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E-book344 pagine4 ore

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S.W.A.T. Edition

Lennox Freeman (Free) è uno dei migliori hacker al mondo, il che ha fatto sì che passasse la maggior parte della sua vita in fuga, senza mai essere in grado di mettere radici. Non poteva fidarsi di nessuno, nemmeno della sua stessa famiglia. Se non fosse stato per il suo migliore amico, Tech, il padre di Free avrebbe venduto lui e le sue abilità alla famiglia criminale più ambiziosa in circolazione quando era ancora solo uno studente al MIT.

Free deve la sua vita a Tech, così quando il suo amico lo chiama ad Atlanta per lavorare con lui, non può dirgli di no. Tuttavia, non si aspettava di trovare il gruppo iperprotettivo di investigatori della task force più famigerata del PD di Atlanta. E di certo non era pronto a incontrare il capitano della SWAT, responsabile della loro sicurezza.

Ivan Hart ha vissuto tutta la vita con un unico credo: servire e proteggere. Aveva lavorato duramente per mettere insieme la sua squadra, poi God ha deciso di assumere un altro specialista informatico per il suo dipartimento. Un uomo il cui cervello, l’aspetto alla moda e la voce lasciano Hart senza parole. Free risveglia rapidamente una passione in lui, una passione che credeva morta da tempo. Un’attrazione che non sapeva esistesse.

Ma un futuro con Hart potrebbe essere potenzialmente pericoloso e tutto ciò che Lennox Freeman desidera nella vita è sicurezza, amore e protezione...
LinguaItaliano
Data di uscita5 ago 2022
ISBN9791220703772
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    Anteprima del libro

    Ai suoi ordini - A.E. Via

    1

    FREE

    «O kay, ci toccherà prendere una piccola scorciatoia, ragazzi. Girate a sinistra sulla strada sterrata prima del prossimo semaforo.»

    «Li perderemo se svoltiamo adesso, Free,» ribatté Ruxs.

    «Niente affatto. Ho gli occhi puntati su di loro.»

    «Allora perderai di vista noi,» insistette l’altro.

    «Non per molto.» Free era tranquillo come al solito, nonostante i suoi amici stessero inseguendo tre uomini armati fino ai denti.

    «Qual è il nome della strada?» gli chiese Green.

    Free li osservava dalla telecamera sul cruscotto. Mentre l’agente guidava con abilità il potente fuoristrada, lui dalla centrale gli suggeriva il percorso attraverso Gainesville. Le sue dita battevano veloci sulla tastiera: non doveva neppure pensarci, era concentrato solo sul risultato. C’erano diverse mappe sullo schermo alla sua sinistra. «Mmm… Non sembra averne uno.»

    «Tutte le strade ce l’hanno, Free,» si intromise Tech.

    Intravide la smorfia sul viso del suo migliore amico, che continuava a essere sballottato sul sedile del passeggero. Ingrandì la sgranata immagine satellitare. Nessuna indicazione. «Be’, non questa. Svoltate ora!»

    «Cazzo,» imprecò Green.

    Gli giunse alle orecchie lo stridio degli pneumatici.

    «Non credo che sia una vera strada,» mormorò Tech.

    Green lanciò un grido. «Siamo in una dannata foresta, Free!»

    Lui trasalì nell’osservare il monitor che mostrava la telecamera anteriore della jeep. Rami e cespugli volavano in ogni direzione, dopo aver colpito il parabrezza.

    «Stai facendo a pezzi il mio fuoristrada,» ringhiò ancora l’altro. «Sarai tu a pagare Furious perché ripari tutte le ammaccature, Freeman.»

    «Non è per niente una strada,» intervenne Steele. «Probabilmente lo chiamano il sentiero della fine

    «Proseguite,» ordinò Syn, calmo.

    Il sergente restava sempre alle sue spalle, ma interveniva solo quando era necessario. Lo lasciava libero di fare il suo lavoro.

    «Li ho ancora sotto controllo. Stanno per svoltare a sinistra, sulla E Hall. Li raggiungerete fra settantacinque metri,» pronosticò, gli occhi puntati sulle immagini satellitari della Davidson Road.

    «Ricevuto,» concluse Green, attraverso la radio.

