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Una sera, a Venezia
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E-book132 pagine1 ora

Una sera, a Venezia

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Info su questo ebook

Passeggiate all’imbrunire tra le calli di una città affascinante e misteriosa, che vive ancora nello splendore decadente dei tempi passati. Il protagonista si muove nella sua vita a metà tra le glorie lontane del suo casato e il presente, a volte difficile da accettare.
Echi di tragedie che tornano per aprire cassetti della memoria in cui si scoprono nuovi misteri.
Riuscirà il conte Maurizio Alderigo Morosin a intrecciare passato e presente per dar vita a un futuro degno di essere vissuto? 

Lorenzo Alberti Mangaroni Brancuti, avvocato, nato nel 1973 a Bologna, ove tuttora risiede, in questa seconda opera pone al centro Venezia, sua patria di adozione. Della Serenissima coglie l’atmosfera e il fascino decadente che da sempre hanno contraddistinto la città più bella del mondo.
Ha pubblicato nel 2016 il suo primo romanzo, Un’ultima volta, edito dalla casa editrice Pontevecchio.

 
LinguaItaliano
Data di uscita13 ago 2023
ISBN9788830688940
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    Una sera, a Venezia - Lorenzo Alberti Mangaroni Brancuti

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    Lorenzo Alberti Mangaroni Brancuti

    Una sera, a Venezia

    © 2023 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-8378-5

    I edizione settembre 2023

    Finito di stampare nel mese di settembre 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Una sera, a Venezia

    A Beatrice, come il sole che sorge e tramonta con lei...

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Una sera, a Venezia

    La campanella dell’antico portone tintinna parecchie volte, prima che Maurizio decida di alzarsi dalla poltrona in cui è sprofondato, immerso nei suoi pensieri.

    "Sior conte, una raccomandata!" dice una voce dal fondo di un lungo scalone.

    È Bepi, il vecchio postino, che da anni consegna la posta nel sestiere di San Polo.

    Arrivo... risponde svogliatamente Maurizio, stando attento a non inciampare nei gradini di pietra d’Istria, malandati come il resto del sontuoso palazzo che si affaccia direttamente sul Canal Grande.

    Ai tempi d’oro della famiglia Alderigo Morosin, non sarebbe certamente toccata a lui una tale incombenza: bensì alla servitù alloggiata al piano terra.

    Conosce il contenuto della busta verde che gli è stata appena recapitata dalla Corte d’Appello di Venezia, con la dicitura atti giudiziari; ma prima di aprirla rimane per qualche istante a fissare il via vai delle piccole imbarcazioni che sfilano silenziose sotto le sue finestre.

    Lo sciabordio delle acque è interrotto solo dal rumore sordo dei vaporetti che attraccano a una fermata poco distante, scaricando legioni di turisti. L’avvertimento del personale di bordo, attenti al passo, prima della discesa dei passeggeri, è seguito da un cicaleccio e da espressioni di stupore che spariscono quasi immediatamente, non appena lo sciame di persone si addentra nella stretta calle che le condurrà verso il cuore della città.

    Sono appena passate le nove del mattino, quando il telefono comincia a squillare con insistenza.

    Ciao amore! Sei ancora in casa?.

    Ciao G, stavo ancora bighellonando un po’....

    Lavori oggi? Hai degli appuntamenti? prosegue sua moglie Giuliana.

    No, stavo pensando di uscire a fare due passi, prima che piova. Per il pomeriggio hanno previsto brutto tempo, forse anche temporali. Tutto bene a Bologna? I tuoi? Tuo fratello ha poi ricevuto le risposte che aspettava?.

    Tutto bene, per Corrado ancora nulla. Lo sai che quando si ha a che fare con la pubblica amministrazione ci vuole tempo. Comunque, domani prenderò il treno e sarò a casa in mattinata, poi ti dirò meglio.

