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Era destino
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E-book175 pagine2 ore

Era destino

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Info su questo ebook

Siamo in un paesino siciliano lungo la costa dello stretto di Messina e negli Stati Uniti d'America in un preciso periodo, a cavallo tra l'ottocento e il novecento, identificato da cenni su eventi e personaggi reali. La narrazione ha come filo conduttore l'amore travagliato tra due giovani che è fortemente ostacolato da uno sconosciuto fatto del passato. La loro storia si intreccia con quelle di altri personaggi che, come i pezzi di un puzzle, vanno ad incastrarsi tra di loro dando vita ad un unico quadro. Sono presenti tutti gli elementi tipici del dramma: amicizia, amore, passione, rivalità, inganno, odio e morte che generano situazioni diverse dove il destino è il protagonista supremo.

LinguaItaliano
Data di uscita6 feb 2017
ISBN9788892648821
Era destino

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    Anteprima del libro

    Era destino - Claudio Todesco

    Mary.)

    1

    Era una domenica di settembre del 1898 e la piazzetta centrale di Calmerano, un piccolo paese sulla collina lungo la costa sicula dello stretto di Messina, era affollata di gente.

    Al centro di questa c’era una fontana dove delle donne erano in attesa del loro turno per riempire i recipienti di acqua, mentre ai suoi lati, al piano terra di alcune case, si affacciavano: la bottega del droghiere che, in realtà, era una sorta di bazar dove si vendeva un po’ di tutto, il laboratorio di un calzolaio e un’osteria.

    Delle persone conversavano sedute su panchine in muratura, mentre altre osservavano la merce di alcuni ambulanti che avevano sistemato le bancarelle lungo il perimetro della piazza.

    Un venditore con una bisaccia a tracolla girava tra la gente urlando: Ceci abbrustoliti e con un recipiente di latta, che fungeva da misurino, li versava nelle tasche degli acquirenti.

    Da una viuzza laterale sbucò un uomo anziano, vestito con un giaccone da cacciatore, che attraversò la piazza salutato da tutti con molto rispetto; le donne abbassando un po’ il capo e gli uomini togliendosi il berretto.

    Era Don Giuseppe Presta, l’amministratore di Don Giovanni Audito, che si stava recando dal suo principale. L’uomo si fermò di fronte al portone e tirò con forza la corda del campanello tanto che gli rimase in mano. Poco dopo l’uscio si aprì e comparve sulla soglia Nazzarena, l’anziana domestica, che indossava sempre vestiti lunghi e neri che esaltavano ancora di più la sua magrezza. Aveva i capelli grigi raccolti dietro alla nuca e sempre rigorosamente coperti da un fazzoletto anch’esso nero. Sul suo viso affilato e rugoso si accendevano due occhi chiari e penetranti.

    Gesù Maria Santissima che avete fatto? urlò, come se avesse visto il diavolo, guardando la corda rotta.

    Suonando si è rotta e non è colpa mia se mi è rimasta in mano, replicò Don Giuseppe senza dare troppa importanza alla cosa, piuttosto fatemi entrare ho bisogno di parlare con il principale, aggiunse.

    Lei, stizzita, strappandogli dalle mani il laccio del campanello gli fece strada, salì la scala ed entrò nello studio di Don Giovanni. Voscienza, è arrivato Don Giuseppe, annunciò ad alta voce.

    Lo stavo aspettando, rispose lui e non aveva ancora concluso la frase che lo vide apparire sulla soglia.

    I miei rispetti Don Giovanni, esordì quest’ultimo.

    Il padrone di casa gli fece cenno di sedersi indicandogli una sedia che stava di fronte alla sua scrivania. Ho controllato tutti i contratti con i proprietari degli aranceti, disse, poi, e mi sembrano a posto, ora mi preme sapere a che punto sono i preparativi per la raccolta.

    L’amministratore lo rassicurò confermandogli che tutto era stato predisposto. I raccoglitori erano stati assunti e avevano ricevuto la caparra, mentre i magazzini di Catania erano pronti per la selezione, la messa in cassette e la spedizione delle arance.

    Don Giovanni fu soddisfatto per quanto aveva udito e si accese un sigaro. Era un uomo sulla cinquantina, di media statura, un po’ tarchiato, ma con atteggiamenti signorili che esprimevano contemporaneamente gentilezza e grande determinazione. Apparteneva ad una ricca famiglia di grossisti di agrumi che esportava non solo verso i mercati italiani, ma anche stranieri.

    Ah! Mi scordavo! esclamò, poi, Don Giuseppe, Rosario Sampanaro, uno dei nostri migliori capi squadra, non ha accettato la caparra e mi ha detto che desidererebbe parlarvi.

    Il principale, stupito, chiese se fosse successo qualcosa.