    Free non distoglieva mai lo sguardo dai monitor. Era un appassionato di tecnologia da più di trent’anni, ormai, e aveva imparato a utilizzare molteplici dispositivi allo stesso tempo. Poteva sembrare difficile a chi non era del settore, ma violare database e satelliti a lui veniva naturale. Era solo contento di essere finalmente riuscito a farlo per i buoni.

    La porta dell’ufficio venne spalancata, ma lui non si voltò a vedere chi fosse. Continuò invece a concentrarsi sul proprio lavoro. C’erano quattro dei migliori uomini di Atlanta a rischiare la vita in quella missione, e contavano tutti su di lui; il minimo che poteva fare era dedicare loro la propria completa attenzione. Lavorava con loro da due mesi e, fino a quel momento, non li aveva ancora delusi. Erano un gruppo incredibile e il sindaco non avrebbe potuto essere più fiero di loro.

    «La squadra di Hart ha concluso la missione. Sono finalmente di ritorno.» La voce di God gli arrivò dall’altra parte del grande ufficio.

    Hart. Sta tornando a casa. Si voltò così in fretta da avvertire uno schiocco nel collo. I due tenenti si erano accomodati alle rispettive scrivanie e avevano acceso i computer. God e Day supervisionavano la squadra antinarcotici migliore della città. Il suo migliore amico, Tech, aveva lavorato per loro, gli ultimi tre anni, prima di decidere che non gli andava più di fare il tecnico informatico dietro le quinte. Voleva stare al centro dell’azione e prendere a calci i cattivi assieme al suo compagno. Free lo capiva. Così, quando lo aveva chiamato e gli aveva chiesto di rimpiazzarlo, non aveva potuto dirgli di no. Dopotutto, gli doveva la vita.

    «Ho sentito che il capo è entusiasta di loro e del lavoro che hanno svolto,» commentò God, con un largo sorriso.

    «E quale sarebbe la novità?» borbottò Day. «Vi esaltate entrambi per ogni lode o complimento.»

    God si accigliò. «Non è affatto vero. Siamo bravi in quello che facciamo, non è mica colpa nostra se la cosa viene riconosciuta. Sono solo felice che il mio amico stia tornando a casa, tutto qui. E giusto in tempo per l’inizio del campionato.»

    «Free!»

    Una forte pacca sulla spalla lo fece trasalire, dopodiché le mani di Syn lo costrinsero a voltarsi ancora una volta verso gli schermi. Oh, cazzo. Si sforzò di ricordare cosa stesse facendo e cosa gli avesse appena chiesto Green.

    Fu Syn a rispondere al posto suo: «Non manca molto.»

    «Trenta metri,» aggiunse lui. Si sentiva sfasato.

    «Cosa ci aspetta fra trenta metri?» ruggì Green.

    «Ehm…» Non riusciva a smettere di pensare a Hart: era da settimane che il grosso capitano della S.W.A.T. lo ossessionava.

    «Ehm?» lo aggredì Ruxs.

    «La strada,» si intromise ancora Syn. «State per sbucare su E Hall. Li avete già sorpassati.»

    Free controllò il monitor, deglutendo con forza e cercando di ignorare la conversazione che si stava svolgendo fra God e Day. Gli arrivavano i sibili e le imprecazioni della sua squadra attraverso il microfono. Prese un profondo respiro e si sforzò di concentrarsi.

    «Una volta su E Hall, puntate in direzione nord e sfoderate l’artiglieria,» concluse. Il suo cervello aveva dovuto riavviarsi, dopo aver sentito il nome di Hart.

    Finalmente la jeep sbucò dalla boscaglia. Free tirò un sospiro di sollievo, quando la telecamera anteriore gli trasmise le immagini di una strada e niente più alberi. Continuò a seguire il blitz attraverso le cuffie, lasciando che il sergente osservasse l’azione sugli schermi.

    I membri della squadra gettarono degli spuntoni sull’asfalto per fermare la corsa della quattro per quattro che avevano inseguito. Poi, trascinarono gli uomini al suo interno fuori dal veicolo e li spinsero con la faccia a terra.

    God e Day raggiunsero la postazione di Free proprio in quel momento, gli occhi fissi su uno dei sette schermi.

    «Sono parte della gang Cornelia?» domandò il primo.

    Syn annuì. «Sì, li hanno appena catturati. Sono i due bracci destri del capobanda e il suo fratellino. Adesso non manca che lui.»

