Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Le mafie sulle macerie del Muro di Berlino: Gli affari di 'ndrangheta, Cosa nostra e Camorra in Germania
Le mafie sulle macerie del Muro di Berlino: Gli affari di 'ndrangheta, Cosa nostra e Camorra in Germania
Le mafie sulle macerie del Muro di Berlino: Gli affari di 'ndrangheta, Cosa nostra e Camorra in Germania
E-book188 pagine2 ore

Le mafie sulle macerie del Muro di Berlino: Gli affari di 'ndrangheta, Cosa nostra e Camorra in Germania

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Le mafie sulle macerie del muro di Berlino tratta in maniera storica-operativa la questione delle mafie in Germania ed è il primo libro a ricostruire il legame tra la fine della Cortina di Ferro e il radicamento delle mafie in terra tedesca. Nella pagine sono approfondite alcune questioni rimaste marginali o inedite, come il testimone tedesco della strage di Duisburg che fece arrestare uno dei responsabili, o il viaggio in Germania di Paolo Borsellino in quell’intervallo di 57 giorni che separano la sua morte da quella di Falcone, fino a dettagli sulla morte del giudice Rosario Livatino. Sono riportati inoltre degli interessi che legano il super latitante Matteo Messina Denaro con personaggi che operano in Germania e hanno legami con la massoneria tedesca. 
LinguaItaliano
EditoreDiarkos
Data di uscita6 dic 2019
ISBN9788836160013
Le mafie sulle macerie del Muro di Berlino: Gli affari di 'ndrangheta, Cosa nostra e Camorra in Germania

Correlato a Le mafie sulle macerie del Muro di Berlino

Ebook correlati

Storia moderna per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Le mafie sulle macerie del Muro di Berlino

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Le mafie sulle macerie del Muro di Berlino - Sabrina Pignedoli

    LEMAFIE_copertina.jpg

    A chi ha deciso di rimanere libero, rinunciando a tutto quello

    che un certo mondo falso adora, per il solo piacere di essere se stesso.

    Ci sono questi due giovani pesci che nuotano uno affianco all’altro e incontrano un pesce più anziano che nuota nella direzione opposta che fa loro un cenno con i capo e dice: «Giorno ragazzi, com’è l’acqua?»

    I due pesci continuano a nuotare per un po’ finché uno guarda l’altro e gli fa: «Ma che diavolo è l’acqua?»

    David Foster Wallace

    E figlia, figlia, non voglio che tu sia felice

    Ma sempre contro finché ti lasciano la voce

    Figlia, Roberto Vecchioni

    Prefazione

    di Nicola Morra, presidente della commissione parlamentare antimafia

    La forza di tutte le organizzazioni mafiose è da cercarsi soprattutto nella debolezza di chi dovrebbe contrastarle e, quindi, anche nell’inconsapevolezza di quei corpi sociali che, senza rendersene conto, spalancano le porte in particolare modo ai capitali e ai metodi messi in campo dalle consorterie, senza capire che si stanno mettendo dentro casa l’omicida, colui che poi li spoglierà di tutto.

    L’inconsapevolezza nasce dall’ignoranza e dalla superficialità con cui si reputa che per ottenere determinati risultati si debba andar veloci, al cuore dell’obiettivo, senza domandarsi quale sia il percorso corretto per ottenere quell’obiettivo. E allora se per esempio, per una riscossione di credito, che in molti Paesi d’Europa rappresenta una procedura non semplice, ti avvali di metodiche che sono chiaramente contra legem, tu stai legittimando l’ingresso delle mafie in circuiti che dovrebbero essere assolutamente estranei alla loro presenza. Per esempio la ‘ndrangheta, grazie al monopolio che – come spiega spesso il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri – ormai detiene da decenni su alcuni mercati di sostanze stupefacenti, e penso in particolar modo alla cocaina, gestisce capitali inimmaginabili. Capitali che hanno un unico difetto: quello di non poter essere immediatamente spendibili giacché la legislazione italiana include le misure di prevenzione di cui solo e soltanto il nostro Paese dispone con caratteristiche particolarmente restrittive. Le mafie hanno accettato di dover perdere parte di quel denaro sporco pur di poter legalmente introdurre nei mercati virtuosi tali capitali. E allora, con il motto pecunia non olet, gli antichi romani sostenevano che non si dovesse avere un olfatto particolarmente sviluppato quando si entrava in relazione con la pecunia, che all’epoca aveva anche un senso concreto, dal momento che la parola latina con cui indichiamo il denaro etimologicamente deriva da pecus e quindi da pecora, bestiame, allora una delle ricchezze principali.