    Non so, rispose l’altro scuotendo il capo e allargando le braccia, non ha voluto anticiparmi nulla.

    In quel mentre fece capolino nella stanza Francesco, il figlio di Don Giovanni, chiamato da tutti, affettuosamente, Ciccino. Era un bel ragazzo, alto, moro, con i capelli ondulati pettinati all’indietro e con due grandi occhi neri che parevano olive. Studiava ingegneria a Milano e stava per laurearsi. Salutò il padre e l’ospite, poi, per non mostrarsi troppo frettoloso di voler andarsene e per pura cortesia, chiese, a quest’ultimo, notizie della figlia Margherita.

    Sta bene, grazie, rispose Don Giuseppe visibilmente soddisfatto per la domanda che gli era stata posta, mi chiede sempre tue notizie ed è dispiaciuta perché ha poche opportunità di incontrarti.

    Il ragazzo annuendo ammise che era vero, d’altronde sono più a Milano che qui, aggiunse.

    L’uomo, approfittando dell’occasione, annunciò che, in concomitanza della vendemmia, aveva deciso di organizzare una festa per il diploma da maestra della figlia e che erano tutti invitati.

    Vi ringrazio, tagliò corto il giovane, ora vi devo proprio lasciare perché ho una faccenda da sbrigare e, salutando, uscì. Attraversò velocemente la piazza, perché voleva raggiungere, al più presto, il luogo dove, in segreto, si incontrava con la sua amata Santuzza. Era questo un posto appartato, poco lontano dal torrente, dove le donne del paese andavano a lavare i panni.

    La sua mente era già completamente occupata dall’immagine della ragazza e dal pensiero che il loro amore non doveva più essere vissuto di nascosto, ma alla luce del sole e gridato al mondo.

    2

    Negli stessi istanti Santuzza varcò la soglia di casa, portava in testa una cesta di vimini con dentro dei panni da lavare. Era una bella ragazza di media statura con un fisico proporzionato e con le curve al posto giusto. Il suo viso affusolato e gli occhi azzurri facevano contrasto con i suoi capelli lunghi, ondulati e neri come la pece.

    La sua abitazione era nei pressi della piazza e dalle finestre poteva vedere quella del suo amato. La giovane scese le scale e in fondo trovò ad aspettarla l’affezionata Caterina, una povera ragazza orfana e vistosamente claudicante, di qualche anno più vecchia, che viveva di carità.

    Ciccino si è incamminato da poco verso il torrente, l’avvertì questa a bassa voce.

    Sei l’angelo del nostro amore, rispose Santuzza con un sorriso smagliante che mise in evidenza la sua splendida dentatura, non so come faremmo senza il tuo aiuto.

    Ho paura, però, che qualcuno possa insospettirsi nel vederci fare ogni giorno questo tragitto, incalzò, preoccupata, Caterina.

    Ho sempre tanti panni sporchi, ribatté l’altra, ridendo.

    Santuzza, non scherzare, sono in ansia per te, insistette e le raccontò che il giorno precedente Giacomo, il figlio di Don Giuseppe Presta, le aveva detto sghignazzando: Sempre bella e pulita la tua amica.

    La ragazza, quando udì quel nome, ebbe un fremito, perché sapeva che quel giovane era poco raccomandabile e più volte l’aveva infastidita. Era un tipo arrogante e presuntuoso convinto di poter fare, impunemente, tutto ciò che gli piaceva.

    Pensi che sospetti qualcosa? chiese, mentre il sorriso le si spense improvvisamente e il volto assunse un’espressione preoccupata.

    Caterina confermò annuendo con il capo e la informò che il giovane andava dicendo, ai quattro venti, che sarebbe diventata sua moglie.

    Faremo attenzione, promise Santuzza cercando di vincere il timore che l’aveva assalita, ma ora andiamo, si è fatto tardi.

    Le due ragazze si incamminarono verso il torrente e appena fuori dal paese passarono di fronte ad una piccola grotta, dove era stata posta la statua della Madonna. Fecero il segno di croce e proseguirono speditamente sino a che il sentiero diventava ripido.

    Fermiamoci un momento, mi devo riposare, pregò Caterina con un’espressione sofferente, la mia povera gamba non ce la fa più.

    Si sedettero sul ciglio della strada e, guardando in direzione del paese, videro Giacomo venire verso di loro.

    Nascondiamoci, disse Santuzza che non voleva incontrarlo. Si misero, quindi, a correre, ma, poco dopo, Caterina fu costretta a fermarsi.

    Per carità, vai tu, io non ce la faccio più, la supplicò quest’ultima, penserò io a distrarre Giacomo e si sedette su di una grossa pietra posta al lato del sentiero, mentre Santuzza si allontava velocemente.

