Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Processo, prigionia e morte di Socrate
Processo, prigionia e morte di Socrate
Processo, prigionia e morte di Socrate
E-book260 pagine4 ore

Processo, prigionia e morte di Socrate

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Eutifrone • Apologia di Socrate • Critone • Fedone

Con un saggio di Luciano Canfora • A cura di Enrico V. Maltese

Premesse, traduzione e note di Gino Giardini

Edizione integrale

Atene, 399 a.C.: Socrate, accusato di corrompere i giovani e di introdurre la credenza in nuovi dèi, viene processato pubblicamente. Platone, giovane aristocratico suo discepolo, è presente a quel processo e da zelante cronista ce ne offre un attento resoconto in quattro dialoghi. Il primo, Eutifrone, descrive il momento in cui Socrate si reca in tribunale. L’Apologia di Socrate è la difesa appassionata da lui stesso pronunciata e rappresenta il contributo più importante e rigoroso alla comprensione della personalità e alla trasmissione del pensiero del filosofo. Condannato a morte, Socrate non smetterà di professare la sua dottrina nel carcere di Atene, dove amici e discepoli continuano a seguirlo, come racconta Platone nel Critone. Il Fedone ci riporta l’ultima delle dissertazioni di un uomo che nel dialogo ha cercato la verità anche pochi istanti prima di trovare la morte bevendo la cicuta. «E questa», dice Fedone, «fu la fine del nostro amico, uomo, possiamo ben dirlo, fra tutti quelli che abbiamo conosciuto, il migliore, anzi, senza confronto il più saggio e il più giusto».

«Ma, cittadini, non è questa la difficoltà, sfuggire alla morte, ma è molto più difficile evitare la malvagità: essa corre, infatti, più velocemente della morte. Ora io, che sono tardo e vecchio, sono colto da quella che è più tarda; i miei accusatori, invece, che sono vigorosi e lesti, sono stati colti da quella che è più veloce: la malvagità.»

Platone

è l’unico pensatore antico di cui siano rimaste tutte le opere integrali. Nacque ad Atene nel 427 a.C.; fu iniziato alla filosofia dall’eracliteo Cratilo, ma l’incontro con Socrate (408) rimane l’episodio più significativo per la sua maturazione intellettuale. Dopo la morte del maestro fu a Megara e poi in Italia meridionale. Tornò quindi ad Atene, fondando nel 387 l’Accademia, prima scuola filosofica dell’antichità. Morì nel 347 a.C. Di Platone la Newton Compton ha pubblicato Repubblica e il volume unico Tutte le opere.
LinguaItaliano
Data di uscita10 gen 2012
ISBN9788854138841
Processo, prigionia e morte di Socrate

Leggi altro di Platone

Autori correlati

Correlato a Processo, prigionia e morte di Socrate

Titoli di questa serie (100)

Visualizza altri

Ebook correlati

Classici per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Processo, prigionia e morte di Socrate

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Processo, prigionia e morte di Socrate - Platone

    337

    Titolo originale: Εὐθύφρων, Άπολογία Σωκράτους, Κρίτων, Φαίδων

    Prima edizione ebook: gennaio 2012

    © 2011,2010 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-3884-1

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Gag srl

    Platone

    Processo, prigionia e morte di Socrate

    Eutifrone, Apologia di Socrate, Critone, Fedone

    Introduzione di Luciano Canfora

    Premesse, traduzioni e note di Gino Giardini

    Newton Compton editori

    Socrate

    La tradizione intorno a Socrate costituisce l’esempio forse più noto di memoria tutelata e tenuta viva da un gruppo. Una tradizione che ha preso le mosse dalla cerchia immediata degli ascoltatori, dei frequentatori, dei discepoli, e che ha attraversato l’antichità fino alle sue estreme propaggini cristiane ed è entrata poi nel mondo moderno attraverso la Rinascita.