    «Ottimo lavoro,» commentò Day. Era dietro la sedia di Free e gli stava gentilmente massaggiando le spalle. Il tenente era molto affettuoso. Sapeva essere severo quando si trattava di rimettere in riga la sua squadra, ma era anche il migliore amico che si potesse desiderare. L’esatto opposto del marito: God non toccava altri che l’uomo che amava o quelli che doveva stendere al tappeto.

    Free inclinò la testa e lasciò che il tenente sciogliesse il nodo che sentiva alla base del collo. Faceva dei massaggi eccezionali, soprattutto quando era assorto nei propri pensieri. «Free, manda un messaggio a Ro e fallo venire per un interrogatorio. Aveva detto che sarebbe stato qui per le sei, ma deve anticipare. Voglio questi infami spacciatori di metanfetamine dietro le sbarre al più presto. Il capo sembra volermi fottere più forte di quanto faccia mio marito.»

    «Fatto,» rispose lui. Aveva cominciato a scrivere mentre Day ancora parlava.

    «Sei l’uomo perfetto per me,» gli sussurrò l’altro, mettendo fine al massaggio.

    Free scoppiò a ridere: le battute di quell’uomo gli facevano sempre alzare gli occhi al cielo. La squadra aveva completato la missione e stava tornando alla base, quindi lui aveva tempo per una pausa. Fece roteare la sedia e si trovò faccia a faccia col sergente.

    Si sforzò di non agitarsi sotto il suo cipiglio severo. «Vado a prendermi da bere, Syn. Vuoi qualcosa anche tu?»

    Gli occhi scuri del suo superiore lo scrutavano con attenzione. Durante le settimane trascorse con loro, era diventato uno dei suoi preferiti. God e Day erano spesso via, ed era quindi lui a occuparsi della gestione del gruppo. Era fermo, ma comprensivo.

    «No, sono a posto così.»

    «Va bene.» Si alzò, evitando di guardarlo in faccia. Riuscirò mai a tenerli all’oscuro di qualcosa, considerando che sono tutti dei detective? Era grato del fatto che Syn non gli avesse chiesto come mai si fosse bloccato nel bel mezzo di una missione, ma sapeva che l’argomento prima o poi sarebbe saltato fuori.

    Lasciò l’ufficio e si fece strada lungo un affollato open space. I poliziotti che pattugliavano le strade si stavano trascinando verso la fine del turno. Alcuni compilavano verbali, altri invece facevano domande ai testimoni o trascrivevano lamentele. Il personale civile si occupava delle proprie faccende.

    «Ehi, Free. Freeman! Hai un attimo, per favore?»

    A quella richiesta, l’informatico zigzagò fra le varie scrivanie fino a raggiungere quella dell’agente Mason. Aveva sette anni d’esperienza ed era un ottimo profiler, ma la tecnologia non era il suo forte. Free non era sicuro di come fosse riuscito a passare l’esame di abilitazione, ma lo aiutava ogni volta che glielo chiedeva.

    Nel momento in cui avevano scoperto che God aveva uno dei più grandi esperti di tecnologia nella sua squadra, la voce si era diffusa all’intera stazione. Solo alcuni sapevano chi fosse in realtà: uno dei cinque migliori hacker al mondo. Ogni volta che andava in giro per l’ufficio, veniva chiamato da più parti. Avevano tutti bisogno che risolvesse i loro problemi informatici, che si trattasse di un cellulare che faceva le bizze o di un portatile infestato dai virus. A lui non importava, gli piaceva rendersi utile. Gli piaceva sentirsi importante per le giuste ragioni. Nessuno lì stava cercando di approfittarsi di lui.

    «Mi dispiace averti rapito ancora una volta. Probabilmente sarai stufo di me,» si scusò Mason, strofinandosi la mascella volitiva, appena coperta da un accenno di barba. Aveva la fronte arrossata e alcune gocce di sudore gli scivolavano lungo le tempie. Non si sarebbe mai abituato al nuovo sistema informatico della centrale, ma era una persona squisita. Era fra quelli che l’avevano aiutato di più, all’inizio, quando aveva una domanda o non sapeva dove trovare qualcosa.

