati. Senza accorgersene, si comincia a deformare i fatti per adattarli alle teorie, invece di adattare le teorie ai fatti.

    Uno scandalo in Boemia, Arthur Conan Doyle

    Prefazione

    Nel 1962 la casa editrice Bompiani pubblicò il libro Nuove mappe dell’inferno di Kingsley Amis,¹ (titolo originale New Maps of Hell). Si trattava di un saggio sulla letteratura di fantascienza piuttosto ricercato. L’autore,² nella sua prefazione, non si definiva né un critico letterario di professione né tantomeno un autore di genere. È per questo motivo che ho pensato di riprendere il suo titolo, virandolo al tema degli apocrifi holmesiani; infatti, non mi ritengo assolutamente un critico e – se riguardo la mia breve lista di racconti prodotti in passato (oltre al romanzo a quattro mani realizzato assieme a Franco Forte³) – nemmeno ho mai scritto apocrifi sherlockiani.

    Nella sua introduzione Kingsley Amis osservava: Questo libro è stato scritto nella certezza che la lettura o lo studio della fantascienza costituiscono occupazioni valide e interessanti da qualunque punto di vista: letterario o sociologico, psicologico, politico, o quel che si voglia…

    In un certo senso anche questo mio testo vuole provare a fungere da catalizzatore e raccontare a lettori e autori legati al personaggio di Sherlock Holmes come, una volta conclusasi la lettura del Canone di Arthur Conan Doyle, l’arte dell’apocrifo e del pastiche abbia aperto ulteriormente il campo all’universo sherlockiano sotto parecchi punti di vista, come ad esempio proprio lo stesso ambito letterario, quello sociologico, psicologico, politico, storico e non ultimo del puro divertissment.

    Inizialmente avevo pensato a omaggiare il titolo di un altro saggio che da giovane mi aveva formato, ovvero la guida critica a cura del collettivo di Un’Ambigua Utopia,⁴ ma alla fine ho scelto di legare questo lavoro all’idea delle mappe, attraverso un percorso, certamente di tipo soggettivo, che propone i più interessanti apocrifi pubblicati in Italia negli ultimi anni, focalizzandosi sui suoi autori, inclusi quelli di casa nostra (perché la scuola italiana dell’apocrifo sherlockiano ha dimostrato più volte di essere quantomeno alla pari di quella internazionale). Parte di questo percorso mette in forma organica molte delle mie postfazioni realizzate per la collana Il Giallo Mondadori Sherlock, che dal 2014 accompagnano mensilmente i romanzi pubblicati dalla casa editrice di Segrate.

    Si tratta di un lavoro che va letto come se stessimo parlando intorno a un tavolo tra amici e appassionati. Nessuna pretesa di realizzare qualcosa di enciclopedico, ma la volontà di offrire, invece, informazioni che possano aiutare a comprendere meglio il fenomeno e le direzioni intraprese dai vari apocrifi e pastiche in questi anni, pubblicati dall’editoria professionale sia in versione cartacea che in versione eBook (un mercato sempre più in espansione per la comodità di trasporto e lettura dei testi), in modo che sia i lettori e fan, sia gli autori italiani che già ne scrivono, o che vorrebbero scriverne, possano trarne utili spunti per alimentare la propria passione. In sostanza, attraverso la lettura di Nuove mappe dell’apocrifo mi auguro sia possibile tracciare un sufficiente profilo di autori e trame che hanno caratterizzato negli ultimi anni la presenza di avventure holmesiane pubblicate in Italia.

    Come è certamente noto, la letteratura poliziesca non è propriamente nata con Sherlock Holmes, per quanto oggi esso rappresenti il capostipite di tutto un genere letterario riconosciuto unanimemente in tutto il mondo. Nasce invece negli anni quaranta dell’Ottocento ad opera dello scrittore americano Edgar Allan Poe con la pubblicazione dei suoi Tales of Ratiocination. A quel tempo l’invenzione poeiana desta interesse e comincia ad avere cultori in Europa nei decenni che contrassegnano il trionfo dello scientismo positivista. La metodologia positivista è caratterizzata dallo sperimentalismo che subordina l’immaginazione all’esperienza e implica il rifiuto di ogni proposizione che non sia riducibile alla descrizione di fatti. Inoltre la filosofia positiva si articolava in cinque scienze fondamentali, tra cui la fisica sociale o sociologia. Il romanzo poliziesco attecchisce proprio in questo clima culturale perché, traduce sul piano narrativo l’interesse scientifico nei confronti del problema delle devianze psichiche e comportamentali, e della delinquenza sociale. Il genere poliziesco nasce, dunque, da un’esigenza comune a tutta la società di quell’epoca. Affermare, anche sul fronte della narrativa d’evasione, la fiducia in procedimenti logici atti a risolvere le falle derivate dai comportamenti devianti di una fetta malata della società.

    Il capostipite di questa narrativa in ambito europeo è il diretto discendente di Poe, Arthur Conan Doyle. La forza modellizzante esercitata dalla sua opera fu tale che egli viene ormai considerato un classico. È impossibile, infatti, pensare al genere del giallo e del mystery senza che il grande detective inglese, il dandy della Londra tardo-vittoriana, non ci venga almeno per un attimo alla mente. La sua forte personalità, i suoi metodi deduttivi, così innovativi per l’epoca, il suo grande carisma, rappresentano solo alcune delle ragioni del suo successo che si protrae e sviluppa nel tempo. Sherlock Holmes, fin dal suo primo racconto pubblicato nel 1891 su The Strand Magazine intitolato Uno scandalo in Boemia (A Scandal in Bohemia), è riuscito a ipnotizzare centinaia di migliaia di appassionati in ogni paese del mondo.

    Oggi, a oltre centotrenta anni dalla sua nascita, il detective inglese è sempre vivo nell’immaginario collettivo, grazie anche a recenti trasposizioni cinematografiche e televisive, quest’ultime virate a esperimenti di modernizzazione, talvolta ben riusciti, altre un po’ meno. Ma soprattutto è vivo e vegeto attraverso i molteplici apocrifi che vengono pubblicati con periodicità in tutto il mondo.