    Una tale durevolezza significa, tra l’altro, che le cerchie cui quella memoria fu dapprima affidata risultarono di grande efficacia. Erano ambienti socialmente e culturalmente rilevanti: basti pensare a Platone, alla sua origine sociale e al suo entourage, e, al tempo stesso, al peso ed al prestigio dell’Accademia platonica, la cui vitalità si protrae per secoli. Non è irrilevante, a questo proposito, ricordare che nell’Apologia (23C) Platone fa dire a Socrate che i giovani suoi ascoltatori erano giovani appartenenti alle famiglie ricche e signorili.

    Socrate stesso non appartenne certo a ceti non possidenti, dal momento che assolse il servizio militare come oplita, cioè tra ­coloro «che si armavano a proprie spese»: una classe di censo senza alcun dubbio agiata, e che fu anche la base sociale dei moderati, quando non degli esperimenti oligarchici. Del suo servizio come oplita parla Socrate stesso nell’Apologia platonica (28E): 1) a Potidea nel 434-32, quando aveva trentacinque anni (e diede prova di una inaudita resistenza fisica e tolleranza del freddo e di altri disagi militari); 2) a Delion nel 424 (dove fu tra i pochi che non persero la testa nella ritirata ateniese dopo la sconfitta: di tale ammirevole condotta si parla ancora, e diffusamente, nel Sim­posio 221A-B per bocca di Alcibiade); 3) e infine ad Amfipoli nel 422, nella sfortunata battaglia in cui perirono sia Brasida che Cleone, e con cui si chiuse la prima fase della guerra peloponnesiaca.

    Ha osservato Eduard Schwartz (Charakterköpfe, 1902, I, p. 48) che anche grazie a queste vicende Socrate divenne un personaggio famoso in città, e «la commedia si accorse di lui». Nel 423 Aristofane «scatenò i suoi attacchi contro di lui nelle Nuvole». Ben due delle tre commedie classificatesi quell’anno attaccavano Socrate: non solo le Nuvole ma anche il Komos di Ameipsias.

    È evidente – seguita Schwartz – che Aristofane mostra, nelle Nuvole, di non sapere praticamente nulla dell’insegnamento di Socrate. «La figura che egli mette in scena non è Socrate, ma un Traghelafo, un ircocervo, un intreccio tra il sofista Protagora ed il mediocre naturalista Diogene di Apollonia [ma meglio avrebbe detto: Anassagora]». E prosegue: «Aristofane non avrebbe dato a questo personaggio fantastico, frutto della sua fantasia, il nome di Socrate, se non avesse avuto la certezza che quel nome avrebbe fatto sensazione. E d’altra parte dobbiamo prestar fede a Platone [Apologia 18B-19C] quando dice che la falsa rappresentazione dello spiritoso poeta diffuse un forte pregiudizio contro il personaggio [Socrate, appunto] che con la sua straordinaria natura metteva in difficoltà i Filistei». E infatti ampiamente Platone tratta, nella prima parte dell’Apologia, il tema degli «antichi accusatori», di coloro che prepararono il terreno già sfavorevole a Socrate, su cui l’accusa di Meleto nel 399 si era agevolmente posata; e tra gli «antichi accusatori» dà un posto di rilievo proprio ad Aristofane (è l’unico di cui faccia esplicitamente il nome), e addita e mette in rilievo la perfetta identità tra l’accusa di Meleto e le Nuvole nella delineazione di un Socrate da demonizzare. Ha osservato Wilamowitz (Platon I, p. 99) che nessun privato fu aggredito dai comici così intensiv come Socrate.

