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Camera 311
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E-book252 pagine3 ore

Camera 311

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Info su questo ebook

Gianluca è il proprietario di un hotel nel centro di Genova e conduce una vita appartata e abbastanza tranquilla. Almeno fino a quando un’inaspettata ospite, si presenta all’albergo. Francesca, la misteriosa ospite, è al centro di una caccia all’uomo per recuperare il bottino di una rapina; Gianluca decide di aiutarla, trovandosi all’improvviso catapultato in un mondo, per lui, fino ad allora sconosciuto, dove le loro vite sono in costante pericolo.
LinguaItaliano
Data di uscita4 ago 2013
ISBN9788875639006
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    Anteprima del libro

    Camera 311 - Alex Stefani

    UNO

    Il taxi scese lungo via Interiano ed attraversò piazza Fontane Marose.

    La donna seduta sul sedile posteriore guardò nervosamente il cellulare domandandosi come mai lui non l’avesse ancora chiamata. Era trascorso abbastanza tempo da quando l’aveva sentito, prima di uscire di casa per andare alla stazione Centrale di Milano e prendere l’Intercity per Genova.

    Il taxi si accostò al marciapiede. Questo è l’albergo, signora, la informò il conducente.

    L’albergo si trovava in fondo alla piazza, in una posizione un po’ appartata, dove questa si stringeva ed iniziava via XXV Aprile, che tagliava dritta due file di palazzi d’epoca.

    Il palazzo che lo ospitava aveva le facciate lisce, di un colore giallo ocra, con persiane verde lucido.

    Sulla targa d’ottone, sistemata a fianco dell’ingresso, c’era scritto Hotel Fontane Marose.

    Erano le nove di sera e i pochi passanti ancora in giro a quell’ora camminavano frettolosamente, imbacuccati nei loro cappotti.

    La signora scese e una folata di tramontana gelida la fece rabbrividire. Alzò il bavero del cappotto fino a coprirsi completamente il volto e si avviò verso l’ingresso, mentre il tassista estraeva due valigie di pelle scura dal bagagliaio.

    La donna appoggiò la mano sulla maniglia dorata della porta di cristallo ed entrò, seguita dall’uomo.

    L’atrio era un locale non molto grande, illuminato da una luce morbida proveniente da lampade a muro appese a pareti di colore chiaro. Sulla destra si trovava il bancone in legno scuro della réception e di fronte un divano rivestito in stoffa dello stesso colore delle pareti con un tavolino di marmo bianco. L’atrio comunicava con un corto corridoio in fondo al quale si trovava un ampio salone.

    Dietro al bancone non c’era nessuno.

    Sopraggiunse il tassista che posò le valigie davanti alla réception. La donna gli pagò la corsa, poi si guardò intorno alla ricerca di qualcuno.

    Dal salone spuntò un uomo, abbastanza alto e di corporatura robusta, ma non grasso. Indossava una camicia azzurra su un paio di pantaloni scuri. Le si avvicinò sorridente.

    Buonasera signora. Cosa posso fare per lei? domandò con aria cortese, mentre prendeva posto dietro al bancone.

    Buonasera. Ci dev’essere una prenotazione a nome di Francesca Contini.

    L’uomo aprì il registro e sfogliò le pagine.

    Sì, tutto a posto. Posso avere un suo documento per favore?.

    Francesca frugò nella borsa e tirò fuori il passaporto.

    L’uomo lo prese e lo infilò in uno scomparto del casellario alle sue spalle, poi prese una chiave e la appoggiò sul bancone.

    La camera è la 311. Si trova al terzo piano ed è piuttosto tranquilla. Solo un attimo e la faccio accompagnare.