    «Impossibile, sai quanto mi piaci,» gli rispose lui, sorridendo. Poi si accomodò su una delle sedie di fianco alla scrivania e gettò un’occhiata allo schermo. «Quando hai bisogno di una mano, fammi un fischio.»

    Mason annuì, e un sorriso sghembo andò a sostituire la smorfia che aveva ostentato fino a un attimo prima. «Va bene. Ti ringrazio, Freeman, continui a evitarmi figuracce. Quando chiedo aiuto a quella rottura di scatole del mio partner, mi rifila sempre una ramanzina. Ma non tutti possono essere bravi coi computer.»

    «Vero, ma adesso spiegami che sta succedendo.» Aveva già afferrato il mouse e si era spostato sul menù di ricerca, perché nove volte su dieci Mason era soltanto convinto di aver perso un file.

    «Si tratta del caso Silvia. Avevo salvato le dichiarazioni della vittima in una cartella e i riscontri dell’interrogatorio in un’altra, ma sono scomparsi entrambi.» Cominciò a battere sul tasto ESC e a ringhiare contro lo schermo.

    Con dolcezza, Free posò una mano sulla sua e mise fine a quello scatto d’ira. «Calmo, questo non ti aiuterà. Ti ricordi cosa ti ho detto l’altra volta? Quando non sai più dove sbattere la testa, prendi un respiro profondo e mandami un messaggio.»

    Mason scoppiò a ridere. «Ti stuferesti di ricevere un messaggio ogni ora. E tra l’altro, non credo che a God farebbe piacere se passassi gran parte delle tue giornate qui.»

    «Ho tutto il tempo del mondo, quando non sono richiesto alla mia scrivania, quindi non preoccuparti. Scrivimi descrivendo semplicemente che problema stai avendo, e lo risolverò accedendo al tuo computer da remoto e senza neanche alzarmi dalla sedia.»

    L’altro si produsse in un largo sorriso. «Possibile?»

    È troppo carino. Per qualche ragione, Free trovava adorabili gli uomini che non sapevano come raccapezzarsi con la tecnologia.

    «Certo che sì. Se possono quelli della TV via cavo, perché non dovrei riuscirci anch’io?» Si fece una risata e recuperò il file che l’agente aveva spostato nella cartella sbagliata. «Ma non dirlo a nessuno. Lo farò solo per te, e tu non ti sentirai in colpa per farmi venire fin qui.»

    «Sei troppo giusto!» Mason gli batté una mano sulla spalla e poi la tenne col pugno chiuso a mezz’aria, come a siglare il loro accordo segreto.

    Free lo accontentò. «Lo sei anche tu, Mason.» Ma che razza di espressione è? «Adesso apri la cartella Silvia: tutte le annotazioni e le sottocartelle dovrebbero essere lì.»

    «Sì,» confermò l’altro, con un sorriso a trentadue denti. «Mi hai risparmiato due giorni di lavoro, Free.»

    «Oh, no, ti è toccato venire in soccorso di quest’idiota per l’ennesima volta, Freeman. Qualcuno procuri a quest’uomo una versione di Windows a prova di imbecille!» gridò il partner di Mason, attraverso l’ufficio. Poi gli diede una gomitata di intesa passandogli accanto, mentre il collega lo mandava al diavolo.

    Free scosse la testa. «Tutto a posto, quindi?»

    «Sì, ti ringrazio. Mi hai risparmiato un sacco di tempo.»

    Se la svignò in un baleno, salutando entrambi con la mano. Fece un salto nella sala ristoro alla ricerca di qualcosa di veloce da mettere sotto i denti, prima di tornare alla propria postazione. Era eccitato all’idea di trafficare su una nuova apparecchiatura. Al loro ritorno, i quattro membri della Narcotici avrebbero trascorso ore nella stanza degli interrogatori, quindi non c’era niente di urgente da fare per lui. Adorava avere del tempo per se stesso, con nient’altro che un sistema da personalizzare e silenzio assoluto.

    Sorrise fra sé, inserendo un paio di dollari nel distributore automatico per un panino con le polpette. Non erano tanti a sapere cosa fosse davvero in grado di fare il sistema che aveva progettato: in soldoni, qualsiasi cosa di cui avessero bisogno i suoi capi. Naturalmente, la maggior parte di quello che gli veniva richiesto rientrava nei limiti della legalità, il che era ciò che lo portava ad amare quel lavoro. Un uomo con le sue abilità avrebbe potuto lavorare per qualsiasi agenzia, dalla NASA al Pentagono, ma non lo avrebbe mai fatto. Nel modo più assoluto. Perché in quel caso, non ci avrebbero messo molto a cambiare le sue mansioni trasformandole in qualcosa di immorale. E lui era stanco di farsi trascinare in quelle situazioni.

