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La politica della paura
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E-book202 pagine2 ore

La politica della paura

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Info su questo ebook

«È una vera e propria folla. I peggiori sono quelli che appartengono a più insiemi: il migrante clandestino terrorista, lo zingaro che rapisce i bambini e li vende ai pedofili, l’utente di Internet che incita i marginali riottosi… sull’apparire di questi soggetti si fonda un’industria della paura, prospera un mercato mondiale della paura». Dalla prefazione al libro di Wu Ming 1
LinguaItaliano
Data di uscita10 ott 2013
ISBN9788897012832
La politica della paura

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    Anteprima del libro

    La politica della paura - Serge Quadruppani

    gazometro

    collana gazometro

    Reporters sans frontières, Gaza. Il libro nero

    Stefano Grazioli, Gazprom. Il nuovo impero

    AA.VV. (a cura di Matteo Tacconi), Narconomics (Disponibile in e-book)

    Renzo Leonardi, L’abc dell’energia nucleare

    Franck Frommer, Il pensiero PowerPoint. Il programma che ci rende stupidi

    Paola Garieri, L’insostenibile lentezza del processo

    Alessandro De Pascale, Telecamorra

    Serge Quadruppani, La politica della paura

    ©2011 Éditions de Seuil

    ©2011 Lantana editore srl

    Titolo originale: La politique de la peur

    Per la prefazione:

    ©2013 Wu Ming 1

    Pubblicata in accordo con Agenzia Santachiara.

    Si consente la riproduzione parziale o totale della prefazione di

    Wu Ming 1 e la sua diffusione per via telematica, purché non a scopi

    commerciali e a condizione che questa dicitura sia riprodotta.

    Traduzione di Maruzza Loria

    In copertina: Come ogni mattina. Umani e ombre, tutti al lavoro, 2011,

    dettaglio di una fotografia di Tilde Giani Gallino

    ISBN 978-88-97012-83-2

    www.lantanaeditore.com

    Serge Quadruppani

    LA POLITICA DELLA PAURA

    Prefazione di Wu Ming 1

    Indice

    Prefazione di Wu Ming 1

    Nota all’edizione italiana di Serge Quadruppani

    Introduzione

    1. Nel secolo scorso

    2. Cosa si costruisce su Ground Zero

    3. I nemici della Francia (e del resto del mondo)

    4. Fabbricazione di un nemico pubblico (1). L’Affaire Tarnac

    5. Fabbricazione di un nemico pubblico (2). Cesare Battisti e i disturbi di memoria dell’Italia

    6. La sicurezza è la guerra

    7. Per concludere. La sovversione non è la guerra

    8. Gli Avventurieri della Valle Magica

    PREFAZIONE

    di Wu Ming 1

    Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta mi capitava di leggere una rivista anarchica che in teoria era trimestrale, ma in pratica usciva con cadenza aleatoria, a seconda di quanti e quali collaboratori fossero in quel momento fuori dalle patrie galere, o di quale espediente di autofinanziamento fosse andato a buon fine. (Quanto appena detto vale, a pensarci bene, per buona parte della stampa «di movimento» degli anni Ottanta, anarchica o comunista che fosse).

    Galeotto fu il trimestrale (non soltanto i redattori!), perché su quelle pagine lessi in traduzione alcuni brani tratti da «La Banquise», una rivista radicale francese. All’epoca non sapevo che tra i principali animatori e autori de «La Banquise» c’era Serge Quadruppani. Lo sentii nominare solo più tardi, quando conobbi meglio la pubblicistica di quella che Oltralpe viene spesso chiamata ultragauche.

    Io e i miei compagni di collettivo conoscemmo Serge nell’estate del 2000, quando partecipammo alla Semana negra, il festival letterario che Paco Ignacio Taibo II organizza ogni anno a Gijon, nelle Asturie. All’epoca, Serge era già un romanziere affermato, oltreché il traduttore francese di alcuni dei nostri più rinomati scrittori, da Camilleri a Evangelisti, da Fois a Carlotto. Parlando del più e del meno, riscontrammo una grande consonanza di vedute politiche e letterarie.

