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L'inferno sotto Parigi
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E-book111 pagine1 ora

L'inferno sotto Parigi

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Fantasy - romanzo breve (79 pagine) - Sotto i palazzi di Parigi, tra le ombre della Corte dei Miracoli, un orrore misterioso minaccia ladri, pidocchi, assassini e ogni cittadino di Francia. D’Artagnan e i suoi nuovi amici, i Moschettieri del re, indagano tra gli oscuri cunicoli della città sotterranea.


Sfuggito alla fame stregata dei non-morti di Meung, D’Artagnan insegue il sogno di entrare nei Moschettieri del Re.  La cospirazione dei necromanti però continua a incrociare il suo cammino: l’accoglienza che la capitale gli riserva è quanto meno movimentata, e ben presto i suoi primi avversari diventeranno i migliori amici e alleati, mentre i veri nemici si nascondono nell’ombra e nella stessa casa del corpo d'élite del Re.

La ricerca della verità condurrà D’Artagnan e i suoi nuovi amici dai palazzi del potere fino alle fogne e alle antiche catacombe, alla ricerca dell’occulta Corte dei Miracoli e dell’orrore in agguato tra le sue ombre. Solo un’alleanza con l’altro Re, quello che regna sulla parte oscura di Parigi, darà ai Moschettieri una possibilità di scampo.


Marco Rubboli è un esperto decennale di arti marziali storiche europee: scherma storica medievale e rinascimentale, pugilato greco, pancrazio, gladiatura, scherma di navaja spagnola. Istruttore al massimo livello con numerosi titoli agonistici nazionali, ha fondato la Sala d'Arme A. Marozzo e collabora stabilmente con l’Accademia Nazionale di Scherma. Conta numerose pubblicazioni in materia sia per ANS che per Il Cerchio. Ha pubblicato per Watson Per la Corona d'Acciaio, per Accademia Nazionale di Scherma il romanzo breve Gli ultimi eroi dell’arena, per Delos Digital collana HFI Ombre sulla Dacia, Il contagio di Meung, collana History Crime La danza pietrificata, collana Innsmouth La Signora delle caverne e racconti per Watson, Plesio, Sensoinverso, Book Magazine, Hyperborea e Ignoranza Eroica.

LinguaItaliano
Data di uscita27 set 2022
ISBN9788825421781
L'inferno sotto Parigi

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    Anteprima del libro

    L'inferno sotto Parigi - Marco Rubboli

    Capitolo I

    Finalmente Parigi! … e una persona già vista.

    Dopo che la polvere – quella della distruzione portata dai morti viventi e quella nera, da sparo, che avevamo usato noi per distruggerli – si fu depositata, e dopo che io mi fui riavuto dallo spavento e dalle fatiche di quelle ore terribili, ripresi la strada per Parigi. Nemmeno tutto l’orrore che ero stato costretto ad affrontare a Meung aveva potuto dissuadermi dal mio intento di arruolarmi nei Moschettieri del Re!

    Dato che il mio cavallo giallo, poverino, era scomparso, mi toccò avviarmi a piedi, facendo affidamento solo sulla resistenza delle mie gambe e la tenacia del mio giovane spirito.

    Mentre percorrevo le vie del reame con solo la larga tesa del mio cappello a proteggermi dai raggi spietati del sole, cercavo le tracce del passaggio di coloro che avevano provocato tutto quello sfacelo nella sventurata cittadina di Meung-sur-Loire: lo sconosciuto arrogante in viola e quella bellissima quanto ambigua Milady.

    Non cessava di sorprendermi l’aspetto tranquillo e bucolico di quelle campagne, dopo la devastazione che avevo avuto sotto gli occhi nel borgo, che per breve tempo era diventato la mia casa e il mio inferno, dove avevo dovuto fronteggiare una morte peggiore della morte. E dove d’altro canto avevo trovato compagni coraggiosi e leali con cui affrontare e vincere un incubo di cui avrei mai sospettato l’esistenza, se non me lo fossi trovato davanti agli occhi. Eppure non potevo fare a meno di pensare che anche quelle fattorie, quei contadini, quei villaggi dediti a una vita senza troppi pensieri sotto la protezione delle armi del Re avrebbero potuto cadere in qualunque momento in preda a orde di non-morti affamati, se solo fosse passata di lì la carrozza di Milady e avesse scaricato una decina di mostri macilenti, magari nella piazza davanti alla chiesetta locale subito dopo la messa.

    Questi erano i miei pensieri, che non avrei confessato a nessuno per non spargere il panico fra i giocondi abitanti del paese, mentre marciavo nella polvere delle strade della dolce Francia sotto un forte sole primaverile.

    Quanto al mio aspetto, invece, sebbene fossi a piedi non era così male, a parte il fatto che nessuna partigianeria a mio favore mi potrà far dire di essere mai stato un bel giovane: anche allora, pur con il favore dell’età, parevo una versione giovane di Don Chisciotte, con i capelli lunghi alle spalle e un pizzetto non troppo curato. Però indossavo buoni stivali nuovi, dono del capitano Dupont, e i vestiti di Monsieur Picard, usati ma non troppo, che sua moglie aveva pensato di donarmi come ringraziamento per aver salvato lei e la sua famiglia. Alla cintura avevo una grossa pistola dono del sergente Murat e la spada di mio padre, la cui lama era spezzata; ma finché restava nel fodero nessuno poteva saperlo. Né comunque io avevo più tanta voglia di attaccar briga con chicchessia. La punta della spada, che aveva bevuto il mio sangue tagliando l’interno della mano che la brandiva e che mi aveva salvato la vita, non mi ero sentito di buttarla, e la tenevo insieme alle mie altre poche cose in un fardello che portavo legato in cima a un robusto bastone. In realtà devo confessare che il fardello era ben poca cosa, e mi serviva più che altro come scusa per portare con me il bastone, che – dopo le botte ricevute al Franc Meunier – non disprezzavo più come arma di fortuna.