    L’interesse verso Holmes, fin dagli inizi, non è stato confinato ai soli lettori britannici. Viene narrato che nel 1895 una traduzione araba dei primi racconti sia stata distribuita alla polizia egiziana come libro di testo. In Francia vi fu un’epidemia di Sherlockite ispirata da un certo Monsieur Herlock Sholmès e parecchi studi medico-legali basati sui lavori di Conan Doyle. I tedeschi coniarono il verbo sherlockieren, che significa scovare o dedurre. Grande risalto vi fu anche in America Latina, in Spagna, Turchia, Romania. In Russia, addirittura, queste storie furono raccomandate all’Armata Rossa come modello di magnifica forza e grande cultura.

    Personalmente ho associato per diversi anni della mia infanzia l’immagine di Sherlock Holmes a quella dell’attore Basil Rathbone, come per altro è successo anche a molti degli autori e fan che ho avuto modo di conoscere in questi anni. I quattordici film prodotti tra il 1939 e il 1946 e da lui interpretati sono stati i primi che ho visto in televisione, sul finire degli anni ’60, ispirati al personaggio di Conan Doyle, ed è per quello che fino a quando non ho letto per la prima volta il Canone ho sempre pensato a Holmes con la fisionomia dell’attore di origini sudafricane.

    Qualche anno più tardi mi sono avvicinato ad altre interpretazioni, come per esempio quelle di Peter Cushing e di Nicol Williamson, e fu più o meno in quel periodo che ho iniziato ad accostarmi al canone. Lo ripresi molti anni dopo, era il 1988: mi trovavo per lavoro a Londra e in quei tre anni passati nella capitale inglese acquistai in lingua originale l’antologia con Le avventure di Sherlock Holmes che tenni per molto tempo sul mio comodino, quasi fosse un amico che mi teneva compagnia. Poi nel 2000 passai quasi per caso, durante una vacanza in auto in territorio svizzero, nella cittadina di Meiringen. Lì vidi la statua di Holmes e il relativo museo e fu allora che decisi, rientrato in Italia, di dar vita a un sito che si sarebbe occupato di Sherlock Holmes, offrendo al lettore notizie e curiosità con periodicità quotidiana. Dal sito alla rivista omonima (Sherlock Magazine) non passò molto tempo, fino poi ad arrivare alla curatela di diverse collane librarie che includevano apocrifi sherlockiani: Odissea Mystery, Baker Street Collection, Sherlockiana, 221B. Dal 2014, poi, arrivò Mondadori, che mi offrì l’opportunità di diventare loro consulente editoriale per l’allora nascente collana Il Giallo Mondadori Sherlock, per la quale fin dal primo numero sono intervenuto nella selezione dei titoli internazionali e nazionali, oltre a curarne le postfazioni e selezionando materiale critico e narrativo per le appendici.

    Personalmente tendo a fare un distinguo tra il termine apocrifo e pastiche, sebbene non sia proprio in linea né con quanto preveda l’Accademia di lingua italiana, né con la disamina proposta da Luca Sartori nel suo saggio Oltre il Sacro Canone⁵ in cui scrive: Se nella comunità holmesiana italiana il termine più ricorrente apocrifo", sia per le opere lunghe e serie sia per quelle brevi e meno impegnate, lo stesso non si può dire per la comunità holmesiana di lingua inglese dove apocrypha viene usato molto meno e pastiche con molta più frequenza. Oltretutto, una attenta indagine sulle antologie che raccoglie gli scritti holmesiani non canonici di Conan Doyle e quelli di tutti gli altri autori ha evidenziato che apocrypha ricorre quando si parla di opere attribuite o attribuibili a Conan Doyle, opere che sono in qualche modo correlate a Sherlock Holmes ma non fanno parte del Canone, mentre pastiche si usa per indicare gli scritti di altri autori che rievocano le avventure del Canone, estendendole. In sostanza, gli inglesi e gli americani tendono a chiamare pastiche ciò che gli holmesiani italiani tendono a chiamare apocrifo". Il distinguo che faccio io mi aiuta principalmente a inquadrare in modo alternativo i singoli lavori che vengono pubblicati. Quando la storia si muove in un contesto d’indagine che si incastona bene all’interno delle sessanta storie originali scritte da Arthur Conan Doyle, allora considero quel testo un apocrifo, in quanto il termine – come considerato dalla stessa Treccani - ha il seguente significato: Di libro, scritto, o documento non autentico, non genuino. In particolare, libri apocrifi. (o semplicemente apocrifi), Vangeli apocrifi, quelli che la Chiesa cattolica esclude dal canone delle Sacre Scritture…. Quando, invece, nel romanzo o nel racconto Sherlock Holmes incontra personaggi storici realmente esistiti, come Sigmund Freud nel famoso romanzo di Nicholas Meyer,⁶ o si pensi alla serie di romanzi conosciuta come American Literati di Daniel D. Victor, in questo caso uso il termine di pastiche. Scegliete comunque voi la terminologia che preferite, l’importante è che non venga travisato lo spirito holmesiano che accompagna l’interezza di questi lavori.

    Ciò che ho cercato di fare in questo volume è tracciare un percorso che aiuti a comprendere l’universo sherlockiano a partire inizialmente dalla figura di Sir Arthur Conan Doyle, analizzandone poi brevemente il suo personaggio, mettendo assieme una cronologia holmesiana e cucendo assieme i nomi di alcuni degli autori che oggi mantengono vive le avventure di Sherlock Holmes attraverso nuove opere apocrife edite professionalmente sul nostro territorio. Il focus di questo percorso si basa su scelte personali e include profili degli autori, titoli da loro pubblicati in Italia e alcune curiosità che possono eventualmente tornare utili sia a chi legge sia a chi scrive apocrifi.

    Una nutrita parte finale di questo testo viene proposta per dar spazio anche agli autori italiani che si sono cimentati più di recente con l’arte dell’apocrifo. Il giusto riconoscimento a chi ha voluto affrontare questo percorso narrativo cesellando storie da avvicinare con la dovuta deferenza alle sessanta avventure scritte da Arthur Conan Doyle.

    Sia ben chiaro: questa non è una enciclopedia o una disamina di tutto l’archivio delle pubblicazioni apocrife pubblicate in Italia. È semplicemente una analisi soggettiva che intende offrire spunti di lettura attraverso gli autori e le avventure da loro scritte. Materiale che ritengo utile per tracciare temi, trame e sviluppi d’indagini svolte da Sherlock Holmes in un percorso variegato e al contempo ricco di sfaccettature. Mi perdonino quindi, per questo mio lavoro, i fondamentalisti del canone, che aborrono apocrifi e pastiche, e gli archivisti holmesiani che si attendono di trovare in queste pagine ogni singolo scritto uscito in Italia.

