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Mi voglio bene
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E-book141 pagine1 ora

Mi voglio bene

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Info su questo ebook

Veronica adora viaggiare e lo fa, non solo in senso reale, utilizzando treni con la stessa leggiadria che avrebbe di fronte a un bancone di gelati, ma anche come cammino verso le sue profondità, come percorso per arrivare all’accettazione di sé in toto, all’accoglienza del proprio essere restando spontanea, giocosa e serena nei confronti della vita. Alla stessa stregua accarezza la propria anima attraverso le bellezze del creato, si perde nella tranquillità del mare e coglie le particolarità delle città che visita con gli occhi meravigliati di chi vede arcobaleni ovunque. Si sofferma nell’ascoltare le proprie emozioni e si lascia condurre attraverso sentieri impervi per lasciar andare le sue più ancestrali paure. La sua fiducia la porta a vivere momenti veramente intensi: il rapporto con la cugina amata, che ha un modo diametralmente opposto d’intendere l’amore, l’affetto di un gruppo di amici di lunghissima data e la frequentazione di Francesco prima e Marco poi le regaleranno una nuova consapevolezza, al fine di poter finalmente abbracciare sé stessa e dirsi “mi voglio bene!”.

Eleonora Baldini nasce il 2 aprile 1962 a Ravenna, dove vive e lavora come funzionario amministrativo. Nel 2003 la sua vita si arricchisce di nuove opportunità che lei sa cogliere e tramutare in parole. Da qui comincia la sua avventura di scrittrice e pubblica il suo primo romanzo nel 2011 con Evoè Edizioni di Teramo; ad Aurora floreale segue La sirena del lago pubblicato nel 2015, dopo essere risultato finalista al concorso Gocce d’inchiostro, con Viola Editrice di Roma.
LinguaItaliano
Data di uscita31 ott 2022
ISBN9788830672840
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    Anteprima del libro

    Mi voglio bene - Eleonora Baldini

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    PREFAZIONE

    Questo è un libro per persone che amano, che amano con tutte loro stesse, come la protagonista, Veronica, sospesa tra mille variabili, molto presto si rende conto che l’amore «vero» non è come lo aveva sempre pensato, una figura simile a lei, che avrebbe soddisfatto le sue aspettative, che avrebbe colmato i suoi vuoti.

    Scopre invece che l’amore «maturo» è proprio quello che la mette in crisi, che tocca i suoi punti più ostici, che la costringe ad immergersi nella profondità del suo essere, «lui aveva avuto il pregio di scardinare tutte quelle certezze che la bloccavano e Veronica se l’era attirato proprio perché era arrivato il momento nella sua vita per un cambiamento radicale, quello che doveva riportare alla luce la sua essenza più vera».

    In questo viaggio non ci sono definizioni, né itinerari prestabiliti, bisogna solo «lasciare che le cose fluiscano». Ed è così che l’amore diventa ascolto, una sensazione, un ricordo antico, ancestrale, una percezione di qualcosa che ha già vissuto, un posto dov’è già stata.

    Tutto intorno svanisce, «il tempo è una dimensione effimera» e la protagonista perde il suo equilibrio per arrivare al centro. Al centro di se stessa.

    Veronica intraprende un percorso di grande ricchezza interiore, affronta il vuoto, la separazione e la crisi. Rischia di esporsi, di mostrarsi fragile e vulnerabile, fino a vedersi per quella che è, fino a dirsi, finalmente, «Mi voglio bene», simbolo di conquista e di approdo, istantanea percezione di una felicità assoluta ed incondizionata.

    Una consapevolezza, quella della protagonista, che va ben al di là della sfera puramente affettiva, per coinvolgere gli aspetti più profondi dell’essere umano, una esperienza sensoriale e spirituale. «Amore è ogni moto della nostra anima in cui essa sente se stessa e percepisce la propria vita», scrive Hermann Hesse.