    Avevo insomma l’aspetto di un gentiluomo già di per sé non ricco e caduto per di più in qualche tipo di disavventura; il che corrispondeva, semplicemente, al vero!

    Di conseguenza i contadini nell’incrociarmi si levavano magari il cappello in segno di saluto e riverenza, ma nessun oste mi avrebbe fatto credito di un soldo bucato al momento di fornirmi una cena, un fiasco di vino o un letto per la notte.

    Non mi ero allontanato da Meung più di qualche lega che, passata una curva della via, vidi il mio brutto cavallo giallo intento ad abbeverarsi in un fosso fangoso. Non vi dico che gioia mi provocò constatare che quella bestiaccia era scampata ai morsi dei demoni. Evidentemente si era in qualche modo liberato, tirando e scalciando da quel mezzo mulo che era, e si era dato alla fuga in tempo per salvarsi. Eh, con quel che costava a me di colpi di tacco e imprecazioni costringerlo anche solo al trotto, davanti al branco di mostri bercianti doveva aver preso un galoppo che nemmeno i purosangue della stalle di Sua Maestà gli sarebbero stati dietro. Buon per lui.

    Ritrovarmelo davanti in quel momento fu come rivedere un compagno di mille avventure che si credeva ormai perduto. Era solo un vecchio ronzino dal colore inguardabile ma mi ricordava casa mia e i miei genitori, e in fondo mi ero preso una bella dose di bastonate per difendere il suo onore. Quindi c’era qualcosa che, sia pure un po’ a mio dispetto, ormai ci legava.

    Così mi avvicinai lentamente, in modo cauto e rassicurante, per non farlo fuggire. Doveva essere ancora nervoso per quel che aveva visto. Scrutai i suoi occhi: non erano più dilatati dal terrore. Sembrava ormai tranquillo. Accettò che mi approssimassi a lui tenendomi placidamente sotto controllo con la coda dell’occhio, fino a che riuscii a posargli una mano sulla criniera, carezzandolo e allo stesso tempo prendendo le briglie, senza tirarle. Aspettai con pazienza che avesse finito di bere dopodiché lo tirai morbidamente verso la strada. Si lasciò guidare al centro della via, e poi avanti. A quel punto, dato che i rapporti fra me e il mio buon ronzino sembravano ristabiliti senza fratture e senza rancori, mi azzardai a montare in sella.

    A parte una specie di starnuto e uno sputacchio, il mio fiero destriero non ebbe alcuna reazione, così separai il fagotto dal bastone e fissai entrambi alla sella, uno a ogni lato.

    Ecco, adesso ero di nuovo un gentiluomo di provincia in viaggio, e non uno che avesse perso la sua cavalcatura. Era già qualcosa.

    Il resto del percorso lo trascorsi tranquillamente, nonostante il mio sguardo restasse sempre in ansiosa ricerca della carrozza di Milady o del vestito violaceo dello sconosciuto che mi aveva fatto bastonare senza pietà.

    La maestosa vista delle mura della capitale mi fece tirare le redini per fermare il mio Ronzinante e poter ammirare con tutta calma Parigi che si estendeva innanzi a me. Là riposavano tutti i miei sogni e le mie speranze. Tutta la potenza, lo sfarzo e la ricchezza del Regno si concentravano laggiù, pronte per essere ghermite dalla mano ardimentosa di un giovane guascone in cerca di fortuna e gloria.

    Tirando un profondo respiro diedi di sprone verso la capitale… e il mio ronzino color zafferano non si mosse affatto. Al contrario, si mise a brucare l’erba come se niente fosse. E quanto mi costò in calci e urla e imprecazioni convincerlo a muoversi!

    Appena al di là della Porta Saint-Antoine c’era lo stabilimento di un mercante di cavalli. Per un attimo fui tentato di disfarmi del povero Ronzinante; non me lo avrebbero pagato molto, ma avrei potuto farci almeno tre scudi: meglio poco che niente, in fondo. Soprattutto dovendo sopravvivere a Parigi per un po’ senza alcuna certezza sull’accoglienza che Monsieur de Treville mi avrebbe riservato. Inoltre i capricci di quel brocco avevano in gran parte cancellato quel senso di fratellanza che il comune pericolo aveva suscitato in me; in gran parte, ma non del tutto. Infatti, dopo aver indugiato un momento su quelle valutazioni, scossi la testa e diedi di sprone. Questa volta, come se avesse intuito qualcosa, il cavallo si affrettò a riprendere il cammino.

    Entrambi giravamo la testa di qua e di là, incantati da tutta quella gente che affollava le strade e dalla quantità e la mole dei palazzi che ci circondavano. Due veri provinciali, insomma!

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