Stanza per stanza
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Le persone e i fatti di allora si riaffacciano alla mente, non in ordine cronologico ma evocati dai vari ambienti di quella casa cui restano associate sensazioni, profumi, frasi, suoni, colori. Nel percorso tra le stanze del passato l’autore, condotto per mano dal bambino che è stato, ritrova i suoi nonni e sente una profonda gratitudine nei loro confronti.
Episodi leggeri dell’infanzia si intrecciano con gravi lutti di famiglia. Come sono riusciti i nonni a trasformare in amore e speranza quel dolore che altrimenti sarebbe stato distruttivo?
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Anteprima del libro
Stanza per stanza - Stefano Reggio
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UNA FOTO DI FAMIGLIA
Passo davanti alle foto di famiglia sistemate sui ripiani della libreria. Passo ma non le vedo, indaffarato e distratto da altri pensieri. Quelle foto sono ormai declassate ad elementi di arredo.
Oggi, senza un motivo preciso, mi soffermo a guardare alcune di quelle foto. Effetto del tempo rallentato nei mesi di pandemia trascorsi in casa? Non saprei dirlo. Fatto sta che mi concentro in particolare su quattro piccole foto in bianco e nero, montate insieme nella stessa cornice: un primo piano di mio zio Enrico e tre foto dei miei nonni materni.
In uno degli scatti nonna appare sorridente mentre nonno, accanto a lei, ha un'aria più seria. Sono quasi di profilo, uno verso l'altro, ma non si guardano direttamente negli occhi. Fissano entrambi un punto più in basso nel quale sembrano incontrarsi le traiettorie dei loro sguardi. Un punto fuori inquadratura ma in comune, a segnare un'intesa profonda ma riservata, quasi segreta. Quella foto rende evidente la sostanza dell'amore che li ha legati per una vita intera.
Indugio con lo sguardo su quella foto dei miei nonni, Adama e Marino. Alla memoria si affacciano ricordi dapprima timidi e indistinti e poi via via più definiti dell'infanzia vissuta con loro nella casa di Monteverde a Roma.
Strana realtà, la memoria. Pensiamo che sia una nostra personale capacità, frutto del lavoro delle nostre cellule cerebrali. Certo lo è, ma talvolta si comporta come una entità altra rispetto a noi, come se godesse di una indipendenza ed essenza proprie. Non a caso si dice che la memoria gioca alle volte brutti scherzi. La interroghiamo per avere restituiti i ricordi di un avvenimento e lei non ci risponde o ci confonde con ricordi di altri avvenimenti. Le chiediamo date per ricostruire una cronologia di fatti e ci rimanda dettagli apparentemente insignificanti: un suono, un odore, un sapore, una frase, un particolare di un oggetto. Ricordi che riteniamo importanti vengono oscurati da altri minimali, capaci però di suscitare ulteriori ricordi che scopriamo essere ancora più importanti di quelli cercati.
Quella piccola foto in bianco e nero funziona come una chiave della memoria: la chiave con cui apro la porta di casa al quinto piano della palazzina.
Entro e rivedo l'ingresso, la cucina a sinistra, la terrazza a destra. Sento di nuovo il profumo del sugo che bolle, c'è nonna in cucina. La luce proviene dal balcone a sud, una lama luminosa e potente segna in obliquo il pavimento. Risuonano le voci dei nonni, di mamma, degli zii e di mio fratello.
Inizio a spostarmi nelle diverse stanze. Le immagini, le persone, i fatti di allora si ripropongono alla mente evocati dai vari ambienti. Non sono in ordine cronologico ma in ordine sparso. Le sensazioni, i suoni, i profumi e i colori restano associati alle stanze di quella casa. Dappertutto però una dominante: la presenza amorevole dei miei nonni.
Mia nonna, Adama Paolini, è nata a Petriolo, in provincia di Macerata, il 21 febbraio 1900, ed è morta a Roma, all'età di novantuno anni, il 1° giugno 1991.
Mio nonno, Marino Petterini, è nato in Argentina a Coronel Dorrego, un piccolo paese nelle vicinanze di Bahia Blanca, il 22 aprile 1901, ed è morto a Roma, all'età di ottantacinque anni, il 30 dicembre 1986.
La casa di Monteverde fu acquistata dal nonno nel 1954 perché potesse ospitare non solo i figli Enrico e Mariagrazia ma anche la figlia Lidia, giovane vedova, con i suoi due bambini: mio fratello Giuseppe, di tre anni ed io, di quattro.
É stata la casa dell'infanzia e preadolescenza. Mia madre e noi figli la lasciammo nel 1965. Negli anni a seguire l'abbiamo ancora frequentata per le feste di famiglia e per le visite ai nonni. Poi è stata venduta.
Per i fatti accaduti prima della mia nascita è stato fondamentale consultare il libro Ut mea memoria est - Per quanto mi possa ricordare
, scritto dai miei zii, Enrico e Mariagrazia Petterini, con la consulenza di mia madre Lidia Petterini Rendina e pubblicato in proprio nel 2004. Li ringrazio di cuore perché ci hanno lasciato un patrimonio di storia familiare.
2
LA CUCINA
La cucina era il luogo di mia nonna. Nel preparare il pranzo Adama si spostava tra il lavello di marmo sulla parete di sinistra e la cucina a gas su quella di fronte, a destra. Vedevo la sua sagoma familiare passare in controluce sullo sfondo della porta-finestra del balcone. Un balcone stretto e lungo, con una ringhiera verniciata di verde, esposto a sud. Libero da pensiline ombreggianti era sempre inondato di sole. Nei vasi le piante degli odori: basilico, menta, rosmarino, prezzemolo. Non mancavano i fiori: garofani e gerani a formare una siepe bassa multicolore. Sul balcone si aprivano altre due stanze: la camera da pranzo e la camera nera
.
Sulla parete del balcone era appesa la gabbia dei canarini. Non hanno mai fatto mancare il loro cinguettio. La coppia iniziale mise al mondo altri canarini. Le uova erano deposte in una specie di dependance agganciata sul lato corto della gabbia. Insieme con mio fratello Giuseppe, per noi Pino, avevo il compito di aiutare nonna nell'accudire i canarini: pulire la gabbia, riempire le vaschette del miglio, cambiare l'acqua del piccolo serbatoio e inserire l'osso di seppia. Solo quattordici mesi mi separano da Pino, nato tre mesi dopo la scomparsa di nostro padre, morto in un incidente stradale. Il