    Era uno dei motivi per cui non aveva esitato ad accettare la posizione, quando il suo migliore amico delle superiori gli aveva telefonato. Sapeva che era da anni che Tech si addestrava per diventare un detective. Non appena era stato promosso e gli era stato offerto un lavoro sul campo, gli aveva chiesto di trasferirsi ad Atlanta e diventare il loro esperto informatico. Il suo esordio con God e Day era stato esilarante. Non si era trattato di un colloquio tradizionale: si era infiltrato senza alcuna fatica nei loro sistemi dall’aeroporto e aveva ficcato il naso in una delle loro indagini. La cosa aveva indispettito God, il quale però non aveva impiegato molto a fare affidamento su di lui, nei due mesi che aveva trascorso con loro.

    Acquistò una Coca-Cola Light e mise il panino a scaldare nel microonde. C’erano diversi televisori addossati alla parete, ed erano tutti sintonizzati su altrettanti notiziari. Non era dell’umore adatto per un promemoria di tutto il male esistente nel mondo, così si sedette ai tavoli di fronte all’ingresso. A volte mangiava nella sala al piano di sopra, adducendo come scusa il fatto che quei distributori avevano più scelta, quando in realtà voleva solo sbirciare attraverso le pareti di vetro negli uffici della S.W.A.T. Tuttavia, quella sera non aveva alcun motivo per andare fin lassù: l’intero dipartimento era buio e deserto da ormai due settimane e mezzo. Ma presto sarà di ritorno.

    Free sorrise, mentre addentava quel sandwich insipido e prossimo alla data di scadenza. Niente avrebbe potuto rovinare il suo buonumore.

    Solo Tech era a conoscenza della cotta colossale che aveva per il bel capitano. Gli faceva battere forte il cuore ricordare il modo in cui Hart l’aveva difeso da quel pervertito di un poliziotto di Vasquez, durante l’addio al celibato di God e Day. Si era persino accertato che tornasse a casa sano e salvo. Inoltre, aveva fatto di tutto per assicurarsi che le sue prime settimane alla centrale trascorressero tranquille, che lui si stesse ambientando bene e che nessun altro gli desse noie. Era estremamente premuroso e comprensivo con lui. E, oltre a confonderlo, la cosa lo faceva imbestialire, perché si diceva in giro che Hart fosse etero.

    Be’, avrebbe scoperto la verità una volta per tutte.

    «Ehi,» lo salutò Syn, strappandolo a quelle riflessioni.

    «Che succede, capo?» domandò, la bocca mezza piena.

    «Niente di che, Ronowski e Michaels hanno cominciato il turno. Sarà una lunga notte, quindi me ne vado a casa. Puoi andare anche tu, non c’è nient’altro da fare,» lo informò. Si appoggiò al ripiano e bevve una bottiglia d’acqua.

    «Anche i tenenti sono andati via?»

    «Sì. God voleva aspettare Hart, ma la sua squadra non lascerà St. George per le prossime ore, quindi non arriveranno prima di domattina.»

    Maledizione. Avrebbe tanto voluto vederlo, quella sera. Tutto il suo buonumore scomparve e, di colpo, ebbe l’impressione di mangiare scatolame spalmato su pane raffermo. Appallottolò ciò che restava della sua cena per poi lanciare tutto nella spazzatura.

    «Rilassati, sarà qui per domani,» aggiunse Syn, ridacchiando nel lasciare la stanza.

    Free si coprì gli occhi con le mani, affondando nella sedia di plastica dura. Non poteva ingannare proprio nessuno.