    Sul rapporto tra Socrate e il teatro contemporaneo abbiamo una interessante testimonianza in un passo di Claudio Eliano, il dotto di età severiana, nato a Preneste e vissuto nel Lazio, ma che scrisse soltanto in greco, anzi in purissimo attico, una miscellanea erudita dal titolo Poikíle Historía (Storia Varia). Eliano (II 13) incomincia ricordando che Socrate frequentava poco il teatro, o meglio vi si recava soprattutto quando concorreva Euripide «con le nuove tragedie» (espressione non chiarissima). Soggiunge che Socrate si recava anche al Pireo «quando lì concorreva Euripide»: espressione che si riferisce probabilmente alle repliche in teatri di provincia (dei demi: in questo caso dell’importante demo del Pireo) di tragedie già presentate ai grandi concorsi tragici cittadini (Dionisie e Lenee). Ricorda poi che furono Alcibiade e Crizia a «costringerlo, una volta, con le loro insistenze», a recarsi a teatro ad assistere a rappresentazioni comiche. Quelle rappresentazioni non gli piacquero affatto, anzi gli dettero fastidio, «come si conviene ad una persona saggia e giusta dinanzi a persone insolenti e che non dicono nulla di sano».

    Quelli – prosegue Eliano – furono i semi che diedero origine alla produzione comica rivolta contro di lui; non solo i misfatti ai suoi danni che si riconosce abbiano compiuto Anito e Meleto. Eliano ritiene di sapere che Aristofane fu pagato per attaccare Socrate. Anzi sulla rappresentazione delle Nuvole mostra di conoscere dettagli molteplici, che possiamo immaginare derivino da tradizioni socratiche ormai perdute. Sa che Socrate era presente e che, essendo le Dionisie, c’erano anche gli stranieri, non soltanto gli Ateniesi, e questi stranieri cercavano in tutti modi di stabilire chi fosse il Socrate di cui si parlava nella commedia: e Socrate si alzò e rimase in piedi per tutto il tempo della rappresentazione, perché tutti lo potessero agevolmente vedere.

    E dà anche notizie antiquarie, di antichità teatrali, Eliano, a proposito della rappresentazione delle Nuvole: sostiene che i maliziosi Ateniesi, sempre desiderosi di colpire la gente in vista, avessero gioito dell’attacco contro Socrate ed avessero a gran voce ingiunto ai giudici di porre in prima posizione la commedia di Aristofane. Notizia che contrasta, com’è chiaro, con la didascalia aristotelica, conservatasi sino a noi, secondo cui la commedia giunse invece terza dopo la Bottiglia di Cratino e il Konnos di Ameipsias. Notizia che dovrebbe essere considerata del tutto infondata se si accogliesse l’opinione dominante, secondo cui le Nuvole seconde (quelle giunte a noi) non furono mai rappresentate.

    Non è questa la sede per approfondire l’intricato problema. Certo è che la tradizione nota ad Eliano, ricca di interessanti dettagli come quello relativo al grande interesse di Socrate per Euripide o come quello relativo alle rappresentazioni al Pireo (o come la stessa espressione nuove tragedie), deve risalire ad una tradizione già consapevole del ruolo negativo svolto da Crizia e Alcibiade nella biografia di Socrate: non a caso sono Crizia e Alcibiade che, nel racconto di Eliano, congiuntamente vogliono, a tutti i costi, portare Socrate a vedere gli spettacoli comici, con tutto lo spiacevole incidente che ne consegue. Ed è ben noto che il tema del ruolo nefasto della coppia Crizia/Alcibiade, imputati addirittura a Socrate come colpa tale da giustificare la condanna, risaliva alla Accusa di Socrate del retore Policrate (inizio del IV a.C.) cui aveva replicato Senofonte nei primi due capitoli del libro primo dei Memorabili. Era un motivo polemico che affondava le sue radici nell’anno cruciale 404/403, quando Socrate si era trovato nella difficile situazione di presunto maestro di alcuni esponenti di punta dei Trenta, e, per giunta, era rimasto in Atene sotto il loro governo. A tutto questo i socratici avevano replicato: non solo Senofonte. Dunque certamente la tradizione nota ad Eliano – dove Crizia e Alcibiade appaiono come due geni malefici accanto a Socrate – risente di questa discussione ed è coerente con l’impostazione dei socratici.