    Il mio augurio è che si possano leggere in futuro ancora molte altre avventure inedite di Sherlock Holmes e che questo testo divenga un utile strumento per estrapolare i giusti spunti per affrontare al meglio la lettura o la creazione (se siete degli autori) di nuove investigazioni del consulente investigativo che ha fatto la storia del genere giallo nel mondo. Un detective inglese che è passato nel tempo dalla letteratura al mito perché, come ebbe a scrivere Orson Welles, Sherlock Holmes è un uomo che, sebbene non sia mai vissuto, non morirà mai.


    ¹. Nuove mappe dell’inferno, Kingsley Amis, collana I Numeri, ed. Bompiani, 1962

    ². Kingsley Amis, secondo il Times, è posizionato al nono posto tra i più grandi scrittori britannici del secondo dopoguerra. Nel 1978 pubblicò su Playboy anche un apocrifo sherlockiano dal titolo The Darkwater Hall Mystery, recentemente pubblicato nella collana Oscar Draghi Mondadori (Il grande libro dei racconti di Sherlock Holmes a cura di Otto Penzler, 2020)

    ³. Ombre nel silenzio, Franco Forte e Luigi Pachì, casa editrice Solid, 2020

    ⁴. Nei labirinti della fantascienza, Universale economica Feltrinelli, 1979

    ⁵. Oltre il Sacro Canone, Luca Sartori, ARAS edizioni, 2016, pag. 53

    ⁶. La soluzione sette per cento, Nicholas Meyer, Rizzoli editori, 1976

    Prima Parte: Il Canone sherlockiano e il suo universo

    Punto di partenza: Arthur Conan Doyle e il ruolo dell’omicidio nel Canone

    Il punto di partenza per chi scrive apocrifi e pastiche sherlockiani è conoscere bene le sessanta storie che compongono l’insieme di racconti e romanzi prodotti a partire dal 1887 con Uno studio in rosso da Arthur Conan Doyle. Se il lettore di un apocrifo può tranquillamente permettersi di non essere al corrente di tutto ciò che ha pubblicato il creatore di Sherlock Holmes, chi si appresta a realizzare una nuova avventura col segugio di Baker Street ha il dovere di approfondire il più possibile l’opera di Conan Doyle. L’autore di apocrifi deve poter incastonare la sua storia evitando macro-errori di tipo storico e temporale.

    L’autore di apocrifi deve quindi stare molto attento a non incappare in qualche errore (nonostante lo stesso Conan Doyle abbia avuto qualche piccola svista, e alcuni autori abbiano forzato alcuni eventi per costruire la base delle loro storie, come vedremo in altri capitoli).

    Tuttavia anche il lettore risulta più coinvolto nella lettura quando è in grado di scovare qua e là nel testo riferimenti di tipo canonico che l’autore di apocrifi tende a inserire nella propria opera.

    Sostanzialmente esistono due tipi di lettore: quello che legge nuove avventure di Holmes perché affascinato dal personaggio e dall’iconografia a lui dedicata, e quello che invece è un gran conoscitore dei lavori di Conan Doyle e si appresta a immergersi nella lettura di un apocrifo con tutti i suoi ricettori attivati. In questo modo sarà in grado di apprezzare o meno il libro che ha tra le mani, sapendo riconoscere l’eventuale bontà del testo correlato all’intero universo holmesiano.

    Per aiutare autori e lettori, in questo libro troverete più avanti una utile mappa temporale dei casi sherlockiani.

    Prima di addentrarci nel mondo degli autori di apocrifi e pastiche sherlockiani ritengo importante dedicare una prima parte ad alcuni aspetti legati proprio al periodo tardo-vittoriano, mettendo a fuoco in primis, anche se brevemente, la figura di Conan Doyle, poi la figura del suo consulente investigativo. Fa seguito una serie di appunti sulla nemesi di Holmes, ovvero il professor Moriarty, sulla polizia e le forze dell’ordine ai tempi di Sherlock Holmes e sulla sua Londra vittoriana, che possono offrire diversi spunti ad autori di apocrifi, o semplicemente ai lettori di nuove indagini holmesiane.

    Sir Arthur Conan Doyle, creatore di Sherlock Holmes e di quello che viene universalmente riconosciuto come il giallo deduttivo, nasce a Edimburgo il 22 maggio 1859 in Picardy Place, così chiamata perché anticamente sede di una colonia di ugonotti francesi, e muore nel 1930 a Crowborough. Nel 1885 si laurea in medicina all’Università di Edimburgo. Nella sua vita Conan Doyle accumula parecchie esperienze tra cui quella di medico di bordo su una baleniera. In seguito ritorna in Inghilterra per dedicarsi al praticantato e apre uno studio a Southsea. Nei periodi di inattività comincia a scrivere le avventure di Sherlock Holmes, sebbene il suo primo racconto venduto sia del terrore: Il mistero della valle di Sasassa.

    Conan Doyle, che continua a scrivere storie gialle assieme a opere fantastiche, si propone al suo pubblico anche per una notevole serie di romanzi avventurosi, storie di pirati e altri testi di ambientazione medievale e romana. Un autore davvero poliedrico che ha certamente raccolto nelle sue pagine le esperienze dei suoi molti viaggi, ma anche i trentasei anni di studi occultistici (questi ultimi raccolti in sette volumi e probabili ispiratori di alcune delle sue opere fantastiche).

    Conan Doyle deve il suo successo all’utilizzo della detective formula descritta da John G. Cawelti⁷ ovvero una serie di convenzioni standard che costituiscono un terreno comune tra autore e pubblico. Le strutture prestabilite della formula tendono infatti a suscitare un senso di sicurezza e di familiarità che, di conseguenza, possono favorire una più facile comprensione del testo. Caratteristica principale è quella di affidare il racconto a un narratore che è un personaggio interno alle vicende. Watson ricorda e narra ai lettori eventi che egli stesso definisce degni di nota, non tanto per l’eccezionalità del crimine quanto perché mettono in luce le qualità di ragionamento del suo amico detective. Nello svolgimento delle vicende raccontate è possibile rintracciare in maniera più sistematica gli elementi ricorrenti della detective formula. L’introduzione, spesso utilizzata da Watson per spiegare il proprio modus operandi in qualità di scrittore, colloca le avventure in medias res oppure direttamente nel passato attraverso espedienti che sottolineano il processo del ricordo. L’indagine ha lo scopo di creare nel lettore il giusto livello di suspense che viene interrotta nel momento in cui il detective annuncia la soluzione del caso. Di solito i metodi che Holmes adopera per annunciare le proprie conclusioni scaturiscono improvvisamente dalla risposta a una domanda che sembra essere l’anello mancante di un enigma nell’enigma. Espedienti quali la camera chiusa o la casa sperduta nel buio impenetrabile, divenuti standard con le opere di Edgar Allan Poe, sono il telaio su cui Conan Doyle tesse la sua detection. Sherlock Holmes è un uomo che vive il suo lavoro attraverso il suo ambiente domestico, che percepisce il pericolo nel mondo circostante, non tanto nelle strade affollate di Londra quanto all’interno di case private dove ogni singolo uomo può nascondere atroci misfatti senza essere scoperto.