    Lo rivedemmo esattamente un anno dopo, in tutt’altro contesto: le strade di Genova piene di corpi e fumiganti di gas CS (orto-clorobenziliden-malononitrile). Da allora ci siamo visti e sentiti spesso, e abbiamo condiviso lotte e viaggi. Dal 2007 è anche il nostro traduttore francese.

    Ho letto il saggio La politique de la peur quand’è uscito in Francia nel 2010. In quell’occasione, ho preso appunti che non ho avuto l’occasione di utilizzare, e quando mi è stato proposto di scrivere la prefazione all’edizione italiana (riveduta e aggiornata rispetto all’originale), ho colto la palla al balzo.

    ADESSO MI CHIEDO, COSA FAREBBERO I BUONISTI DI STI COGLIONI SE FOSSERO PARENTI DI QUESTE VITTIME? E CHE CONTINUANO A DIRE SENZA SENSO SPARANDO SUL «SIGNOR» GRILLO CHE HA ESPOSTO UNO DEI PROBLEMI PIÙ SERI DEL NOSTRO PAESE? PROBLEMI PALESI!!! PURA E SEMPLICE VERITÀ!!! LA REALTÀ DEI FATTI!!! LUI DICE: CHI PAGA PER QUESTA INSICUREZZA SONO I PIÙ DEBOLI!!! ALLORA QUANDO VI SVEGLIATE BUONISTI DI STI COGLIONI!!! O CONTINUERETE A SOSTENERLI ANCHE QUANDO VIOLENTERANNO LE VOSTRE SORELLE E AMMAZZERANNO I VOSTRI GENITORI? SVEGLIATEVI RAGAZZI, IL PROBLEMA È SERIO!! MI DISPIACE SOLO DI UNA COSA, CHE SECONDO ME VOI BUONISTI DI STI COGLIONI NON SIETE COSÌ IGNORANTI NEL CAPIRE IL PROBLEMA CHE CI CIRCONDA MA SIETE FISSATI NELLE VOSTRE IDEE E QUESTO È ANCORA PIÙ GRAVE!!! ALLORA ANDATE A-FFA-NCU-LOOOO¹!!!

    Ne La politica della paura, Serge stende un lungo e ragionato elenco dei «nemici» che, volta per volta, abbiamo visto indicare come minacce alla nostra «sicurezza». È una vera e propria folla: il terrorista insospettabile, il giovane marginale riottoso, il disadattato sociopatico, il migrante clandestino, il senzacasa che porta degrado nel quartiere, il pedofilo/pedopornografo, l’utente di internet che viola la proprietà intellettuale, lo zingaro... I peggiori sono quelli che appartengono a più insiemi: il migrante clandestino terrorista, lo zingaro che rapisce i bambini e li vende ai pedofili, l’utente di Internet che incita i marginali riottosi... Sull’apparire di questi soggetti si fonda un’industria della paura, prospera un mercato mondiale della paura, si estende una nuova sfera giuridica della paura.

    Noi crediamo che a Pontedera la questione dell’immigrazione e dell’integrazione sia molto meno rosea di quello che si vuol fare apparire: Pontedera città dell’integrazione razziale? Con interi quartieri che ormai sono diventati dei ghetti per immigrati, come la Stazione e il Villaggio Piaggio, dove una donna non può camminare tranquilla la sera dopo cena per paura di essere molestata da qualcuno che magari per la sua «cultura» (ma vogliamo chiamarla così?) considera le donne esseri inferiori di proprietà dell’uomo²?

    Serge descrive con andamento inesorabile il Grande Gioco di innovazioni tecnologiche e procedure di polizia, propaganda mediatica e attività legislativa, rimozione/riscrittura della storia e costruzione dei nemici pubblici di oggi e domani. Non c’è nemmeno bisogno di condividere in toto le premesse teoriche dell’analisi o i giudizi storici espressi per trovare utile la carrellata e ispiranti le conclusioni.