    2

    HART

    Era in piedi accanto alla macchina e osservava la donna minuta della cui incolumità era stato responsabile negli ultimi sedici giorni. Lei gli posò una mano tremante sul bicipite e si fece più vicina, incurante di commuoversi di fronte a dieci membri della S.W.A.T. in assetto da combattimento, un mucchio di agenti della polizia di St. George e diversi uomini dell’FBI. Hart si sentiva i loro occhi addosso, ma lei li ignorò tutti, concentrata solo su di lui. Aveva trascorso otto mesi circondata da agenti delle forze dell’ordine, mentre lo Stato imbastiva un processo contro la banda di criminali che le aveva sconvolto la vita. Si era concluso il giorno prima. Era finita. Maryanne si sollevò sulle punte e fece per passargli le braccia attorno alle spalle.

    Hart la capiva, quello che le era successo avrebbe spinto molti a chiedersi se ci fosse un Dio. Il marito e la sua unica figlia erano rimasti vittime di una sparatoria fra bande, in cui erano rimaste uccise altre quattro persone. Come unica superstite, aveva offerto la propria testimonianza all’FBI in cambio di protezione e di una nuova identità. Era stato Hart ad accompagnarla in aula, nel corso di quelle due settimane.

    «Non dimenticherò mai ciò che hai fatto per me la scorsa notte.» Aderì al suo petto e all’equipaggiamento che indossava. «Sei una persona molto speciale.»

    «Ti ringrazio,» rispose lui, roco.

    Era poco più di un guscio vuoto, quando l’aveva vista la prima volta, in quella casa appena fuori Scottsdale. Avevano provato a ucciderla in altre due occasioni, verso la fine del processo, il che era solo servito a farle ricercare con più determinazione giustizia per il marito e la sua piccola di nove anni.

    «No, sono io a ringraziare te, Ivan.»

    I suoi occhi verdi erano pieni di lacrime. Hart la vide prendere dei respiri profondi per tenerle a bada, e le concesse tutto il tempo di cui aveva bisogno, così come fecero anche gli altri. Nessuno si schiarì la gola o interruppe bruscamente i saluti: Maryanne non si stava solo accomiatando dagli uomini che ogni giorno avevano rischiato la vita per lei, diceva addio a tutto ciò che era sempre stata.

    La osservò mentre si infilava una mano nella tasca e tirava fuori il segnalatore d’emergenza che le aveva dato la settima prima in modo che si sentisse più al sicuro. Aveva l’aspetto di una collana, ma dietro il ciondolo a forma di croce celtica c’era un bottone che poteva fornire la propria posizione alla centrale. Maryanne glielo restituì.

    «Non saprai più dove mi trovo, vero?»

    «No, nessuno di noi lo saprà.» Si chinò su di lei e la strinse. Lei rispose all’abbraccio con un sospiro. Poi lui abbassò la testa e sussurrò: «Andrà tutto bene, Mary. Cerca di accettare la nuova vita che ti sarà data, okay? Abbandonati a essa e vedrai che le cose si sistemeranno.»

    Lei gli rivolse un sorriso mesto. «Sì, farò del mio meglio.»

    A quel punto, Hart si allontanò e fece un cenno all’agente dell’FBI che l’avrebbe portata in aeroporto. Non aveva idea di dove sarebbe atterrata. Continuò a salutarla con la mano anche mentre l’auto senza contrassegni spariva alla vista. Si accomodò sul sedile del passeggero del mezzo corazzato e fece segno alla sua squadra di mettersi in movimento. «Squagliamocela da qui. È tempo di tornare a casa.»

    «Non potrei essere più d’accordo, capitano,» fu l’allegra risposta della sua sergente, mentre manovrava il blindato per uscire dal parcheggio.

    Arrivati sull’interstatale, cominciò ad avvertire un certo nervosismo. C’era qualcuno ad Atlanta che moriva dalla voglia di rivedere, ma non aveva idea di cosa gli avrebbe detto una volta lì. Non poteva continuare a essere così timido. Un uomo di quarantaquattro anni, e per giunta single, avrebbe dovuto essere in grado di perseguire i propri obiettivi.

    «Allora, capo, vuoi spiegarci perché la dolce Maryanne sembrava esserti tanto grata, dopo la scorsa notte?» gli domandò Fox.

    Hart non sprecò neppure uno sguardo per il suo vice. Era sicuro che un ghigno malizioso gli campeggiava sul viso e non era dell’umore giusto per farlo sparire a suon di schiaffi. «Siete tutti delle bestie. Te inclusa, Dinah.»

