Amore in viaggio: Non ci fu bisogno di altre parole fra loro solo il sicuro rifugio di un abbraccio.
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Anteprima del libro
Amore in viaggio - Giuseppe Guarino
Giuseppe Guarino
Amore in viaggio
Non ci fu bisogno di altre parole fra loro
solo il sicuro rifugio di un abbraccio.
Copyright © 2021 Giuseppe Guarino e Infinity Books
All rights reserved
Qualsiasi riferimento a persone realmente esistite
o circostanze realmente accadute è puramente casuale.
La storia in questo libro è il parto della mente dell’autore
durante il lockdown dell’anno 2020.
Cover Design by Giuseppe Guarino
Dedico questo libro a tutte le donne
compagne di viaggio insostituibili
madri, sorelle, mogli, amiche
al meraviglioso,
impenetrabile mistero che rappresentano
1
Non era certo che quella fosse davvero la prima volta che la vedeva. Difficilmente quella deve essere stata la prima volta che avevano viaggiato insieme. Il destino gioca brutti scherzi, è sadico. Chissà se si erano già sfiorati, se erano stati forse persino seduti uno a poca distanza dall’altro; addirittura accanto. Eppure fino a quel momento, erano state soltanto due delle tante persone che viaggiano nei treni che portano verso la capitale dei lavoratori già stanchi prima di arrivare, costretti a quegli spostamenti più snervanti delle ore di lavoro che li attendono.
Quel giorno, una mattina di ottobre del 2020 lui la vide.
I loro sguardi si incrociarono, mentre si guardava finalmente intorno, stanco com’era di quei viaggi dentro se stesso, nell’analisi della sua vita, delle sue preoccupazioni, più snervanti di quel continuo movimento del treno.
Quella mattina si guardò intorno, prese una boccata d’aria e fece come gli consigliava il suo amico Andrea: e tu non pensare, non pensare sempre. Prenditi una pausa, rilassati, goditi la bellezza che ti circonda. Se la vita è una condanna che senso ha viverla?
Il suo sguardo incrociò quello di lei, una donna dagli occhi intensi, che risposero al suo sorriso con un sorriso. Dal modo in cui si arricciò la mascherina che indossava – quell’anno erano tutti obbligati ad indossarla – capì che anche il resto del suo volto sorrideva. Era come bussare ad una porta e vederla aprirsi.
Poi la folla. Altri passeggeri salirono e quello sguardo scomparve.
Il giorno seguente non la vide. Nonostante la cercasse, nonostante il suo sguardo vagasse tutto intorno, cercando quell’unico contatto che gli interessava. Non la vide neanche il giorno dopo ancora. Non la vide per una settimana intera.
Finché una mattina, quindici giorni dopo, Andrea non gli mandò uno dei suoi folli messaggi. Da una parte Giancarlo sbuffava quando arrivavano, dall’altra li leggeva e sorrideva. Che tipo! Stavolta lo invitava a raggiungerlo in un posto, dalla parte opposta della città, rispetto al suo consueto itinerario.
Non mi va
rispose al messaggio.
Andrea, però, non era tipo da mollare: E che cavolo, per una volta… Ho già detto in ufficio che faremo tardi … Ah, ah, ah.
Anche quella volta era tra l’infastidito ed il divertito.
Giancarlo non era di Roma. Gli piaceva molto come città, ma non in quel periodo di pandemia, dove le mascherine avevano spersonalizzato i volti delle persone che incontrava, e non con la tempesta che avevo dentro. Andrea gli diede le indicazioni da seguire, erano solo un paio di fermate di metropolitana. Appena sceso dal treno, sarebbe dovuto soltanto andare a destra piuttosto che a sinistra e prendere la metro.
Così fece e … la rivide.
Provò un immotivato ed inspiegabile salto al cuore quando accadde. Era lei. Non l’avrebbe confusa con nessun altra. Ma stavolta lei non si accorse di lui. Guardava avanti, mentre lui era alla sua sinistra. I suoi occhi erano diversi, erano persi nel vuoto e gonfi, come di chi aveva pianto o trattiene a stento le lacrime. Stava pensando, a qualcosa o a qualcuno.
Viaggiare su un treno, in metro, in autobus, farlo ogni giorno, senza nemmeno più rendersi conto di essere in movimento, per istinto, induce ad una riflessione profonda, personale, un vero trip mentale, un viaggio nel viaggio. E, ovviamente, spesso questi flash fra ricordi e pensieri non sono belli. Chissà perché? Viaggiare spesso porta con sé l’inevitabile sensazione di distacco e viaggiare per lavoro; essendo costretti, probabilmente molto di più.
Giunse alla sua fermata e, con sorpresa, scese anche lei. Era qualche passo avanti a lui e lui fu felice di essere nella sua scia. Si diresse verso l’uscita e la donna era ancora davanti a lui. Di solito era molto più veloce, ma istintivamente prese il ritmo di lei e… la seguì. Andava nella sua stessa direzione e ciò giustificò nella sua mente quello che era per lui un comportamento davvero insolito.