    Uscì da dietro il bancone e si diresse verso il salone. Rispuntò subito dopo accompagnato da un’altra persona, sulla cinquantina passata, di peso medio, che camminava con passi corti e decisi. Aveva capelli neri e lucidi pettinati all’indietro che mettevano in evidenza una fronte spaziosa. Il colore della pelle e i lineamenti marcati del volto lo facevano assomigliare ad un levantino. Gli occhi erano nascosti da un paio di lenti affumicate con una montatura dorata. Vestiva con una certa eleganza, tanto che a Francesca sembrò strano si trattasse di un facchino.

    Carlo, accompagna per favore la signora alla 311, gli disse l’altro porgendogli la chiave.

    Questi prese le valigie e, precedendo Francesca, si diresse verso la porta dell’ascensore che si trovava a metà del corridoio.

    Salirono in silenzio fino al terzo piano.

    Carlo aprì la porta della stanza ed accese le luci.

    Francesca entrò in una stanza non molto spaziosa. Avvertì una fragranza di pulito.

    Era arredata con pochi mobili in stile moderno. Al lato del letto a due piazze si trovava un armadio a doppia anta e, addossata alla parete opposta, una scrivania con una lampada da tavolo ed un televisore. A fianco della scrivania erano sistemate due poltrone con in mezzo un tavolino rotondo. Il pavimento era rivestito da una soffice moquette di una tonalità che si accompagnava con il colore chiaro delle pareti.

    Carlo depositò i bagagli vicino al letto. Francesca si guardò attorno soddisfatta, poi estrasse una banconota dalla borsa e la consegnò all’uomo che ringraziò ed uscì.

    Si sedette sul bordo del letto e tirò fuori il cellulare dalla borsa. Ancora nessuna chiamata o messaggio. Cominciò a preoccuparsi. Forse era successo qualcosa. Rifiutò quell’ipotesi, accettando l’idea che Marco avrebbe aspettato ancora un po’ a telefonarle.

    Avvertì un crampo allo stomaco che le ricordò che non toccava cibo da diverse ore. Si tolse il lungo cappotto nero che la copriva fino quasi ai piedi e uscì dalla stanza per scendere nella hall.

    La persona che l’aveva accolta era seduta dietro alla réception intenta a scrivere su un registro.

    Mi scusi, gli disse appoggiando i gomiti sul bancone. So che è molto tardi, però ho una fame da morire. Fa ancora servizio il ristorante?.

    L’uomo alzò la testa dal registro. Purtroppo non abbiamo un ristorante in questo albergo. Solo prima colazione, le disse, con espressione dispiaciuta. E oggi che è domenica i ristoranti qui intorno sono tutti chiusi. Posso farle preparare un paio di sandwich, se si accontenta.

    Sì, andranno benissimo. Grazie davvero, annuì lei.

    Vado subito a farglieli preparare. Ci vorranno un paio di minuti, rispose l’uomo alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso il salone. Ritornò dopo un po’ reggendo un vassoio con sopra i panini ed un bicchiere di vino.

    Mi sono permesso di aggiungere del vino, pensando che l’avrebbe gradito. Tra l’altro, sembra abbastanza infreddolita.

    Già, ho sempre sentito dire che in Liguria c’è un clima mite. Ma oggi non si direbbe.

    È stata fortunata che non piove. In quest’ultima settimana lo ha fatto quasi tutti i giorni.

    Prese il passaporto dal casellario e glielo riconsegnò.

    Mi scusi signora, ma non ricordo per quanti giorni intende soggiornare.

    Un paio, forse tre. Pensa che sia un problema?.

    No, assolutamente. Non c’è molto movimento di questi tempi. C’è crisi in giro, e noi siamo tra i primi ad accorgercene. Piuttosto, se non sono indiscreto, posso chiederle se è qui per turismo o affari?.

    Né uno né l’altro, rispose Francesca scuotendo la testa. Aspetto una persona e poi partiremo per un lungo viaggio in un posto caldo. Me ne starò al sole tutto il giorno per dimenticare il freddo, la nebbia, la pioggia e tutto il resto.

    Mi sembra un’ottima prospettiva. Anche a me piacerebbe staccare e fare una bella vacanza.

