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Omicidio nella grotta
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E-book206 pagine2 ore

Omicidio nella grotta

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Giallo - romanzo (173 pagine) - Il commissario Grandi indaga su un omicidio perpetrato a 200 metri di profondità


Un’assortita comitiva di turisti smarrita in una grotta carsica rivestita di ghiaccio della Provenza: può una situazione degna di un romanzo d’avventura trasformarsi nello scenario del più classico dei gialli? Sì, se della spedizione fanno parte il commissario Grandi e il suo assistente-biografo Tommaso Testi.

Far luce sull’omicidio perpetrato a 200 metri di profondità può non bastare per consegnare alla giustizia chi lo ha commesso, perché il buio, il freddo e la fame non danno tregua e la possibilità che arrivino i soccorsi è sempre più remota…

Non dunque le strade, i palazzi e i locali confortevoli di una metropoli, ma intricati cunicoli, spaventosi abissi e acuminate stalattiti faranno da sfondo al puntuale e sorprendente disvelamento della verità, l’unica cosa che sembra importare all’attempato ed eccentrico detective anche in quella disperata condizione.

Un’ambientazione suggestiva e anomala per il più tradizionale dei gialli, a firma di un originale interprete del “mystery”.


Fabio Scaletti (Milano, 1964) è scrittore e critico d’arte. Laureato in filosofia, si è occupato di estetica “sconfinando” nella storia dell’arte. Esperto di Caravaggio e studioso del Rinascimento, tra le sue ultime pubblicazioni, alcune tradotte in varie lingue, ricordiamo: Caravaggio. Catalogo ragionato delle opere autografe, attribuite e controverse (2 volumi, Napoli, 2017), Il Rinascimento nei Musei Italiani (con Claudio Strinati, Reggio Emilia, 2017), Leonardo. Il Genio (Torino, 2018), Raffaello. Il Principe delle Arti (Torino, 2019), Caravaggio. Il Pittore della Luce (Torino, 2020), Michelangelo (Bologna, 2021).

Negli anni Novanta ha ideato la figura del commissario Leonardo Grandi, protagonista di romanzi e racconti gialli in stile inglese ma ambientati per la maggior parte a Milano. Per Delos Digital sono già usciti Delitto alla Statale e Il mostro del Corvetto. Ha anche scritto Storia (e filosofia) del giallo, sempre pubblicato da Delos Digital.

LinguaItaliano
Data di uscita12 set 2023
ISBN9788825425949
Omicidio nella grotta

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    Anteprima del libro

    Omicidio nella grotta - Fabio Scaletti

    A mio zio Giorgio.

    Poi un giorno mi dirai

    com’è questo libro…

    Nota dell’autore

    Questa storia, in ordine cronologico, cioè per come le avventure del commissario Grandi furono via via ideate e pubblicate la prima volta, sarebbe l’ultima della serie ma è solo la terza in questo progetto di riedizione dell’intero ciclo. Tuttavia in quel tempo – giusto vent’anni fa, e tale anzianità la si comprende dalla digressione tecnologica iniziale – non pensavo che lo fosse. Gli interessi e forse le priorità però mutarono e, se sono rimasto scrittore, non lo sono più stato, fino a oggi, nel campo della narrativa poliziesca avendo optato per la saggistica, segnatamente d’arte. Nondimeno dentro di me ho sempre accarezzato il sogno di riabbracciare il mio primo amore, magari facendo tornare il prode commissario sul lacustre luogo del delitto inaugurale, e chissà che in futuro ciò non possa accadere, purché l’ispirazione e la disposizione diano il loro benestare, dal momento che, per come intendo io l’arte letteraria, ci vuole un’invenzione convincente (sennò è fatica sprecata scrivere) e il tempo giusto per svolgerla come si deve (il mio metodo di lavoro richiede alcuni mesi consecutivi da dedicare in via esclusiva, circostanza rara da incontrare in quella che come si suol dire è la nostra frenetica vita moderna).

    Riguardo l’episodio che segue, esso è il risultato della volontà di ambientare un giallo di stile inglese in un luogo chiuso diverso dal solito, quindi non un’isola, una villa, una nave, un treno, bensì una grotta sotterranea – che qui posso confessare era quella di Dargilan, in Occitania, che perlustrai qualche anno prima in un viaggio nel sud della Francia – e la sfida che mi ero imposto di affrontare era quella di vedere se in una situazione così sigillata e priva di possibilità di utili cambiamenti di scenario sarei riuscito a mantenere la suspense per il tempo consono a un romanzo, che spazialmente si traduce in almeno centocinquanta pagine. A his majesty il lettore, ovviamente, l’ardua sentenza.