    In Germania, ma anche in Olanda, in Belgio e in tante altre parti d’Europa, a parole si dice di non aver nulla a che fare con certi sodalizi, ma di fatto non si prendono in alcun modo provvedimenti che potrebbero effettivamente ostacolare l’ingresso di questi capitali e con essi delle dinamiche mafiose. Si pensa sia una questione tra italiani, tra meridionali. E questo fa sorridere: è come tornare indietro nel tempo, in quei paesi del nord Italia in cui grazie al confino arrivavano calabresi, siciliani, campani e si pensava che qualunque episodio di violenza realizzatosi in tale contesto geografico e sociale fosse circoscrivibile unicamente ai calabresi, ai siciliani, ai campani. Queste persone lavorano, vivono, consumano, votano in quei contesti e portano quella mentalità per cui tutto deve essere piegato alla logica della famiglia mafiosa, che è logica di appartenenza, di sangue.

    Bisogna far capire in tutta Europa e nel mondo cosa sia effettivamente la mafia e che cosa significhi concretamente la lotta alla mafia.

    Bisogna fare un’opera di formazione perché sempre più europei capiscano che le mafie non vanno sottovalutate, non vanno accolte, vanno combattute. Noi italiani la stiamo combattendo, soprattutto a partire dagli inizia degli anni Ottanta quando il nostro Stato si è dotato di una normativa antimafia seria, robusta e fortemente voluta da uomini come Giovanni Falcone, Antonino Capponnetto, Paolo Borsellino e da tanti altri che sono morti nella guerra alle organizzazioni mafiose.

    Una lotta che rischia di essere solo parziale se non condotta in modo coordinato almeno a livello europeo. Perché i mafiosi italiani prendono i loro soldi e li portano altrove, causa la globalizzazione del mercato dei capitali. Se quei Paesi che si trovano a ricevere tali capitali non si pongono domanda sulla loro origine, allora dovranno assumersi la responsabilità di non aver fatto quanto avrebbero potuto e dovuto fare quando erano ancora in tempo per contrastare l’emergenza mafiosa. Perché l’emergenza mafiosa ormai investe tutto il mondo e opera nei campi più disparati.

    Ci scandalizziamo per la tratta degli esseri umani, ma non lo sappiamo che dietro ci sono spesso organizzazioni mafiose? Ci preoccupiamo per l’abuso di droghe che stanno invadendo il nostro Paese e non soltanto, ma non lo sappiamo che sono le mafie a trarne vantaggio? Ci indigniamo a fronte dello sversamento di rifiuti tossici in ambienti precedentemente salubri e da salvaguardare, ma non lo sappiamo che sono le mafie a occuparsi di questo business? Ci scandalizziamo quando con atti corruttivi le mafie riescono a ottenere appalti pubblici e quindi soldi del contribuente, ma non ricordiamo che in passato c’è stato anche chi ha pensato di prendere atto di questo tipo di pratica e convivere con le mafie?

    In Italia, in Europa, le mafie si combattono ragionando, non soltanto in via astratta, ma anche facendo riferimento a realtà concrete, perché le mafie sono un pericolo per la democrazia, prima ancora che una causa di morte straordinaria.

    Per cui, e chiudo, anche i Paesi europei dovranno capire che il primo investimento da fare dovrà essere in consapevolezza e in capitale umano. Perché se i professionisti – che sono quelli a cui si appoggiano i sodalizi mafiosi per far entrare i loro mezzi, i loro metodi, in realtà precedentemente sane – capissero che ci si sporca, perché si tratta di merda, come diceva giustamente Peppino Impastato, allora già di per sé questa sarebbe una scelta verso un’etica della bellezza. E l’etica della bellezza intimamente rifiuta l’etica della violenza, l’etica della sopraffazione, l’etica della protervia.

    L’essere umano è capace di grandi cose in positivo, ma anche in negativo, sta a noi orientarci per il campo per cui vogliamo batterci.

    Introduzione

    Non è una questione tra italiani

    Pizza, spaghetti, mafia e mandolino.