    Come ci ricorda Jerome,⁸ si sa che Conan Doyle era un uomo vigoroso nel corpo e nella mente, capace di scrivere un racconto completo tra gente che parlava, seguendo anche i loro discorsi. Appassionato sportivo, amava il cricket⁹ e lo sci, che fu tra i primi a diffondere in Svizzera (pare che prima si praticasse solo in Norvegia). E proprio in un viaggio in Norvegia fatto in comitiva, a Jerome capitò di assistere a un curioso episodio che ci fa capire il carattere di Conan Doyle. Sempre pieno di energia superflua, durante la traversata del Mare del Nord lo scrittore scozzese si era messo a studiare il norvegese, ottenendo in breve una tale padronanza della lingua da inorgoglirsi. A terra, i gitanti noleggiarono carrozze tirate da minuscoli cavalli in grado di portare una sola persona e si misero in viaggio verso un albergo tra i monti. Lungo la strada fecero tappa in una locanda isolata per rifocillarsi, in vista di un’altra quarantina di chilometri di viaggio. Mentre pranzavano, entrò nella sala un giovane ufficiale che chiese loro qualcosa in norvegese. Conan Doyle si alzò, fece un cortese inchino e gli rispose nella stessa lingua. L’ufficiale, estasiato di avere trovato uno straniero in grado di capirlo, iniziò una conversazione che Conan Doyle sostenne con la massima disinvoltura. Quando l’ufficiale se ne andò, felice, i viaggiatori chiesero allo scrittore di cosa avevano parlato. – Oh, del tempo, dello stato delle strade e di un suo parente che si è fatto male a una gamba – rispose vago. – Naturalmente, qualcosa mi è sfuggito. – E cambiò discorso. Terminato il pranzo, i viaggiatori tornarono alle proprie carrozze, e Conan Doyle scoprì che mancava la sua. Saltò fuori che l’aveva prestata all’ufficiale, rimasto appiedato per un incidente occorso al suo cavallo. Nella sala, alla richiesta dell’ufficiale di una carrozza in prestito, Conan Doyle aveva risposto più volte: – Ma certo, con grande piacere – evidentemente le uniche parole norvegesi che conosceva. Jerome annota che, risolto in qualche modo il problema, nel seguito del viaggio Conan Doyle sfoggiò meno la lingua norvegese.¹⁰ Questa impressione di presunzione e testardaggine che l’aneddoto può averci lasciato, serve a mettere a fuoco la figura di Conan Doyle sotto l’aspetto della sua unicità.

    Tornando a Sherlock Holmes, Sir Arthur Conan Doyle inizia a cesellare la sua creatura letteraria constatando l’abilità del suo professore e mentore all’Università di Edimburgo, il dottor Joseph Bell (1837-1911), che riesce a dedurre dai minimi dettagli le caratteristiche psicofisiche dei suoi pazienti.¹¹ Bell era indubbiamente un medico singolare, con l’abitudine di sorprendere i suoi studenti in medicina e i suoi pazienti, diagnosticando malattie, attività lavorativa, classe sociale, stato di famiglia e provenienza. Le sue deduzioni sono quindi del tutto sovrapponibili a quelle di Holmes e Conan Doyle si è ispirato a lui per il suo Consultant Detective.

    A questo dobbiamo aggiungere, naturalmente, l’influenza del precedentemente citato Edgar Allan Poe, l’inventore cinquant’anni prima del genere poliziesco. Holmes diventa presto un’immagine talmente concreta che persino l’autore, in certi momenti della sua vita, ha l’impressione che si tratti di un personaggio in carne e ossa. Questa impressione è certamente rafforzata dalla frequente comparsa del detective londinese sul palcoscenico. Conan Doyle ricorda nella sua autobiografia Ucciderò Sherlock Holmes¹² l’esperienza che lo porta a modificare in una sola settimana il suo racconto La banda maculata, affinché divenga un dramma teatrale… In questo periodo l’attore H.A. Saintsbury si può davvero considerare un ottimo Sherlock Holmes, anche secondo il parere dell’autore. L’opera teatrale permette a Conan Doyle di rifarsi delle perdite economiche, facendogli persino mettere via un discreto gruzzolo. La banda maculata, versione teatrale, diviene un’opera di repertorio recitata in molte province.