    «Ehi, è stato Fox a farti questa stupida domanda, non io. Ma le nostre menti curiose hanno diritto a una risposta,» ribatté lei. Era una stupenda donna nera, con lunghi rasta biondi e neri che portava in un’elaborata acconciatura sulla nuca. Uno splendido scorpione dal morso letale. Era su di lei e sul suo vice che faceva affidamento per gestire la squadra S.W.A.T.

    «Menti curiose? Direi ficcanaso, piuttosto. Superficiali. Rozze…»

    «Oh, andiamo. Non siamo niente di tutto ciò,» lo interruppe Fox, dal retro. «Ma non puoi aspettarti che non facciamo domande, dopo che una donna ti ha confessato dei simili sentimenti di fronte a noi.»

    «Esatto. Hai trascorso diverso tempo nel suo boudoir, capo,» ridacchiò Dinah, spingendo l’acceleratore lungo l’interstatale.

    Hart scoppiò a ridere. «Boudoir

    La donna alzò gli occhi al cielo. «Sai cosa voglio dire, le sue stanze private.»

    «Ero semplicemente in camera della testimone a confortarla.»

    Si diffuse un rumoroso coro di acclamazioni.

    «A volte mi chiedo quanti anni abbiate,» borbottò lui. «Non intendevo quel tipo di conforto.»

    «Lei sembrava piuttosto a suo agio nel metterti le mani addosso,» aggiunse Fox.

    «È così grande e grosso, tutto da coccolare,» concluse Dinah, tentando di stringergli la spalla.

    «Basta così,» ordinò Hart. «Portaci solo a casa sani e salvi.»

    Sapeva che i suoi ragazzi lo stavano prendendo in giro e basta, lo facevano spesso, ma non gli andava di scherzare su quanto accaduto la notte prima. Quella donna aveva da poco perso il marito e la figlia. Lui le aveva soltanto offerto un orecchio amico e una spalla su cui piangere. Il processo era finalmente finito e lei si era sciolta in un lungo pianto liberatorio. Quando si era infine addormentata sul suo petto intorno alle quattro del mattino, lui le aveva tirato le coperte addosso e aveva lasciato la stanza. Aveva ignorato gli sguardi di rimprovero dei due agenti di guardia alla porta ed era tornato dalla sua squadra.

    Dinah parcheggiò nei sotterranei della stazione appena passate le dieci. Erano esausti dopo una notte in bianco e un viaggio di cinque ore, ma non era ancora il momento di riposare. Bisognava prima catalogare tutta l’attrezzatura e riporla nell’armeria. Poi farsi una doccia, indossare uniformi pulite e tornare alla scrivania. Dopodiché sarebbe arrivato il comandante per un resoconto completo. E tutto prima ancora di fare colazione. La vita di un agente della S.W.A.T. era fatta così.

    La squadra attraversò le porte della stazione indossando ancora l’assetto da combattimento, con gli speciali fucili d’assalto adagiati per obliquo sul petto. L’ufficio esplose con acclamazioni, pugni sbattuti sulle scrivanie e sedie che stridevano sul pavimento: tutti si erano alzati per dare il bentornato al gruppo. Hart rivolse cenni del capo a diversi agenti nel farsi strada fino agli ascensori, accettò persino di essere abbracciato da qualche membro femminile dello staff.

    «Sono contento che siate tornati, Hart!» esclamò il capitano Myers dal suo ufficio. «Avete fatto un gran lavoro laggiù.»

    Gli agenti applaudirono di nuovo. Era un grande giorno per Atlanta, e aver tolto di mezzo un’altra gang significava un enorme riconoscimento per il dipartimento. Hart rivolse un cenno di ringraziamento al capitano, poi si girò in cerca di God, il suo amico della Narcotici.

    L’enorme ufficio era pienamente illuminato e Hart vide diversi detective seduti alla scrivania. God era in piedi con le mani sollevate e un immenso sorriso stampato in faccia. Hart alzò il pugno, trionfante, poi gli fece un cenno per indicargli che sarebbe tornato dopo aver sistemato alcuni affari al piano di sopra. Proprio prima di girare l’angolo, vide due occhi familiari, scuri e intensi, che lo guardavano attentamente; avvertì un brivido solcargli la spina dorsale.

    Quando le porte dell’ascensore si aprirono, si sentì più che mai sollevato nel vedere il dipartimento che dirigeva. Il suo

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