    Quello che Serge ci mostra non è altro che il nostro mondo, senza la minima trasfigurazione o «licenza poetica». Un mondo che a moltissimi appare normale, avvolti come sono nei cartocci dei «pacchetti-sicurezza», abituati come sono ai mostri in prima pagina o in homepage o in prima serata, usi come sono a considerare entertainment i processi sommari di mondane inquisizioni. Sì, è il nostro mondo: viviamo nel traffico di dati, attraversiamo l’incrocio degli schedari e delle informazioni «sensibili», andiamo in giro circondati da macchine-gendarme, macchine che spiano, apparati che origliano e registrano, scie di impulsi che pedinano persone o addirittura altre scie di impulsi.

    Novecento obiettivi puntati su strade, piazze e parchi che aiutano le forze dell’ordine a controllare e presidiare il territorio milanese 24 ore al giorno per 7 giorni alla settimana. Lo rende noto il Comune di Milano in un comunicato. Novecento occhi «per togliere spazio a criminalità e degrado»: 70 sono posizionati nell’area della Centrale, insieme a 8 telecamere «urla e sparo», e a 11 colonnine Sos. Gli altri impianti sono divisi poi fra parchi cittadini (come il Parco delle Cave che ne conta 56, Parco Sempione 75 o Parco delle Basiliche 23), quartieri e «zone a rischio» come Sarpi (5), viale Umbria (3) o viale Monza (10). «Con circa 900 telecamere Milano è la città più videosorvegliata d’Italia, eguagliando la dotazione di una città come Londra, da sempre tra le capitali europee più avanzate nell’uso della tecnologia della sicurezza». Così il vice-sindaco di Milano e assessore alla Sicurezza, Riccardo De Corato, durante il suo intervento al convegno «Tvcc: integrazione e futuro», dedicato al tema della videosorveglianza³.

    Ogni tanto, per così dire, ci diamo una «botta di vita»: ci giungono periodiche esortazioni al linciaggio e noi rispondiamo, linciamo volentieri. La nostra insoddisfazione è incanalata in scoppi di collera eterodiretti, che non solo non turbano l’ordine, ma sono funzionali alla politica della paura.

    La polizia si mette in mezzo, un ispettore cerca di far ragionare queste donne furenti. Siete brava gente, dice, la domenica andate in chiesa, e adesso volete buttare per strada dei poveri bambini? «Sììì» è il coro di risposta. Dai pannelli divelti si affaccia una ragazza, il capo coperto da un foulard fradicio di pioggia. Trema, di freddo e paura. Quasi per proteggersi, tiene al seno una bambina di pochi mesi. Saluta una delle donne più esagitate, una signora in carne, che indossa un giubbino di pelo grigio. La conosce. «Stanotte partiamo. Per favore, non fateci del male». La signora ascolta in silenzio. Poi muove un passo verso la rom, e sputa. Sbaglia bersaglio, colpisce in faccia la bambina. L’ispettore, che stava sulla traiettoria dello sputo, incenerisce con lo sguardo la donna. Tutti gli altri applaudono. «Brava, bravissima»⁴.

    È molto significativo che uno dei «casi di studio» scelti da Quadruppani sia quello di Cesare Battisti. Nell’Italia degli anni Zero vi fu un lungo, allucinato momento in cui Battisti sembrò l’uomo più meritevole di odio sulla faccia della Terra. In tutta serietà, persone che nulla sapevano di lui né della sua vicenda giudiziaria si auspicavano, sbraitando ed eiettando lapilli di saliva, che il governo italiano mandasse un commando clandestino in Francia o in Brasile, per ficcare una buona volta un proiettile in testa a quel «terrorista di merda».

    Si stava parlando di un uomo che, dopo aver fatto parte di un gruppo armato minore, sconosciuto ai più e sbaragliato quasi trent’anni prima, aveva completamente cambiato vita, sposando una donna francese e crescendo con lei una figlia. Lavorava come portinaio, scriveva romanzi, da molto tempo non commetteva reati di alcuna fattispecie e, pur senza rinnegare gli ideali di un tempo, aveva espresso nei suoi libri una chiara autocritica sulla lotta armata. Inoltre, le sentenze che lo avevano condannato in contumacia erano piene di passaggi contraddittori e più le si leggeva con attenzione, più suscitavano dubbi. Last but not least, Battisti non era che uno dei numerosi «ex-terroristi» italiani residenti all’estero, più o meno al riparo da estradizioni. Alcuni di questi avevano militato in organizzazioni più famose e preso parte ad azioni ben più eclatanti, compreso il sequestro Moro, eppure i media scelsero lui.