    Milano, giugno 2023

    Personaggi

    ROSANNA EREDE

    Guida della spedizione

    Escursionisti:

    BRUNO ADAMI

    Miliardario

    FRANCO CAVALEGNO

    Agente di commercio

    GLAUCO MARCHESONI

    Generale in congedo

    STEFANIA PACINI

    Liceale

    ORAZIO VICERÈ

    Autostoppista

    JOLE BERRUTI

    MARILENA CURNA

    Due amiche

    GASPARE SCORZESI

    LUCIANA SCORZESI

    Attempata coppia di turisti

    LEONARDO L. GRANDI

    Commissario di polizia in pensione

    TOMMASO TESTI

    Assistente di Grandi

    e narratore della storia

    Prologo

    Pervenni all’entrata d’una gran caverna…

    Subito salsero in me due cose: paura

    e desidèro; paura per la minacciante

    e scura spilonca, desidèro per vedere

    se là entro fusse alcuna miracolosa cosa.

    Leonardo da Vinci

    L’altro giorno ho acquistato un cellulare, o meglio, per evitare fraintendimenti, favoriti anche dalla mia professione investigativa, un telefono cellulare, uno di quegli apparecchi che ti permettono di chiamare in qualsiasi punto ti trovi qualunque parte del globo (e danno il destro agli altri di importunarti implacabilmente). Ho sempre provato fastidio per i comportamenti di massa. Se una cosa è di moda, il mio primo impulso è quello di contrastarla, e questo non per spirito di protesta (spesso non c’è nulla di così allineato e conformista come la smania di ribellione), bensì semplicemente per rispetto dell’individualità, ossia di ciò che si è, e del senso della giustizia, ossia di ciò che è sbagliato o meno. Sarà per questo che non mi sono mai lasciato convincere a fumare una sigaretta oppure a bere qualcosa di diverso da acqua, latte o bibite gassate da feste all’asilo, e sarà per questo che mi sento tagliato fuori dal mondo. Tornando alle cornette semoventi, ricordo che quando, alcuni anni fa, iniziarono a prender piede, dichiarai che non avrei mai speso dei soldi per un oggetto che mi pareva il massimo dello snobismo, l’apoteosi del superfluo, perché non riuscivo a immaginare cosa ci potesse essere di così impellente da comunicare che non potesse essere rinviato a quando si fosse rincasati o si avesse a disposizione una cabina pubblica. Capivo l’esigenza per un agente di Borsa e per un allibratore d’alto rango di assumere delle decisioni con tempestività, come pure quella di essere sempre reperibile per gli interventi d’urgenza da parte di un prestigioso chirurgo o di una scrupolosa squillo, ma io generalmente sentivo più che altro rifinite signore comandare alla domestica che era tempo di buttare la pasta o giovinastri informare i complici di baldoria sull’indirizzo del ritrovo notturno. Poi, buon ultimo, sulla scorta di considerazioni utilitaristiche, perché qualche volta occorre dare retta all’universo esterno e subordinargli il proprio, mi sono arreso anch’io e ora non faccio un passo senza questa edizione aggiornata delle ricetrasmittenti. Dovessero proibirla mi sentirei menomato, come se fossi afono. Anche con i ritrovati della tecnica è tutta una questione di abitudine. Già oggi comincio a considerare meno stravaganti quei passanti che fino all’altro giorno mi inducevano a cambiare marciapiede perché parevano degli svitati immersi in un monologo mentre in realtà sono degli stimati cittadini che parlano nel microfono inserito nella giacca e ascoltano con l’auricolare. Si fa il callo a tutto…

    Eccolo qua, il mio fedele telefonino agganciato alla cintura. Lo avessi avuto quel giorno, forse l’angosciosa e logorante avventura nella grotta ghiacciata avrebbe preso una piega completamente diversa (allora, appesa ai pantaloni, avevo un’altra apparecchiatura, che incise comunque sullo sviluppo dei fatti). Ma i primi esemplari furono in commercio o comunque diffusi con una certa ampiezza appena qualche tempo dopo, per cui gli eventi si dipanarono come adesso li sto per ripercorrere, a ennesima conferma che la storia delle tecnologie influenza quella dei crimini. E per far ciò devo fidarmi unicamente (e il mio impietoso maestro d’indagine avrebbe detto ben ti sta!) della mia memoria e dei miei appunti, perché… il perché, come in tutte le storie, vere o false che siano, sarà chiaro alla fine.