    Anche per un altro verso, più sostanziale, si può dire che siamo di fronte a tradizione socratica. Per il fatto che il Socrate delle Nuvole ci viene presentato, da Eliano, come mera caricatura per giunta opera di un cinico prezzolato senza scrupoli, quale sarebbe stato Aristofane: il Socrate immaginario «ircocervo» – metà sofista e metà naturalista.

    Ma è proprio un Socrate immaginario quello delle Nuvole?

    È un Socrate essenzialmente anassagoreo. Alcune delle principali concezioni che Socrate esprime nella commedia sono di Anassagora. Per esempio: «non c’è più Zeus, ma al suo posta regna il Vortice». Il Vortice (Dînos) è, nel pensiero di Anassagora, il veicolo attraverso cui il Nous mette in moto la realtà. E così anche l’altra teoria – espressa ovviamente in modo farsesco –, secondo cui bisogna contemplare la realtà celeste stando sospesi, giacché chi sta a terra non lo potrebbe agevolmente in quanto «la terra con la sua forza attira a sé l’umore del pensiero»: anche questa è teoria anassogorea, mediata magari attraverso la divulgazione fattane da Diogene di Apollonia.

    Ora è noto dal Fedone (97B-98B) che Socrate stesso riconosceva di aver sentito inizialmente il fascino, nel corso della sua formazione, delle concezioni anassagoree. Ed una conferma indiretta è nella stessa Apologia, dove Socrate prende le distanze dal pensiero anassagoreo ed accusa Meleto di averlo scambiato, date le accuse che gli muove, con il filosofo di Clazomene: «Ma caro Meleto – gli dice ad un certo punto del contraddittorio che Platone ricostruisce – credi di svolgere l’accusa contro Anassagora?» (26D).

    Dunque Aristofane nel 423 con la sua commedia tutta rivolta contro Socrate e culminante nell’immaginato annientamento del filosofo e della sua casa, e Meleto nel 399 hanno, per così dire, commesso lo stesso errore. Hanno inteso accomunare l’insegnamento di Socrate all’insegnamento di colui che già anni prima era stato perseguito per empietà e che alla condanna a morte si era sottratto con la fuga da Atene: un affaire in cui il bersaglio era stato, ancora una volta, politico, e cioè Pericle e Aspasia e il suo gruppo, del quale Anassagora era esponente di rilievo. Un’altra ragione inquietante per accomunare Socrate e Anassagora.

    Oltre tutto tra Aristofane e Meleto intercorre quasi un quarto di secolo, e noi non sappiamo quale evoluzione abbiano seguito la riflessione socratica ed il suo insegnamento. Per dirla più semplicemente: nulla esclude che davvero nel 423 Socrate fosse (e potesse essere) inteso – da chi lo ascoltava o ne aveva nozione anche indiretta – come molto più anassagoreo che non invece negli ultimi anni di sua vita. Forse il Traghelafo era stato davvero tale per un qualche tempo della sua pubblica comunicazione!

    Dinanzi alla questione, dunque, spesso ritornante, di quale sia stato il vero Socrate è forse giusto rispondere con maggiore cautela e non liquidare a priori il Socrate di Aristofane – il quarantacinquenne Socrate del 423 appena illustratosi nella ritirata di Delion – come fittizio e non-vero.

    Questa considerazione ci porta, com’è ovvio, a riflettere sulla vexata quaestio dei tanti Socrati. Il problema principe della tradizione su Socrate è quello di scegliere – ove ciò sia davvero possibile – tra le varie figure che le copiose fonti su di lui ci hanno lasciato. È il problema che un grande studioso contemporaneo di filosofia antica, Olof Gigon, ha impostato, in un suo libro del 1947, nella forma più radicalmente scettica: «Quel che ci resta da studiare – egli scrive – è tutto l’insieme dei Socrati presupposti o rappresentati dai vari socratici, mentre quanto al Socrate reale, noi conosciamo soltanto pochissimi dati concernenti la sua vita e la sua morte, e praticamente nulla della sua filosofia» (Sokrates: Sein Bild in Dichtung und Geschichte, Bern, Francke, 1947).