Si avvicinò più che poteva, mantenendosi, comunque, ad una certa distanza.
Presto furono su una piazza e l’uomo ebbe paura che la direzione che la donna avrebbe preso avrebbe potuto essere opposta alla sua. Così non accadde, e poté continuare il suo tragitto con lei
.
C’era qualcosa nel modo in cui lei camminava, nei suoi movimenti, che in un qualche modo si incastonava perfettamente con quegli occhi, completando l’attrazione che Giancarlo provava per quella sconosciuta.
Ad un certo punto dei suoi pensieri, lei lo sorprese. Si fermò di colpo e per poco Giancarlo non le arrivò addosso.
- Senta lei – disse la donna, voltandosi risolutamente. – Mi sta seguendo per caso?
Giancarlo rimase immobile, non sapendo cosa dire.
- La prego di non farlo - continuò.
La donna si voltò, senza aspettare una risposta o reazione, e ricominciò il suo percorso con passo più deciso. Lo lasciò lì, immobile, a guardarla mentre si allontanava da lui in ogni senso e l’attrazione inspiegabile che aveva avvertito per lei, e che per qualche motivo credeva fosse stata reciproca, era chiaro adesso, era stato semplicemente uno stupido parto della sua fantasia.
Lo squillo del telefono lo riportò alla realtà.
- Dove sei, figlio perso? – tuonava la voce di Andrea nel suo marcato accento siciliano dall’altra parte del suo cellulare.
- Qua sono! – disse imitando il dialetto del suo amico. - In piazza.
- Non ti vedo. Alza la mano, cosa inutile…
Alla fine Andrea era un vero amico, affettuoso e presente. Con i suoi modi particolari, e forse un po’ troppo espansivi, voleva stargli vicino, in quel periodo così difficile della sua vita.
Il bar dove lo aveva precettato Andrea era molto carino. Sedettero ad un tavolino, fuori. L’aria della mattina era piacevolmente fresca, ma non fredda. Andrea non aveva smesso di parlare per un minuto e lui non avevo smesso di pensare a lei nemmeno per un secondo.
- Compa’ che hai? Oggi mi sembri più perso del solito.
Perso
era l’aggettivo omnicomprensivo preferito di Andrea. Se eri stanco, per lui eri stanco perso
. Se facevi una bella battuta commentava, compa’ sei perso
e rideva. E se non rideva, diceva serio compa’, ma allora sei proprio perso
.
Ad un certo punto, davanti al loro tavolo, proprio davanti a loro: lei. Insieme ad una sua amica. La mascherina era abbassata. Non l’aveva vista senza, quella era la prima volta. Ma era lei. Sorseggiava un cappuccino, proprio come lui e proprio come lui un’amica le parlava e lei faceva finta di ascoltare.
- È lei. – disse Giancarlo a voce alta.
Andrea fu sorpreso e si zittì di colpo.
- Compà è lei
chi? – chiese.
- Niente.
- Compà, sei perso forte. Lei
chi?
Giancarlo raccontò velocemente al suo amico di aver visto quella donna in treno, che viaggiavano insieme, e che l’aveva colpito e che, quella mattina, anche grazie a lui, avevo fatto una figura di schifo.
Il silenzio di Andrea che seguì non preannunciava niente di buono. Infatti si alzò e, sistemata la mascherina che nascondeva il suo solito sorriso cordiale e ruffiano da siciliano doppiogiochista, si avvicinò al tavolo delle due donne, mentre Giancarlo guardava impietrito.
Ad un certo punto della conversazione che aveva iniziato gli fece un ampio cenno con la mano di raggiungerlo. Il che fece piuttosto esitante.
Pochi istanti dopo, portata la loro colazione al tavolo delle signore, Giancarlo si ritrovò seduto, nel più assurdo imbarazzo, davanti agli occhi ed ai ricci biondi della misteriosa donna incontrata una mattina per caso su un treno Napoli-Roma: sull’orlo di un precipizio o fluttuante sulle nuvole di una impensabile beatitudine, o entrambe le cose.
Andrea parlava all’amica di lei. Dopo pochi minuti ridevano già come pazzi, come se si conoscessero da sempre.
Giancarlo aveva perso la cognizione del tempo e di dove fosse. Sorseggiava il suo cappuccino tenendo gli occhi bassi, ma, allo stesso tempo, alzandoli a volte per guardarla. Senza mascherina, adesso, appariva bella come la aveva immaginata ed anche di più, con quel sorriso dolce di circostanza, e con quegli occhi tristi che l’avevano conquistato.
- Compà, sei perso – disse Andrea, alzandosi e dandogli una pacca sulle spalle. – Paghi tu. Scusateci ragazzi, Barbara ed io abbiamo scoperto di avere degli amici in comune che lavorano qui vicino… Ci vediamo. Non fare troppo tardi in ufficio, siamo persi senza te.
Giancarlo alzò gli occhi più volte per guardarla, durante quell’interminabile silenzio. Era seduto al tavolo con lei, erano soli, Giancarlo ed una misteriosa donna conosciuta in treno, e si guardavano dritto negli occhi, senza riuscire a parlare.