    Capitolo I

    Due turisti in terra di Francia

    Cosa mai può capitare in vacanza a chi, come me, si accompagna sempre a un soggetto dal destino predominante come Leonardo Lelio Grandi? Se il minimo che ci si possa attendere dal bazzicare un ladro è l’essere arrestati, dal praticare una casa di tolleranza l’essere sedotti, e dal frequentare una bisca l’essere imbrogliati, cosa è lecito aspettarsi se si passano le giornate con un investigatore che per oltre quarant’anni ha avuto a che fare con filibustieri, delinquenti e assassini? L’essere assassinati! potrebbe rispondere una persona di spirito seguendo il filo del ragionamento. Ma poiché l’arguzia non è qualità esclusiva del nostro immaginario interlocutore, gli facciamo ossequiosamente notare che, essendo il sottoscritto, sia pure per miracolo, ancora in grado di raccontare gli avvenimenti da cui si è preso spunto, non l’essere ammazzati bensì l’assistere a un ammazzamento è la situazione più probabile, e invero assai meno seccante, che può succedere di sperimentare.

    D’altro canto, quando varcai la soglia di quella caverna sotterranea, ero io stesso ben lontano dal credere nella plausibilità della lugubre circostanza a causa della quale sarei diventato spettatore di una spietata azione criminosa.

    * * *

    I viaggi di piacere sono, per definizione, una bella cosa, e ancora più gradevoli diventano quando sono gratuiti e quando vengono vissuti in gentile compagnia. È noto che la possibilità di non sborsare un quattrino rende appetibile anche ciò che di regola non lo è, altrimenti non si comprenderebbe la generale bramosia per quei gadget che vengono regalati alle fiere, scartati come superflui se visti nelle vetrine di un negozio, o il convinto apprezzamento per i salatini liberamente prelevabili dai banconi dei bar, disprezzati come merce avariata se fossero pagati. Ed è altrettanto risaputo, almeno per chi ha inclinazioni letterecce consolidate nei millenni, che la disponibilità di una creatura di sesso opposto rende passabile anche la sosta in un motel americano o, per parlare dei massimi sistemi, vivibile persino una vita grama, altrimenti non si spiegherebbe l’esistenza del genere umano. Nell’occasione che mi permise di conoscere un’area circoscritta, ma sempre ampia, del sud della Francia (che se per i revanscisti non è una grande nazione resta comunque una nazione grande), solo una delle due liete condizioni suddette, e cioè gratuità e presenza femminile, si verificò, perché mentre il tour mi era stato effettivamente offerto, la persona che guidava in quel momento la rombante spider che mi stava scorrazzando a gran velocità da una località all’altra del piatto territorio transalpino non era proprio una avvenente ventenne ma un settantenne investigatore, e i capelli sferzati dal vento non erano quelli folti, morbidi e lucenti di una fanciulla selvaggia ma quelli radi, ispidi e nivei di un pensionato altrettanto brado. D’altronde, occorre ammettere che il mutamento del compagno di avventura avrebbe automaticamente comportato l’annullamento dell’altra condizione favorevole summenzionata, e la vacanza sarebbe stata da inserire nell’antipatica voce dei costi. Il motivo che aveva spinto Grandi a concedersi delle ferie (per quanto in ferie ci vivesse), estendendo l’opportunità di evasione anche al suo fido assistente, risiedeva nel fatto che aveva vinto a una lotteria paesana un viaggio messo in palio da un’agenzia turistica, e solo un siffatto colpo di fondoschiena poteva indurlo a impiegare l’intervallo di quiete tra un’indagine e l’altra in un modo alternativo rispetto a quello da lui preferito, che preventivava una serie di battute di caccia nella zona del lago di Como, dove sonnecchiava il villaggio in cui ufficialmente dimorava, oppure in qualche landa sconsacrata della ex Jugoslavia dove era permesso fare fuoco anche fuori stagione, possibilmente contro un animale. Poiché il premio consisteva in un viaggio spesato per due, e siccome Grandi, pur subendo il fascino delle curve muliebri almeno quanto quello dei tourniquet, aveva comunque raggiunto un’età in cui quell’attrattiva non è il motore primario di qualsiasi azione, fu il sottoscritto a giovarsi della sua buona sorte con le riffe pubblicitarie, per cui una settimana di vacanza a ufo nella parte settentrionale della Provenza mi era stata assicurata.