    Il problema di stabilire chi davvero Socrate fosse stato sorse molto presto. Ciò è dimostrato dal fatto che già Aristotele (Metafisica XIII 4, 1078b27-29) – il quale era stato ascoltatore diretto di Platone – considerasse problematica la ricostruzione dell’autentico pensiero di Socrate. Le due cose «che si possono legittimamente attribuire a Socrate – scrive infatti Aristotele – sono i discorsi induttivi e il definire universalmente». Orbene, ha osservato in proposito Guido Calogero (uno dei massimi interpreti del problema socratico), quale che sia l’interpretazione che debba darsi di queste due espressioni, resta «fuor di dubbio che quel giudizio non avrebbe potuto essere formulato a quel modo se il problema di ciò che andasse realmente attribuito a Socrate non fosse stato, già a quel tempo, aperto e dibattuto» (Socrate, «Nuova Antologia», 1955, pp. 291-292).

    Come è noto, le due principali testimonianze, tra le quali i moderni oscillano quando tentano di recuperare le fattezze del pensiero socratico sono il corpus platonico e quello senofonteo.

    Per quel che riguarda Platone, si va da posizioni estreme, come quella di Dupréel (La légende socratique et les sources de Platon, Bruxelles 1922), il quale considera ormai irrecuperabile la vera figura di Socrate ed assimila, in quanto scarsamente credibili sul piano storico, i dialoghi, anche quelli giovanili, di Platone ai Vangeli per quel che riguarda la figura di Gesù; a posizioni anch’esse estreme – ma in senso opposto – come quella di John Burnet (il grande editore oxoniense di Platone) e di A.E. Taylor (l’autore dei Varia Socratica, 1911), secondo i quali di fatto tutta l’opera platonica, dovunque sia Socrate a parlare (e dunque tutti i dialoghi tranne le Leggi!), rispecchia fedelmente il pensiero del maestro; a posizioni intermedie e sulle quali ha finito per concentrarsi il massimo assenso: l’idea cioè secondo cui il vero Socrate sarebbe da rintracciare essenzialmente nell’Apologia e nei dialoghi giovanili.

    Per quel che riguarda Senofonte, ugualmente i critici sono divisi. Da un lato A. Doering (Die Lehre des Sokrates als soziales Re­formsystem, 1895), il quale considera fondamentale la testimonianza senofontea: la stessa povertà di Senofonte come pensatore originale garantirebbe la fedeltà del suo ritratto del maestro. Il Socrate di Senofonte è poco interessato a problemi logici e gnoseologici, è soprattutto un riformatore ed educatore sociale: tale sarebbe stato, secondo questa veduta, il vero Socrate. Va precisato a questo proposito che una tale strada d’indagine era stata seguita, ben prima di Doering, da un notevole pensatore italiano, Antonio Labriola nel suo saggio giovanile poi ripubblicato con piccole aggiunte bibliografiche da Benedetto Croce: La dottrina di Socrate secondo Senofonte, Platone e Aristotele (Napoli 1871). Sul versante opposto si pose il Joël con il suo saggio amplissimo (3 voll.) dal polemico titolo Der echte und der xenophontische Sokrates (1893-1901). Il Socrate di Senofonte, secondo Joël, non ha nulla in comune col Socrate vero. È il Socrate di Antistene, propugnatore dell’astinenza e dell’autosufficienza cinica.