    Perché non lo fa?.

    Questo è un piccolo albergo e il personale è ridotto al minimo indispensabile, se vogliamo sopravvivere. Siamo io e Carlo ad occuparci di tutto. E poi, non ho passato tutta la vita qui dentro. Sono stato imbarcato per quasi dieci anni e ho visto quasi tutto il mondo. Cinque anni fa, quando i miei si sono ritirati, ho deciso di smettere e di dedicarmi all’albergo. Non mi andava che finisse nelle mani di qualche catena che l’avrebbe reso un posto anonimo e un po’ triste, come sono tanti alberghi moderni del centro.

    A Francesca parve di cogliere un po’ di nostalgia in quelle parole. La sua dev’essere stata una scelta che le è costata.

    Ogni scelta ha un suo prezzo e bisogna pagarlo. Comunque, il mare ce l’ho sempre vicino, anche se nascosto da una fila di palazzi.

    Lei sorrise. Capisco. Adesso credo che tornerò nella mia stanza. Il viaggio mi ha stancato e vorrei farmi una bella dormita. Se non ha niente in contrario, porterei il vassoio in camera.

    No, assolutamente. Piuttosto, vuole essere chiamata domattina?.

    No, non occorre. Ancora grazie di tutto, signor...?.

    Risso, Gianluca Risso. Proprietario e factotum dell’albergo. Buonanotte e riposi bene.

    Lei contraccambiò il saluto, prese il vassoio e scomparve poco dopo dentro l’ascensore.

    Gianluca l’osservò mentre si allontanava lasciando nell’aria un vago aroma di gelsomino. Si muoveva con un passo che hanno solo certe donne e tutti i felini. Non poté fare a meno di notarne la forma ben proporzionata del corpo, evidenziata dall’abito nero leggermente attillato. Malgrado non fosse particolarmente alta, aveva un paio di gambe lunghe ed affusolate. Più di tutto l’aveva attratto lo sguardo dei suoi occhi, su un viso ovale e delicato incorniciato da capelli neri tagliati corti e con riflessi ramati.

    Erano occhi scuri, dal taglio vagamente esotico, con piccole pagliuzze dorate che scintillavano nell’iride.

    Si meravigliò che una sconosciuta lo avesse colpito così da subito. Erano anni che aveva smesso di interessarsi delle donne.

    DUE

    Francesca entrò nella stanza e posò il vassoio sulla scrivania. Si accorse di averci lasciato il cellulare quando era scesa e subito controllò se c’erano chiamate o messaggi. Ancora niente. Prese il bicchiere e bevve un sorso. Il vino le provocò subito un senso di stordimento per via del fatto che era ancora a stomaco vuoto. Si sedette ed iniziò a mangiare uno dei sandwich. Si sentì subito meglio. Finì ed attaccò con il secondo. Quando ebbe terminato di mangiarlo sorseggiò il vino rimasto. Si sentì meglio, anche se l’ansia perché lui non l’aveva ancora chiamata non diminuiva. Cominciò ad avvertire una certa stanchezza. Si alzò ed aprì una delle valigie. Tirò fuori un pigiama, poi si spogliò e se lo mise indosso. Si infilò sotto le lenzuola ed ebbe un fremito al contatto con le lenzuola. Spense la luce e cercò di addormentarsi.

    Nel frattempo, Gianluca si era acceso una sigaretta e stava iniziando a prepararsi per la notte. Prese il registro e lo chiuse in un cassetto sotto il bancone, poi iniziò a spegnere le luci, iniziando con quelle dell’atrio.

    Carlo arrivò dal salone.

    Finalmente un’ospite durante il week end. Non ricordo più da quando succedeva, osservò. E per di più anche una bella donna. Quasi da non crederci.

    Può darsi. Per me sono solo clienti.

    Da come la guardava poco fa non si direbbe.

    Stai viaggiando troppo con la fantasia, tagliò corto Gianluca.

