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Gli aruspici etruschi a Roma dal VII agli inizi del IV secolo a.C.: Analisi critica delle fonti
Gli aruspici etruschi a Roma dal VII agli inizi del IV secolo a.C.: Analisi critica delle fonti
Gli aruspici etruschi a Roma dal VII agli inizi del IV secolo a.C.: Analisi critica delle fonti
E-book130 pagine1 ora

Gli aruspici etruschi a Roma dal VII agli inizi del IV secolo a.C.: Analisi critica delle fonti

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 L’aruspicina era, insieme all’ars fulguratoria, una delle due forme tipiche della divinazione etrusca, e aveva come fine la ricerca scrupolosa della volontà divina attraverso la lettura e l’interpretazione delle viscere degli animali ed in modo particolare del fegato.
Dalle fonti antiche che ricordano aruspici etruschi a Roma apprendiamo una serie di informazioni su questi personaggi e sulla loro dottrina. In questo breve studio vengono presi in considerazione i primi cinque casi in cui è attestato l’intervento degli aruspici etruschi nella vita dello stato romano, a partire dal VII secolo a.C. e fino al V secolo a.C.: attraverso un esame critico delle fonti si sono fatti i passi fondamentali e usuali della critica storica con lo scopo di accertare il grado di attendibilità delle notizie riportate e verificare la presenza o meno di notizie storiche relative alla parte sostenuta dagli aruspici già in epoche così antiche.
LinguaItaliano
Data di uscita28 ott 2022
ISBN9788899029920
Gli aruspici etruschi a Roma dal VII agli inizi del IV secolo a.C.: Analisi critica delle fonti

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    Anteprima del libro

    Gli aruspici etruschi a Roma dal VII agli inizi del IV secolo a.C. - Daniela Cermesoni

    INTRODUZIONE

    Gruppi sociali, una volta stanziatisi stabilmente su un territorio, possono dar origine a organizzazioni politiche di cui lo stato è il caso più tipico; questo processo avviene per fine di difesa, di ordine interno - e dunque di giustizia - di progresso sociale, di benessere; compito di uno stato è tendere al compimento di queste finalità, e una delle modalità grazie alle quali può raggiungere ciò consiste nello sviluppo e nel controllo delle relazioni tra i vari gruppi sociali che lo compongono. Tale processo è avvenuto anche nello stato romano, che ha colto, a partire dal VI secolo a.C., la necessità di strutturare e organizzare i rapporti esistenti tra il popolo e le divinità protettrici, vedendo un elemento di stabilità nella presenza di interpreti di segni straordinari, che svolgessero un ruolo di mediazione tra il mondo degli dei e quello degli uomini.

    L’interpretazione dei segni straordinari era effettuata a Roma per mezzo dell’auspicium, ovvero l’osservazione del volo degli uccelli, tipico della divinazione romana e ritenuto di origine antichissima (Romolo stesso sarebbe stato augure)¹, oppure per mezzo dell’aruspicina.

    L’aruspicina era, insieme all’ars fulguratoria, una delle due forme tipiche della divinazione etrusca, e su di essa siamo ben informati da Cicerone:² aveva come fine la ricerca scrupolosa della volontà divina attraverso la lettura e l’interpretazione delle viscere degli animali ed in modo particolare del fegato.³ Presupponeva l’osservazione sistematica di eventi eccezionali, con regole basate sull’analogia; era strutturata quindi in un corpus elaborato in sistema complesso, e questo implica una cultura di tipo superiore, che può rendere accettabile la disciplina stessa nel momento in cui si è pronti ad accettare il suo principio informatore.

    Gli aruspici etruschi erano i sacerdoti divinatori adibiti all’interpretazione dei segni degli dei attraverso l’osservazione degli exta, e in particolare del fegato, e in secondo luogo a quella che in latino si chiamava procuratio, ovvero all’indicazione delle cerimonie espiatorie.

    Il termine haruspex è una parola ricca per noi di informazioni. Ha una chiara formazione latina deducibile dal suffisso -spex, affiancabile ad altri termini come iu-dex, sacer-dos, arti-fex; per quanto riguarda la prima parte haru-, una bilingue proveniente da Pesaro conferma che non è parola di provenienza etrusca: è ormai accertato che il termine usato in lingua etrusca per indicare l’aruspice fosse netśvis.⁵ La sua etimologia (< hira?? viscere) non è sicura: secondo Pfiffig è probabilmente connessa con haruga, antico termine sacrale per hostia,⁶, mentre Boissier⁷ vi legge la presenza del termine assiro har­ fegato, ma questa tesi presupporrebbe un legame tra l’aruspicina etrusca e quella babilonese che non è a tutt’oggi dimostrata. Ernout e Meillet sottolineano possibili analogie con le lingue indoeuropee e considerano haruspex una regolare parola latina.⁸

    Più recentemente si è proposto di identificare una radice etr. far-/har-, traducibile come entrare, da cui deriverebbe la possibilità di un nome etrusco alla base del primo termine del composto haru-, col possibile significato di interiora⁹.