    Una delle prime cose che occorre ricordare dell’autore di Sherlock Holmes è che esso proviene da una famiglia d’origine anglo-normanna ferventemente cattolica. Questo lo porta fin dal 1869 a frequentare corsi per la scuola gesuita. Conan Doyle scrive a tal proposito: Avevo dieci anni, quando venni inviato a Hodder a seguire i corsi preparatori per Stonyhurst, la grande scuola pubblica cattolica del Lancashire. Per un ragazzetto che, come me, non si era mai mosso di casa, era un lungo tragitto. Durante il viaggio mi sentii quindi sperduto, e piansi amaramente, ma arrivai sano e salvo a Preston, allora la stazione più vicina. Con molti altri ragazzi e la scorta dei gesuiti nelle loro tonache nere, percorremmo in carrozza le dodici miglia che ci separavano dalla scuola. Hodder è a circa un miglio da Stonyhurst, Tutti i ragazzi che vi risiedono sono al disotto dei dodici anni e il collegio costituisce un’utilissima istruzione, in quando li inizia alla vita scolastica prima che si mischino con i compagni più grandi. Sotto le cure benevole del direttore, Padre Cassidio, Conan Doyle passa due anni felici. Del suo passaggio a Stonyhurst l’autore ricorda il grande edificio medievale lasciato dai gesuiti 150 anni prima, i quali per adibirlo a scuola trasferirono dall’Olanda l’intero corpo scolastico di un loro collegio locale. Di quegli anni rammenta gli studi delle materie, definite classi. Per ogni classe vi era un anno di studio (due dei quali già affrontati a Hodder) e le tematiche erano le seguenti: elementi, figure, rudimenti, grammatica, sintassi, poesia e retorica. È indubbio che questo quinquennio serva molto alla crescita culturale di Conan Doyle, anche se egli ammette: A Stonyhurst non era comunque peggio di altrove; e l’insegnamento che vi si impartiva si basava sulla teoria che qualsiasi esercizio o metodo scolastico, anche se stupido in sé, costituisce sempre una ginnastica per il cervello; ma è per me una teoria completamente fasulla. Non male come critica per uno che ha imparato il francese decifrando le diciture delle illustrazioni di Verne! E comunque dobbiamo ricordare che le doti letterarie non comuni di Conan Doyle nascono proprio dalla frequentazione dell’ultimo periodo di scuola, dove le sue facoltà sinora latenti vengono espresse al meglio proprio perché il corso prevede nella penultima classe di scrivere in cosiddetta poesia su qualsiasi argomento. Il lavoro servì… come pietra miliare; e io cominciai a capirmi un po’ di più. Nell’ultimo anno diressi la rivista del collegio e scrissi una buona quantità di versi. Il rettore offre alla madre di Conan Doyle di non fargli pagare le tasse scolastiche se il ragazzo si dedica alla carriera ecclesiastica, ma ciò non trova terreno fertile. Dobbiamo proprio a Stonyhurst la presa di coscienza del giovane Arthur sulle sue doti di scrittore, e chissà mai che il parto di un ancora recondito Sherlock Holmes non inizi proprio lì.

    Dopo essersi iscritto all’università di Edimburgo la sua esperienza più toccante è nel 1880 su una baleniera nell’oceano artico. Salpa in qualità di chirurgo, con tre anni d’esperienza universitaria. L’autore ricorda: …fu una fortuna se durante il viaggio non ci fu mai necessità di ricorrere sul serio ai miei lumi. Sulla baleniera vi sono cinquanta persone, metà scozzesi, metà delle Shetlands. Dopo l’esperienza con la baleniera Conan Doyle torna su una nave, questa volta un vapore veloce di 4000 tonnellate, il 22 ottobre 1881. Si tratta di un viaggio verso l’Africa occidentale che gli causa un’altissima febbre: Io stesso dovetti pagare il mio tributo al clima, perché il 18 novembre trovo una eloquente lacuna nel mio diario. Avevamo raggiunto Lagos, e laggiù, mentre si rullava sull’onda oleosa di quell’immensa laguna, il germe della zanzara o che altro diavolo fosse, mi colpì obbligandomi a letto con febbre altissima.

    Conan Doyle ricorda solo di aver barcollato fino alla cuccetta, e poi tutto è svanito dalla sua memoria. Essendo lui stesso il medico di bordo nessuno lo cura e per parecchi giorni lotta tra la vita e la morte. Mi ero appena riavuto quando seppi di un altro che aveva avuto il mio stesso male, rimanendone vittima.

    Anche qui la sua drammatica esperienza appena descritta può aver giocato un ruolo primario nella grave malattia di Sherlock Holmes che nel canone avviene nel corso del 1865.

    Un’altra tappa fondamentale di Conan Doyle accade il 6 maggio 1885, quando convola a giuste nozze con Louise Hawkins: Nel 1885 mio fratello mi lasciò per frequentare la scuola pubblica nello Yorkshire. Poco dopo mi sposai. Una certa signora Hawkins, vedova, di famiglia del Gloucestershire, era venuta a Southsea con un figlio e una figlia, Louise: questa era una delicata e amabile signorina che ebbi occasione di conoscere durante una visita al fratello, colpito improvvisamente da una meningite cerebrale. L’autore ricorda nella sua autobiografia di come nessun uomo avrebbe potuto scegliere migliore e più fedele compagna. È confortato dal pensiero che mai la loro concordia sia turbata da gravi dissensi. La serena filosofia che accompagna la donna lo aiuta più in là con gli anni a sopportare con sorridente pazienza, non solo una dolorosa malattia, ma anche tutte le vicissitudini che la vita comporta. È proprio il matrimonio e la nascita della primogenita nel 1889 che accrescono sensibilmente il suo senso di responsabilità. La sua vita in quel periodo diviene più regolata e le sue facoltà intellettuali crescono tanto che egli afferma: le mie qualità letterarie cominciano lentamente a svilupparsi, soverchiando il resto. Conan Doyle ricorda inoltre: Dopo il matrimonio il mio cervello sembrò comunque sveltirsi e, tanto la mia immaginazione quanto la mia attitudine a esprimermi migliorarono assai. Nel 1892, durante il soggiorno a Norwood, nasce il secondogenito che muore poco dopo la fine della Grande Guerra. Esattamente un anno dopo la nascita del secondo figlio riscontrano una tubercolosi alla moglie. …Louise si lamentò di un dolore al fianco e cominciò a tossire. Non sospettai niente di serio, ma mandai ugualmente a chiamare il medico più vicino. Si può ora immaginare il mio stupore e il mio allarme, quando mi comunicò che i polmoni erano gravemente intaccati e vi erano tutti i segni di una rapida tubercolosi, tanto che il caso appariva gravissimo e, dati i precedenti della famiglia, quasi senza speranza di guarigione. Nonostante la prevista tisi fulminante Louise rimase in vita fino al 1906. Nel 1897 Conan Doyle incontra per la prima volta (e vi si innamora) Jean Leckie, che sposa un anno dopo la morte della moglie Louise (1907). Nel corso della sua vita Conan Doyle ha posto due volte la candidatura alle elezioni parlamentari. L’autore ricorda che in entrambe i casi si presenta per seggi da tutti giudicati impossibili da conquistare. Intraprende poi vari tour in America, Canada, Australia e presiede il Congresso Internazionale sullo Spiritismo.