    Carlo non aggiunse altro. Certi argomenti erano tabù con Gianluca. Andrei a dormire, se non ha più bisogno di me.

    No, finirò io di mettere a posto. Buonanotte.

    Carlo si diresse verso le scale che si trovavano a fianco dell’ascensore e salì nella sua camera che si trovava al primo piano.

    Gianluca spense anche le luci della réception, chiuse a chiave il portone e si spostò nel salone. La televisione era rimasta accesa. Un’annunciatrice leggeva le ultime notizie del giorno senza dimostrare alcuna partecipazione. Si accomodò su una poltrona ad ascoltare e scivolò nel sonno senza accorgersene.

    Uno squillo ossessivo lo svegliò di soprassalto, interrompendo la quiete del suo riposo. Impiegò qualche secondo prima di riordinare le idee. Il telefono! realizzò, e si alzò di scatto.

    Stropicciandosi gli occhi, raggiunse il bancone della réception e, dopo aver tastato per un po’, riuscì ad afferrare la cornetta e la sollevò. Pronunciò un Pronto! impastato.

    Finalmente! pronunciò la voce sgarbata di un uomo. È l’Hotel Fontane Marose? Mi passi subito la signora Contini.

    Un attimo, per cortesia, rispose Gianluca, trattenendo la sua irritazione per quel tono.

    Appoggiò la cornetta sul tavolo e premette un interruttore. La luce improvvisa lo abbagliò. Impiegò alcuni secondi prima di mettere a fuoco la tastiera del telefono.

    Compose il numero della stanza ed aspettò che rispondesse.

    Pronto! borbottò lei con voce assonnata.

    Mi scusi, signora. C’è una chiamata per lei, annunciò a bassa voce.

    Oh, sì. Me la passi pure, grazie, rispose con un tono che rivelava una certa ansia.

    Gianluca premette un pulsante e commutò la linea. Una luce brillante si accese sul pannello.

    Dette una rapida occhiata all’orologio. Mancavano pochi minuti alla mezzanotte. Strano orario per una telefonata, osservò tra sé mentre spegneva la luce.

    Lasciò il bancone e salì con l’ascensore fino all’ultimo piano dove si trovava la sua stanza. Ci viveva da quando il suo matrimonio era finito.

    Si spogliò in fretta e s’infilò nel letto, addormentandosi quasi subito.

    Il mattino successivo si svegliò alle sette in punto, come gli accadeva da anni e senza bisogno della sveglia. Si vestì dopo una doccia e scese nel salone dove regnava una calma pigra e monotona.

    Trovò Carlo intento a consumare la colazione.

    Buongiorno Carlo, lo salutò accomodandosi allo stesso tavolo.

    Versò del caffè in una tazza e lo sorseggiò.

    Buongiorno. Ho sentito squillare il telefono questa notte. Chi era? domandò Carlo.

    Qualcuno che cercava la nostra ospite. Non mi ha detto chi fosse. Forse si trattava della persona con cui ha appuntamento.

    Un orario insolito per chiamare.

    Non so che dirti. Può darsi che si trattasse di una cosa urgente, spiegò Gianluca, cercando di dar l’impressione che fosse stato un evento senza particolare importanza.

    Esco a comprare i giornali, aggiunse mentre finiva di bere il caffè.

    Si recò nell’atrio, prese il giubbotto che teneva appeso all’attaccapanni ed uscì.

    Fuori il cielo era coperto da una coltre di nuvole grigie che minacciavano di rovesciare di lì a poco il loro contenuto.

    L’aria del mattino era pungente. Acquistò un paio di quotidiani all’edicola nella piazza e rientrò subito, appena in tempo per evitare le prime gocce di pioggia.

    Si sedette dietro il bancone ed iniziò a sfogliare di­strattamente uno dei giornali.

