Supponiamo per assurdo
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Anteprima del libro
Supponiamo per assurdo - Giuseppe Morabito
CAPITOLO I
- No, mi dispiace, questo weekend non ci sono… e neanche il prossimo. Proviamo tra due.
A Marco vennero di colpo un leggero mal di testa e un peso sui polmoni a sentire quelle parole.
- Ma anche lo scorso mese mi avevi risposto così.
Lei accennò un sorriso ma non disse nulla, allargò solo le braccia come a volersi scagionare da una colpa che qualcuno le aveva dato. In effetti, era la seconda volta che Sabrina si esprimeva così.
Era il quinto due di picche in quattro mesi, ricevuti da tre donne diverse. Per non parlare di quanti ne aveva ottenuti nella vita. Dopo ogni no ricevuto, la sua domanda era sempre la stessa:
Dove scivola l’amore sperperato?
CAPITOLO II
Marco osservava Sabrina dall’altra parte della stanza. Notava che lei lavorava, lavorava, sempre e solo lavorava, con le spalle curve sul suo portatile e, spesso, gli auricolari alle orecchie.
Ogni tanto portava indietro con una mano la sua chioma bionda e poi si risistemava gli occhiali sul naso. Erano pressoché gli unici gesti che conferivano femminilità a un corpo di tutto rispetto, oltre a quando accavallava le gambe mettendo in risalto i suoi tronchetti neri e la coscia da copertina.
Davvero, se non fosse stato per quei piccoli gesti, sarebbe già stata identica al suo capo, anche lei donna. Un sergente di ferro, mascolina quanto basta per gestire in cagnesco duecentocinquantatré persone sotto di lei. Un matrimonio già finito male per la sua gelosia smodata e le incessanti prevaricazioni nella coppia. Negli ultimi tempi l’ex marito tornava a casa solo per dormire perché non la sopportava più. Nulla di tutto questo però gli evitò di accogliere il divorzio (deciso da lei, ça va sans dire) come una catastrofe.
Tutti in azienda la chiamavano il cane lupo
... il nome dice tutto.
Per Marco c’era qualcosa che non tornava. Più di qualcosa.
«Com’è possibile che Sabrina voglia questa distanza immensa tra sé e il mondo?
Quanti muri ha costruito attorno a sé?
La conosco da più di due anni e non ha mai lasciato trasparire un’emozione che sia una. In qualche film un po’ datato ho sentito dire che le emozioni sono tutto quello che gli esseri umani hanno. È vero, non abbiamo altro, solo questa ricchezza può renderci la vita vera. E allora perché lei non sembra viverle? Né lei né tutti gli altri che mi circondano qui dentro. Cavolo, sembrano tutte vite finte! Perché?».
Mentre si faceva queste domande, con cadenza più o meno quotidiana, Sabrina continuava a lavorare. Aveva deciso, chissà per quale ragione, di non far entrare l’amore nella propria vita, a beneficio del lavoro. Aveva anche comprato un monolocale per tener fede a questa scelta. Sola con il proprio lavoro, completa dedizione alla carriera.
Periodicamente Marco si lasciava affliggere da situazioni simili a quella di Sabrina e nella sua testa sorgeva il solito commento un po’ fricchettone:
«quanto spreco di bellezza e di amore!». Non accettava proprio che alla bellezza estetica potesse non corrispondere una ricerca di Amore. Da una vita che non lo accettava. Era una discrasia che lo faceva diventare pazzo. Più volte al giorno, si ripeteva interiormente i pensieri di Dostoevskij e Keats:
La bellezza salverà il mondo.
La bellezza è verità, la verità bellezza.
CAPITOLO III
Quando scorgeva la bellezza, ogni atomo del suo mondo prendeva vita. Tutto si muoveva, tutto diventava dinamico e aeriforme