    Ogni giorno e metodicamente, Battisti era presentato come l’epitome del soggetto pericoloso. L’immagine era costruita a colpi di fandonie sui suoi reati («Ha sparato a un ragazzino che adesso è sulla sedia a rotelle!»), fisiognomica lombrosiana («Ha una faccia da stronzo!», «Guarda che sorrisetto cattivo!», «Gli spaccherei quel muso da carogna!») e consueto, italianissimo odio per il «culturame» («Si è messo a fare lo scrittore e a frequentare i salotti di Parigi, il signorino!»). A quanto mi consta, nessun altro, nemmeno Pietro Valpreda quand’era creduto il bombarolo di Piazza Fontana, ha mai subito un trattamento pari a quello riservato a Battisti. Addirittura, gli si carpivano foto con modalità teppistica, per poi pubblicarle senza correggere l’«effetto occhi rossi» dei flash, in modo da ottenere un volto prêt-à-demoniser. Occhi rossi = Satana.

    Correttamente, Quadruppani scrive che l’odio per Battisti si fondava sulla rimozione di quel che era accaduto in Italia negli anni Settanta. Da tempo – già dalla metà degli anni Ottanta – la memoria di un movimento radicale di massa fatto di studenti, operai, femministe e controculture giovanili era stata mortificata nella cornice narrativa degli «anni di piombo»; ora quella cornice si faceva ancora più piccola e angusta, fino a inquadrare una sola persona, divenuta il Terrorista per antonomasia.

    Tutto ciò sul vasto sfondo della War On Terror bushista, dello «scontro di civiltà», della psicosi di Al Qaeda. In un altro contesto internazionale, la querelle su Battisti non sarebbe mai scoppiata in quei termini.

    Quando la fabbrica dei mostri, pilastro e motore della grande industria della paura, trova un prodotto che «tira», si dà da fare per «infilare una macchina da guerra in ogni anfratto e in ogni buco». Quest’ultima è la definizione di fascismo data da Deleuze e Guattari, e funziona anche per la politica della paura, perché ogni fascismo è impastato con la politica della paura, e ogni politica della paura, presto o tardi, produce fascismi (si veda Alba Dorata in Grecia). Poiché la logica della guerra, del nemico da distruggere, deve permeare ogni poro della nostra pelle, non un giorno trascorre senza esortazioni a odiare il nemico di turno.

    Mi sento di dire che il principale target della propaganda securitaria è il «ceto medio» o, al plurale, i «ceti medi».

    Quest’espressione sociologizzante e indifferenziata serve a occultare la realtà di una piccola borghesia sempre più proletarizzata. Più lo strato basso della piccola borghesia si impoverisce e diventa precario, e quello alto corre il rischio di scivolare giù, più nel discorso pubblico si usa l’espressione «ceto medio». «Medio» nel senso che sta a metà strada tra i proletari e i ricchi. Ma in realtà non sta affatto «a metà strada»: è vicinissimo ai proletari e sideralmente lontano dai ricchi, che negli ultimi trent’anni sono diventati molto più ricchi, sempre più ricchi. Chiamare la piccola borghesia impoverita «ceto medio» serve a illuderla di avere ancora un barlume di status, a impedirne l’alleanza coi poveri. L’impoverito deve odiare e temere il povero. L’ossessione securitaria serve a fomentare la guerra tra poveri, e prevenire scenari come quelli che Serge descrive nell’ultima parte del libro: quelli di lotte che creano comunanza e dissipano la paura.

    Quando il dispositivo securitario addita un nemico pubblico ai «ceti medi», non li arruola per combattere in prima persona, ma li esorta a esprimere una delega. Il cittadino precarizzato e impaurito deve affidarsi ai difensori professionisti della società. Nel farlo, deve anche cedere un po’ di libertà in cambio di una promessa di sicurezza.

    Al tempo stesso, il cittadino non va escluso dalla mobilitazione:

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