    La prima attestazione latina di questo termine si ha nell’Amphitruo di Plauto: hariolos, haruspices mitte omnes.¹⁰

    La lingua greca, invece, non possedeva un termine il cui significato corrispondesse esattamente al latino haruspex; Dionisio riferisce che Romolo prescrisse l’intervento da ciascuna tribù nei sacrifici di un μάντιν […] ὃν ἡμεῖς μὲν ἱεροσκόπον καλοῦμεν, Ῥωμαῖοι δὲ ὀλίγον τι τῆς ἀρχαίας φυλάττοντες ὀνομασίας ἀρούσπικα προσαγορεύουσιν¹¹ "un indovino, che noi chiamiamo ieroscopon e i Romani chiamano aruspice conservando una piccola parte della dell’antica denominazione, ma si serve anche della voce τερατοσκόπος (letteralmente che osserva i prodigi) oppure μάντις indovino".

    In Etruria gli aruspici sono testimoniati in larga misura a partire dal III secolo a.C.: esempi significativi di arte figurativa sono uno specchio inciso da Tuscania e il coperchio di un’urna del Museo Guarnacci di Volterra. Lo specchio riporta sulla sua superficie cinque figure graffite, dei quali sono indicati i nomi¹²: il personaggio anziano, con la barba, è avl tarχunus Aulo figlio di Tarchon, il giovane che osserva il fegato è pava tarχies, entrambi con il costume tipico degli aruspici. Tra di loro una figura femminile, Ucernei, e ai lati due divinità, senza vesti, Raθlθ e Veltune. Nella sezione superiore è raffigurata una dea con la quadriga, in quella inferiore, che occupa anche il codolo, un demone alato che sorregge tutta la scena. L’esegesi dello specchio è cominciata con Pallottino che cautamente vedeva nei due aruspici Tarchon, l’eroe fondatore di Tarquinia (e la vicinanza tra Tuscania e Tarquinia, che distano una ventina di chilometri, avvalorerebbe questa ipotesi), e Tages, il genietto che avrebbe rivelato parte dell’Etrusca Disciplina, proprio nell’atto di insegnare a Tarchon l’arte della divinazione.¹³ Cristofani, dopo una prima interpretazione di un agone tra aruspici,¹⁴ ha riconsiderato la sua posizione vedendo nel personaggio barbato un militare in attesa del responso da parte del giovane aruspice.¹⁵ Torelli si sofferma invece sull’aspetto della trasmissione della disciplina, sottolineando il parallelismo tra le figure che simboleggiano il cielo e gli inferi, a incorniciare la scena che si svolge sulla terra¹⁶.

    Sul coperchio dell’urna di Volterra, datata al I secolo a.C., è rappresentato il defunto, che dall’iscrizione sappiamo essere Avle Lecu, figlio di Laris, morto all’età di trentacinque anni. La presenza di un modello di fegato nella mano sinistra ci indica con attendibilità che era stato un aruspice.

    Wikimedia Commons (Licence CC-BY-SA 4.0)

    Alcune gemme etrusche sono state studiate da Alföldi,¹⁷ secondo il quale esse, che nella linea di evoluzione hanno preso il posto degli scarabei etruschi, rappresentano una scena di aruspicina; sarebbero dunque databili a partire dai primi decenni del III secolo a.C. in poi. La datazione viene rafforzata da Beazley che, descrivendo uno scarabeo etrusco su cui compare un personaggio con un bastone in mano, chinato verso una testa, lo colloca non prima della fine del V secolo a.C.:¹⁸ tale terminus post quem (peraltro non ulteriormente precisato), dimostra come il dato cronologico di Alföldi possa essere considerato attendibile. Queste rappresentazioni vanno dal tipo più semplice, con un personaggio che indica con un bastone una testa posata sul suolo¹⁹ (tav. 1-2), a variazioni più elaborate, nelle quali due figure in toga ascoltano il personaggio che indica, sempre con un bastone, una testa²⁰ (tav. 3-14).

    La più completa rappresentazione di questa scena si trova su una miniatura del Cabinet des Médailles a Parigi²¹ (tav. 15-15a).

    È importante notare, ai fini del nostro lavoro, che nell’interpretazione di questa scena Babelon spiega la figura centrale come quella di un veggente etrusco.²²

    Fegato di Piacenza

    Immagine fornita dai Musei Farnese

    Disegno del Fegato di Piacenza

    by De Grummond, Nancy – CC BY-SA 4. 0

    Il fegato di Piacenza²³ è un modello bronzeo di fegato di pecora, stilizzato e tridimensionale, corredato di iscrizioni etrusche, incise due sulla parte convessa (con i nomi di Uśils sole e Tivs luna) e 40 teonimi incasellati sulla parte piatta. La tipologia delle lettere riporta alla Toscana settentrionale, nella zona tra Siena e Cortona, e la datazione risale alla metà del Il secolo a.C.,²⁴ un momento in cui era ormai compiuta la sottomissione a Roma dell’Italia settentrionale che era stata etrusca. Fu usato probabilmente da un aruspice etrusco al servizio del mondo romano.

    La bilingue di Pesaro²⁵ è un’iscrizione datata alla seconda metà del I secolo a.C. circa.

    1. [L. CA]FATIUS. L . F . STE. HARUSPE[X]

    2.

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