    Sono alcuni degli stereotipi più ricorrenti sull’Italia all’estero. Luoghi comuni come ce ne sono tanti, salvo che ormai la globalizzazione ha resto queste peculiarità non più solo italiane: pizza e spaghetti si mangiano ovunque nel mondo, non solo nei ristoranti italiani. Pure il mandolino ha da tempo varcato i confini: sia Mozart, sia Beethoven lo utilizzarono nelle loro composizioni. E cosa dire della mafia? Anzi, sarebbe più corretto dire delle mafie, perché quelle italiane non sono le uniche e nemmeno le più potenti. Sono solo le più raccontate, quelle considerate più folkloristiche, anche grazie a film come Il Padrino e Quei bravi ragazzi. In secondo luogo, non sono più un fenomeno geograficamente solo italiano o che riguarda solamente italiani, poiché sono presenti in maniera stabile in tutti i Paesi d’Europa e in tutti e cinque i continenti. In questa diffusione planetaria, il folklore si riduce drasticamente.

    Uno dei luoghi in cui la mafia italiana è più radicata, per una questione storica legata alle migrazioni, è indubbiamente la Germania. Ma l’atteggiamento che si respira nei suoi confronti per le vie di Berlino, come per quelle di Monaco, Amburgo o Erfurt, è che si tratti di una questione tra italiani, anche quando i delitti vengono commessi in territorio tedesco.

    Peccato che poi siano molti i cittadini tedeschi che si rendono disponibili a fare da prestanome alle società collegate alla criminalità organizzata e che professionisti locali non disdegnino affatto di operare per conto di affiliati alle cosche. Anche perché in Germania, di fatto, rimangono impuniti. Se in Italia, infatti, un professionista che si metta al servizio della mafia nella maggior parte dei casi dovrà rispondere di concorso esterno in associazione mafiosa, in Germania, non esistendo un reato analogo, la sua condotta passerà più facilmente impunita tra le maglie della giustizia. Il risultato è che le mafie influenzano l’economia tedesca, immettendo sul mercato gli ingentissimi guadagni realizzati col traffico di droga e facendo concorrenza sleale alle aziende che operano legalmente. Non solo: in occasione delle elezioni, le mafie sono molto abili a dirottare in maniera puntale pacchetti di voti, in modo da condizionare, soprattutto nei piccoli centri, i risultati e, quindi, la vita democratica.

    Ma non è un problema di sottovalutazione solo dei tedeschi. Per decenni la mafia non esisteva nemmeno in Italia. In Sicilia, molti minimizzavano o negavano il fenomeno, almeno fino alle stragi degli anni Novanta, che hanno profondamente scosso e mobilitato la società civile. Ancora oggi, in molte regioni del Nord ci si ritiene immuni dal fenomeno, salvo poi essere smentiti da imponenti operazioni di polizia che portano all’arresto di decine e decine di persone per appartenenza ad associazioni mafiose.

    In Germania, quando è avvenuta la strage di Duisburg, si è parlato di una «questione tra italiani», con lo stesso atteggiamento registratosi in Nord Italia dopo i primi omicidi di ‘ndrangheta negli anni Ottanta e Novanta. Invece che prendere coscienza di un problema e cercare di contrastare le presenze della criminalità organizzata sul territorio, è risultato più facile leggerla come una «questione fra calabresi» criminalizzando tutti i cittadini provenienti dalla regione, per lo più persone oneste, e ritenendo che quei calabresi disonesti non facessero comunque parte del tessuto sociale delle città del Nord. Dopo decenni, numerose sentenze hanno mostrato che le mafie si sono insediate al Nord e hanno proliferato anche grazie a quella sottovalutazione. Nessuna regione è esente, nessun Paese del mondo lo è. Per questo occorre prendere coscienza del fenomeno, in tutte le sue sfumature, anche in quelle più difficili da accettare: ovvero che far finta di non vedere conviene. Nel caso della Germania, le mafie hanno portato soldi liquidi e servizi" che possono far comodo, come vedremo, proprio ai tedeschi: a imprenditori, politici e amministratori. Esattamente come è avvenuto nel Nord Italia.

    Riconoscere la presenza delle mafie è il primo passo per combatterle. Rifiutare il problema, pensando di non esserne coinvolti, significa fare il loro gioco, mantenerle invisibili e, involontariamente, favorirle.