    Maggior credito continua ad ottenere però la posizione, anche in questo caso, meno radicale: quella ad es. del Maier (H. Maier, Sokrates, sein Werk und seine geschichtliche Stellung, Tübingen 1913), il quale distingue tra i primi due capitoli dei Memorabili (strettamente apologetici, e legati ad una polemica vicina ai fatti, e quindi maggiormente aderenti a tratti del vero Socrate) e tutto il resto dell’opera, che per Maier è libera ricostruzione letteraria di dialoghi socratici al pari di quanto accade nei dialoghi platonici: onde – egli dice – credito si dovrebbe dare ai Memorabili solo nella misura in cui essi vengano a conciliarsi con la testimonianza platonica dei dialoghi giovanili.

    Un posto in questa discussione lo merita il giudizio che lettori antichi diedero della natura dei Memorabili. Gellio, ad esempio, parla di «Commentarii dictorum atque factorum Socratis» (Notti Attiche XIV 3, 5). Arriano di Nicomedia, nel trascrivere le Conversazioni del suo maestro Epitteto, ritiene di ripetere l’esperienza fatta già da Senofonte (suo modello nell’intera opera letteraria e tecnica). Infine Diogene Laerzio, al principio della Vita di Senofonte, sostiene che il brillante cavaliere ateniese, divenuto ascoltatore di Socrate, «ne annotò le parole e le pubblicò mettendovi il titolo Memorabili, e fu il primo a concepire un’operazione del genere». Insomma Diogene parla dei Memorabili come di una pubblicazione di inediti orali, in certo senso sullo stesso piano della pubblicazione di inediti scritti – i libri lasciati inediti da Tucidide – dei quali pure, ricorda Diogene, Senofonte si fece editore.

    Sembra di capire che i Memorabili, in quanto opera con due autori, Senofonte e Socrate, venisse intesa come esattamente analoga a quella di Arriano, che curava per iscritto la redazione delle Conversazioni di Epitteto. Opera, quest’ultima, che circolava come di Epitteto ed alla quale Arriano premise una prefazione in cui dichiarava di aver scrupolosamente annotato la parola del maestro. Ma se le due opere venivano sentite come analoghe – così la pensava Arriano, e così lo stesso Diogene –, questo implicava un giudizio positivo anche sulla fedeltà senofontea al verbo socratico, alla parola del maestro. Senofonte insomma avrebbe addirittura inventato un nuovo genere di libro: quella che potremmo chiamare la dossografia filosofica, nel momento in cui presentava come suo un libro contenente i pensieri di un altro. (È questo che Diogene intende con le parole historían philosóphon prôtos egrapsen, non già che fu il primo filosofo a scrivere opere storiche!). E dunque era ovvio, per questi tardi interpreti, che Senofonte avesse esposto pensieri socratici, e Platone no.

    Su un punto comunque la testimonianza senofontea è certamente indicativa – lo notò Wilamowitz nel suo Platon –: nel farci vedere quali ambienti e strati sociali Socrate frequentasse.

    Ovviamente l’interpretazione cui inclinavano gli interpreti antichi non può essere invocata senz’altro come decisiva. Merita però forse più considerazione di quanta se ne accordi di norma. In ogni caso, quale che sia il Socrate che si voglia ritenere più verosimile (il precettore politico-sociale senofonteo o il dialettico implacabile dei primi dialoghi platonici o il costruttore di discorsi induttivi e di definizioni universali evocato da Aristotele nella sua densa definizione), sta di fatto che nella prassi, nella vita sociale ateniese, quella presenza divenne ad un certo punto talmente dirompente da venire avvertita come intollerabile. Fino alla messa in moto del processo.

    È questo l’episodio – conclusivo e tragico – che chiarisce retrospettivamente l’intera vicenda e giova, forse più d’ogni altra cosa, ad illuminare la figura del filosofo.

    La figura di Socrate è centrale nello studio del pensiero. Si è visto prima quanto sia inestricabile la sua figura da quella di Platone: e Platone è uno dei fili conduttori permanenti della storia del pensiero (fino a Husserl e oltre). Basta questo per capire perché «non ci libereremo mai di Socrate».

    Ma vi sono anche altre buone ragioni. La sua vicenda è esemplare da vari altri punti di vista: etici e politici, oltre che di metodo.