    I viaggi da lui effettuati includono Scandinavia e Olanda, caricandolo di esperienze importanti e incontri di ogni tipo. Tutte situazioni che l’autore sa concretizzare nella sua opera e in larga parte anche nel canone, attraverso le testimonianze del dottor Watson. Quello che non riuscirono a fare da un lato Edgar Allan Poe per meditata scelta, e dall’altro Wilkie Collins ed Emile Gaboriau per insufficienti capacità, o perché le condizioni non erano mature, lo compì uno scrittore che, pur avendo delle ambizioni nella cosiddetta buona letteratura, dovette la sua gloria imperitura all’apporto dato nel regno del giallo: mi riferisco proprio ad Arthur Conan e alla fondazione, a lui ascrivibile, di un ciclo poliziesco incentrato su un detective che, per le sua qualità, potesse permettere al pubblico di adottarlo come proprio beniamino.

    Londra – ricorda Valentina Catania¹³ – era cresciuta a dismisura ai tempi dell’industrializzazione ottocentesca e si era sviluppata in un dedalo di viuzze e anche in quartieri malsani dove era facile che proliferasse la delinquenza . Conan Doyle ne dà una definizione negativa: Londra, quel grande immondezzaio dove tutti gli sfaccendati e i fannulloni dell’Impero si riversano irresistibilmente.

    L’autore descrive il frenetico aggirarsi di questi tipi umani nell’immensa selva londinese mentre correvano per le vie affollate di Londra. Ma la rappresentazione della città con i suoi chiaroscuri è anche metafora di una caratteristica propria dell’Inghilterra vittoriana e cioè il nascondere, o anche occultare, scandali e pecche della borghesia perbenista. Ciò ci porta a comprendere perché il vizioso modus vivendi di Sherlock Holmes (quest’ultimo ricorreva a sostanze stupefacenti che lo aiutavano a concentrarsi sui suoi casi più difficili e quindi ad arrivare alla soluzione) era accettato tacitamente dalla società vittoriana che sfoggiava atteggiamenti ipocritamente perbenistici.

    La superiorità intellettiva di Sherlock Holmes era perfettamente confacente ai canoni di superiorità dell’Inghilterra vittoriana. L’Inghilterra di fine Ottocento si imponeva sulle altre nazioni per un prestigio dovuto alle conoscenze scientifiche, al progresso industriale e tecnologico. Il Regno Unito, all’inizio della seconda metà dell’Ottocento, sarebbe decollato come potenza votata all’imperialismo e quindi doveva necessariamente offrire un’immagine compatta di sé; il dilagare della criminalità avrebbe generato un diffuso senso di paura che avrebbe potuto intaccare l’unità e la compattezza proprie di una nazione salda ed incorruttibile. L’Inghilterra voleva dare un’immagine di sé non frammentata dall’angoscia delle aggressioni delinquenziali ma connotata dalla limpidezza dei meccanismi del vivere e delle istituzioni. Come è noto, l’età del positivismo era tesa alla conoscenza del reale e della verità. E Sherlock Holmes, degno rappresentante di quell’epoca, cerca la verità («…dopo aver eliminato l’impossibile, ciò che rimane, per quanto improbabile, deve essere la verità!») mediante le sue capacità intellettive con l’intento di arrivare a chiarire il movente dell’assassino o le motivazioni per le quali è stato compiuto il delitto. Con l’avvento del romanzo poliziesco, si delinea l’antagonismo tra il delinquente professionista (raffigurato, in questo caso specifico, dal personaggio negativo principale creato da Conan Doyle, cioè il professor Moriarty ) e la legge che viene fatta applicare nella società dalle forze dell’ordine pubbliche e private (rispettivamente rappresentate dalla polizia di Scotland Yard e da Sherlock Holmes).

    Sir Arthur Conan Doyle era ben cosciente della continuità che sussisteva tra la sua opera e quella di chi lo aveva preceduto, soprattutto Poe e Gaboriau, come risulta dalla seguente conversazione fra Holmes e il suo amico e biografo John Watson, situata nel secondo capitolo di Uno studio in rosso. Dice infatti Watson:

    Lei mi ricorda il Dupin di Edgar Allan Poe. Non immaginavo che personaggi del genere esistessero fuori dai racconti.

    Sherlock Holmes si alzò e accese la pipa. Senza dubbio ritiene di farmi un complimento paragonandomi a Dupin – osservò – Ma a parer mio, Dupin era tutt’altro che un genio. Quel suo stratagemma d’interporsi nei pensieri dei suoi amici con qualche commento ad hoc dopo un quarto d’ora di silenzio, in realtà è molto plateale e superficiale. Innegabilmente possedeva un geniale senso analitico, ma non era certo quel fenomeno che Poe vuol far apparire.

    Ha letto i libri di Gaboriau? – gli chiesi – Lecoq corrisponde alla sua idea di un investigatore?. Sherlock Holmes sbuffò una boccata dalla sua pipa con aria sardonica. Lecoq era un pasticcione da quattro soldi – esclamò in tono iroso – aveva un unico pregio, la sua energia. Quel libro mi ha fatto veramente star male. Si trattava di identificare un prigioniero sconosciuto. Avrei potuto farlo in ventiquattr’ore. Lecoq ci ha impiegato più o meno sei mesi. Avrebbe potuto servire da manuale per i detective, per insegnare loro cosa non si deve fare.

    Sentir trattare con tanta sprezzante disinvoltura due personaggi che avevo ammirato mi indignò. Mi accostai alla finestra e rimasi a guardare il traffico sottostante. Quest’individuo sarà anche molto perspicace – mi dissi – ma certo è molto presuntuoso.

    Questo passo è un arguto miscuglio di realtà e fantasia.¹⁴ Esprime quello che è uno degli elementi fondamentali della narrativa, ossia la pretesa di essere vera (presunzione che viene tacitamente concessa per il tempo della storia). Watson e Holmes sono consapevoli, anzi lo dicono, che i detective Dupin e Lecoq, in quanto invenzioni di Poe e Gaboriau, sono personaggi di carta, non sono quindi mai esistiti, mentre loro non mettono certo in dubbio il fatto di essere in carne e ossa. Noi naturalmente sappiamo che in realtà anche loro sono opera dell’estro di un autore, ma la cosa non ci tocca nel profondo, perché per noi, in quel preciso momento, Holmes e Watson esistono per davvero. Si pensi alla sensazione negativa, quasi di essere stati turlupinati, che avremmo provato se essi si fossero riferiti a Dupin e Lecoq come a dei loro colleghi realmente esistenti, a cui mandare magari un telegramma, o, peggio ancora, se li avessero definiti come loro controfigure libresche, esattamente come del resto lo siamo noi. In entrambi i casi avremmo avuto un implicito rinvio alla frattura tra il piano della realtà e quello della finzione che è all’origine della letteratura (il suo peccato originale, o vizio congenito), frattura il cui provvisorio oblio è invece indispensabile per l’apprezzamento estetico.