    Quel giorno Leonardo ed io avevamo in programma la visita a una grotta sotterranea scavata nel ghiaccio che, stando a quello che riportava il materiale illustrativo di cui eravamo diabolicamente stati corredati, avrebbe obbligato un turista a non guardarsi più allo specchio per gli anni a venire se avesse tralasciato di farla oggetto di una deferente perlustrazione. Sembra infatti che a proposito dei luoghi del mondo da vedere valga per il viaggiatore italico lo stesso principio valido per il ginecologo gay delle modelle riguardo le parti del corpo da toccare: il meglio sta comunque altrove. Dalle copiose informazioni che erano in nostro possesso, avevamo presente la singolare procedura, di stampo più teutonico che latino a onor del vero, che si doveva seguire per avere la possibilità di esplorare i meandri della grotta carsica con l’ausilio di una guida esperta, la cui presenza era peraltro irrinunciabile se non si voleva finire sotto terra, o meglio, vista la circostanza, se non si voleva finire definitivamente sotto terra per essersi persi. I turisti, che avevano dovuto prenotare per tempo la gita, venivano ripartiti in gruppi a seconda della patria di origine, e a ogni comitiva era abbinata una guida che fosse della stessa nazionalità degli appartenenti o che comunque parlasse fluentemente il loro idioma, cortesia nel caso nostro davvero tempestiva in quanto, a parte l’italiano, l’unica lingua che Grandi conosceva vagamente era quella salmistrata. Le spedizioni nel sottosuolo avevano cadenza bisettimanale, il martedì e il venerdì, e le partenze, nel caso di raggruppamenti nazionali particolarmente numerosi, venivano scaglionate in due fasi, una alla mattina e una di primo pomeriggio, cioè quando la squadra precedente terminava quella gita nella grotta che aveva iniziato qualche ora prima. In pratica, per tre o quattro ore, il tempo mediamente necessario per percorrere all’andata e al ritorno l’estensione della spelonca, un’unica compagnia ne era l’assoluta padrona. Dal momento che ci era stato detto che la spedizione degli italiani, per la stessa ragione che ci fa incontrare un nostro connazionale in qualsiasi angolo del pianeta, sarebbe stata ripartita in due tronconi, Grandi ed io avevamo deliberato di dedicare la mattinata di quel venerdì all’esame minuzioso e per certi versi stucchevole del Palazzo dei Papi di Avignone, meta doppiamente ortodossa del pellegrino  impreparato. Quando, all’incirca alle due del pomeriggio, dopo aver percorso circa quindici chilometri a tavoletta, raggiungemmo la località dove sorgeva, anzi dove sprofondava, la caverna in questione, eravamo più stanchi di quanto lo saremmo stati se avessimo proseguito a tamburo battente l’attività professionale di cui quella vacanza doveva rappresentare un momento di rottura, e magari di ristoro. Il mio giovanile collega d’indagine parcheggiò in una zona ombreggiata, di fianco a una specie di limousine targata Montecarlo, la stretta fuoriserie che aveva duramente messo alla prova sulle sinuose strade della campagna circostante, e poi si apprestò a lanciarsi insieme a me alla spasmodica ricerca di un posto dove estinguere la sete desertica che ci stava divorando. Era un giornata calda, come del resto la stagione imponeva, e a poco sarebbe servita la borraccia che Leonardo mi aveva consigliato di prendere e che io, in catalessi per il risveglio al levar del sole, mi ero ad ogni buon conto scordato di riempire dopo averla obbedientemente collocata nella borsa insieme alla mia macchina fotografica.

    Grandi era abbigliato come un turista, cioè malamente, con un paio di sandali aperti, calzoncini flosci al ginocchio che lasciavano in bella mostra, si fa per dire, la cortezza delle calze grigiastre e una antica camicia cachi, ricordo della guerra d’Africa di un suo commilitone, esibita con noncuranza fuori della cintura, neanche fosse un camice da magazziniere. Io sfoggiavo una tenuta meno indegna, con un paio di scarpe da tennis, dei normalissimi jeans azzurri e una maglietta a righe orizzontali che potevo portare senza sembrare una salsiccia tolta dalla graticola in virtù di uno dei pochi privilegi derivanti dal dimostrare una magra figura.

    – Tommaso, lascia il finestrino abbassato di due dita – mi ordinò lo stagionato pilota spedendomi per via aerea le chiavi – Sennò al nostro ritorno lo troviamo cotto. E non sbattere la portiera, lo sai che gli dà fastidio.

    A chi si riferisse Grandi è presto detto. Mentre le coppie in vacanza o sono da sole o sono scortate da un marmocchio, noi ci trascinavamo dietro un cane. Va detto che noi, per fortuna, non eravamo una coppia nel senso sentimentale del termine, per cui era ovvio che non ci fosse alcun bebè, né il presupposto che un pargolo arrivasse, ma la considerazione che Leonardo aveva per il suo setter era tale che la differenza risultava essere impercettibile perché il segugio era oggetto di tutta quella monumentale sequela di premure che solitamente viene riservata a un figlio in fasce. Basti dire che, al paese, teneva in giardino la carcassa di un’automobile ad esclusivo uso di dispensa per il pane secco destinato alla zuppa canina. Del resto, nel mobile della cucina c’era la lattina dell’olio per il motore anziché quello d’oliva per l’insalata.

    Non essendo a Milano, dove di notte sempre

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