    Il dissenso rispetto ad un potere politico qualunque esso sia, l’indomita volontà di criticare e comprendere, di mettere in discussione: questo insegnamento dura al di là dell’alternarsi e del succedersi dei sistemi politici. (E sarei più cauto di Stone nel mettermi tutto dalla parte della democrazia realizzata di Atene). La sua condanna è il segno della debolezza di una democrazia, con buona pace di Hegel (condanna necessaria).

    Nessuna verità che non si giustifichi con le sue forze va accettata. E l’unico strumento per vagliarne la tenuta è interrogare e sottoporre a critica (exetázein: che secondo Aristotele era il principale carattere del socratismo). È con Socrate che la filosofia si pone come domanda. Ed è in questo metodo critico il succo dei nostri studi classici.

    LUCIANO CANFORA

    Nota bibliografica

    Platone nacque ad Atene nel 428/27 a.C. da famiglia aristocratica: il padre Ari­stone si vantava discendente del mitico re Codro, la madre Perictione si ricollegava in­di­ret­ta­mente a Solone. Questa parentela lo avvicinava alle cerchie oli­garchiche e filospartane della città: Crizia, uno dei principali ispiratori della svolta oligarchica del 404/3 (governo dei Trenta Tiranni), era suo zio materno.

    Sulla biografia di Platone informano soprattutto i suoi stessi scritti, in primo luo­go l’Epistola VII, della cui autenticità tuttavia qualcuno continua a dubitare. Intorno ai vent’anni si avvicinò a Socrate, al cui insegnamento restò legato fino alla morte del maestro, avvenuta nel 399 (la drammatica vicenda è al centro dell’Apologia di Socrate e del Fedone). Intanto il giovane Platone aveva compiuto le prime esperienze in campo politico: ma ogni illusione di veder sorgere un governo fondato su principi di giustizia ed equità si era subito scontrata con una realtà ben diversa e, con amarezza, Platone aveva declinato ogni impegno, prendendo le distanze dalla vita pubblica ateniese, e dal partito oligarchico, ancor prima del 401 (data della restaurazione democratica).

    Da quel momento egli alternò il soggiorno ad Atene con viaggi di studio. Come altri intellettuali e filosofi greci, visitò l’Egitto, restandovi per circa tre anni. Poi fu la volta di Cirene e soprattutto della Magna Grecia, dove, sulle tracce della fiorente tradizione pitagorica, rimase qualche tempo a Taranto, entrando in contatto con Archita. Nel 388 si recò una prima volta a Siracusa, alla corte di Dioni­sio il Vecchio, con l’intento di realizzare quel governo dei filosofi che ben cono­sciamo soprattutto dalla Repubblica (in particolare dal libro V). L’espe­rien­za fu disastrosa: il tiranno siracusano, sospettoso dell’esclusivo legame creatosi tra Platone e il proprio giovane cognato e genero, Dione, e preoccupato dei risvolti politici dell’insegnamento del filosofo ateniese, lo fece imbarcare su una nave spartana e deportare a Egina, città allora in conflitto con Ate­ne. Qui Plato­ne, considerato prigioniero di guerra, riacquistò la libertà solo grazie alla generosità di un cittadino di Cirene, Anniceride, che pagò il riscatto richiesto.

    Tornato ad Atene, vi fondò la sua scuola, l’Accademia (dal nome del grande parco che la ospitava, intitolato appunto all’eroe cittadino Academo). Ma i legami con Dio­ne, nel quale continuava a riporre grandi speranze per l’edificazione della Re­­pubblica ideale, restavano stretti, e quando, alla morte di Dionisio il Vecchio (367 a.C.), Siracusa passò nelle mani del figlio di questi, Dionisio il Giovane, Pla­tone partì un’altra volta per la Sicilia, convinto che il nuovo tiranno avrebbe facilmente assecondato i suoi progetti. Ma così non fu. Il giovane

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1