    Dopo pochi minuti arrivò Giacomo a ritmo di galoppo come fosse un cavallo.

    Perché correte così? lo interpellò la ragazza con grande gentilezza, siete tutto affannato e sudato. Riposatevi qui vicino a me.

    Per tutta risposta il giovane la insultò pesantemente e l’accusò di essere la ruffiana di Santuzza e di quel buono a nulla di Ciccino. Poi, urlando, giurò che quella ragazza sarebbe stata sua.

    Ma Santuzza non vi ama, reagì, coraggiosamente, Caterina. Fu a quel punto che Giacomo, accecato dall’ira, le si avventò contro e la picchiò selvaggiamente incurante delle sue grida di dolore.

    Brutta storpia, che ne sai tu dell’amore, gridò continuando a colpirla, ti ho detto che Santuzza sarà mia, mia e niente potrà impedirmelo.

    La ragazza cadde a terra e solo allora lui smise di percuoterla, poi la guardò soddisfatto per la bella impresa che aveva compiuto. Già mi immagino la faccia che farà Donna Carmela, aggiunse con un ghigno beffardo, quando saprà che sua figlia se ne va in giro per la campagna con quello smidollato di Ciccino. Così dicendo se andò da dove era venuto.

    Ciccino, dal luogo dell’appuntamento, udì le urla di Caterina e, preoccupato, ritornò velocemente verso il paese. Quando vide la poveretta a terra, sola, fu preso dal panico e si domandò dove fosse la sua amata.

    Giacomo mi ha picchiata, lo informò la giovane con un filo di voce, mentre lui l’aiutava ad alzarsi, sa di voi due e ha detto che avrebbe riferito tutto a Donna Carmela.

    Ciò che mi preme ora è sapere dove sia il mio amore, ribatté Ciccino ansioso, al resto ci penserò poi.

    Caterina lo rassicurò informandolo che Santuzza era riuscita a nascondersi nel boschetto e lo invitò ad andare a cercarla. Io sono in grado di tornare a casa da sola, concluse.

    Grazie, sei veramente un’amica, replicò il giovane e si diresse, velocemente, verso il luogo che gli era stato indicato. Quando vide la sua bella apparire tra gli alberi e corrergli incontro, ebbe un sussulto di gioia.

    Amore mio, quanto sono felice di vederti! esclamò la ragazza abbracciandolo e gli confessò di non aver avuto il coraggio di uscire dal nascondiglio quando aveva udito le grida dell’amica. Poi scoppiò a piangere, accusandosi di essere stata una vigliacca.

    Caterina ha saputo cavarsela discretamente, la rassicurò lui stringendola forte per farla sentire protetta, poi, affermò convinto che, dopo quanto era successo, il loro amore non doveva più rimanere nascosto.

    Santuzza smise di piangere, ma il suo viso mantenne un’espressione triste e preoccupata. Non so il motivo, disse, ma mia madre quando parla della tua famiglia è sempre piena di rancore.

    Amore mio, stai tranquilla, parlerò io con Donna Carmela e tutto si sistemerà.

    Lei scosse il capo e sospirando obiettò che convincere sua mamma non sarebbe stata un’impresa facile. Ora è più prudente ritornare a casa, aggiunse, poi.

    Il ragazzo stava per darle un bacio, ma lei lo bloccò. No, ti prego, qualcuno potrebbe vederci, disse inquieta, tu rimani qui e aspetta che io arrivi in paese.

    Ciccino accettò a malincuore e rimase a guardarla, mentre si allontanava velocemente.

    Santuzza, appena arrivò nei pressi di casa sua, vide la madre sull’uscio e capì che la stava aspettando con intenzioni tutt’altro che pacifiche. Infatti Donna Carmela era in piedi con le braccia conserte e un’espressione arcigna di chi è pronta ed impaziente di attaccare la sua preda.

    La ragazza rallentò un poco il passo, fece un lungo respiro e si preparò a difendersi dall’assalto che non tardò ad arrivare.

    Ecco la mia brava figlia, urlò ironica la donna appena si rese conto che la giovane era sufficientemente vicina per poter udire, che invece di stare in casa come tutte le giovani timorate di Dio, va in giro a dare scandalo.

    Madre, che dite? Non ho fatto nulla di male, replicò Santuzza con un tono di voce calmo che voleva essere convincente.

    Ah sì! Secondo te una ragazza per bene va in giro per la campagna con un uomo? domandò la donna con uno sguardo che pareva volesse fulminarla.

    Ero con Caterina, tentò di giustificarsi.

    Santo Iddio, Santuzza, non mi prendere in giro, replicò ancora più irritata, una persona affidabile ti ha vista con quel Ciccino, aggiunse, pronunciando quel nome con disprezzo, e mi ha detto che non era neppure la prima volta.

    La figlia,

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