    Un aspetto importante del successo di Conan Doyle lo si deve all’utilizzo della Detective formula su cui Cawelti si sofferma è la definizione di formula come serie di convenzioni standard che costituiscono un terreno comune tra autore e pubblico. Le strutture prestabilite della formula tendono infatti a suscitare un senso di sicurezza e di familiarità che, di conseguenza, possono favorire una più facile comprensione del testo.

    Oggigiorno, leggendo la moderna letteratura gialla ci si aspetta d’incontrare al più presto un cadavere, o meglio ancora una serie di cadaveri lasciati alle spalle dal serial killer di turno. L’omicidio, in quanto tale, è una delle parti fondamentali nel plot del romanzo giallo contemporaneo. L’elemento che aggiunge interesse, tensione e suspance è proprio quello della morte e il metodo con cui quest’ultima avviene. Con squartatori più o meno dietro ogni angolo, gli autori di oggi offrono una vasta gamma di corpi per il sollecitamento del lettore. Di fatto non vi è nulla di nuovo se consideriamo, in una comparazione, la letteratura gialla contemporanea con la cosiddetta Golden Age. Investigatori come Miss Marple, Hercule Poirot e Lord Peter Wimsey insistono molto sui dettagli di un corpo esanime, prima di lanciarsi nella conseguente investigazione. Pensiamo ad esempio ai lavori di Agatha Christie come Dieci piccoli indiani o Assassinio sull’Oriente Express, dove ci troviamo davanti a una pila di cadaveri importante.

    Sebbene il cliché della detective story sembri consolidato, Sherlock Holmes, nelle sue sessanta storie canoniche, si posiziona spesso contro corrente. Gli omicidi, a un primo sguardo, non sembrano giocare un ruolo importante nella trama. Nei racconti e romanzi di Holmes si è più portati a pensare a trattati derubati, perle nascoste, giocatori di rugby o cavalli da corsa scomparsi nel nulla, fidanzate sparite e fotografie segrete. In meno della metà delle storie contenute nel canone un’uccisione rappresenta il punto focale dell’opera.

    In due racconti, ad esempio, Barbaglio d’argento (Silver Blaze) e La criniera del leone (The Lion’s Mane), abbiamo sì due cadaveri, ma la loro morte è dovuta agli animali: il cavallo da corsa, nel primo caso, e, nel secondo, un mollusco pericolosissimo che produce filamenti invisibili, … e chiunque si trovasse entro quel raggio era in pericolo di vita.

    In generale si può affermare che le storie scritte dopo il ritorno di Holmes dalle cascate di Reichenbach, sono quelle dove le morti accadono con maggiore violenza. È come se Doyle si fosse accorto che i lettori del Ventesimo Secolo necessitavano qualcosa di più toccante del furto di una fotografia compromettente. Nei quattro romanzi abbiamo a che fare con degli omicidi che hanno differenti gradi d’importanza ai fini della storia. Nel primo romanzo scritto da Doyle con il Nostro, Uno studio in rosso, ci troviamo davanti a un eccellente omicidio: raccapricciante, orrendo, misterioso e complesso. Un corpo viene ritrovato esanime in una casa vuota e sebbene vi siano macchie di sangue nella stanza non vi sono ferite sulla persona. Sul muro la parola RACHE è scarabocchiata col sangue. Un omicidio davvero interessante. Purtroppo il resto della storia non mantiene lo stesso gelo dell’apertura gotica appena descritta, ma a ogni modo rappresenta il primo caso con omicidio di Holmes.

    Nel secondo romanzo, Il segno dei quattro, avvengono più uccisioni, ma il contesto della storia è il recupero di un tesoro. Doyle descrive Jonathan Small come un furfante ben disposto e questo allontana di molto la crudeltà dei suoi crimini, sebbene il ritrovamento del cadavere del maggiore Sholto sia effettivamente piuttosto sanguinosa.

    Venendo a Il mastino dei Baskerville, nonostante l’atmosfera tipica del romanzo horror-gotico le due morti sono piuttosto addomesticate. Le vittime muoiono per il contatto con un imponente cane coperto dal fosforo. Il cane non è né furioso e né attacca alla gola: la loro morte è piuttosto accidentale. Sir Charles Baskerville ha un infarto, mentre Selden, l’omicida di Notting Hill, muore sfuggendo alla bestia. In entrambe i casi si tratta di accadimenti dove nessuna delle morti è inevitabile.

    Questo non può essere affermato, al contrario, per La valle della paura, il romanzo pubblicato per la prima volta in volume nel 1915, undici anni dopo il ritorno di Holmes. Qui ci troviamo davanti al precursore degli omicidi violenti che ritroviamo nella narrativa contemporanea: L’uomo era stato orribilmente sfigurato. Posata di traverso sul petto aveva un’arma curiosa, un fucile da caccia con le canne segate di circa trenta centimetri anteriormente ai grilletti. Era evidente che gli era stato sparato da distanza ravvicinata e che l’uomo aveva ricevuto la scarica in pieno viso, poiché aveva il capo pressoché spappolato…

    Lasciando i romanzi e passando ai primissimi racconti incontriamo davvero pochi omicidi. Nella prima raccolta, Le avventure di Sherlock Holmes, per esempio, su dodici racconti solo due hanno a che fare con un omicida tra i personaggi delle storie narrate da Conan Doyle. Si tratta di Il mistero della valle Boscombe (The Boscombe Valley) e La banda maculata (The Speckled Band). Esiste anche un tentativo di omicidio in Il pollice dell’ingegnere (The Engineer’s Thumb). Nel racconto La banda maculata incontriamo Grimasby Roylott, che uccide prima il domestico in India e poi la figliastra, attentando per una terza volta senza successo. Ci troviamo davanti a quello che possiamo considerare il racconto dell’intero canone più vicino alle storie di serial killer; ben lungi dalla moderna narrativa di genere infarcita da assassini seriali d’ogni sorta. Il resto dei racconti hanno a che vedere con ricatti, rapimenti, furti et similia. Nei racconti Un caso d’identità e L’uomo dal labbro storto, non vengono neppure intraprese azioni legali con i malfattori. Questa evidenza dimostra come nelle storie di Holmes vi sia il focus primario sul mistero in sé e sul puzzle che esso rappresenta.