    Gli ritornò in mente la telefonata nel cuore della notte e quello che non aveva detto a Carlo, che la voce di chi aveva chiamato sembrava nascondere una minaccia.

    Cercò di convincersi che forse era solo dovuto al fatto di essere stato svegliato all’improvviso.

    Era tentato di chiederle chi fosse quando l’avesse rivista, ma decise di lasciar perdere. Non gli era mai piaciuto intromettersi nelle faccende altrui.

    La mattinata trascorse con i ritmi monotoni e un po’ noiosi dei giorni di festa.

    Verso mezzogiorno decise di uscire.

    Aveva smesso di piovere e si era alzata una tramontana fredda che lo fece intirizzire. Camminò fino a piazza Matteotti e da lì si diresse in salita Pollaiuoli, fermandosi al Caffè degli Specchi.

    Il locale non era molto affollato. Ordinò un piatto freddo ed un bicchiere di vino, poi andò ad accomodarsi ad uno dei tavolini sistemati accanto alle pareti rivestite di specchi alti che confinavano con le volte del soffitto rivestito da piastrelle lucide color crema.

    Mangiò senza particolare fretta, più per far passare il tempo che per l’appetito. Quando terminò, erano le due ed il locale si era completamente svuotato. Pagò ed uscì per far ritorno all’albergo. Il vento era calato facendo alzare di poco la temperatura.

    Rientrò in hotel e si diresse verso il salone. Carlo se ne stava seduto ad un tavolo intento a seguire una partita di calcio.

    È già scesa la nostra ospite? gli chiese.

    No, non si è ancora vista. Forse ha deciso di passare la domenica a dormire. Non è poi un’idea tanto sbagliata, visto il freddo che fa.

    Gianluca non rispose. Prese posto vicino a Carlo e finse di interessarsi alla partita, mentre una certa preoccupazione cominciava a farsi largo nella sua mente.

    Quando la partita finì, decise di rompere gli indugi e di chiamarla. Compose il numero della stanza e rimase in attesa.

    Il telefono squillò a vuoto senza che nessuno rispondesse.

    Decise allora di andare a controllare di persona che non fosse successo qualcosa. Prese l’ascensore e salì fino al terzo piano. Giunto davanti alla porta bussò un paio di volte con discrezione.

    Non ottenne risposta. Riprovò con maggiore insistenza poi prese la maniglia e la ruotò completamente. La porta si aprì.

    Insolito lasciare aperto, pensò tra sé Gianluca, di­schiudendola quel tanto che bastava per guardare dentro.

    Sono Gianluca Risso, signora. Posso entrare? pronunciò a voce alta perché lo sentisse.

    Rimase un attimo incerto sulla soglia, poi entrò.

    Nella stanza c’erano solo buio e silenzio. Accese la luce. Il letto sfatto era l’unica cosa fuori posto. Nell’aria si avvertiva il suo profumo.

    Rimase immobile a pensare un po’ sconcertato.

    Tutto lasciava credere che se ne fosse andata in gran fretta, probabilmente per una ragione importante. Su questo non aveva dubbi. Le borse erano appoggiate ai piedi del letto e solo una era stata aperta.

    Uscì dalla stanza e tornò alla réception.

    Carlo lo stava aspettando: Tutto a posto?.

    Sembra che la nostra ospite sia sparita.

    Che vuol dire sparita?.

    Che se n’è andata. Svanita, scomparsa, dissolta, quello che preferisci. Oppure è uscita dalla finestra per andare a farsi una passeggiata sui tetti. In ogni caso non c’è più.

    Carlo aggrottò la fronte perplesso. Molto strano andarsene via così, senza dire niente. Sembrerebbe che sia scappata.

    Penso che c’entri quella telefonata. Probabilmente è dovuta uscire di fretta senza aver tempo di avvertirci, disse Gianluca, cercando di dare anche a se stesso una spiegazione convincente.

    TRE

    Il cielo che osservava Gianluca da dietro il cristallo della porta aveva lo stesso

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