    Quante volte abbiamo attribuito la nostra felicità a qualcuno, o a qualcosa, di esterno a noi? Veronica riesce, in un certo senso, a spogliare il suo desiderio, a squarciare il velo ed a spingersi oltre la superficie per accorgersi di come la felicità, che tentava di raggiungere al prezzo di innumerevoli sforzi, era in realtà li, a pochi passi dalle sue paure.

    La protagonista di questo romanzo compie un’impresa coraggiosa, quella di abbandonare l’idea di dover rispondere ad un modello di perfezione, «un imprinting sociale» che ci fa vivere con un macigno sul cuore mentre potremmo semplicemente stare in noi, per un istante, e dirci che possiamo bastarci e poi fare un passo, e poi un altro ancora, con cautela, con lentezza, e goderci quegli attimi in cui sentiamo di appartenerci. Forse questa, davvero, è la felicità.

    Laura Mastropasqua

    NON SO CON CHI ADESSO SEI

    «Non so con chi adesso sei, non so che cosa fai ma so di certo a cosa stai pensando».

    La suoneria di Veronica le segnalò la chiamata di Francesco.

    – Buongiorno Piccola.

    – Ciao… ma che ora è?

    – Le nove e mezza.

    – Capperi… quanto ho dormito! – disse Veronica spostando il proprio corpo dalla posizione supina a quella laterale destra con le gambe rannicchiate – ma sto così bene qui, crogiolata tra le coperte, che non ho proprio voglia di alzarmi.

    – E dai pigrona! È una bellissima giornata di sole, preparati che ti vengo a prendere e andiamo a fare una passeggiata al mare.

    – Ci sarà anche il sole ma io stamani non sono molto motivata ad uscire da questo tepore. Lo sai di cosa avrei voglia?

    – Di cosa?

    – Di un bell’abbraccio stretto stretto…

    – Ah ricominciamo… lo sai che tra di noi non funziona così… l’abbraccio nel letto è la scusa per andare oltre ma la lussuria è… come dice la parola stessa… un lusso rispetto allo scambio di amore tra una coppia e noi siamo in cammino verso questa astrazione.

    Veronica si rabbuiò. Desiderava fortemente costruire qualcosa di profondo con Francesco ma riteneva castrante questa sua distanza corporea, non che fosse un’assatanata del sesso ma vivere una relazione solo platonica le era davvero difficile. Accettava che lui dettasse le sue condizioni e cercava di convincersi che avesse ragione ma le sue emozioni e le sue reazioni non mentivano.

    Si erano conosciuti l’estate precedente ed avevano cominciato a raccontarsi e a determinare una complicità notevole, prima in maniera amicale, poi sempre più ravvicinata. Veronica si era innamorata e probabilmente anche Francesco lo era, solo che era un concedersi ed un ritrarsi continuo, una sorta di balletto dell’amore in cui non si era mai sicuri se andare in scena oppure no.

    Era lui che reggeva il gioco e lei si sentiva sia regina degli scacchi che burattino nelle sue mani e faticava a sottrarsi a questo meccanismo perché nessuno era riuscito ad entrare in contatto con la sua anima come aveva fatto Francesco.

    Avrebbe voluto un rapporto di coppia in cui c’era progettualità di condivisone di spazi e tempi e nel contempo ne aveva paura, perciò poteva farle comodo che lui fosse refrattario a questo tipo di catene ma dover anche accettare che non vi dovesse essere scambio di effusioni e di piaceri dello stare insieme, proprio non lo digeriva!

    Sentiva di aver bisogno di lui perché gli dava gli strumenti per leggere ciò che aveva mosso le sue decisioni fino a quel momento: per capire chi era veramente e fin dove si era fatta condurre dai condizionamenti ricevuti sin dall’infanzia e Francesco era come una chiave in questa serratura che pensava di dover lasciar accuratamente chiusa ed invece ora sentiva come impellente la necessità di sentire il clic clac che ne liberava l’essenza.

    Questa consapevolezza le fece abbozzare un sorriso che arrivò all’orecchio di Francesco e disse:

    – E va bene, ora mi alzo, faccio colazione e mi preparo. Dammi un’ora.

    – Tutto il tempo che ti occorre – rispose lui.

    Già, anche questa

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