    Le Memorie di Sherlock Holmes hanno un tono molto meno gentile delle Avventure di Sherlock Holmes, e troviamo omicidi in tre racconti (L’impiegato dell’agente di cambi – The Stockbroker’s Clerk, Il cerimoniale dei Musgrave – The Musgrave Ritual e L’uomo difforme – The Crooked Man) e un tentativo d’omicidio ne L’interprete greco (The Greek Interpreter), oltre alla morte di Moriarty ne Il problema finale (The Final Problem). Si nota in queste storie che spesso il movente è passionale e l’omicidio viene commesso da donne che perdono il lume della ragione (cfr. L’uomo difforme e Il cerimoniale dei Musgrave).

    Come si diceva anticipatamente dobbiamo attendere la risurrezione di Holmes da parte di Doyle, dalle profonde acque delle cascate di Reichenbach, per poter leggere di omicidi più violenti e sanguinosi. Nell’antologia Il ritorno di Sherlock Holmes assistiamo a uccisioni brutali in Il costruttore di Norwood (The Norwood Builder), I pupazzi ballerini (The Dancing Men), Il ciclista solitario (The Solitaryt Cyclist), La scuola del priorato (The Priory School), Il capitano di lungo corso (Black Peter), Ladri gentiluomini (Charles August Milveton), Il segreto degli occhiali Pince-Nez (The Golden Pince-Nez) e La tragedia di Abbey Grange (The Abbey Grange). In questa che molti sherlockiani reputano la migliore delle antologie ci troviamo davanti a vittime infilzate al muro con l’arpione, picchiate a morte con una mazza, con la testa spaccata contro una roccia… indubbiamente un segnale forte da parte di Doyle su come affrontare il terreno fertile della detective story in versione più sanguinaria.

    Nella successiva antologia, L’Ultimo saluto di Sherlock Holmes, Doyle sperimenta storie dai bizzarri metodi per ammazzare i poveri malcapitati. Troviamo elementi magici collegati all’uccisione nel racconto L’avventura di villa Glicine (Wisteria Lodge); un morto sul tetto di un treno, successivamente ritrovato disteso di traverso sui binari della Sotterranea in L’avventura dei progetti Bruce – Partington (Bruce-Partington Plans), l’utilizzo di potenti droghe in L’avventura del piede del diavolo (The Devil’s Foot) e un falso doppio telaio in una bara in La scomparsa di Lady Frances Carfax (The Disappearance of Lady Frances Carfax).

    L’antologia conclusiva, Il taccuino di Sherlock Holmes, considerata all’unanimità la più debole di Conan Doyle, contiene una serie di storie che sembra essere la somma degli accadimenti scritti in precedenza. Assistiamo a racconti senza crimini come L’avventura del soldato dal volto terreo (The Blanchet Soldier), La corsa decisiva (Shoscombe Old Place), Il vampiro del Sussex (The Sussex Vampire) e L’inquilina velata (The Veiled Lodger). È pur vero che rispetto all’argomento che stiamo trattando questa raccolta contiene anche due dei più efferati assassini dell’intero canone. Si tratta di Baron Gruner, nel racconto L’avventura del cliente illustre (The illustrious Client) e Josiah Amberleym, in L’avventura del fabbricante dei colori a riposo (Retired Colourman). Gruner è un austriaco che uccide la sua prima moglie mantenendo questo segreto negli anni e, sebbene non vi siano uccisioni correlate alle donne che colleziona nel suo diario, l’atto di violenza in sé di Kitty Winter che lancia drammaticamente addosso all’uomo dell’acido, descrive la violenza più evidente all’interno del racconto. Nel secondo caso, Amberley rappresenta l’ultimo dei killer nel canone holmesiano e per alcuni versi il più sgradevole. L’uomo uccide sia la moglie che il suo amante asfissiandoli col gas. Tra tutte le storie di Conan Doyle questa è forse quella maggiormente legata alla realtà del secolo: si parla di mondanità, di tradimento, di uccisione col gas. Un realismo assai lontano dalle prime, seppur gradevoli, storie degli inizi dove facevamo la conoscenza di spettri canini et similia. Di certo non esiste una conclusione semplicistica e immediata al riguardo dell’utilizzo dell’omicidio nell’opera di Conan Doyle pubblicata attraverso le storie di Sherlock Holmes. È pur tuttavia chiaro che dal ritorno delle cascate di Reichenbach Conan Doyle si fa più concreto e crudele. I crimini divengono più veri, più correlati ai tempi; insanguinati e freddi. Un trend che nel tempo la detective story ha ereditato appieno, assimilandone i contenuti e i metodi, costruendo migliaia di storie infarcite di assassini violenti e serial killer perversi, tuttora largamente apprezzati dal lettore di genere.


    ⁷. J.G. Cawelti, Adventure, Mystery, and Romance, The University of Chicago Press, Chicago and London, 1977, p. 30.

    ⁸. La mia vita e i miei tempi, autobiografia di Jerome, Sonzogno (1928)

    ⁹. Tra le sue squadre si ricorda il Norwood Cricket Club nella quale militò durante la sua permanenza a Norwood, tra il 1891 e il 1894, ottenendo talvolta anche prestigiose prestazioni personali in battuta.

    ¹⁰. Nonostante fosse molto orgoglioso di sé, anche col tedesco non andò molto bene poiché nel 1891, lasciato lo studio medico di Portsmouth per un corso avanzato di medicina oftalmica a Vienna, dovette rientrare a Londra (passando prima da Italia e Francia) quando capì che la sua conoscenza della lingua era insufficiente per apprendere la materia.

    ¹¹. Questo aspetto storico è stato brillantemente ripreso, nel nuovo millennio, dalla fiction per la televisione della BBC Murder Rooms: gli oscuri inizi di Sherlock Holmes, in cui il professor Bell e Conan Doyle risolvono alcuni casi in cui la polizia brancola nel buio.

    ¹². Ucciderò Sherlock Holmes, Arthur Conan Doyle, Edizioni Rosa & Nero, 1987.

    ¹³. Conan Doyle e la scuola antropologica Italiana, Sherlock Magazine n. 9, Delos Books (2007)

    ¹⁴. Conan Doyle ricevette lo stesso trattamento critico che aveva riservato alle creature di Poe e Gaboriau da G.K. Chesterton, che fa dire all’ex giudice Basil Grant, protagonista dello splendido Il club dei mestieri stravaganti (1905), "i fatti come fatti nascondono la verità. Io posso essere uno

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