2
L’imbarazzo era davvero tanto.
- Non ti seguivo, davvero. - Disse l’uomo, non sapendo con cos’altro esordire.
La donna aveva compreso che tipo d’uomo avesse davanti e adesso era quasi divertita da quella circostanza. Volutamente, si trincerò dietro un vago silenzio.
- Avevo appuntamento con quel… insomma, quell’amico mio e venivo in questa direzione. – Continuò Giancarlo. – Io l’avevo vista in treno, lo ammetto. Mi aveva sorriso. Lo ricorda questo?
La donna adesso cercava di trattenere il riso per la maniera come quel poverino cercava disperatamente di giustificarsi. Si, lo ricordava. Ricordava lo scambio di sguardi ed anche lei era rimasta colpita. E la mattina che lui l’aveva seguita, aveva detto dentro di sé: finalmente! Voltarsi e parlargli con tono deciso era l’unica maniera per una donna per bene di offrirgli l’occasione per presentarsi, farsi conoscere. E lui l’aveva sprecata. Adesso erano seduti in quel bar e la sensazione che quell’incontro fosse in un qualche strambo modo deciso dal destino o da qualsiasi altra trama dell’universo, era la seducente conclusione che rendeva il tutto circondato da un alone di mistero e… romanticismo.
- Mi chiamo Greis – disse ad un certo punto la donna con un cordiale sorriso in volto.
- Io sono Giancarlo.
Seguì una pausa di silenzio.
- Piacere. – Aggiunse la donna.
- Piacere mio. Non possiamo darci la mano. Mi spiace.
Poi l’idea.
- Hai del disinfettante per le mani? – Chiese Giancarlo. – Le donne avete sempre tutto con voi in quelle borsette.
Greis sorrise.
- Si, certo che ce l’ho.
Di colpo l’uomo si alzò in piedi, tese la mano verso la donna che fece un piccolo balzo indietro sorpresa dal gesto dell’uomo.
- Piacere signora, io mi chiamo Giancarlo Verderame. – Disse sorridendo, ma visibilmente nervoso, come chi ha raccolto il coraggio ma ha paura di fallire miseramente.
- Piacere signore - disse quasi ridendo la donna, e tese la sua mano per stringere quella del suo impavido nuovo amico.
Dopo la lunga, dolce stretta di mano e la fatica a staccarsi, i due utilizzarono, loro malgrado, le salviettine umidificate e il disinfettante che Greis tirò fuori dalla borsa. Giancarlo non avrebbe più voluto rimuovere dalla sua mano la sensazione della mano di lei. Anche la donna aveva avvertito un calore inusuale per un primo incontro, per una semplice presentazione.
- Che bel nome Greis. Non è comune.
Il cuore ha molte porte e molti livelli. Alcune sono chiuse a chiave. Altre puoi provare ad aprirle e farti avanti per andare ai livelli successivi, quelli dove puoi avere accesso all’amicizia, alla complicità, all’amore. Con quell’affermazione Giancarlo aveva aperto la porta giusta per fare il primo passo nel cuore della donna.
- Mia mamma era una grande ammiratrice dell’attrice, della principessa Grace.
- Che bello. Quindi il tuo nome si pronuncia Greis, ma si scrive g-r-a-c-e.
- Certo. In inglese, come il nome dell’attrice.
Una lacrima scese lenta dal volto della donna, improvvisamente triste.
- Che succede, Grace? – Chiese Giancarlo preoccupato dal repentino cambio di umore di lei.
- Mia mamma è morta due settimane fa.
Cadde un fitto silenzio fra i due.
Era scomparso tutto attorno a loro, e non c’era più nessuno. Tutto intorno era silenzio, un’atmosfera irreale: il tempo si era arrestato. Erano in cima al mondo, sulle nuvole più alte, toccati dal sole più caldo; in riva al mare più bello ed incontaminato, seduti su una spiaggia deserta. Erano solo loro al mondo, non c’era nessun altro. Non c’era nemmeno la pandemia, o la paura che la faceva da padrona in quei giorni. C’era solo un nuovo legame, dolce quanto inspiegabile, fra due esseri umani.
Giancarlo raggiunse con la sua mano quella di Grace e la strinse, dandole tutto il calore che poteva. Sentì il suo cuore riempirsi di una meravigliosa sensazione per quella persona già per lui tanto unica e speciale. Strinse quella mano come per aggrapparsi ai momenti che stava vivendo, come per non farli sfuggire, come per sentire lei e tutto di lei, il suo cuore e le sue emozioni. E le avvertiva. La sentiva dentro, in maniera inspiegabile, folle. Folle come solo l’amore può essere. Il dettaglio più incredibile per lui era che nei suoi quarantotto anni di vita, non aveva mai provato qualcosa di simile, di tanto bello.
- Grace. Andiamo a fare due passi. – Disse Giancarlo.
Non ci fu bisogno di dire altro. L’uomo pagò il conto velocemente, mentre Grace asciugava le lacrime e