    Obiettivo di questo libro è proprio quello di cercare di alzare il velo su una realtà, quella tedesca, che assomiglia tanto al Nord Italia di un decennio fa (e in alcune zone anche purtroppo di oggi). Il nostro interesse è quello di mostrare come le mafie applichino meccanismi analoghi nei vari territori avendo cura solamente di adattarli alle diverse realtà in cui si insediano.

    Quando si scrive di mafia spesso si viene accusati di voler gettare discredito su un territorio, su una realtà sociale, politica e istituzionale. Non è affatto così: se ci occupiamo di questo argomento è per cercare di tutelare una determinata realtà socio-economica e metterla in guardia sui rischi di contagio criminale che sta correndo, sperando che ne prenda coscienza e possa affrontare il problema prima che questo dilaghi incontrollabilmente.

    Il libro nasce da un’inchiesta, già uscita sulla versione online del settimanale «L’Espresso» , in cui abbiamo cercato di ricostruire in che modo la caduta del muro di Berlino abbia favorito l’insediarsi delle mafie italiane in Germania. Non è stato facile trovare materiale, visti i trent’anni trascorsi da quell’evento, ma attraverso atti giudiziari, testimonianze e ricerche negli archivi siamo riusciti a ricostruire i tratti salienti e alcune vicende che si verificarono tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta. Il libro, però, non si limita al passato: abbiamo voluto raccontare anche la realtà odierna, cercando di fotografare la situazione attuale, così come è emersa dalle ultime inchieste.

    Ovviamente non abbiamo potuto citare tutte le indagini che si sono occupate delle mafie italiane sul territorio tedesco, ma abbiamo selezionato le operazioni, le circostanze, gli eventi che abbiamo ritenuto emblematici per capire il modo in cui la criminalità organizzata si insedia in un territorio, il tipo di affari che sviluppa e gli interessi in cui è coinvolta localmente.

    Alcune persone vengono citate sulla base di ordinanze di custodia cautelare, pertanto devono essere ritenute innocenti rispetto agli addebiti che vengono loro mossi fino a quando non interverrà eventualmente una sentenza di condanna passata in giudicato. Laddove questo sia già avvenuto, viene indicato nel testo.

    L’inchiesta e i risultati delle nostre ricerche sono stati costantemente condivisi dalle autrici: per completezza indichiamo che il capitolo due è stato scritto da Ambra Montanari, il primo, il terzo e l’ultimo da entrambe e gli altri da Sabrina Pignedoli.

    Caduta del muro.

    A Berlino con le valigie piene di soldi

    A novembre 2019 ricorrono i trent’anni anni dalla caduta del muro di Berlino. Trent’anni dalla sera tiepida del 9 novembre 1989 che cambiò la storia della Germania, dell’Europa, del mondo intero. Tutto cominciò con una domanda semplice, quanto inaspettata. Poche ore prima della caduta del muro, infatti, era stata indetta una conferenza stampa del Comitato centrale della Sed (Sozialistische Einheitspartei Deutschlands, Partito di unità socialista della Germania) per parlare del nuovo regolamento sul passaggio tra le due Germanie. C’era parecchio fervore nell’aria, la caduta della Ddr era vicina, e si sapeva.

    Le nuove regole avrebbero permesso ai cittadini dell’Est di visitare l’Ovest attraverso i check-in della città, con l’idea che sarebbero poi tornati alle proprie case la sera o dopo una breve vacanza.

    Il responsabile dell’informazione del partito, Günter Schabowski, sedeva dall’altro lato di quel tavolo alla conferenza stampa. Le informazioni che aveva ricevuto sul nuovo regolamento erano parziali (o almeno, così si è deciso di scrivere la storia). Riccardo Ehrman, un giornalista italiano di origine ebreo-polacca, internato in un campo di concentramento durante la Seconda guerra mondiale, e nel 1989 corrispondente per l’Ansa, guadagna la parola e fa una domanda: quando sarebbero entrate in vigore le nuove norme? «A quanto ne so io, subito, da ora. Ab sofort», risponde Schabowski.

    Le sue parole arrivano ai tedeschi della Repubblica orientale, con i timpani tesi ad ascoltarle le radio.

    L’effetto della

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1