    Fammi sapere, mi piace venirti a prendere in stazione; è un po’ come la prima volta che ti ho portata qui. Mi ricordo ancora la faccia da bambina che facesti.

    Certo che mi ricordo, un perfetto padrone di casa, anche se un po’ pretenzioso. Hai già fatto colazione?.

    "Ancora no. Volevo fare un salto da Rosa Salva, ho voglia di coccolarmi un po’", prosegue Maurizio.

    Allora ci sentiamo più tardi amore, buona passeggiata!.

    Grazie G, a dopo.

    Maurizio non le dice nulla della raccomandata che ha appena ricevuto. Non vuole turbarla mentre è lontana, metterle ansia inutilmente.

    Prende la busta che ha appoggiato sul tavolino accanto al cellulare, e la soppesa con le mani.

    L’attesa dà tempo al diavolo....

    Si ricorda questa frase che sua nonna Beatrice usava ripetergli, quando non voleva fare qualcosa.

    La situazione non è delle migliori, ne è ben conscio, e nemmeno sua moglie sa la verità fino in fondo.

    Il conte Maurizio Alderigo Morosin, nobile veneziano da quasi cinquecento anni, è sull’orlo della bancarotta.

    Tutti in città lo sanno, ma lui sembra non dare troppo peso alla cosa.

    Almeno fino a quella mattina.

    Come ha detto a Giuliana, decide di non restare in casa.

    Nonostante sia già settembre inoltrato, è ancora caldo; dei pantaloni di cotone, una camicia di lino bianco, un cardigan color cammello, un vecchio paio di Superga di tela, occhiali da sole: a vederlo, magro, abbronzato e con in testa una coppola di paglia, regalo di Giuliana, alla quale è affezionato, sembra più un turista straniero che un cittadino della Serenissima.

    Non fosse per la barba quasi completamente bianca, forse un po’ troppo lunga, e la calvizie che lo affligge da tempo immemore, potrebbe dimostrare anche meno dei cinquant’anni che ha.

    Piega in due la lettera e la infila con stizza nella tasca dei pantaloni.

    Non ha ancora deciso quando aprirla.

    Afferra il mazzo di chiavi di casa e il telefono cellulare ancora spento, esce dal suo palazzo usando l’ingresso di servizio.

    La notissima pasticceria Rosa Salva, una vera e propria istituzione per i veneziani, si trova di fronte all’ospedale Santi Giovanni e Paolo. È costretto a superare il ponte di Rialto che sin da bambino detesta: insieme a piazza San Marco, il luogo più affollato della città.

    La volgarità del turismo di massa lo ha sempre infastidito per il modo con cui viene trattata la città più bella del mondo: rifiuti abbandonati ovunque, persone ammonticchiate sopra ogni gradino disponibile, intente a consumare pasti mediocri, fatti di cibo spazzatura e bibite calde.

    Un vociare costante, che sale di intensità, man mano che ci si avvicina ai luoghi nevralgici della città. Tuttavia, mentre l’apertura di piazza San Marco mantiene ai suoi occhi ancora intatta la grandiosità, la zona limitrofa a Rialto gli è insopportabile. Una sorta di enorme serpente umano, che striscia sopra quel passaggio obbligato senza soluzione di continuità.

    Solo di sera, ma specialmente la notte, Venezia assume un’aria completamente diversa, e i campi e le strette calli si presentano quasi nudi al suo cospetto. Quante notti ha passato con G, abbracciati, mano nella mano, vagando senza meta, baciandosi, alla ricerca degli angoli più nascosti e appartati per spingersi, a volte, anche oltre...

    Finalmente, dopo quasi venti minuti nella ressa, arriva a destinazione.

    Già dalla statua del Colione, il condottiero Bartolomeo Colleoni, si possono scorgere i tavolini all’aperto della pasticceria. Prende posto nel punto più lontano possibile dall’entrata.

    Ordina un caffè doppio e un piattino di zaeti, che a Venezia si mangiano sin

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