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Luci e ombre di Colette
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E-book92 pagine1 ora

Luci e ombre di Colette

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Info su questo ebook

Non sempre la vita è come nei i sogni e nelle favole.

Una rincorsa, una vita vissuta tra collegi, violenze e abusi.

Con tenacia Colette si riprenderà ciò che ha sempre desiderato, ritrovare se stessa ed essere

amata.
LinguaItaliano
Data di uscita29 dic 2022
ISBN9791221438680
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    Anteprima del libro

    Luci e ombre di Colette - Ornella Minelli

    RICORDI DELLA MIA PRIMA INFANZIA

    - I miei primi ricordi d’infanzia, risalgono pressappoco a quando avevo quattro anni e sono legati alla prima casa nella quale ho vissuto fino a quell’età.

    Di quell’abitazione ricordo più che altro la struttura esterna che era molto vecchia, tipo quelle case contadine di annosa costruzione, intonacate grossolanamente e tinte in calce bianca, che poi col tempo e l’umidità diventavano quasi grigie.

    Associata a quell’immagine, rivedo l’aia che era in sterrato ghiaioso, con soltanto un piccolo riquadro in cemento appena fuori dalla porta.

    Qualche altro particolare che ricordo, era un grosso fico vicino alla parete della nostra casa e degli alberi più piccoli di amarene, inoltre, in quella ‘fotografia’ un po’ sbiadita nella mia mente, c’erano anche delle galline e oche che giravano libere per il cortile e nei ristretti fazzoletti erbosi circostanti all’abitazione, ed io che davo loro del granoturco.

    Vicino al cortile di casa, lavorava un uomo di nome Lorenzo, ed era meccanico di motociclette. Mio fratello Antonio andava a trovarlo tante volte nella piccola officina perché gli piacevano le due ruote, con la speranza di rimediare così anche qualche giretto seduto ben stretto dietro al guidatore.

    Dell’interno abitativo, so soltanto che dormivo in camera con i miei genitori, papà Federico e mamma Silvana; stavo rannicchiata in mezzo a loro e sempre appiccicata con le ginocchia contro la schiena del mio papà, tant’è che me lo rammentò molte volte anche lui quando divenni più grandicella.

    Qualche altro ricordo mi balza alla memoria sull’arredo della cucina, come la piccola e scura credenza con antine a vetri smerigliati, poi una vecchia stufa con la quale si faceva di tutto: cuocere le vivande, scaldare l’acqua, asciugare i panni con l’apposito attrezzo fissato alla canna fumaria e altre cose ancora.

    Oltre a quelle immagini abbastanza nitide, il resto, che avrebbe dovuto essere più importante in quanto a nucleo familiare, invece è tutto sfocato come ad esempio i visi dei miei genitori, mi riesce difficile perfino vederli immortalati mentre erano intenti a fare qualcosa nelle mansioni quotidiane. Invece mi è chiaro il volto di mio fratello quando giocava con me o con altri suoi amici.

    Più giustificata non riconoscere la fisionomia di mia sorella che, essendo più piccola di me di due anni, sarebbe già stata più difficile da ricordare.

    Lo stesso per i nostri vicini e i miei coetanei con i quali ricordo solo che giocavamo insieme. Di fatto, non saprei dire come ho vissuto in quella casa, se con gioia o tristezza, giacché non ne ero consapevole.

    Tuttavia, serbo nel mio cuore come una cosa preziosa, quel poco che ho immortalato di quella mia prima infante vita, il resto, è comunque vivo nel mio inconscio e ha sempre ‘lavorato’ in quello strato.

    * * *

    Circa un anno dopo, ci trasferimmo in un’altra dimora più spaziosa, non molto distante dalla precedente. Si trattava di un appartamento situato in una piccola palazzina di sei abitazioni e di recente costruzione.

    Dopo il trasloco, la mia percezione nell’osservare le cose era aumentata, rafforzata anche dall’esperienza che stavo facendo per la prima volta davanti al televisore, che nell’altra casa non c’era.

    Non che allora ci fossero grandi scelte sui programmi per bambini, o canali da potersi sintonizzare come oggi, comunque, in certi giorni non mi perdevo quei pochi filmati di animazione che c’erano, e cominciai così a fantasticare un po’, vedendo altre cose, altri mondi.

    Quella casa avrebbe dovuto essere la continuazione del mio ‘focolare domestico’, cioè avere una famiglia che ti ama e ti protegge come sognano tutti i bambini del mondo in quella tenera età.

    L’abitazione era situata nella frazione del mio amato paese Navarone, in Valle Camonica il cui agglomerato si trovava in minima parte arroccato sull’assolato pendio dell’adiacente collina e il resto quasi pianeggiante.

    Dietro lo stabile c’erano gli orti spettanti agli affittuari o proprietari come nel caso di qualcuno. Di fronte a queste limitate coltivazioni, passava una strada che le divideva con un vasto campo coltivato a granoturco.

    Per me quel cambiamento abitativo non è stato traumatico, per il fatto che ero piccola e, per quanto ci fosse stata una perdita affettiva con la prima casa, speravo che con quest’ultima, mi sarei trovata meglio nel conseguente ‘calore domestico’ e all’esterno con nuove amicizie.

    Tra bambini si sa, si fa in fretta a fare conoscenza con i nuovi vicini.

    Infatti, anche in questa nuova residenza, ben presto mi trovai a giocare nell’adiacente cortile con altri coetanei, sia miei che di Antonio.

    Gli abitanti del mio rione, non molte anime per la verità, a quel tempo saranno state circa centocinquanta, si conoscevano un po’ tutte come se fossero una grande comunità, ma non per questo, le amicizie ‘filavano’ linearmente con ciascuna; con alcune persone o tra famiglie c’erano dei rapporti quasi di fratellanza, con altre quasi di astio, con altre ancora di semplice tolleranza o di completa indifferenza e il pettegolezzo era la cronaca giornaliera più diffusa nella frazione e dintorni.

    Per quanto riguarda poi i ricordi e i dettagli abitativi interni invece, non so con precisione, ho delle immagini altalenanti, a volte nitide, altre più sfocate, forse perché non c’erano stati degli eventi importanti che mi siano rimasti impressi a quell’età.

    Comunque, qualcosa riesco ancora a rivedere mentalmente, come ad esempio: la camera da letto dei miei genitori di cui ricordo bene la struttura in legno lavorato ad arte povera, anche se non dormivo più insieme a loro, ma in un’altra stanza e in un letto che a me sembrava matrimoniale per com’era grande, nel quale io e la mia sorellina Aurora ci stavamo più che alle larghe.

    Antonio invece, essendo il più grande dei figli e oltretutto maschio, dormiva in un’altra stanza da solo.

    Ricordo poi la cucina e qualche rara immagine impressa nella mente, con la famiglia al completo seduta a tavola a mangiare, ma non del calore affettivo.

    Qualche volta mi rivedo quando seguivo mio papà scendere giù in cantina a prendere il salame, o altri alimenti lasciati lì a stagionare, ma più che altro, si tratteneva volentieri ad infiascare il vino; in certi casi, in assenza del capo famiglia, era la mia mamma, quando le serviva qualcosa a mandarmi da sola giù nello scantinato.

    Dal lato opposto della frazione, abitavano i nonni materni, Simone che faceva il fruttivendolo e la consorte Doralice, infaticabile casalinga che all’occorrenza, aiutava il marito a

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